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 cronache  
 
La difesa della privacy 
                      Nell'era di Internet 
                     
                      Stefano Rodotà, ex garante della privacy, in un libro 
                      di qualche anno fa sosteneva quanto fosse difficile difendere 
                      le ragioni della privacy nell'attuale cultura dominante 
                      in Rete, dove tutti possono scrutare il singolo che si espone 
                      volontariamente e con sempre maggiore piacere all'occhio 
                      planetario. In Italia poi, la discussione sul tema della 
                      privacy è ancora più difficile da affrontare, 
                      in quanto tra coloro che si ergono a sua difesa, vi è 
                      addirittura, almeno a parole, il nostro governo. 
                      Per farsi un'idea sul tema privacy nel cyberspazio, si può 
                      partire dal conoscere le posizioni di coloro che, per primi, 
                      hanno con coerenza sostenuto la necessità di tutelare 
                      la privacy in Rete: i cosiddetti cypherpunk. 
                      I cypherpunk sono nati all'inizio degli anni ’90 come 
                      un gruppo informale di persone di cultura anarcolibertaria, 
                      interessate alla privacy e alla crittografia, e che inizialmente 
                      comunicavano attraverso la mailing-list cypherpunk1. 
                      Nel Cypherpunk's Manifesto di Eric Hughes (1993) si legge: 
                      “Dobbiamo difendere la nostra privacy, se vogliamo 
                      averne una. Dobbiamo unire le nostre forze e creare sistemi 
                      che permettano lo svolgersi di transazioni anonime. Da secoli 
                      la gente difende la propria privacy con sussurri al buio, 
                      buste, porte chiuse, strette di mano segrete e corrieri. 
                      Le tecnologie del passato non permettevano una forte privacy, 
                      ma le tecnologie elettroniche sì. Noi cypherpunk 
                      siamo votati alla costruzione di sistemi di anonimato. Noi 
                      difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi 
                      di invio di posta anonimi, con firme digitali e con il denaro 
                      elettronico”2. 
                      Il Manifesto di Eric Hughes distingue poi la privacy dalla 
                      segretezza: “privacy non significa segretezza. 
                      Un argomento privato è qualcosa che si desidera far 
                      conoscere, ma non a tutti; invece un argomento segreto è 
                      proprio un argomento che non si vuole far conoscere, che 
                      si vuole nascondere. La privacy è quindi il potere 
                      di scegliere come rivelarsi al mondo”2. 
                      È “il potere di rivelare se stessi [...] 
                      in maniera selettiva”2. 
                      Anche in Italia, a partire dalla fine degli anni 90, la 
                      cultura cypherpunk ha ispirato la nascita di diverse iniziative 
                      contro il tecnocontrollo. Tra queste, il Progetto Winston 
                      Smith (dall'omonimo protagonista del romanzo di George Orwell 
                      “1984”), attivo dal 1999, si propone di “sensibilizzare 
                      ed aiutare le persone ad ottenere il grado di privacy che 
                      ritengono necessario; costruire una risorsa «dimostrativa» 
                      totalmente anonima, utilizzando tutti i mezzi tecnici per 
                      la e-privacy esistenti, [...] una prova di fattibilità` 
                      dell'anonimato tecnologico per tutti”3. 
                      Per il Progetto Winston Smith, “la privacy nel 
                      cyberspazio è un diritto individuale sostanziale, 
                      inalienabile, primario”3. 
                      Garantire la privacy non significa affatto garantire una 
                      libertà eccessiva, bensì fondamentale. 
                      Il problema che i cypherpunks prima (e oggi molti altri) 
                      mettono in luce è proprio il fatto che in Rete (a 
                      meno di non prendere le opportune precauzioni) non abbiamo 
                      la libertà di scegliere come e cosa rivelare di noi 
                      stessi. 
                      Così continua il Cypherpunk's Manifesto: “quando 
                      acquisto un giornale in un edicola o in un negozio qualsiasi, 
                      una volta che ho pagato, nessuno ha necessità di 
                      sapere chi io sia. Analogamente quando richiedo al mio provider 
                      di inviare o ricevere le mie e-mail tramite i suoi server, 
                      non è certo necessario che il mio provider sappia 
                      a chi sto scrivendo, o cosa sto scrivendo, o chi sono coloro 
                      da cui ricevo messaggi, quali sono gli argomenti, o i contenuti 
                      delle mie comunicazioni. Il mio provider deve solo sapere 
                      come recapitare o ricevere la mia posta e quanto lo devo 
                      pagare per questi suoi servizi. Quando la mia identità 
                      viene rivelata dai meccanismi sottostanti ad ogni mia comunicazione, 
                      di fatto, io non ho privacy. Non posso scegliere se e cosa 
                      rivelare di me. Devo sempre rivelarmi.”1 
                      Senza le opportune precauzioni ed attenzioni, le strutture 
                      attuali della Rete veicolano a potenziali terzi dati privati 
                      senza consenso. 
                      I cypherpunks, però, non si limitano a denunciare 
                      il pericolo dell'avverarsi della profezia orwelliana della 
                      fine della privacy. Internet non è inevitabilmente 
                      destinata a diventare lo strumento del Grande Fratello. 
                      La tecnologia non è necessariamente il nuovo Moloch. 
                      Come si legge in Kriptonite (ottimo libro prodotto in Italia 
                      dalle culture cypherpunk e CryptoAnarchy) “la tecnologia 
                      è come l'informazione: non è reversibile. 
                      Non si può tornare indietro, non si può dimenticare 
                      l'informazione o la tecnologia [...]” Le tecnologie 
                      non hanno né un potenziale liberatorio né 
                      un potenziale di dominio. “Libertà e dominio 
                      sono categorie che riguardano gli uomini e non le macchine 
                      [...] anche se ci sentiamo vicini a chi diffida della tecnologia 
                      sottolineando la sua funzionalità al dio della produzione.”4. 
                      È proprio grazie alle possibilità tecnologiche, 
                      infatti, che la privacy in Rete può essere tutelata. 
                      Per i cypherpunks questa tutela deve innanzitutto avvenire 
                      su un piano parallelo, non necessariamente in contrasto, 
                      con il mondo delle leggi. La privacy è un bisogno 
                      che può e deve essere soddisfatto grazie ad un uso 
                      intelligente della tecnologia. Soddisfare il proprio bisogno 
                      di privacy è un atto unilaterale. Prima ancora di 
                      essere un diritto tutelato o meno da una buona o cattiva 
                      legge, è un esigenza primaria che ognuno deve poter 
                      soddisfare unilateralmente. 
                      In Rete, secondo i cypherpunks, possiamo e dobbiamo usare 
                      programmi (ad esempio GnuPG) che ci permettano di criptare 
                      la nostra presenza nel Cyberspazio, garantendoci, eventualmente, 
                      anche l'anonimato. Questi programmi per la tutela della 
                      propria privacy
 
