dossier Piazza 
                  Fontana & dintorni  
                4. La pista anarchica  
                
                   
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                    Cesare 
                        Vurchio e Giuseppe Pinelli al Circolo anarchico “Ponte 
                        della Ghisolfa”  | 
                   
                 
                La stessa sera degli attentati il prefetto di Milano, Libero 
                  Mazza, inviò al presidente del consiglio, Mariano Rumor, 
                  un fonogramma: «Ipotesi attendibile che deve formularsi 
                  indirizza indagini verso gruppi anarcoidi aut comunque frange 
                  estremiste. Est già iniziata [...] vigorosa azione rivolta 
                  at identificazione et arresto responsabili». 
                
                   
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                    Il 
                        cortile interno della Questura, la freccia in alto indica  
                        la finestra da cui è volato Giuseppe Pinelli  | 
                   
                 
                 L'ufficio politico della Questura di Milano aveva già 
                  una pista da seguire: nell'arco delle ventiquattro ore successive 
                  alla strage transitarono nella questura milanese più 
                  di 300 persone, soprattutto anarchici ed extraparlamentari di 
                  sinistra. 
                  Paolo Finzi quel 12 dicembre era a letto con la febbre. Aveva 
                  appena compiuto 18 anni e studiava al liceo Giosuè Carducci 
                  dove militava in un gruppo anarchico. Poco prima di mezzanotte 
                  suonarono alla porta: era la polizia. Agli allibiti genitori 
                  gli agenti di pubblica sicurezza spiegarono che il ragazzo doveva 
                  essere portato in questura perché era tra i principali 
                  sospettati per la strage di Piazza Fontana. Arrivato negli uffici 
                  della polizia politica vide che nello stanzone del quarto piano 
                  di via Fatebenefratelli vi erano decine di fermati appartenenti 
                  all'estrema sinistra e solo quattro fascisti. Lì vide 
                  anche Giuseppe Pinelli, uno dei veterani del circolo anarchico 
                  Ponte della Ghisolfa, e Virgilio Galassi. Quest'ultimo era stato 
                  nel movimento libertario nell'immediato dopoguerra, ma nel 1969 
                  non era più un militante attivo. Il suo fermo era dovuto 
                  soltanto al fatto che era un funzionario della Banca Commerciale. 
                  Finiti gli accertamenti tutti i fermati vennero trasferiti nelle 
                  camere di sicurezza della questura. Nel tardo pomeriggio del 
                  13 dicembre quasi tutti furono rilasciati. Ma la polizia nei 
                  giorni seguenti continuò con i fermi. 
                
                   
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                    La 
                        squadra politica della questura milanese.  Da 
                        sinistra a destra: Vincenzo Putomatti, il vice- dirigente 
                        Beniamino Zagari, Antonio Allegra, Marcello Giancristofaro 
                        e Luigi Calabresi. Non compaiono nella foto gli altri 
                        componenti:  Antonio Pagnozzi, Edmondo Lavitola, Raffaele 
                        Valentini e Pasquale Diogene  | 
                   
                 
                 Fausto Luperti aveva 26 anni e militava nel partito marxista-leninista 
                  italiano. La mattina del 13 dicembre i membri della comune dove 
                  viveva furono bruscamente svegliati dal bussare della polizia. 
                  Condotto in Questura, dopo l'interrogatorio, fu trasferito al 
                  carcere di San Vittore, dove restò fino al 29 Dicembre. 
                  Con lui in carcere anche Pasquale Valitutti, un giovane anarchico, 
                  e Andrea Valcarenghi, animatore del gruppo Onda verde. 
                  Il 15 dicembre il «Corriere della Sera» intitolò 
                  in prima pagina: «Ventisette estremisti trattenuti a San 
                  Vittore. Appartengono in maggioranza ai gruppi neo-anarchici 
                  collegati con organizzazioni internazionali». 
                  Alcuni giornalisti che concordavano con la linea ufficiale della 
                  Questura ricordarono l'attentato dinamitardo messo in atto dagli 
                  anarchici al Teatro Diana il 23 Marzo del 1921 e lo compararono 
                  con quello alla Banca dell'Agricoltura. 
                  In quella giornata del 1921 un gruppo di anarchici milanesi, 
                  con l'obbiettivo di colpire Giovanni Gasti, questore di Milano, 
                  fece esplodere un potentissimo ordigno posizionato all'esterno 
                  di una porta laterale del Teatro Diana. La deflagrazione squarciò 
                  la parete, investì le prime file della platea e la fossa 
                  degli orchestrali: causò ventuno morti e più di 
                  centocinquanta feriti. Gasti non fu colpito dall'esplosione. 
                  Gli autori del gesto, da tempo esasperati per la ingiusta detenzione 
                  dei redattori del quotidiano «Umanità Nova», 
                  Borghi, Malatesta e Quaglino, volevano richiamare l'attenzione 
                  sulle condizioni di salute dei tre detenuti. Costoro, infatti, 
                  nonostante l'avanzata età di Errico Malatesta, avevano 
                  appena iniziato uno sciopero della fame a oltranza, per protestare 
                  contro le lungaggini dei tempi processuali. I colpevoli della 
                  strage furono condannati nel 1922: nella sentenza anche due 
                  ergastoli. 
                  Naturalmente, invece di far nascere nell'opinione pubblica un 
                  qualsiasi moto di solidarietà nei confronti del vecchio 
                  anarchico e dei suoi compagni di galera, il sanguinoso attentato 
                  generò orrore e scatenò nuove accuse e attacchi 
                  a tutto il movimento anarchico. 
                  Nel 1969, il ricordo dei fatti di quarantotto anni prima aumentò 
                  la convinzione che i principali sostenitori della «filosofia 
                  della bomba», fossero ancora e sempre gli anarchici. Ora 
                  il Paese aspettava solo il «mostro» da sbattere 
                  in prima pagina. 
                
