alimentazione 
                  
                Il militante nel piatto 
                  
                di Andrea Perin 
                     
                  Mangiare e bere non è solo una necessità biologica. 
                    Ripercorrere le abitudini a tavola ci aiuta a capire tante 
                    cose, dell'organizzazione sociale, dei valori dominanti, dei 
                    mille modi per costruire un mondo alternativo.  
                    Ecco il resoconto di una nostra collaboratrice. 
                 
                 
                 
                  Affidare alle scelte del cibo 
                  un valore etico, riconoscere nell'alimentazione la propria identità 
                  ideologica: ormai entrati nel terzo millennio, quelli che si 
                  potrebbero definire con una semplificazione uomini o donne di 
                  sinistra hanno sviluppato un immaginario gastronomico che non 
                  ha precedenti nella storia, strutturato sulla consapevolezza 
                  che quanto finisce nel piatto è un atto politico nei 
                  confronti della società e dell'economia. Il concetto 
                  stesso di “bontà” a tavola spesso coincide 
                  con quello di “giustizia”. Il militante, l'individuo 
                  di sinistra, si può ormai riconoscere per la sua esibita 
                  attenzione per ciò che mangia e per ciò che non 
                  mangia.
                 
                   “Parlo 
                  alle classi agiate” 
                  Anche in passato l'alimentazione aveva un valore etico, ad 
                  esempio religioso, e un significato simbolico da rispettare: 
                  soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento l'alimentazione 
                  per i ricchi era differente da quella per i “rustici”, 
                  i poveri, e non solo per la distanza tra fame e abbondanza. 
                  La società e la scienza medica definivano con precisione 
                  i cibi per le due classi, affermando che non era fisiologico 
                  per gli uni cibarsi di quelli degli altri. 
                  Ovviamente a stabilire queste distanze erano l'aristocrazia 
                  prima e la borghesia dopo, che avevano la disponibilità 
                  economica, il tempo e il gusto di operare scelte in cucina, 
                  di elaborare una gastronomia, di affidare al cibo valori di 
                  distinzione sociale. Scriveva Pellegrino Artusi a inizio Novecento 
                  nel volume che contribuì a definire la cucina italiana: 
                  “S'intende bene che io in questo scritto parlo alle classi 
                  agiate, ché i diseredati dalla fortuna sono costretti, 
                  loro malgrado, a fare di necessità virtù e consolarsi 
                  riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza 
                  del corpo e alla conservazione della salute”1. 
                   È 
                  difficile conoscere l'opinione dei “diseredati dalla fortuna”, 
                  i contadini e gli operai, così come il loro immaginario 
                  e le aspettative: sono praticamente assenti le fonti dirette, 
                  essendo loro solitamente analfabeti e senza risorse, mentre 
                  quelle indirette erano redatte a cura della classe dominante. 
                  Probabilmente la cucina contadina era conservatrice, abituata 
                  a trarre il meglio da quello che aveva, anche se spesso seppe 
                  costruire un cultura gastronomica in grado di influenzare anche 
                  i gusti della classe dominante. Gli operai, sradicati dalla 
                  campagna, erano spesso in balia della disponibilità offerta 
                  dalla città e dalle variazioni della sua economia. Sia 
                  contadini che operai, costretti a un'indigenza che spesso viene 
                  dimenticata dalla retorica dei “bei tempi andati”, 
                  pur in possesso di proprie consuetudini gastronomiche, ambivano 
                  verosimilmente ad accedere all'abbondanza e ai piatti delle 
                  classi dominanti. Per secoli l'abbondanza fu un sogno, un mito 
                  come quello del Paese della Cuccagna2, 
                  luogo dell'immaginario dal medioevo fino a tutto il Settecento, 
                  dove le vigne erano legate con le salsicce, piovevano fagiani 
                  e i fiumi erano di vino bianco. 
                  Con la rivoluzione industriale e la nascita delle ideologie, 
                  i movimenti politici e rivoluzionari avevano il cibo come obiettivo: 
                  si lottava per superare la fame o per garantire alla classi 
                  subalterne un'alimentazione sufficiente, soprattutto nell'ottica 
                  di una società nuova nata dalla rivoluzione, ma non esisteva 
                  l'idea che la scelta di un regime alimentare potesse avere un 
                  valore politico. Mancava un modello alimentare cui tendere. 
                  Tra le poche eccezioni era la scelta vegetariana, soprattutto 
                  da parte di militanti anarchici sensibili alle sofferenze commesse 
                  su ogni essere vivente. 
                  Vigeva in generale per gli attivisti una sorta di etica della 
                  sobrietà, un francescanesimo laico, che escludeva l'indulgere 
                  ai piaceri della tavola, sia perché peculiari della proterva 
                  classe dominante sia perché avrebbero distolto i rivoluzionari 
                  dal loro compito. 
                  Neanche le Case del Popolo e le Cooperative di consumo svilupparono 
                  mai un modello autonomo alimentare e le cucine collettive rappresentarono 
                  sicuramente momenti comunitari e solidaristici ma non una scelta 
                  gastronomica. In occasione dell'inaugurazione nel 1893 della 
                  Casa del Popolo di Massenzatico (RE), il “banchetto economico 
                  a lire una” venne descritto come “un pasto semplice 
                  e frugale, affratellati dalla comunanza dei sentimenti”3. 
                  Sia per mancanza di modelli sia per spirito irriverente, non 
                  di rado si trasponevano le tradizioni legate alle feste religiose 
                  alle nuove ricorrenze laiche come il “pranzo del primo 
                  maggio”: in area emiliano-romagnola si consumavano i cappelletti 
                  o i tortellini, tipiche pietanze natalizie, e il battesimo si 
                  faceva con il lambrusco. 
                   