                      - 
                      sono utilizzabili individualmente e unilateralmente 
                      - non richiedono la mediazione di partiti o associazioni
                      
 - il loro uso difende la sfera individuale e si affida 
                        alla responsabilità del singolo - detto diversamente, 
                        il loro uso può risultare sociale o antisociale 
                        a seconda delle circostanze, dei punti di vista e degli 
                        utilizzatori stessi.4
  
                      Gli attivisti digitali, gli hacktivisti, i cypherpunks e 
                    molti altri legittimano e difendono l'utilizzo della crittografia 
                    a dispetto delle scelte politiche e militari degli stati e 
                    hanno ingaggiato un duro conflitto coi governi per garantirne 
                    la libera diffusione. Ciò che contestano è in 
                    definitiva la tesi secondo cui i software di crittografia, 
                    pensati per tutelare la privacy, possono essere usati anche 
                    da chi vuole commettere reati, rendendo necessaria una forte 
                    limitazione sulla produzione di tecnologie crittografiche 
                    e, come i servizi di sicurezza federali hanno proposto al 
                    Congresso americano, l'installazione di una backdoor governativa 
                    sugli stessi programmi di crittografia per controllarne l'uso.5 
                      Per i cypherpunk e gli attivisti digitali la crittografia 
                      non può essere regolamentata o proibita dalle leggi 
                      dello stato. 
                    “I cypherpunks condannano le regolamentazioni sulla 
                    crittografia, dato che criptare dati è fondamentalmente 
                    un atto privato. Quando usiamo la crittografia, infatti, non 
                    facciamo che impedire di rendere pubbliche alcune nostre informazioni. 
                    In definitiva, le leggi contro la crittografia mostrano solo 
                    l'arbitrarietà dei confini dell'azione dello stato 
                    e della sua violenza”2. 
                    Per Il Progetto Winston Smith “segretezza ed anonimato, 
                    riuniti in quello che chiamiamo «privacy» sono 
                    un diritto ancora più vasto della libertà di 
                    espressione, ed altrettanto essenziale. Per contrastare i 
                    criminali, la società non può pretendere che 
                    tutti vivano in case di vetro; si tratta di preservare il 
                    bene maggiore. Diritti sostanziali ed inalienabili di tutti 
                    *devono* avere la precedenza su situazioni in cui i diritti 
                    altrettanto inalienabili di pochi sono minacciati, per esempio 
                    da atti criminali. Non mancano certo le possibilità 
                    per difendere le vittime senza limitare i diritti di tutti; 
                    piuttosto le vittime vengono spesso portate come pretesto 
                    per politiche totalitaristiche e liberticide.”3 
                    Perché, come dice Paul Zimmermann, autore del più 
                    noto software di crittografia, il Pgp: “Se la privacy 
                    viene messa fuori legge, solo i fuorilegge avranno privacy”5. 
                      Per scongiurare il tecnocontrollo, il Progetto Winston Smith, 
                      che ogni anno organizza il convegno “E-privacy” 
                      (nel 2012, a Milano, il 21 e 22 giugno), considera fondamentale 
                      affermare e difendere i seguenti diritti nell'Internet quale 
                      è oggi (diritti che potranno modificarsi con la sua 
                      evoluzione):
                      -  la possibilità di inviare e ricevere posta 
                        senza che nessuno la possa leggere (diritto alla 
                        riservatezza) e, nel caso lo si ritenga necessario, 
                        senza che nessuno possa risalire all'identità del 
                        mittente e del destinatario (diritto all'anonimità) 
                         
