in direzione 
                  ostinata e contraria 6 
                  Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare 
                  
                Intervista a Santino “Alexian” 
                  Spinelli 
                di Renzo Sabatini 
                 
                   
                  Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta, 
                  saggista, studioso di linguistica e musicologia, insegnante 
                  di cultura Romanì all'Università di Trieste, ambasciatore 
                  della cultura Romanì nel mondo...una biografia molto 
                  ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni? 
                   
                  Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue 
                  ma soprattutto, fin da piccolo, ho avuto una grande passione 
                  per la musica. Questa della musica è una cosa che si 
                  eredita all'interno delle famiglie Rom. 
                   
                  Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi? 
                   
                  Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla 
                  fine del 1300, quindi la nostra comunità è in 
                  Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla 
                  a che vedere né con il rumeno né con le lingue 
                  romanze, né tantomeno con il romanesco! È una 
                  lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita 
                  nei secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato 
                  e dei popoli con cui siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi 
                  in cinque grandi gruppi e innumerevoli comunità, provengono 
                  dall'India del nord e attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero 
                  Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in particolare 
                  sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi 
                  conosciute come Abruzzo e Molise. 
                   
                  Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané, 
                  una canzone interamente dedicata al popolo Rom, con una poesia 
                  finale in Romanì. Tu ne hai curata una bellissima versione 
                  in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo 
                  progetto? 
                   
                  Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato 
                  molto volentieri, essendo De André uno strenuo difensore 
                  della nostra cultura e soprattutto dei diritti umani del nostro 
                  popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie infinita 
                  di discriminazioni. Khorakhané in realtà è 
                  il nome di un sottogruppo, una comunità particolare di 
                  Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto come molto 
                  significativo il sottotitolo della canzone: “a forza di 
                  essere vento”, che sottolinea come De André avesse 
                  capito perfettamente che i Rom non sono nomadi per cultura ma 
                  piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui voleva, 
                  secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico 
                  che avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il 
                  fatto che i Rom, in realtà, non sono assolutamente conosciuti 
                  per quello che sono veramente. 
                  Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche 
                  un veicolo di conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo 
                  del pregiudizio e far conoscere meglio la nostra realtà 
                  culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è 
                  stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané 
                  grazie a questa rivista che aveva proposto a una trentina di 
                  gruppi di nicchia di fare un omaggio a De André, ho accettato 
                  volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una versione 
                  in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente 
                  originale, consona alla tradizione dei Rom italiani. 
                   
                    La sensibilità: 
                  dei Rom italiani 
                 La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura 
                  e storia dei Rom. È come se in poche righe fossero condensati 
                  decine di libri. In effetti prima di lavorare al testo della 
                  canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale 
                  disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era 
                  un Rom trovi che abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo? 
                   
                  Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che 
                  i Rom non sono nomadi per cultura ma itineranti coatti, eterni 
                  perseguitati, costantemente discriminati. Per questo il sottotitolo 
                  è per me così importante, perché noi siamo 
                  definiti spesso, romanticamente: “i figli del vento” 
                  e in realtà con questo romanticismo si sono istituzionalizzate 
                  in Italia la segregazione razziale e la discriminazione. I campi 
                  nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo, rappresentano 
                  una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra 
                  e attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo, 
                  fin dal titolo. 
                   
                  Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato? 
                   
                  Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più 
                  diffusa in Europa e, secondo le ricerche della Commissione della 
                  Comunità Europea, è anche la minoranza che subisce, 
                  nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom subiscono 
                  ancora oggi la violazione dei diritti più elementari 
                  e l'Italia purtroppo si trova al primo posto per ciò 
                  che riguarda la discriminazione nei nostri confronti. 
                   
                  Per la poesia che chiude la canzone De André si è 
                  servito della collaborazione di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado. 
                  Tu per fare la tua versione hai avuto modo di confrontarti con 
                  lui? 
                   