                    Alla 
                  fine degli '80, la prima vera svolta 
                   Le 
                  osterie furono spesso luogo di azione politica perché 
                  erano i ritrovi della classe lavoratrice4, 
                  ma il consumo del vino e l'alcolismo furono messi sotto accusa 
                  sia nel movimento socialista che in quello anarchico: “(...) 
                  la lotta contro l'acoolismo è necessaria, per purgare 
                  l'ambiente rivoluzionario di alcuni difetti ad esso inerenti 
                  appunto a cagione dell'alcoolismo.”5. 
                  Nondimeno il vino spesso fu un elemento economico significativo, 
                  in grado ad esempio di finanziare le cooperative edilizie grazie 
                  alla grande sete della classe operaia (soprattutto nel secondo 
                  dopoguerra)6. 
                  I regimi autoritari europei imposero un proprio sistema alimentare: 
                  il Fascismo costruì un modello di autarchia e sobrietà, 
                  anche in conseguenza delle sanzioni imposte dalla Società 
                  delle Nazioni nel 1935; il Comunismo sovietico arrivò 
                  a pubblicare un ricettario con la prefazione di Stalin, che 
                  proponeva la cucina tradizionale in stretto collegamento con 
                  l'industria alimentare nazionale7. 
                  Il secondo dopoguerra e il seguente boom economico videro il 
                  progressivo miglioramento delle condizioni economiche e alimentari 
                  italiane, di pari passo con lo sviluppo dell'industria alimentare 
                  e della grande distribuzione: la quota di spesa familiare destinata 
                  all'alimentazione diminuì sensibilmente, dopo secoli 
                  di privazione il benessere non era più un sogno8. 
                  Negli stessi anni intellettuali come Mario Soldati e Luigi Veronelli 
                  dedicarono grande attenzione al tema della cucina tradizionale, 
                  valorizzando il patrimonio eno-gastronomico italiano. 
                  Il '68 e il movimento del '77 influenzarono molti aspetti della 
                  società italiana e aprirono molte nuove istanze legate 
                  all'arte, alla musica e alla controcultura in generale, ma non 
                  ebbero un'attenzione particolare verso il tema della cucina. 
                  La prima vera svolta si ha alla fine degli anni Ottanta con 
                  la nascita nel 1986 di Arcigola, diventata SlowFood pochi anni 
                  dopo, e la conquista del piacere a tavola anche per la sinistra. 
                  Scrive Carlo Petrini, il fondatore di SlowFood: “Quella 
                  del piacere era – e rimane – una questione spinosa: 
                  genera pruriti moralistici, rimproveri di 'compagni', moniti 
                  salutistici e accuse di superficialità”9. 
                  Non senza una buona dose di ironia, il godimento del cibo viene 
                  sdoganato dai sensi di colpa e di inadeguatezza, si rivendica 
                  la difesa della tradizione e di una gastronomia legata alla 
                  campagna e alla tradizione, contrapponendola a quella aristocratica 
                  e cittadina, alla industrializzazione della produzione del cibo 
                  (fast-food) e alla sua globalizzazione. Se fino a prima il gusto 
                  gastronomico è stato appannaggio delle elite, 
                  ora viene rivendicato come un diritto comune e, non di rado, 
                  ne viene affermata anche un'origine popolare. 
                   Il 
                  successo, progressivo e travolgente, si innesta sulle istanze 
                  ambientali e terzomondiste che da anni agitano la sinistra, 
                  strutturando un panorama di intervento vasto e articolato organizzato 
                  attorno ad alcuni temi: il sostegno e l'attivazione delle pratiche 
                  locali, la biodiversità, il diritto alla sovranità 
                  alimentare per tutti i popoli, la lotta agli sprechi, difesa 
                  del paesaggio, del suolo e del territorio, valorizzazione della 
                  memoria locale, l'educazione al futuro. 
                  Il Documento Congressuale 2010-2014 di Slow Food rivendica 
                  “un forte impegno politico”: “I temi che trattiamo 
                  sono sempre più di attualità, riguardano sempre 
                  più da vicino la vita di tutti e la quotidianità, 
                  incidono sull'economia, sulla cultura, sulla socialità, 
                  sulla salute, oltre che naturalmente su ambiente, agricoltura 