                      
 - la possibilità di pubblicare e diffondere 
                        informazioni su Internet senza che nessuno le possa cancellare 
                        (diritto alla libertà di parola) 
                        e senza che sia possibile risalire all'identità 
                        di chi le diffonde e di chi le legge (diritto 
                        a non essere censurati e libertà di scelta dell'informazione) 
                      
 - la possibilità di agire in Internet come siamo 
                        oggi abituati a fare, surfando, chattando, mandando posta, 
                        senza che nessuno possa registrare le nostre azioni (diritto 
                        alla privacy).3
  
                     Luca Cartolari 
                     
                    1 http://en.wikipedia.org/wiki/Cypherpunk 
                      2 http://www.activism.net/cypherpunk/manifesto.html 
                      3 http://pws.winstonsmith.info/ 
                      4 http://www.ecn.org/kriptonite/ 
                      5 A. Di Corinto e T.Tozzi - Hacktivism. La libertà 
                      nelle maglie della rete - Manifesto Libri (2002) 
                       
                       
                       
                       
                        
                    Bologna. 1/ 
                    Un fiore per Edera 
                    
                    Nel tardo pomeriggio di sabato 7 luglio una quindicina 
                      di noi hanno voluto portare un fiore sulla lapide che ricorda 
                      Edera De Giovanni. Lì, sul muro della Certosa di 
                      Bologna, fu fucilata 1°aprile del 1944, insieme ad altri 
                      cinque compagni, tra i quali l'attivissimo anarchico Attilio 
                      Diolaiti. 
                      Edera fu la prima donna resistente a finire, a Bologna, 
                      davanti a un plotone d'esecuzione fascista durante la Repubblica 
                      di Salò. Coinvolta nella lotta clandestina e nel 
                      sabotaggio nella zona di Monterenzio, in collegamento con 
                      le brigate Garibaldi, il 25 marzo 1944 fu arrestata dalle 
                      brigate nere sotto le Due Torri, torturata per una settimana 
                      nel carcere di San Giovanni in Monte e poi fucilata. Edera 
                      era una ribelle due volte: ribelle all'oppressione 
                      fascista e ribelle all'ideologia sessista che il fascismo 
                      aveva ulteriormente rafforzato in una società già 
                      patriarcale come quella italiana. 
                      Sotto un sole cocente Pino Cacucci ha letto le pagine che 
                      le ha dedicato nel suo ultimo libro Nessuno può 
                      portarti un fiore. Una lettura sentita e commovente, 
                      forte, incisiva come sa essere l'arte. Altri compagni hanno 
                      spiegato le ragioni della continuità dell'impegno 
                      contro ogni fascismo e hanno ricordato brevemente la figura 
                      del compagno Diolaiti. Poi, riavvolta la bandiera della 
                      Federazione Anarchica Bolognese, siamo tornati al Circolo 
                      Anarchico Berneri di Porta S. Stefano, dove si è 
                      aperta una tavola rotonda di discussione sulle donne nella 
                      resistenza e sull'antifascismo di ieri e di oggi. È 
                      stato distribuito lo scritto di Martina Guerrini Donne 
                      di “contegno ribelle” e Marco Rossi, da 
                      cui era partita l'idea di ricordare Edera, ha introdotto 
                      la chiacchierata, che si è protratta fino a tarda 
                      sera. Ora e sempre Resistenza! 
                     I compagni e le compagne  del 
                      Circolo Anarchico Berneri 
                      circoloberneri.indivia.net 
                       
                       
                       
                       
                        