                 Martedì 16 dicembre Bruno Vespa, dalla questura di 
                  Roma, in diretta, durante il telegiornale della sera, diede 
                  la notizia dell'arresto di Pietro Valpreda, avvenuto il giorno 
                  prima: «Pietro Valpreda è colpevole della strage 
                  di Milano e degli attentati di Roma. La conferma è arrivata 
                  qualche minuto fa dalla Questura di Roma». 
                  Valpreda era un anarchico di 37 anni, milanese con la passione 
                  per il ballo e qualche precedente penale. La sua militanza nei 
                  gruppi di Milano era saltuaria, ma quando era in città 
                  andava a trovare gli anarchici del circolo «Sacco e Vanzetti» 
                  e poi, dal maggio 1968, del circolo «Ponte della Ghisolfa», 
                  nuova sede degli anarchici milanesi. 
                  Agli inizi del 1969 si trasferì a Roma. Lì frequentò 
                  il circolo Bakunin, formato da gruppi aderenti alla FAI (Federazione 
                  anarchica italiana) ma in seguito ad alcune divergenze se ne 
                  staccò e insieme ad altri (Mario Merlino, Roberto Mander, 
                  Emilio Borghese, Roberto Gargamelli, Enrico Di Cola) fondò 
                  il circolo «22 Marzo», in ricordo del giorno dell'occupazione, 
                  nel 1968, dell'Università di Nanterre. Per sbarcare il 
                  lunario aveva aperto un negozio di artigianato dove fabbricava 
                  lampade Liberty, gioielli e collane. 
                  Valpreda si trovava a Milano dalle sette del mattino di venerdì 
                  12 dicembre. Era partito da Roma la sera prima, perché 
                  convocato dal giudice Amati, lo stesso che stava indagando sulle 
                  bombe del 25 aprile, a causa di uno scritto anticlericale. Il 
                  15 dicembre si recò nello studio del suo avvocato difensore 
                  accompagnato dalla prozia, Rachele Torri, e insieme raggiunsero 
                  il Palazzo di giustizia. 
                  Intorno alle 11:30 Valpreda lasciò lo studio del giudice. 
                  Appena chiusa la porta alle sue spalle fu arrestato e condotto 
                  in Questura; da qualche parte, in qualche ufficio, c'era ancora 
                  Giuseppe Pinelli. Al funzionario che gli chiese come avesse 
                  trascorso la giornata del 12 dicembre, Valpreda rispose di essere 
                  stato a letto con l'influenza, a casa della prozia. 
                  Al termine del breve interrogatorio Valpreda fu trasferito alla 
                  Questura di Roma, dove fu sottoposto ad altri interrogatori. 
                  Nel bel mezzo della notte dovette seguire i poliziotti in un 
                  campo sulla via Tiburtina a cercare un deposito di esplosivo 
                  ma tutto ciò che trovarono fu una buca vuota. La perquisizione 
                  avvenne perché alcuni componenti del circolo «22 
                  Marzo» avevano fatto confidenze, ammissioni e negazioni, 
                  ma alla fine il deposito di esplosivo degli anarchici non si 
                  trovò. 
                  Il primo a fornire elementi contro i suoi compagni fu Mario 
                  Merlino. Laureato in filosofia, 25 anni, figlio di un funzionario 
                  del Vaticano, giunse al circolo Bakunin poco dopo Valpreda. 
                  Merlino, quando aveva 18 anni, aveva iniziato la sua militanza 
                  politica nell'estrema destra, in Avanguardia Nazionale, guidata 
                  da Stefano Delle Chiaie, e aveva stretto rapporti anche con 
                  Pino Rauti e con il deputato missino Giulio Caradonna. Merlino 
                  aveva anche partecipato agli scontri del 17 marzo 1968 contro 
                  gli studenti di sinistra che occupavano la facoltà di 
                  lettere dell'Università La Sapienza di Roma. Nell'aprile 
                  dello stesso anno aveva partecipato al viaggio in Grecia organizzato 
                  dalla lega degli studenti greci fascisti in Italia (ESESI) con 
                  la collaborazione di Rauti e Delle Chiaie. 
                  Tornato da questo viaggio avvenne la sua conversione politica, 
                  o forse così volle far credere. Cominciò a vestirsi 
                  secondo gli schemi dell'estrema sinistra, si fece crescere barba 
                  e baffi e iniziò a frequentare gruppi della sinistra 
                  extraparlamentare. 
                  
