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                 Domenica 9 Aprile 2000. Sciopero dei 
                  giornalisti televisivi, i quali, in un comunicato video debitamente 
                  autorizzato dai sindacati, stigmatizzano latteggiamento di 
                  chiusura da parte delleditoria nei confronti delle loro rivendicazioni, 
                  paventando, nel caso non si fosse raggiunto un soddisfacente 
                  accordo con la controparte, di non poter essere in grado di 
                  fornire allutenza lo stesso livello qualitativo di informazione 
                  (traduzione: se il padrone non ci dà piu soldi, noi minacciamo 
                  gli spettatori di dargli più guano). Evidentemente la qualita 
                  a cui si riferivano aveva a che fare, per esempio, coi servizi 
                  con voce fuori campo di commentatori con la evve moscia (o peggio), 
                  o con la effe offiata con la lingua porgente fuori dagli incisivi, 
                  o con laccentto ssarddo, o che usano piuttosto che alla lombarda 
                  per dire oppure (non ho ancora sentito commentatori siciliani 
                  che usano magari per dire anche: vuoi vedere che è già avvenuta 
                  una lottizzazione padana e non ce ne siamo accorti?). 
                  Oppure si riferivano al fatto che dopo svariati lustri ancora 
                  non si sono accordati su una versione univoca del cognome turco 
                  dellattentatore al papa: AGCA si pronuncia ahggià e non àgka. 
                  Lo stesso papa, per altro, al quale nei primi tempi dopo la 
                  sua ascesa al soglio pontificio era stata fatta grazia della 
                  pronuncia corretta del suo nome secolare (voitéua), adesso 
                  che non può più reagire incazzandosi, perché affetto da parkinsonismo, 
                  viene chiamato voitìla. O alle vicende del calciatore NAKATA, 
                  il cui rendimento sembra essere legato agli spostamenti di accento 
                  effettuati sul suo cognome dai telecronisti sportivi, destinati 
                  ad impazzire invano giacché non sanno che in giapponese non 
                  ci sono accenti. 
                  O meglio ancora si riferivano allepisodio in cui Lamberto Sposini, 
                  al TG, dopo un video inedito dei Beatles, sosteneva che i quattro 
                  di Liverpool avessero scritto canzoni migliori, commentando 
                  nella fattispecie Hey Bulldog, una delle espressioni più altamente 
                  drammatiche della poesia di John Lennon (opinione personalissima, 
                  ma che non ho potuto per tempo contrapporre pubblicamente - 
                  lo faccio ora - a quella, altrettanto personale, di Sposini, 
                  il quale ha su di me, e su di voi, il vantaggio di poter sparare 
                  le sue pirlate nelletere). 
                  O forse, infine, alludevano al più recente servizio sulla notizia 
                  che in una scuola di Decimomannu qualcuno avrebbe imposto il 
                  silenzio agli alunni di una classe tamponandone i vivaci musetti 
                  con nastro adesivo. Dopo aver premesso che la voce era stata 
                  sparsa da qualcuno dei predetti fanciulli, che le indagini erano 
                  ancora in corso, e che sullaffare la scuola manteneva il più 
                  assoluto riserbo, i responsabili del servizio: a) affermavano 
                  di non conoscere il nome dellinsegnante su cui gravava laccusa, 
                  ma venivano traditi dalla grammatica italiana, e vi alludevano 
                  con concordanze di genere femminile; b) mostravano limmagine 
                  del cancello della scuola chiuso con un lucchetto e una catena, 
                  valorizzando limplicita equazione con carceri e lager e/o con 
                  lautoimposizione di un silenzioso ritiro (ci sono giorni e 
                  ore in cui le scuole sono chiuse, no?); c) intervistavano adulti 
                  locali, i quali appalesavano ovviamente tutto il loro sdegno 
                  e desiderio di giusta punizione per una vicenda assolutamente 
                  da condannare, se non fosse per il fatto che non solo non era 
                  stato individuato il colpevole né accertata la misura delle 
                  sue colpe, ma non era stato neanche appurato se il fatto fosse 
                  realmente avvenuto (in Italia, che io sappia, si è innocenti 
                  fino a che non venga dimostrata la colpevolezza, e non viceversa); 
                  d) riportavano, del tutto avulse da qualunque contesto, le presunte 
                  parole del/la colpevole, secondo cui si sarebbe trattato di 
                  uno scherzo. Voi capite la duplice conseguenza alternativa 
                  del contesto scherzoso. Quanto meno, se lo scherzo è compiuto 
                  dallinsegnante, linsegnante è folle; se è compiuto dagli alunni, 
                  gli alunni sono stronzi, come avrebbe sospettato anche Agostino, 
                  vescovo dIppona. Ma parliamo daltro, poiché per elencare tutti 
                  questi abissi di qualità informativa sarebbe necessario invocare 
                  il solito famigerato saggio di 400 pagine. In quella medesima 
                  Domenica, il personaggio, informe e inspiegabilmente assurto 
                  agli allori del contenitore domenicale, che si attribuisce indegnamente 
                  il nome darte di Amadeus (daltra parte abbiamo ragione di 
                  temere che la versione berlusconiana, caciottara e pulcinelrata, 
                  del libero mercato, avrebbe avuto buone possibilità di convincere 
                  un Mozart dei giorni nostri a fare il D.J.), si veniva a trovare 
                  col contenitore medesimo abnormemente allargato, a causa dello 
                  sciopero anzidetto, e non trovava migliore soluzione per riempirlo 
                  che invitare a Domenica In un tot di procaci pulzelle, mediamente 
                  ipofreniche, la cui unica colpa, adeguatamente glorificata e 
                  complimentata, era stata quella di aver soggiaciuto al ruolo 
                  di protagonista, esponendo maggiori o minori quantitativi di 
                  lacerti, mucose e glàndole su idonei banconi da macellaio, in 
                  altrettanti spot pubblicitari famosi. 
                  Una sola cosa mi ha dato più fastidio del fatto che ciascuna 
                  di queste sciacquette lobotomizzate che sanno contare fino a 
                  venti perché usano le dita dei piedi, guadagna, al netto, in 
                  trenta secondi appesa a un gancio di cella frigorifera, da due 
                  a dieci volte il mio reddito lordo al netto del plusvalore dellazienda 
                  sul prodotto del mio faticoso lavoro, dopo che mi sono fatto 
                  il mazzo a studiare per quasi diciotto anni seguendo gli amorevoli 
                  consigli di mio padre anziché il mio istinto che mi avrebbe 
                  condotto a lavorare la terracotta o allevare polli. In fondo 
                  tutto ciò non ha grande rilevanza ed è frutto del mio egoismo 
                  e sciovinismo maschilista. 
                  La cosa veramente ignobile è stato avere lennesima conferma 
                  della considerazione che tutti, imprenditori che comprano la 
                  pubblicità dei propri prodotti, reti televisive, perfino il 
                  legislatore che regola luso delle modalità del mezzo pubblicitario, 
                  hanno dellintelligenza del pubblico, dello spettatore, del 
                  consumatore. Nel mostrare i brani degli spot e nel commentare 
                  la valentìa delle mammifere nellinterpretarli, veniva accuratamente 
                  cassato il nome della ditta committente, dando anche grande 
                  risalto verbale alla correttezza della fattispecie della cassazione 
                  stessa. Dappoiché proferire il nome fatidico sarebbe stato commettere 
                  il reato di pubblicità gratuita. Come se lo spettatore non sapesse 
                  riconoscere il marchio estrapolando dal resto dello spot. E, 
                  peggio, come se, al pari di salivanti cani di Pavlov, i consumatori, 
                  al solo sentire il nome di Omnitel corressero a comprarne il 
                  telefonino, e a comprarlo tutte le volte che lo sentono nominare, 
                  e a comprarne anche TIM contemporaneamente, se sentono nominare 
                  anche quello dopo cinque secondi. Come se gli italiani fossero 
                  dei folli che ogni giorno, dopo aver visto la pubblicità in 
                  televisione, corressero nei negozi al fine di ammassare in casa 
                  derrate di fette del mulino bianco. Forse costoro pensano che 
                  noi riempiamo la vasca da bagno di fanta e che bruciamo i libri 
                  per fare posto alla nutella. No, non è onesto nominare barilla 
                  fuori dello spot: volete forse che mandrie di cerebrolesi scendano 
                  in piazza a manifestare violentemente per lesaurimento delle 
                  scorte di tortelloni? Volete la fine dellordine sociale così 
                  faticosamente ottenuto colorando di grigio uniforme nella sfumatura 
                  del libero mercato i banchi del parlamento da sinistra a destra, 
                  senza preferenze e scorrette parzialità? Avrebbero forse potuto 
                  i sanculotti ghigliottinare il re al grido di: toglietemi tutto 
                  ma non il mio BREIL? 
                  Non fate pubblicità gratuita. Non fate come me. Ho deciso di 
                  pretendere cointeressenze dalla coca cola. 
                   
