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                 dopo Saint-Imier  
                Il futuro che non c'è più 
                di Maria Matteo 
  
                Considerazioni a caldo sulle varie anime del movimento anarchico,
                  dopo il positivo confronto nella cittadina svizzera. 
                  E sulla necessità di rimettere al centro la proposta 
                  rivoluzionaria. 
                  Il dibattito è aperto. 
                 
                   
                  Qui, ora, subito. In realtà 
                  mai più. Questa breve formula riassume il sentire 
                  diffuso, trasversale, plurale che attraversa la generazione 
                  del dopo muro. 
                  Una generazione che si affaccia al mondo e lo crea per sé 
                  in un tempo che chi è venuto prima vive come dopo. 
                  Dopo l'Unione Sovietica, dopo l'egemonia marxista, dopo i marxisti 
                  critici che vollero salvare l'insalvabile, dopo la dittatura, 
                  la repressione, le infinite calunnie della propaganda dei regimi 
                  dell'est e dei loro supporter. 
                  Quest'anno a Torino gli eredi di quella storia non sono riusciti 
                  ad entrare nella piazza del primo maggio, quella stessa piazza 
                  che nerboruti funzionari sindacali, blindavano con mazze ad 
                  ogni voce critica. Sono trascorsi solo 25 anni: un'intera era 
                  geologica. Per noi, vecchi, un lieve, tenerissimo, dopo. 
                  Per quelli che non hanno conosciuto quella strana isola che 
                  era Berlino ovest un semplice ma pesantissimo oltre. 
                  Oltre tutto il Novecento. Il secolo delle rivoluzioni 
                  e delle dittature, il secolo del capitalismo trionfante. 
                  Gli anarchici più giovani attraversano il nostro tempo 
                  con il passo leggero di chi non deve sostenere il peso tremendo 
                  che generazioni di anarchici hanno dovuto reggere. Il peso dello 
                  strafottente realismo di chi la rivoluzione pretendeva 
                  di averla fatta, di chi, pur critico, marciava con le stampelle 
                  della scienza che sa la storia e i suoi ineluttabili approdi. 
                  Quando Berlino ha cessato di essere un'isola, quando il mondo 
                  è diventato tutto uguale, tra radioline cinesi e panini 
                  macmerda fatti in serie è tramontato il sole dell'avvenire. 
                  Non si è certo eclissata la critica o la voglia di vivere 
                  diversamente. Non è venuta meno l'indignazione per un 
                  mondo intollerabile, per un assetto sociale irriformabile, per 
                  un tempo che vive della gloria effimera della merce. I monumenti 
                  del nostro oggi sono le torri che bruciano quel che resta del 
                  fasto che brilla per una stagione e poi si spegne rapido. 
                  Semplicemente dopo questo tramonto non c'è un nuovo sole, 
                  perché l'alba è lontana, forse inattingibile, 
                  per alcuni forse persino non desiderabile. Certo non 
                  all'ordine del giorno. 
                   
                    La trama 
                  sottesa
                
  A Saint-Imier, tra migliaia di anarchici che avevano accolto 
                  l'invito per un incontro a 140 anni dalla fondazione dell'Internazionale 
                  antiautoritaria, tra tante anime, esperienze, percorsi che si 
                  incontravano, riallacciando fili e tessendone di nuovi, questo 
                  nodo problematico non è mai stato esplicito. Eppure c'era. 
                  L'ordine del suo discorso si è dispiegato più 
                  nei margini che al centro, ma l'ordito sottile che lo reggeva 
                  è pur emerso. 
                  La questione della rivoluzione, il tema della transizione sociale, 
                  dei suoi modi, oltre che della sua necessità resta, per 
                  i ragazzi del dopo muro, sullo sfondo. Relegato tra le questioni 
                  del Novecento, nello scaffale dedicato alle ideologie, intese 
                  come narrazioni esaustive, dove le singole pagine si perdono. 
                  D'altro canto, se pensi che la rivoluzione non fa parte del 
                  tuo orizzonte di vita, preferisci che ogni singola pagina, 
                  la tua singola pagina non sia mero passaggio di un percorso 
                  ma in se esperienza che ti consegni parte del mondo che vorresti. 
                  Da quest'atteggiamento scaturiscono scelte diversissime, spesso 
                  tanto divaricate da non riconoscersi – le une e le altre 
                  – in un comune percorso. La trama sottesa tuttavia resta. 
                  Ne scaturisce un'attenzione fin maniacale alle relazioni, ai 
                  modi in cui si dipana il discorso comune, alla pratica quotidiana. 
                  Le modalità d'accesso alla parola, l'uguaglianza formale 
                  vengono perseguite con rigore un po' spossante; la costituzione 
                  del sè, attraversata – e non per caso – dalla 
                  pungolante prassi femminista, diviene fulcro di un'agire politico 
                  che investe la vita quotidiana nel profondo. 
                  Niente di nuovo. Certe questioni si sono affacciate sulla scena 
                  dei movimenti rivoluzionari oltre quarant'anni fa. Ma sono rimaste 
                  ai margini, mentre oggi il margine invade il foglio, lo accerchia, 
                  ne fa un'icona appesa al muro, cui guardare con il rispetto 
                  dovuto al passato. 
                  La questione ci riguarda, noi rivoluzionari, giovani 
                  e vecchi, perché quell'icona rappresenta il cuore stesso 
                  che ci costituisce, che anima il nostro agire, che unisce con 
                  un filo rosso e nero gli anarchici che nel 1872 si riunirono 
                  in un albergo di Saint-Imier con quelli che si sono incontrati 
                  per una settimana invadendo le sale e le strade della cittadina 
                  del Jura bernese. Un posto dove le targhe del comune ricordano 
                  l'intreccio profondo che portò proprio qui, tra artigiani 
                  orologiai tanto bravi quanto ribelli, il congresso che simbolicamente 
                  sancì la nascita di un percorso che oggi attraversa le 
                  nostre vite. 
                  Se la trama sottesa ma sin troppo esplicita delle organizzazioni 
                  piattaformiste che hanno co-promosso l'incontro di Saint-Imier 
                  era il tentativo fallito di proporre una sorta di nuova internazionale 
                  libertaria, l'ordito profondo con cui è stato necessario 
                  confrontarsi è quello di un neo-anarchismo, che elude 
                  il tema della rivoluzione. Un neo-anarchismo che si dispiega 
                  trasversalmente rispetto agli schieramenti e alle aree del movimento, 
                  dai primitivisti radicali ai pink metropolitani, da quelli che 
                  agiscono nelle pieghe del sistema a coloro che ne attaccano 
                  i simboli, da chi vive in uno squat a chi si fa la cooperativa. 
                  La colla non è il come ma il comune adattamento 
                  ad un'epoca che non pare in grado di offrire spazio alla radicalità 
                  della rottura rivoluzionaria. 
                   