                    Bologna. 2/ 
                    Quarant'anni del Cassero 
                     
                      Il 2 giugno 2012, nella piazza di Porta Santo Stefano a 
                      Bologna, è stata una bella giornata: in tutti i sensi. 
                      Il clima caldo, afoso come si conviene alla città; 
                      la partecipazione, che non è eufemistico definire 
                      massiccia; lo stupore di chi transitava nei viali di circonvallazione 
                      o sugli autobus che passavano per la via nel vedere quell'assembramento 
                      di cui non c'era traccia sui giornali, hanno caratterizzato 
                      la giornata di festeggiamenti per i quarant'anni di attività 
                      del circolo anarchico Camillo Berneri. 
                      Il programma è stato seguito con rigore e puntualità, 
                      senza nulla togliere ai contributi spontanei e alla convivialità. 
                      I due casseri (il Berneri e l'Atlantide) erano addobbati 
                      da striscioni già nelle prime ore del pomeriggio 
                      e la mostra era già allestita quando, alle 17.00, 
                      è partita la presentazione del libro Case del 
                      Popolo, case di tutti? con interventi di Alberto Ciampi, 
                      Marco Rossi e Sergio Mechi, fra gli autori del volume. Il 
                      dibattito è andato avanti fin quasi alle 19.00, con 
                      la partecipazione di una cinquantina fra compagne e compagni, 
                      alcuni venuti da altre città, che hanno ripercorso 
                      e approfondito i temi e le storie suggerite da questo bel 
                      libro, collegando le esperienze delle vecchie Società 
                      di Mutuo Soccorso alle Case del Popolo, alle Camere del 
                      Lavoro, per arrivare, in anni relativamente vicini, ai Festival 
                      del Proletariato Giovanile ed ai centri sociali occupati 
                      ed autogestiti. 
                    
                       
                        |   | 
                       
                       
                        Bologna, 
                            2 giugno 2012 - Il Cassero 
                            di Porta Santo Stefano, da 40 anni 
                            storica sede anarchica  | 
                       
                     
                     Intanto in strada si cominciava a raccogliere una piccola 
                      folla. Era arrivata la Banda Roncati (che festeggia i suoi 
                      vent'anni di attività) e, poco dopo, si sarebbe riunito 
                      anche un ensemble dell'Hard Coro De' Marchi (entrambe 
                      le formazioni sono colonne portanti della scuola popolare 
                      di musica Ivan Illich). Fra suonate e canzoni (da quelle 
                      anarchiche, alle immancabili anticlericali, a quelle dei 
                      partigiani bolognesi o delle risaie della “bassa”) 
                      si era giunti quasi alle 21.00 quando è iniziato, 
                      dentro Atlantide, il concerto di Alessio Lega, da tutti 
                      definito toccante ed entusiasmante. Nei portici del Berneri 
                      funzionava il buffet e la distribuzione di bevande. Ma i 
                      convenuti erano troppi per essere contenuti nei due casseri, 
                      per cui parte della via Santo Stefano era di fatto occupata. 
                      Alcune centinaia le persone che hanno circolato all'interno 
                      dell'iniziativa, che ha preso i veri e propri colori della 
                      festa, protraendosi fino a tarda ora. Molti i compagni e 
                      le compagne delle varie realtà bolognesi che hanno 
                      partecipato all'iniziativa con gioia e solidarietà: 
                      dal Vag61 all'XM24, dall'Iqbal alla Casa del Popolo di Ponticelli 
                      e alle compagne ed i compagni del collettivo Malasorte, 
                      che hanno supportato Atlantide per tutta l'attività 
                      di service ai concerti. 
                      L'altro elemento caratterizzante è stata la massiccia 
                      presenza di giovani compagne e compagni, tanto che chi non 
                      lo sapeva non poteva immaginare che si festeggiassero quarant'anni 
                      di vita del circolo anarchico ma, forse, un'occupazione 
                      appena avvenuta. 
                      Una saldatura fra storia e attualità, fra memoria 
                      e voglia di futuro che è il migliore testimone della 
                      vitalità delle idee e delle pratiche anarchiche a 
                      Bologna. 
                      Quarant'anni e non li dimostra il nostro circolo: già, 
                      perché la sua storia è un pezzo della storia 
                      del movimento a Bologna e nella sua provincia. Erede della 
                      “vecchia” Camera del Lavoro di via Lame, dove 
                      prese vita l'Unione Anarchica Italiana nel 1920, dopo la 
                      ristrutturazione dei locali nel 1972, sotto la guida attenta 
                      di Alfonso “Libero” Fantazzini, è diventato 
                      “sede del movimento anarchico internazionale” 
                      (come recita lo statuto), nell'ottica di un patrimonio collettivo 
                      inalienabile e indivisibile. 
                      Qui, nel corso degli anni, hanno svolto la loro attività 
                      innumerevoli compagni e compagne: il gruppo Autogestione, 
                      alcuni collettivi studenteschi, il gruppo di Comunismo Libertario, 
                      la Federazione Anarchica Bolognese aderente alla FAI, la 
                      redazione di “Umanità Nova” tra il 1978 
                      e il 1980, quella de la “Questione Sociale” 
                      e del “Cattivo Pensiero”, il collettivo di Aradio 
                      Ricerca Aperta, il Telefono Viola, poi più recentemente 
                      i collettivi Magma, Antigone, quello del giornale murale 
                      “Atemporale Anarchico”, il gruppo serigrafia 
                      ecc... Qui hanno suonato e stampato anche gruppi punk come 
                      i Raf Punk e i Nabat e uno dei tavolacci che usiamo per 
                      le riunioni è stato il loro palco... 
                      Dal 1972 a oggi il circolo continua a ospitare riunioni 
                      su riunioni: quelle dei comitati contro il nucleare civile 
                      e militare, contro la guerra, la repressione e ancora riunioni 
                      del sindacalismo di base, antifasciste, dei migranti. E 
                      poi cinema, performances teatrali, musica, laute 
                      cene sociali sempre affollate e presentazioni di libri: 
                      il circolo Berneri è questo e molto altro. Come abbiamo 
                      scritto sul sito (circoloberneri.indivia.net) 
                      guardiamo avanti “tutti decisi a metterci del proprio 
                      per l'anarchia! Almeno per altri quarant'anni.” 
                     I compagni e le compagne  del 
                      Circolo Anarchico Berneri 
                      (Bologna) 
                      