                  No, io sono andato direttamente alla musica di De André 
                  e Fossati e ho lavorato su quella, facendo però una versione 
                  assolutamente originale, cercando di mettere in risalto la sensibilità 
                  dei Rom italiani, senza però nulla togliere al valore 
                  semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della 
                  musica. Perché la musica, nella sua semplicità, 
                  è fortemente evocativa e carica di pathos, e questo va 
                  a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria 
                  sensibilità. Insomma il brano è di per sé 
                  già bellissimo, io non ho fatto altro che dare una mia 
                  interpretazione. 
                   
                  Bezzecchi ha scritto che: “Khorakhané è 
                  in fondo una canzone sulla libertà conquistata attraverso 
                  l'emarginazione”. Condividi questa affermazione? 
                   
                  Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare 
                  l'aspetto della denuncia sociale da parte di De André. 
                  Certo, comunque sicuramente la canzone esalta la libertà. 
                  La libertà ad esempio di avere una identità che 
                  sia ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle 
                  politiche di assimilazione. La popolazione Romanì è 
                  rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver 
                  mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito, 
                  senza mai aver attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro 
                  è anche l'essenza di questa canzone. 
                   
                  Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per 
                  rivendicare questa libertà deve per forza anche accettare 
                  l'emarginazione? 
                   
                  Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì 
                  che si trova in Italia è generalmente composta da cittadini 
                  italiani e non deve essere discriminata, perché questo 
                  ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare che ci siano 
                  cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno 
                  diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione, 
                  lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili. 
                  Invece nel caso dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono 
                  cittadinanza, vengono violati quotidianamente. Questo è 
                  non solo ingiusto ma anche anticostituzionale, perché 
                  stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda 
                  la libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di 
                  diritti e questa è la vera libertà che i Rom devono 
                  ancora conquistare sul suolo italiano. 
                   
                  Nella tournée di “Anime Salve” De André 
                  presentava Khorakhané parlando a lungo degli “zingari”. 
                  La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il 
                  premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato 
                  anche tu: “girano il mondo da duemila anni senza armi”. 
                  Questa è una bella provocazione rispetto ai tanti italiani 
                  che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi. 
                  Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di 
                  De André? 
                   
                  Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra 
                  cultura e l'ha difesa a spada tratta. L'errore però è 
                  definirci: “zingari”, noi non siamo zingari, siamo 
                  Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non 
                  è la maniera in cui definiamo noi stessi, è la 
                  maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono, 
                  spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato. 
                   
                    Ribellione 
                  e richiesta di aiuto 
                 Penso che De André usasse il termine: “zingari” 
                  a mo' di provocazione e anche per maggiore chiarezza. Visto 
                  che al termine è associato il disprezzo generale dire: 
                  “Nobel per la pace agli zingari” è certamente 
                  più forte, come provocazione, che dire “Nobel ai 
                  Rom”. 
                   
                  Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo' 
                  di provocazione ma sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però 
                  per me è importante chiarire, per chi ci ascolta, per 
                  coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà 
                  culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi 
                  negativi che spesso allontanano, spingono a non manifestare 
                  neanche l'interesse nei nostri confronti. Così succede, 
                  da una parte, che un enorme patrimonio culturale e artistico 
                  non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali 
                  vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore 
                  del singolo porta inevitabilmente alla condanna di tutte la 
                  comunità, che sono invece tante e molto diversificate 
                  fra loro. 
                  Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno 
                  contribuito a crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale: 
                  nel periodo romantico, nel momento in cui si sviluppa il concetto 
                  di “nazione”, in cui si parla di fattori locali 
                  e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo 
                  enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado, 
                  Debussy, Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok: 
                  tutti si sono ispirati alla nostra musica. Fino ad arrivare 
                  ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che operazione ha fatto? 
                  Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma 
                  poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa 
                  musica è sua! La stessa cosa che ha fatto Brahms con 
                  le danze ungheresi o Listz con le rapsodie ungheresi. 
                  I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali. 
                  Anzitutto il “cimbalom”, introdotto in Europa ad 
                  immagine e somiglianza del “Santur” indiano. Dal 
                  cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi, 
                  per altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei 
                  Rom è stato l'antenato del pianoforte e questo ben pochi 
                  lo sanno! Così come nei territori balcanici i Rom hanno 
                  introdotto la “zurna”, uno strumento a doppia ancia 
                  dal quale in Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro 
                  popolare: l'oboe, che si suona nelle orchestre sinfoniche e, 
                  nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è uno strumento 
                  conico di forma allungata a doppia ancia. 
                   