                  Carlo E. Menga 
                
                   
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                       Elèuthera 
                        / Cento libri per una cultura libertaria 
                        
                       
                        La 
                        cultura libertaria è una cultura vivace, ricca di storia, 
                        di presenza e di potenzialità, fermento e insieme prodotto 
                        delle punte più avanzate della critica teorica e pratica 
                        al principio dautorità, alla gerarchia sociale, al dominio 
                        economico e politico. Cultura libertaria come modo diverso 
                        di vedere il mondo, quello umano e quello non umano, di 
                        vivere e di pensare se stessi e gli altri. Se lobiettivo 
                        di contribuire, nellambito editoriale, alla costruzione 
                        di un contesto comune per le diverse voci del pensiero 
                        libertario è indubbiamente ambizioso, certo non lo sono 
                        le dimensioni e i programmi volutamente modesti di uniniziativa 
                        ancora convinta che «piccolo è bello» e che il concetto 
                        di «limite» abbia un valore positivo. Ogni libro è per 
                        noi un «evento» e non un prodotto a scadenza ravvicinata 
                        da inviare con urgenza in un mercato editoriale bulimico. 
                        E ci sembra che ogni nuovo titolo sia unaltra piccola 
                        tessera che va ad aggiungersi a quel complesso mosaico 
                        che vogliamo contribuire a disegnare, destinato per sua 
                        natura a restare sempre incompiuto, cioè aperto, comè 
                        per sua natura aperto il mosaico della libertà. Piccoli 
                        ma tenaci, siamo arrivati a cento titoli. Dalla B alla 
                        B! Da Bookchin a Bakunin: un secolo di differenza, la 
                        stessa passione libertaria. Per loccasione abbiamo fatto 
                        un catalogo generale, con una sezione per autori e una 
                        in ordine cronologico. 
                       
                        Questo catalogo può essere richiesto a elèuthera  
                        cas. post. 17025, 20170 Milano  tel. 02 26 14 39 50  
                        fax 02 28 46 923 
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                         sito: http//:www.anarca-bolo.ch/eleuthera 
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