                     
                        
                    USA/Ancora 
                    Sulle cooperative 
                     
                      Enrico Massetti, nostro collaboratore, residente da anni 
                      negli USA, autore per “A” di numerosi articoli 
                      e di un dossier a puntate riguardanti le cooperative gestite 
                      dai lavoratori attive negli Stati Uniti, ci propone questa 
                      volta l'esperienza emblematica di due imprese, sorte rispettivamente 
                      a Chicago e Cleveland, attraverso le parole di Gar Alperovitz, 
                      professore di Economia Politica presso l'Università 
                      del Maryland. 
                       
                      I lavoratori della neonata cooperativa New Era Windows di 
                      Chicago, gli stessi lavoratori che hanno scioperato e costretto 
                      Energy Serious, i proprietari attuali, a fare marcia indietro 
                      nei confronti di una frettolosa chiusura dei loro impianti 
                      a Goose Island pochi mesi fa e che hanno occupato la fabbrica 
                      per sei giorni nel dicembre 2008, stanno mettendo insieme 
                      un piano audace, che potrebbe suscitare l'attenzione nazionale, 
                      spronando altri a seguire il loro esempio. Nonostante la 
                      brillante partenza, avranno bisogno di tutto l'aiuto che 
                      possono ottenere, sia finanziario che politico. 
                      Io sono stato tra gli artefici di un tentativo di fondare 
                      un'acciaieria di proprietà dei lavoratori in Youngstown, 
                      Ohio, nel tardo 1970: un piano che ha avuto inizio con intenzioni 
                      potenti, il sostegno finanziario dell'amministrazione Carter 
                      e l'appoggio di leader religiosi e politici, in Ohio e nella 
                      nazione. Il piano era in corso, compresa la promessa di 
                      100 milioni di dollari in garanzie sui prestiti dall'amministrazione 
                      Carter, fino a che, in qualche modo, coloro che si opponevano 
                      al piano sono riusciti a distruggere lo sforzo, e il denaro 
                      promesso è scomparso convenientemente subito dopo 
                      le elezioni del 1978. 
                      I lavoratori di Chicago hanno una possibilità di 
                      successo decisamente maggiore. Hanno le competenze necessarie 
                      per gestire un business produttivo. Hanno un buon mercato 
                      - una finestra ad alta efficienza energetica è un 
                      buon investimento nell'inverno di Chicago e le pesanti, 
                      fragili, finestre costruite su misura sono molto meno esposte 
                      alla concorrenza globale rispetto ad altri prodotti - inoltre, 
                      grazie alla loro lotta ispiratrice per mantenere i propri 
                      posti di lavoro, possono contare su un notevole sostegno 
                      pubblico. Essi godono anche dell'appoggio del United Electrical 
                      workers (UE): un sindacato indipendente e fieramente democratico; 
                      e il sostegno del Working World, un'organizzazione non-profit 
                      che ha contribuito a concedere centinaia di prestiti alla 
                      fiorente rete Argentina, che lega imprese “recuperate” 
                      di proprietà dei lavoratori. 
                      Questi ultimi stanno prendendo la situazione molto sul serio: 
                      dopo tutto, è il loro mezzo di sussistenza che è 
                      in ballo. Nei mesi scorsi, sono stati impegnati nell'acquisizione 
                      delle competenze di cui avranno bisogno, non solo per costruire 
                      le finestre, ma anche per commercializzare il loro prodotto 
                      e garantire e rispettare i contratti. Sono stati racimolati 
                      1000 dollari a testa per acquistare la cooperativa appena 
                      formata. E sono stati scoperti aggiornamenti tecnologici 
                      - come un progetto di isolamento acustico dell'aeroporto 
                      Midway. 
                      Eppure, questo è un business difficile. Se c'è 
                      una lezione che è parsa chiara fin dai primi esperimenti 
                      di realizzazione di cooperative di proprietà dei 
                      lavoratori, è che la costruzione di un potente gruppo 
                      di sostegno locale e nazionale, composto da figure pubbliche, 
                      organizzazioni non-profit, dirigenti sindacali nazionali 
                      e religiosi e altri, possono essere di grande ed inaspettata 
                      importanza. Può aiutare a mantenere in vita la storia 
                      nei momenti critici, e anche aiutare a creare e sostenere 
                      un mercato (le chiese, ad esempio, comprano un sacco di 
                      finestre, come fanno molte altre organizzazioni non-profit). 
                      Intanto i lavoratori sono occupati a Chicago con la miriade 
                      di attività che gravitano attorno alla raccolta di 
                      fondi, negoziando con il loro ex datore di lavoro, Serious 
                      Energy, per l'acquisto delle attrezzature dello stabilimento 
                      e per il riavvio della produzione (per non parlare di imparare 
                      a gestire democraticamente il proprio posto di lavoro!), 
                      inoltre costruiscono alleanze locali e nazionali per sostenere 
                      il loro lavoro, un compito fondamentale che può essere 
                      assunto dagli “alleati”. 
                      Quello che sta succedendo a Chicago fa parte di una tendenza 
                      nazionale molto importante; in molte zone del paese si è 
                      alla ricerca di soluzioni simili: le cooperative gestite 
                      dai lavoratori possono essere interpretate come un modo 
                      per favorire il radicamento dei posti di lavoro nelle comunità 
                      che ne hanno bisogno. 
                       