                  Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel 
                  per la pace ai Rom. Tu come reagisci? 
                   
                  I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento 
                  di passività che voleva essere una forma di ribellione 
                  e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno utilizzato forme di 
                  resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi secoli 
                  dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non 
                  ha mai usato le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha 
                  causato danni incalcolabili. De André aveva capito perfettamente 
                  il nostro spirito e la qualità, la carica emotiva della 
                  nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica. 
                  Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa 
                  canzone, Khorakhané, aveva riassunto tutta la sua esperienza, 
                  la sua profonda conoscenza di un mondo che ancora, a molti, 
                  appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà 
                  non lo conoscono. 
                   
                  Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase: 
                  “i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via”, 
                  De André nella sua canzone affronta anche il tema delle 
                  persecuzioni subite dai Rom... 
                   
                  Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante 
                  la seconda guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti 
                  trucidati, seviziati, usati come cavie per gli esperimenti, 
                  depredati dei loro averi: oro, terre, case e soldi mai restituiti. 
                  E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun 
                  Rom o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare 
                  i propri carnefici. Quindi questo genocidio, nella storia, è 
                  stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa deve un riconoscimento, 
                  dal punto di vista morale, psicologico, culturale e storico, 
                  perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria, 
                  si celebra una giornata mutilata, offensiva e discriminante, 
                  perché si ricorda soltanto una parte delle vittime, non 
                  tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel ricordo. 
                   
                  Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è 
                  un capitolo della storia poco noto e poco studiato sia in Italia 
                  che altrove... 
                   
                  Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla 
                  molto di più che in Italia. In Germania per esempio ci 
                  sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo dell'Olocausto 
                  Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una 
                  per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco 
                  che nel 1933 Hitler fece bruciare, dove già c'è 
                  un monumento che ricorda lo sterminio degli ebrei, sorgerà 
                  un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto), 
                  dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà 
                  proprio una mia poesia, Auschwitz, che sarà illuminata 
                  ventiquattro ore su ventiquattro. 
                   
                    Fabrizio, 
                  un precursore 
                 La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e 
                  della storia dei Rom. Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio, 
                  ci raccontava che prima di scriverla De André aveva studiato 
                  tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha 
                  colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur 
                  senza essere lui stesso Rom? Ha colto l'essenza? 
                   
                  Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia 
                  sintetizzato in una sola canzone, in poche righe, tutto il mondo 
                  Rom. Ha fatto una sintesi che solo un genio artistico poteva 
                  fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano con una 
                  particolare dedizione e con tanta attenzione, perché 
                  era importante sottolineare tutto quello che lui aveva scritto 
                  cercando però di dare al pezzo l'anima Romanì. 
                  Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di 
                  dare a questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì. 
                   
                  Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso 
                  gli stereotipi, magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané 
                  invece De André ci ha avvicinato al popolo Rom così 
                  com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se questa 
                  canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è 
                  conosciuta, apprezzata, se la gente è stata contenta, 
                  se si è sentita magari, per una volta, ben rappresentata. 
                   
                  Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali, 
                  quelli con un grado di istruzione più elevato, hanno 
                  capito meglio, hanno potuto cogliere la profondità, la 
                  valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone. 
                  Altri invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica, 
                  perché la musica già di per sé è 
                  un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per 
                  cui molti Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma 
                  del resto molti Rom e Sinti appezzano proprio l'artista De André 
                  in maniera particolare, anche al di là di questo brano. 
                   
                  Parlando invece degli “altri”, dei non Rom, De 
                  André ha raccontato che questo testo ha sollevato qualche 
                  malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di protesta, 
                  come del resto c'era da aspettarsi. 
                  Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita, 
                  che sia arrivata al cuore di qualcuno, che magari prima aveva 
                  un atteggiamento negativo e che poi, a partire da una riflessione 
                  su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in modo nuovo 
                  nei confronti dei Rom? 
                   