                 Valpreda il 27 Novembre 1969 aveva scritto una lettera al 
                  suo avvocato nella quale sosteneva che nel gruppo era sicuramente 
                  presente una spia, perché si era potuto rendere conto 
                  che la polizia era a conoscenza dei loro spostamenti e dei discorsi 
                  che si facevano al circolo. La sensazione era esatta, perché 
                  quello che gli altri membri del «22 Marzo» chiamavano 
                  «compagno Andrea» in realtà si chiamava Salvatore 
                  Ippolito ed era un agente di pubblica sicurezza incaricato di 
                  infiltrarsi tra gli anarchici romani. 
                  Il piccolo gruppo di Valpreda conteneva ben tre informatori: 
                  Merlino, che informava Delle Chiaie, Ippolito, che informava 
                  il suo superiore in Questura, il commissario Domenico Spinella, 
                  e Stefano Serpieri, che frequentava solo saltuariamente il circolo, 
                  ma era anche lui un estremista di destra e informatore del Sid. 
                  L'elemento fondamentale per accusare Valpreda della strage, 
                  comunque, non fu fornito da questi «informatori» 
                  ma dalla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, che si 
                  disse sicuro di aver trasportato chi mise la bomba esplosa alla 
                  banca. 
                  Rolandi raccontò che, intorno alle 16:00 del 12 dicembre, 
                  mentre era fermo a bordo del suo taxi in Piazza Beccaria in 
                  attesa di clienti, gli si fece incontro un uomo che usciva dalla 
                  galleria del Corso. L'uomo chiese di essere accompagnato in 
                  Piazza Fontana, nonostante il tassista gli avesse fatto notare 
                  che la banca era molto vicina e più facilmente raggiungibile 
                  a piedi. Arrivato in piazza lo sconosciuto scese dall'auto, 
                  entrò in banca e tornò dopo un minuto al massimo, 
                  senza la borsa che aveva con sé quando era salito sul 
                  taxi. 
                  Intorno alle 13:30 del 16 Dicembre a Valpreda, trasferito nella 
                  notte da Milano a Roma, fu comunicato che doveva sottoporsi 
                  ad un confronto. 
                  Al Palazzo di Giustizia di Roma Rolandi individuò in 
                  Pietro Valpreda, tra cinque persone schierate davanti a lui, 
                  il passeggero salito a Piazza Beccaria. Ma il questore di Milano, 
                  Guida, nel suo ufficio, aveva già mostrato a Rolandi 
                  una foto di Valpreda e gli aveva chiesto se riconosceva l'uomo 
                  da lui trasportato. Il comportamento di Guida era di rilevante 
                  gravità. Quando fu chiamato a spiegarne le ragioni rispose 
                  dicendo «di nulla ricordare in ordine a tali circostanze». 
                  Dopo il riconoscimento le autorità affermarono di aver 
                  preso colui che aveva messo la bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. 
                  Valpreda fu poi scarcerato il 30 dicembre 1972 grazie a una 
                  legge, varata apposta dal Parlamento, che permetteva di rimettere 
                  in libertà provvisoria anche imputati per reati che prevedevano 
                  l'emissione del mandato di cattura obbligatorio.  
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