                      L'esperienza in Ohio 
                      A Cleveland, per esempio, una fondazione della comunità, 
                      con il supporto delle università e degli ospedali 
                      locali, contribuisce a creare una rete verde di cooperative 
                      di lavoro interconnesse come parte di una strategia di sviluppo 
                      economico progettato per aiutare a migliorare i quartieri 
                      devastati dalla povertà. Con una lavanderia su scala 
                      industriale e un impianto solare e di protezione invernale 
                      già operativi, e con una serra urbana di 3,5 ettari 
                      il cui lancio è previsto in pochi mesi, il modello 
                      di Cleveland è quello che molte altre città, 
                      comprese Pittsburgh, Atlanta e Washington DC, stanno oggi 
                      attivamente esplorando. Fondamentalmente, il modello sviluppato 
                      a Cleveland guarda al di là della singola cooperativa 
                      di proprietà dei lavoratori per capire come una comunità 
                      sia in grado di sostenere le imprese e i lavoratori che 
                      a loro volta la supportano: in questo caso, il potere d'acquisto 
                      delle istituzioni più grandi della città, 
                      le cosiddette “istituzioni di ancoraggio”, si 
                      mobilita per lo sviluppo di posti di lavoro di proprietà 
                      dei lavoratori nei quartieri stessi che queste istituzioni 
                      chiamano casa. 
                      Inoltre vi è ora una silenziosa tendenza nel movimento 
                      sindacale, lontano dal disinteresse in nuove forme di proprietà 
                      e verso un aiuto positivo. La United Steelworkers, in collaborazione 
                      con Mondragon (la nota Cooperativa che raccoglie di 80Ë000 
                      soci nei Paesi Baschi), ha preso l'iniziativa nel proporre 
                      e sviluppare “cooperative sindacali”, che combinano 
                      proprietà dei lavoratori ed il processo di contrattazione 
                      collettiva. Il sindacato Service Employees union (SEIU) 
                      ha intrapreso anche alcuni passi interessanti, con il programma 
                      di lancio a Pittsburgh, previsto per quest'anno, di una 
                      lavanderia di proprietà dei lavoratori e appartenenti 
                      al sindacato, e di un partenariato innovativo con Cooperative 
                      Home Care Associates di New York City, una cooperativa di 
                      assistenza domiciliare, la più grande cooperativa 
                      di proprietà dei lavoratori negli Stati Uniti. 
                      Da notare è anche una crescente attenzione tra i 
                      sindacati in merito a una forma molto più comune 
                      di proprietà dei lavoratori degli Stati Uniti, la 
                      proprietà ESOP o piano di azionariato dei dipendenti 
                      (che coinvolge 10 milioni di lavoratori): sindacati come 
                      la United Food and Commercial Workers (UFCW) stanno assumendo 
                      un ruolo forte nel fare sì che gli interessi dei 
                      lavoratori siano protetti quando le aziende si convertono 
                      in azionariato ESOP di proprietà dei lavoratori. 
                      Lo sforzo dei lavoratori di Chicago è importante, 
                      non solo in sé e per sé, ma come faro di speranza 
                      e opportunità di diffondere un modello di economia 
                      più democratico. È tempo che altri soggetti 
                      – individui, gruppi, attivisti, chiese, organizzazioni 
                      non-profit – si adoperino per quanto è in loro 
                      potere al fine di aiutare e garantire il successo di questa 
                      iniziativa. 
                     Gar Alperovitz 
                      traduzione di Enrico Massetti 
                      
                     
                      
                        
                    Chiapas/ Una vittoria 
                    A metà 
                     
                      Giovedi 26 luglio 2012, San Cristobal de las Casas 
                       
                      È una vittoria a metà, però è 
                      una vittoria di tutti e tutte. 
                       