                  Ma io direi che la canzone in realtà rappesenta un pezzo, 
                  una testimonianza di un movimento in atto in Italia, un movimento 
                  di opinione che coinvolge in qualche misura il mondo Rom e Sinto 
                  che per ora, in questo paese, è ancora segregato e discriminato. 
                  Forse De André di questo movimento è stato proprio 
                  un precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto 
                  questa canzone quando questo movimento ancora non esisteva. 
                  Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo merito: come in 
                  tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è 
                  stato un precursore. E il genio è anche questo: il saper 
                  cogliere prima degli altri determinati aspetti della nostra 
                  società, del mondo, della stessa città in cui 
                  viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente 
                  un precursore. 
                   
                  In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme, 
                  divertirsi, fare festa. C'è una strofa che, non a caso, 
                  viene subito dopo quella sulle persecuzioni, come se il momento 
                  della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la 
                  vita, con il mondo e con gli altri. 
                   
                  Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della 
                  nostra cultura. Se da una parte ci sono le discriminazioni, 
                  le persecuzioni, dall'altra esce fuori l'aspetto reale dei Rom, 
                  l'essenza, il carattere brioso, allegro, di persone che, in 
                  qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove 
                  altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere 
                  in depressione o fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom, 
                  invece, comunque sorridono alla vita non ostante tutto. Credo 
                  che questo aspetto abbia colpito profondamente De André 
                  e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui 
                  ha colto la baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un 
                  popolo che non si è mai rassegnato. Del resto persino 
                  ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo 
                  respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere. Questa 
                  è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti, 
                  hanno sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano 
                  a dare una dimensione un po' più umana del lager, di 
                  quel campo di orrore e morte. 
                   
                  La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello 
                  stile di De André. C'è però un passaggio 
                  particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare: quando 
                  parla delle “spose bambine” che vanno a “caritare”. 
                  Qui non solo non si avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori 
                  alla cautela nell'esprimerli perché: “Se questo 
                  vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere 
                  in bocca il punto di vista di Dio”.  
                  Su questo tema poi De André nei concerti diceva; “certo 
                  gli zingari rubano, ma non ho mai sentito dire che abbiano rubato 
                  tramite banca”. Ancora una volta c'è un bel ribaltamento 
                  della morale comune.  
                   
                  Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente 
                  che rubare per sopravvivere è ben diverso dal rubare 
                  per arricchirsi. Rubare del resto non è per i Rom un 
                  fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro 
                  non si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna 
                  dare il giusto valore alle cose, capirle, conoscerle profondamente. 
                  I Rom, quando venivano fatti oggetto di violenza, nel corso 
                  dei secoli, non volendo né potendo controbattere con 
                  altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti 
                  solo apparentemente umili, come la mendicità. 
                  Ma la mendicità in realtà è una forma di 
                  resistenza passiva e di ribellione pacifica e questo De André 
                  l'aveva capito. Perché il fatto di dire, provocatoriamente, 
                  che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo, 
                  non tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo, 
                  perché ci sono Rom medici, ingegneri, docenti universitari, 
                  artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom impegnati nei mestieri 
                  più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom 
                  che rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così 
                  vengono generalmente definiti come criminali e questo è 
                  profondamente ingiusto. È altrettanto vero che discriminazione 
                  e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però, 
                  non ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono 
                  sempre limitati a cose tutto sommato futili, quelle necessarie 
                  alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti tramite le banche, 
                  appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso. Quelli 
                  che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando 
                  le masse. 
                   
                    Il concetto 
                  di multiculturalità 
                 Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava 
                  alla compassione e alla pietà. Invece negli anni Novanta 
                  con Khorakhané, parlando dei Rom, che la società 
                  considera un problema, lui li considera portatori di valori. 
                  In un'intervista aveva detto che: “gli zingari custodiscono 
                  una tradizione che rappresenta la cultura più vera e 
                  semplice dell'uomo” e che: “potrebbero insegnarci 
                  un cammino più umano e più spirituale per un futuro 
                  migliore”. Tu la condividi un'affermazione di questo genere? 
                   