                  e alimentazione. Non dobbiamo diventare un partito politico, 
                  tuttavia non possiamo sottrarci alla funzione politica che siamo 
                  in grado di esercitare. In piena libertà e autonomia, 
                  dobbiamo continuare a fare politica come è avvenuto in 
                  questi anni: intervenendo laddove abbiamo cose da dire e facendo 
                  valere il peso della nostra autorevolezza”10. 
                  In una concezione più vasta la natura viene vissuta come 
                  realtà positiva, situazione incontaminata che contiene 
                  virtù e spontaneità, da difendere rispetto all'intervento 
                  umano visto come negativo e distruttore. 
                  L'animalismo non è più una stravaganza per pochi 
                  e l'alimentazione vegetariana e vegana smettono di essere una 
                  scelta prevalentemente personale appannaggio di ristrette avanguardie, 
                  per diventare un atto politico esplicito, soprattutto nelle 
                  grandi aree metropolitane del nord, legato alla protezione delle 
                  risorse della Terra e motivato da un'etica pacifista di rispetto 
                  della vita. Il movimento antispecista rappresenta l'evoluzione 
                  del pensiero animalista, che rifiuta la superiorità della 
                  specie umana sulle altre: la liberazione da tutte le imposizioni 
                  per cui nasce l'Anarchia è inconcepibile, per gli antispecisti, 
                  se rivolta alla sola specie umana. 
                  La coscienza dello sfruttamento del Terzo Mondo invece interviene 
                  ancora nella difesa dell'ambiente minacciato ma anche nel rispetto 
                  del diritto dei lavoratori, con la costruzione di rapporti diretti 
                  con i produttori locali e l'immissione di prodotti sul mercato 
                  garantiti (mercato equo e solidale), spesso estranei alle tradizioni 
                  italiane. 
                  Oltre al boicottaggio a singole aziende multinazionali dell'alimentazione, 
                  si afferma il concetto di consumo critico, nel quale la spesa 
                  non è più solo un atto individuale, ma deve considerare 
                  anche il comportamento delle imprese stesse in merito (utilizzo 
                  delle risorse, l'energia, i rifiuti, le condizioni di lavoro). 
                  Nascono collettivi e manifestazioni che legano esplicitamente 
                  l'alimentazione all'azione politica (ad es. Food not bombs), 
                  cooperative e reti di consumo e di produzione (ad es. la rete 
                  Campi Aperti), Gruppi di Acquisto Solidali, negozi ed esercizi 
                  commerciali (ad es. le fiere “Fa la cosa giusta”) 
                  che a vario titolo aderiscono a queste istanze; si moltiplicano 
                  le pubblicazioni di cucina che si legano esplicitamente alle 
                  tematiche alimentari di consumo critico, equo-solidale ed etico11. 
                  Le feste politiche, dove fino a pochi anni fa l'orizzonte gastronomico 
                  era mediamente costituito dal panino con la salamella, ora vedono 
                  un'offerta articolata e spesso incentrata su una cucina politicamente 
                  corretta: biologica, chilometro zero, tradizionale, vegetariana 
                  o vegana. 
                  Il fenomeno dell'immigrazione insieme ad altre tematiche porta 
                  l'attenzione sui temi identitari a partire dalla cucina, suscitando 
                  talvolta un'adesione entusiastica e non di rado aprioristica 
                  delle nuove cucine, spesso come dichiarazione di accettazione 
                  e di non rifiuto dei nuovi cittadini anche in aperta e strumentale 
                  polemica con gli slogan e le semplificazioni delle posizioni 
                  più esplicitamente razziste (“Cuscus no, polenta 
                  sì”)12. 
                  Manifestazione estrema dell'uso politico dell'alimentazione 
                  è il suo rifiuto totale, il digiuno, come strumento di 
                  lotta utilizzato spesso da soggetti o movimenti che non hanno 
                  risorse o possibilità di agibilità politica, oppure 
                  operano all'interno di istituzioni totali come il carcere. Al 
                  di fuori di questi ambiti, dove spesso il digiuno è spinto 
                  alle conseguenze estreme, appaiono risibili i vari digiuni di 
                  tipo “leggero” o a “staffetta” utilizzati 
                  da alcuni esponenti politici nel tentativo di attirare attenzione 
                  e consenso. 
                 