                      Alberto Patishtan, prigioniero politico emblematico in Messico 
                      e fondatore e integrante dell'organizzazione “La voz 
                      del Amate” e appartenente all'Otra Campagna, è 
                      ritornato in queste ore al Carcere No.5 di San Cristobal 
                      (Chiapas), dal quale venne violentemente portato via all'alba 
                      del 20 ottobre del 2011, durante uno sciopero della fame 
                      che stava portando avanti con i suoi compagni del collettivo 
                      “Solidarios de la voz del Amate”. Alla fine 
                      il governo ha dovuto accettare la sentenza del giudice del 
                      tribunale di Tuxla del 13 luglio 2012 riguardo un ricorso 
                      portato avanti dal centro diritti umani Frayba che ha dichiarato 
                      inaccettabile il trasferimento di Alberto al carcere di 
                      massima sicurezza di Guasave, Sinaloa. 
                      Dopo 9 mesi il professore e compagno Alberto Patishtan torna 
                      a condividere la cella, i pasti, le riunioni, le iniziative, 
                      l'allegria, i sogni e le speranze di libertà con 
                      i suoi compagni di lotta, fra i quali Francisco Santiz Lopez 
                      base di appoggio dell'EZLN. Finalmente la sua famiglia non 
                      dovrà più percorrere 2200 km per visitarlo. 
                      Finalmente anche noi torneremo ad abbracciarlo e ad ascoltare 
                      le sue parole sagge e confortanti. 
                      È una vittoria a metà perché Alberto 
                      non doveva essere punito con questo trasferimento forzato, 
                      organizzato dal governo messicano su richiesta del segretario 
                      del governo di Chiapas, Noe Castanon. In più, Alberto 
                      non deve stare dietro le sbarre; è un maestro elementare 
                      e attivista sociale legato alla sua comunità tzotzil, 
                      El Bosque. Là lo stanno aspettando, lo esigono... 
                      lo esigiamo. 
                      Per questo il ritorno in Chiapas del Profe Alberto è 
                      il risultato di uno sforzo coordinato e globale. Dai famigliari 
                      ai compagni/e di molti angoli del pianeta, da diversi gruppi 
                      anarchici ad organismi di difesa dei diritti umani del Messico 
                      e non solo, includendo tutte le organizzazioni dell'Otra 
                      Campagna. Dal suo villaggio natale nella montagna ai quartieri 
                      della metropoli di New York, per arrivare simbolicamente 
                      in Palestina. Questo dimostra che la giustizia si tesse, 
                      si esercita e perfino si impone ai chi comanda con la lotta 
                      dal basso. 
                      Con questo vogliamo ringraziare con il cuore in mano e con 
                      un po' di commozione a tutte le persone che si sono unite 
                      alle campagne per la liberazione del Profe Patishtan e degli 
                      altri prigionieri politici. Con la vostra partecipazione 
                      abbiamo distrutto un pezzetto di carcere, come hanno suggerito 
                      i compagni/e dell'Otra di New York. 
                      La lotta continua, Alberto e i nostri/e compagni/e indigeni/e 
                      sono ancora imprigionati nelle carceri in Chiapas e per 
                      questo dobbiamo continuare ad organizzarci e coordinarci 
                      come abbiamo fatto finora; ancora una volta gridiamo LIBERTÀ 
                      IMMEDIATA per: 
                       
                      Alberto Patishtan Gomez, Rosario Diaz Mendez (Voz del Amate) 
                       
                      Francisco Santiz Lopez (membro del EZLN) 
                       
                      Pedro Lopez Jimenez, Alfredo Lopez Jimenez, Rosa Lopez Diaz, 
                      Juan Collazo Jimenez, Alejandro Diaz Santiz, Enrique Gomez 
                      Hernandez, Juan Diaz Lopez (Solidarios de la Voz del Amate) 
                      Antonio Estrada Estrada, Miguel Vazquez Deara, Manuel Demeza 
                      Jimenez (San Sebastian Bachajon) 
                       
                      E per tutti e tutte le prigioniere ed i prigionieri politici 
                      del Messico e del mondo. 
                      Abbattere i muri delle prigioni! 
                     Red contra la represion - Chiapas 
                      Grupo de trabajo “No Estamos Todxs” 
                      Espacio de Lucha contra el Olvido  y la Represion 
                       
                       
                      per ulteriori info: 
                      http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2194 
                        
                     
                       