                  Sì, perché la società Romanì è 
                  una società semplice, precapitalistica, basata sui concetti 
                  di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale 
                  di “fortuna / sfortuna”, e dal concetto di “puro 
                  e impuro”, laddove al concetto di puro si collegano parole 
                  e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e rispetto 
                  e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è 
                  il mondo Rom, che evidentemente De André aveva capito 
                  nella sua essenza. 
                   
                  Nel documentario “Faber” di Bigoni e Giuffrida 
                  c'è un'intervista a Giorgio Bezzecchi che tra l'altro 
                  dice che De André anche se era un “Gagé” 
                  in fondo, spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa 
                  si può cogliere in De André che lo faccia sentire 
                  così vicino alla tua gente? 
                   
                  La solidarietà umana! La sua solidarietà con il 
                  popolo Rom. Lui aveva capito la discriminazione, l'ingiustizia, 
                  il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza diritto 
                  di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora 
                  non era un valore ma qualcosa da eliminare. 
                  Oggi il concetto di multiculturalità è entrato 
                  a far parte del nostro vocabolario quotidiano ma ancora è 
                  di là da venire una vera società multiculturale, 
                  che abbia una vera base interculturale; cioè una società 
                  in cui non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità 
                  di viverla un'altra cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere 
                  l'altro come noi stessi? Siamo incuriositi? Abbiamo la capacità 
                  di valorizzare l'altro per quello che è e non per quello 
                  che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André 
                  ha posto e ancora non ci sono delle risposte. 
                   
                  All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato 
                  lo scrittore Stefano Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato 
                  di aver avuto una nonna Rom. Lui sostiene che queste canzoni, 
                  proprio perché raccontano senza giudicare, sono un antidoto 
                  contro ogni razzismo.  
                  Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio, 
                  razzismo, addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato? 
                   
                  Certamente sì, la canzone può essere parte di 
                  un percorso di formazione. La canzone arriva al cuore, prima 
                  che alla mente, parla alla parte più intima dell'essere 
                  umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità 
                  a persone che non conoscono. Spesso la disinformazione impedisce 
                  il dialogo, impedisce il confronto costruttivo, la conoscenza. 
                  Nella ricerca della verità una canzone sicuramente aiuta. 
                  Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa canzone 
                  di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità 
                  nei confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo 
                  merito. 
                  Proprio da questo punto di vista De André è stato 
                  un Rom e non un Gagé. Ha fatto ancor prima di me ciò 
                  che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo 
                  di valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio 
                  dell'intera umanità. Perché la lingua, la cultura, 
                  la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e se 
                  un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe 
                  impoverita. Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento 
                  del genere umano e questo è il valore profondo del canto 
                  impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva 
                  l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua 
                  ricchezza, nella sua complessità, nella sua pienezza. 
                  Questo è il valore profondo della testimonianza di De 
                  André e Khorakhané lo rivela chiaramente. 
                   
                    La salute 
                  e la fortuna 
                 Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé 
                  che hanno cantato dei Rom? E se sì, lo hanno fatto in 
                  maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli stereotipi? 
                   
                   
                  Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo: 
                  “Ho visto anche degli zingari felici”... 
                  è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato. 
                  Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto: 
                  il termine è sbagliato, perché nessuno voleva 
                  morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa. 
                  Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è 
                  che i Rom cerchino la discriminazione, l'emarginazione: i Rom 
                  sono discriminati dal sistema. Ma non c'è nessuno a cui 
                  piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono 
                  a fare oggi in Italia i “nomadi”, ieri nella ex 
                  Jugoslavia o in Romania avevano tutti le loro case! 
                  Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli! 
                  È la disinformazione dilagante che vuole vedermi per 
                  forza o criminale, da una parte, oppure, dall'altra, il rovescio 
                  della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica del Rom 
                  libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste 
                  stupidaggini! In realtà la cosa più difficile 
                  da far capire all'opinione pubblica è che i Rom sono 
                  esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri umani 
                  vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con 
                  tutti. Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna 
                  ricerca di uno spazio vitale e invece costretti ad essere eterni 
                  migranti, perché scacciati da una parte e dall'altra 
                  dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché 
                  non rappresentati nelle istituzioni. 
                  È facile prendersela con chi non può reagire! 
                  Ho visto delle trasmissioni televisive che sono veramente dei 
                  crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove viene presentato 
                  il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi, 
                  dove quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa 
                  una vittima di questo sistema. È chiaro che poi diventa 
                  molto difficile rivendicare i propri diritti! Certi servizi 
                  giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi, 
                  dei crimini contro l'umanità. 
                   