                   
                    |   | 
                   
                   
                    “Genuino 
                        Clandestino”, film di Nicola Angrisano, InsuTv  | 
                   
                 
                   Temi 
                  identitari 
                  Le dinamiche appena descritte costituiscono un insieme articolato, 
                  a volte contraddittorio nelle sue componenti, che costituisce 
                  un pensiero politico che ha nel cibo non solo un campo di azione 
                  ma anche uno strumento per costruire una nuova identità 
                  politica. 
                   Difficile 
                  individuare le cause di questa svolta. Probabilmente, una volta 
                  esaurite le istanze rivoluzionarie dei movimenti antagonisti 
                  degli anni sessanta e settanta, cadute insieme al muro di Berlino, 
                  è seguito un ripiego dell'impegno politico su obbiettivi 
                  più riformisti e quotidiani: “in principio era 
                  il militante di sinistra stanco e deluso”, scrive Petrini 
                  sull'origine di SlowFood13. Ma 
                  per le generazioni successive, cresciute senza l'esperienza 
                  di quegli anni, la rivoluzione è una prospettiva inesistente, 
                  mentre l'azione concreta e personale hanno un valore primario, 
                  così come l'attività associativa come contesto 
                  per modificare la società, spesso al di fuori delle ideologie. 
                  L'alimentazione e la cucina non fanno più parte dell'ambito 
                  strettamente individuale ma sono diventate un'azione etica e 
                  condivisa: il cibo viene considerato una leva di riscatto sociale 
                  e un paradigma economico della società, per cui ogni 
                  scelta alimentare è un'adesione di campo. 
                  Si è passati dal coinvolgimento dei singoli in un'azione 
                  rivoluzionaria per cambiare la società che avrebbe aperto 
                  a nuovi comportamenti sociali, all'azione per cambiare l'individuo 
                  e le sue abitudini che, sommate, dovrebbero cambiare la società. 
                  Queste istanze si legano strettamente anche al salutismo e alla 
                  crescente diffidenza verso un'alimentazione prodotta con metodi 
                  industriali, alimentata anche da recenti fatti di cronaca e 
                  identificata con il sistema economico dominante: adulterazioni, 
                  presenze di elementi chimici e pesticidi, “mucca pazza”, 
                  etc. 
                  Tutto questo si muove all'interno di una sorta di rivoluzione 
                  culturale degli ultimi decenni, grazie alla quale la cucina 
                  ha smesso di essere argomento marginale, considerato appannaggio 
                  di casalinghe e ghiottoni, per diventare un tema diffuso di 
                  riconosciuta dignità culturale, tanto pervasivo da essere 
                  diventato un'ossessione. Nella società benestante attuale 
                  sono ormai molte le malattie legate al disordine alimentare, 
                  dall'anoressia e bulimia all'obesità per arrivare alla 
                  creazione di nuovi disturbi come l'ortoressia, descritta 
                  come un'attenzione abnorme alle regole alimentari. 
                   