                    È 
                  questione di orizzonte
                  Va da sé che il termine adattamento ha in sé 
                  la mia critica, ma non trova riscontro né soggettivo 
                  né oggettivo nelle persone che vivono questi percorsi. 
                  Percorsi, che sebbene abbiano una chiara impronta generazionale, 
                  tuttavia influenzano per osmosi anche altri compagni e compagne. 
                  Sullo sfondo restano i fatti. Duri come le rocce delle montagne 
                  che hanno fatto da cornice all'incontro di Saint-Imier. 
                  Duri come la violenza estrema dello sfruttamento e dell'oppressione 
                  che relega miliardi di persone nell'inferno degli ultimi. Un 
                  inferno più fondo e più buio di 140 fa. La piramide 
                  sociale è sempre più aguzza: i tempi delle socialdemocrazie 
                  sono passati, le logiche disciplinari si impongono a livello 
                  planetario, la devastazione ambientale ci porta via il futuro, 
                  il ritorno di fondamentalismi è la risposta alle promesse 
                  mancate della modernità. 
                  Questi fatti che ci raccontano dell'urgenza dell'anarchia, dell'urgenza 
                  di un agire rivoluzionario che spezzi la piramide e apra un 
                  tempo altro. 
                  Un tempo che l'esigenza di concretezza che permea tante parti 
                  del neo-anarchismo talora prefigura e costruisce. Ora, qui, 
                  subito. Ma non basta, non può bastare: oggi come e più 
                  di 140 anni fa. I nostri nemici non ci lasceranno certo spazio 
                  perché la pervasività di un modello altro 
                  eroda l'immaginario che regge relazioni sociali esistenti, e 
                  tantomeno ci consentiranno di intaccarne davvero la costituzione 
                  materiale. 
                  Occorre quindi che la rivoluzione torni ad essere all'ordine 
                  del giorno. Non è questione di tempi, è questione 
                  di orizzonte. Se navighi in mare aperto l'orizzonte ti appare 
                  immobile, la terra inattingibile, l'importante è sapere 
                  che c'é. Non sai né quando né se arriverai, 
                  ma sai che puoi arrivare. Se lo vuoi. 
                  Occorre rompere la fascinazione del presente, che ingabbia l'immaginario 
                  ed eternizza l'oggi, un oggi con cui vivi in conflitto, senza 
                  tuttavia immaginarne un superamento. 
                  L'incontro di Saint-Imier, come ogni incontro anarchico, ha 
                  vissuto più nelle pieghe che nelle assise di dibattito, 
                  spesso rigide, ingessate, talora anche magniloquenti. Il fatto 
                  che tante anime diverse siano riuscite mettersi a confronto 
                  è tuttavia un segnale positivo. C'è una comune 
                  consapevolezza che spezzare la gerarchia e l'oppressione è 
                  l'unico realismo che consentono i tempi che viviamo.
                   
                  Maria Matteo
                
 
                   
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                    L'Internazionale è 
                        un fumetto istantaneo, 
                        cioè scritto e disegnato in diretta durante 
                        l'Incontro anarchico di Saint-Imier da Marco 
                        Gastoni, Nicola Gobbi e Jacopo Frey. 
                        I tre numeri, usciti in lingua francese 
                        durante l'incontro, spiegano rispettivamente le 
                        origini della Prima Internazionale, le basi 
                        del primo congresso anarchico della storia a 
                        Saint-Imier nel 1872 e l'andamento 
                        dell'incontro del 2012. 
                        Qui sopra ne riproduciamo la copertina 
                        del terzo numero.   
                        I tre numeri sono scaricabili gratuitamente 
                        anche in italiano su “L'Anarchico”  
                        blog: http://anarchico.noblogs.org/.  | 
                   
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