                  Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori 
                  che dovete affrontare? 
                   
                  I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo 
                  questo. Non c'è ad esempio una valorizzazione dal punto 
                  di vista artistico-culturale. La musica che faccio io è 
                  presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo 
                  ti fa capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare 
                  un solo nome di un artista Rom, di citare una poesia Rom, ti 
                  risponderà che non ne conosce. Il livello di ignoranza 
                  è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché 
                  poi gli stessi intellettuali non esprimono solidarietà. 
                  È questa la differenza di De André: ha mostrato 
                  solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi 
                  intellettuali e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà 
                  umana nei confronti delle popolazioni Romanì indifese 
                  e discriminate. È questo il fatto straordinario. Per 
                  questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore 
                  e di pace. Io se avessi potuto incontrarlo gli avrei stretto 
                  semplicemente la mano e lo avrei salutato fraternamente alla 
                  maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)... 
                   
                  Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non 
                  saprei proprio pronunciarle... 
                   
                  (ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli 
                  ascoltatori. Queste parole significano letteralmente: “Che 
                  possiate essere sani e fortunati”. Perché la salute 
                  e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì. 
                  Nel mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo, 
                  per una società fortemente oppressa come quella Rom, 
                  è l'augurio più grande e più profondo che 
                  si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo 
                  altrettanto fraternamente alla famiglia di De André, 
                  alla sua memoria e a tutti quelli che ci stanno ascoltando. 
                  Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De André 
                  si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta, 
                  apprezzata e valorizzata. 
                   
                  Renzo Sabatini 
                (intervista realizzata via telefono nell'aprile 
                  2007. Registrata presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. 
                  Andata in onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André) 
                 
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista a Santino “Alexian” Spinelli, 
                        prosegue la pubblicazione su “A” di una parte 
                        significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate 
                        da Renzo Sabatini e andate in onda in 
                        Australia nel programma “In direzione ostinata e 
                        contraria” sulle frequenze di Rete Italia fra il 
                        maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è 
                        trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di 
                        circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di 
                        trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse 
                        le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio 
                        De André. Si tratta dunque della più lunga 
                        e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore 
                        genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo 
                        (“A” 374, ottobre 2012). 
                        
                        la redazione di “A” | 
                   
                 
                  
                   
                    |   Santino 
                        Spinelli   
                       in 
                        arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964. 
                        È musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista. 
                        Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e 
                        l'altra in Musicologia, entrambe conseguite presso l'Università 
                        degli Studi di Bologna. 
                        Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua 
                        e cultura romaní presso l'Università di 
                        Chieti e con il suo gruppo, l'Alexian group, tiene 
                        numerosi concerti di musica romaní in Italia e 
                        all'estero. 
                        Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo: 
                        Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia 
                        Nuove Indie, 2007) 
                        Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia 
                        anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia 
                        dell'Aquila) 
                        Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword, 
                        Milano, 2002) 
                        Dromos (Associazione Dromos, 2001) 
                        Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria 
                        e saggistica: 
                        Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione 
                        dei Rom Abruzzesi (Editrice Italica, Pescara, 1994) 
                        Baxtaló Divès (Collezione Interface, 
                        Centro di Ricerche zingare dell'Università di Parigi, 
                        Consiglio d'Europa, 2002) 
                        Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti, 
                        Kalé, Manouches e Romanichals (Meltemi editore, 
                        Roma, 2003) 
                       Per 
                        chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli: 
                        e-mail: spithrom@webzone.it 
                        – telefono: 0872.66.00.99 
                        sito ufficiale: www.alexian.it. 
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