                        
                    India 
                    Dopo il blackout 
                      
                      Se il primo blackout del 30 luglio 2012 aveva colpito 300 
                      milioni di persone, con quello del giorno successivo la 
                      cifra era raddoppiata. In India le interruzioni di corrente 
                      costituiscono un evento quotidiano e gli impianti di grandi 
                      dimensioni (ospedali come supermercati) sono equipaggiati 
                      con generatori di elettricità alimentati con motori 
                      diesel. 
                      Ma questa volta la paralisi è stata senza precedenti. 
                      Più di 300 treni rimasti in panne e 300 mila passeggeri 
                      bloccati nelle stazioni (dati del quotidiano Times of 
                      India). Nel nord-est del paese, 200 minatori sono rimasti 
                      segregati per ore nel sottosuolo mentre nei crematori elettrici 
                      si allestivano roghi improvvisati per smaltire i cadaveri. 
                      In un comunicato della Confindustria indiana si parla di 
                      “danni incalcolabili per le industrie costrette a 
                      sospendere la produzione”. 
                      Tra le cause, secondo il ministro Sushil Kumar Shinde “gli 
                      Stati che hanno superato la loro quantità consentita 
                      di approvvigionamento sulla rete”. In particolare 
                      l'Uttar Pradesh. In questo periodo, con le temperature che 
                      oscillano tra i 35 e i 45 gradi, i consumi di energia aumentano 
                      sensibilmente a causa dei condizionatori. Il ritardo dei 
                      monsoni ha ulteriormente aggravato la situazione. La produzione 
                      di energia idroelettrica è diminuita mentre gli agricoltori, 
                      a causa della siccità, ricorrono alle pompe elettriche 
                      per estrarre acqua dalle falde freatiche. Dal 2000 al 2010 
                      la produzione industriale dell'India è aumentata 
                      di 4 volte, ma la produzione di energia è soltanto 
                      raddoppiata ricorrendo alle centrali termiche a carbone 
                      e petrolio. 
                      Soltanto quattro anni fa, nel 2008, l'autore di “La 
                      speranza indiana” poteva commentare “L'odore 
                      dell'India” scritto nel 1961 da Pier Paolo Pasolini 
                      con queste parole: “Rileggendolo oggi sembra che parli 
                      di un paese africano, immobile e impotente” in cui 
                      prevaleva “l'assenza di ogni attendibile speranza”. 
                      Invece era bastata soltanto una generazione “per capovolgere 
                      tutto”. E dopo questa premessa Federico Rampini si 
                      lanciava nell'elogio incondizionato dell'“India di 
                      oggi patria di multinazionali come la Infosys che dominano 
                      la tecnologia dell'informazione, la creazione di programmi 
                      per computer e ogni apparecchio elettronico dell'era digitale, 
                      quel software che è la trama invisibile e pervasiva 
                      della nostra (il corsivo è mio nda) vita quotidiana, 
                      dai gps satellitari ai videotelefonini, dal pilotaggio automatico 
                      di un Airbus alla consultazione di Google e Wikipedia, You 
                      Tube e MySpace”. Già che c'era, a quella che 
                      definiva “la linfa vitale che scorre nelle vene della 
                      New India”, avrebbe potuto aggiungere droni e missili 
                      teleguidati. 
                      Ma l'India, evidentemente, è anche altro. Nelle pagine 
                      successive trapelava qualche disagio per i due terzi di 
                      popolazione che vive ancora nelle campagne (più 
                      avanti definisce l'India “un paese troppo agricolo”) 
                      o per la presenza a fianco di contadini e popolazioni indigene 
                      dei “ribelli naxaliti che praticano ancora 
                      la lotta armata” (corsivi sempre miei nda). Come a 
                      Singur dove la polizia ha massacrato una decina di contadini 
                      che protestavano contro un impianto della Tata Motor. En 
                      passant segnalo la preferenza di Rampini per l'avverbio 
                      (di tempo) “ancora”, utilizzato con valenza 
                      negativa. 
                      In un articolo pubblicato su La Repubblica, dopo 
                      il recente blackout ha scritto che la spiegazione ufficiale 
                      (i monsoni in ritardo e di conseguenza i bacini delle dighe 
                      idroelettriche sottoalimentati) “lascia attoniti”. 
                      Ma come, si indigna Rampini “una superpotenza economica 
                      che è la sede di colossi hi-tech come Infosys e Tata, 
                      dipende ancora dai monsoni”. Pare proprio di 
                      sì. 
                      Diverso l'approccio dell'analista politico Satya Sivaraman 
                      che ha colto l'occasione per criticare il modello di sviluppo 
                      indiano. In particolare la liberalizzazione economica avviata 
                      agli inizi degli anni ‘90 per opera dell'attuale premier 
                      Manmohan Singh (all'epoca ministro delle Finanze). Alla 
                      crescita del Pil “ha corrisposto una riduzione del 
                      consumo pro-capite di grano”. I dati forniti dall'Oms 
                      confermano che “ il 45% degli indiani adulti soffre 
                      di malnutrizione” mentre secondo l'Unicef “2 
                      milioni e mezzo di bambini indiani muoiono ogni anno per 
                      malattie legate alla mancanza di cibo”. L'attuale 
                      crisi immobiliare e il calo della Borsa di Munbai confermerebbero 
                      poi che l'impennata degli ultimi due decenni era in gran 
                      parte dovuta alla speculazione visto che “il 70% degli 
                      scambi avviene su titoli stranieri”. 
                      Volendo trarre una lezione da questi avvenimenti, è 
                      chiaro che nel mondo del capitalismo reale, le strutture 
                      economiche e finanziarie producono inevitabilmente povertà 
                      e sofferenza da qualche parte per produrre ricchezza altrove. 
                      Piaccia o non piaccia a Rampini & C. 
                     Gianni Sartori 
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