                     
                  Sacche di consumo etico 
                  Quale ne sia la motivazione, il militante attuale, l'uomo 
                  e la donna di sinistra, sono ormai definiti anche dal loro regime 
                  alimentare. Non esiste uno modello specifico cui aderire e l'approccio 
                  sembra più quello di una combinazione soggettiva di scelte 
                  e risorse all'interno di una vasta area di riferimento, le cui 
                  tematiche a volte appaiono anche in contraddizione tra loro 
                  e non di rado hanno portato a contrasti e divisioni14. 
                  Frequenti sono inoltre i rischi di scivolare nella semplificazione 
                  e rigidità o nel consenso acritico e mitizzato, se non 
                  addirittura nell'adesione di moda. 
                  L'idealizzazione del passato e della tradizione come epoca felice 
                  appare per esempio spesso ingenua e disinformata, non tiene 
                  conto delle durissime condizioni di vita delle classi subalterne, 
                  della loro fame e malnutrizione15. 
                  La considerazione nostalgica e retorica verso la “natura” 
                  è scollegata poi da una sua reale conoscenza ed è 
                  frutto di mitizzazione, dimentica che essa non è né 
                  vergine né intatta, ma profondamente e storicamente in 
                  relazione con la cultura e l'azione antropica. Anzi la natura 
                  stessa è strettamente connessa all'uomo stesso e non 
                  la sua controparte migliore16. 
                  Spesso sono assenti considerazioni critiche verso l'indotto 
                  commerciale e industriale che ormai gravita intorno ai temi 
                  dell'alimentazione biologica, naturale, equa e solidale, all'invenzione 
                  di marchi e prodotti che sfruttano abilmente queste nuove tendenze 
                  non di rado con truffe e frodi. Esiste un marketing del naturale 
                  e del biologico, astuto e invasivo come quello di qualsiasi 
                  altro brand industriale17. 
                  Senza dimenticare che molto spesso questi prodotti hanno un 
                  costo ancora elevato, nonostante l'impegno dei produttori, che 
                  li rende difficilmente accessibili alle classi economicamente 
                  più disagiate (almeno teoricamente ancora ambito di riferimento 
                  della sinistra). 
                  Rimane da chiarire se questa attenzione al tema del cibo, una 
                  novità nel panorama dell'antagonismo politico, sia riuscita 
                  realmente a incidere nella società italiana. 
                   Una 
                  prima considerazione porta a osservare che quasi in nessun caso 
                  i temi affrontati sono peculiari ai movimenti storici di sinistra 
                  (socialisti, marxisti, anarchici) ma appartengono anche a realtà 
                  molto diverse da loro, di frequente al mondo cattolico, e che 
                  in grande misura sono seguite da persone senza precise convinzioni 
                  politiche; alcuni temi, come ad esempio l'animalismo, sono adottati 
                  anche da movimenti di destra18. 
                  Sono scelte che rientrano nel variegato mondo che vede la possibilità 
                  di creare un sistema sociale ed economico alternativo a quello 
                  attuale, senza che questo sia accompagnato da cambiamenti dell'organizzazione 
                  politica o statale. 
                  In generale si sono moltiplicate le realtà di difesa 
                  del territorio e sono state create delle sacche di consumo etico; 
                  la produzione biologica e il commercio equo-solidale sono in 
                  continua espansione e il boicottaggio delle multinazionali talvolta 
                  riesce a condizionare le scelte delle industrie (che però 
                  continuano a macinare utili): un sondaggio del 2008 riporta 
                  che motivi etici o politici hanno guidato il 18,7% degli intervistati 
                  nel boicottaggio di prodotti o marchi e il 30,1% nell'acquisto 
                  di prodotti; il 47% ha comprato prodotti per finanziare una 
                  “buona causa”19. 
                  Dal rapporto Censis/Coldiretti sulle abitudini alimentari degli 
                  italiani del 2010 emerge chiara “la percezione della responsabilità 
                  sociale ed ambientale che ha ogni atto di acquisto e il rapporto 
                  tra il cibo ed il territorio con il riconoscimento del valore 
                  che ha l'identità territoriale delle produzioni”, 
                  ma anche una grande disomogeneità nelle azioni: ad esempio 
                  “tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio 
                  equo e solidale una nettissima maggioranza acquista i prodotti 
                  a marchio commerciale del distributore, espressione della nuova 
                  forza della Gdo [Grande Distribuzione Organizzata ndr], oltre 
                  tre quarti acquista prodotti surgelati ed oltre due terzi scatolame”20. 
                  Nondimeno rimane la sensazione che si tratti comunque di scelte 
                  alimentari che, sia per un costo tendenzialmente alto che per 
                  la necessità di un'attenzione che richiede tempo e conoscenza, 
                  sono il più delle volte appannaggio di una minoranza 
                  informata ed economicamente benestante. Il proletariato, i migranti, 
                  i precari, le persone che rincorrono una quotidianità 
                  strizzata dalle difficoltà, rimangono spesso legate all'economicità 
                  dei prodotti, perciò alla grande distribuzione e all'adesione 
                  di fatto di un modello proposto dalla società dei consumi. 
                   
                  Andrea Perin
                
 Note 
                 
                  - Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar 
                    bene, Einaudi, Torino 1970, p. 15. Si basa sull'ultima 
                    edizione curata dall'autore (1910, quattordicesima edizione) 
                  
 - Massimo Montanari, La fame e l'abbondanza. Storia dell'alimentazione 
                    in Europa, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 118-121 
                  
 - Federico Ferretti, Le cucine della via Emilia, in 
                    AA.VV., Le cucine del Popolo, Zero in Condotta, Milano 
                    2005, p. 17 
                  
 - Pierpaolo Casarin (a cura di), L'osteria “luogo” 
                    di libertà, in “Bollettino Archivio G. Pinelli”, 
                    n. 20, p. 27-33 
                  
 - Luigi Fabbri, Prefazione, in Tomaso Concordia, L'alcolismo, 
                    Libreria Editrice Sociale, Milano 1910 
                  
 - Andrea Perin e Viviana Perin (a cura di), 100 anni della 
                    Cooperativa Case Popolari Vercellese. I soci raccontano, 
                    CCPV, Milano 2011 
                  
 - Sandro Bellei, Ricettario fascista. Chi mangia troppo 
                    deruba la patria, CDL, Finale Emilia (FE) 2007; Ljiljana 
                    Avirovi (a cura di), Rivoluzione in cucina. A tavola con 
                    Stalin: il libro del cibo gustoso e salutare, excelsior 
                    1881, Milano 2008 
                  
 - Paolo Sorcinelli, Gli italiani e il cibo. Dalla polenta 
                    ai cracker, Bruno Mondadori, Milano 1999 
                  
 - Carlo Petrini, SlowFood. Le ragioni del gusto, Laterza, 
                    Roma-Bari 2001, p. 22 
                  
 - Slow Food Italia, Le conseguenze del piacere. Documento 
                    Congressuale 2010-2014, p. 39 
                  
 - Emanuela Barbero et al. (a cura di), La cucina etica, 
                    Edizioni Sonda; Annalisa Ippolito e Carlo Gubitosa, Ricettario 
                    della Pace. Consigli e ricette per mangiare bene senza 
                    appesantire il mondo,Guide Meravigli, 2009; Marinella 
                    Correggia, Il cuoco leggero, Altraeconomia edizioni, 
                    Milano 2010; Marina Berati, Vegan si nasce o si diventa? 
                    Vivere (e mangiare) come si deve: per gli animali, la natura 
                    e la nostra salute, Edizioni Sonda, 2011 
                  
 - Anche se sono numerosi i punti di contatto con la Lega sul 
                    tema dell'alimentazione: dalla difesa di una supposta tradizione 
                    al chilometro zero – inteso come difesa del prodotto 
                    locale 
                  
 - Petrini, op.cit., p. 16 
                  
 - Ad esempio il dibattito su alimentazione vegetariana-vegano 
                    sulle pagine de «il manifesto»/Cultura, 16 febbraio 
                    2012 e 28 febbraio 2012. O ancora su “A” 
                    (n. 368, febbraio 2012; n. 
                    370, aprile 2012, p. xxx) 
                  
 - Andrea Perin, La fame aguzza l'ingegno. Cucina buona 
                    in tempi difficili, Eléuthera, Milano 2005; Riccardo 
                    Bertani, La magra cucina contadina di un tempo, in 
                    AA.VV., Le cucine del Popolo, op. cit, p. 107-109 
                  
 - Gianfranco Marrone, Addio alla natura, Einaudi, Torino 
                    2011; Fernando Savater, Tauroetica, Editori Laterza, 
                    Roma-Bari 2012 
                  
 - Marrone, op. cit., pp. 71-88 
                  
 - Ad es. il numero monografico di Charta minuta, bimestrale 
                    della fondazione Fare Futuro, dal titolo Dalla parte degli 
                    animali – n.4, luglio-agosto 2010 
                  
 - Studio dell'Osservatorio Demos-Coop/La Polis riportato in 
                    Miniguida al consumo critico e al boicottaggio, Editrice 
                    Monti, Saronno (VA) 2010, p. 8 
                  
 - http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/747_09.htm 
                
  
                 
                
                   
                     
                        Ognuno 
                          guardando nel proprio piatto 
                         Proviamo 
                          a immaginare un pranzo impossibile, con alla stessa 
                          tavola un militante di un secolo o anche solo cinquant'anni 
                          fa, un socialista o un anarchico, magari un comunista 
                          o un sindacalista; seduto di fronte a lui un attivista 
                          contemporaneo, appartenente a una delle varie anime 
                          del cosiddetto movimento. 
                          Il vecchio militante mangia lo stesso pasto quotidiano 
                          di un operaio, un piatto di pasta con un sugo al pomodoro 
                          pieno di aglio, un'insalata condita con un olio pallido 
                          o lardo fuso e una grande pagnotta, il tutto accompagnato 
                          da un mezzo litro di un vinello leggero e un po' acido; 
                          magari un pezzo di formaggio. Si fa un punto d'onore 
                          di nutrirsi come un qualsiasi lavoratore, anzi, in quanto 
                          militante trova giusto essere morigerati e non indulgere 
                          in eccessive distrazioni. Guarda con stupore il piccolo 
                          piatto di pasta integrale condita con piccoli pomodori 
                          tondi, il piatto di verdura biologica (“ma cosa 
                          sarà mai?”) condito con olio (extravergine 
                          di oliva IGP), la bistecca ai ferri (da mucca “felice” 
                          acquistata al GAS), la bottiglia di vino dall'etichetta 
                          raffinata (“biologico?”); se il nuovo militante 
                          è vegetariano o vegano rimarrà sorpreso 
                          da quelle cose per lui strane che sono il seitan 
                          o l'hamburger di soia (“pensavo fosse una svizzera”). 
                          Al vecchio militante tutta questa attenzione al cibo 
                          non convince mica tanto, non è neanche la festa 
                          del Primo Maggio quando è giusto fare un pasto 
                          ricco, magari con i piatti della Pasqua per far arrabbiare 
                          il prete; gli sembra tanto una cosa un po' da forchettone, 
                          da borghese panciuto. Lui la carne la mangia ogni tanto, 
                          bianco costato o brodo con le ossa. Il suo commensale, 
                          se vegano, lo guarda decisamente cattivo, ostentando 
                          un irritazione appena contenuta di cui non capisce il 
                          senso. 
                          Il nuovo militante ha scelto con cura i suoi ingredienti 
                          tra quelli che sono più rispettosi di ambiente 
                          e lavoro, cercando di coniugare il buono con il giusto, 
                          “La scelta del cibo è un atto politico”. 
                          Considera con sostanziale delusione il magro e squallido 
                          pasto del suo commensale: “Ma la tradizione popolare? 
                          La buona cucina povera di una volta dov'è?”. 
                          Quello vecchio osserva senza comprendere il compiacimento 
                          del suo commensale per quello che sta mangiando. Trasecola 
                          quando sente affermare che il consumo consapevole condiziona 
                          l'economia, migliora il mondo e salva l'ambiente. “Ma 
                          chissenfrega della natura e dell'ambiente!” dirà 
                          il sindacalista o socialista o anarchico, è la 
                          rivoluzione che conta, il rovesciamento del potere, 
                          una nuova realtà sociale. Al popolo manca il 
                          pane e voi vi trastullate al desco! Prima la lotta e 
                          poi si penserà a mangiare! 
                          “Ma che rivoluzione e rivoluzione - risponde l'altro 
                          - è un'esperienza vecchia che ha fallito ovunque. 
                          È partendo dal basso con i propri comportamenti 
                          che possiamo cambiare il sistema”. 
                          I due riprendono a mangiare in silenzio, ognuno guardando 
                          nel proprio piatto. 
                           
                          A.P.  
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