in direzione 
                  ostinata e contraria 5 
                  
                Giocherellare a palla con il proprio cervello... 
                  
                Intervista a Massimo 
                di Renzo Sabatini 
                    
                La droga è tra gli argomenti del 
                  lp di Fabrizio De André “Tutti morimmo a stento”, 
                  che tra l'altro è stato il primo concept-album della 
                  discografia italiana, il primo cioè incentrato su di 
                  un discorso unitario, non sulla sequenza di brani tra loro scollegati. 
                  L'intervistato ha chiesto di restare anonimo. 
                 
                   
                  Ti abbiamo contattato dopo aver letto una tua “lettera 
                  a Fabrizio De André” nel libro “Gli occhi 
                  della memoria” (Edizioni Elèuthera, Milano 2007) 
                  di Romano Giuffrida. Di te sappiamo solo che sei un musicista. 
                  Ti va di parlarci un po' di te, di presentarti al nostro pubblico?  
                   
                   
                  Sono nato nel 1960 e gli anni Settanta sono stati quelli della 
                  mia formazione. Avevo un padre musicista e anch'io ho cominciato 
                  a studiare uno strumento da giovane e mi sono poi diplomato 
                  in flauto al conservatorio. Gli anni Settanta però non 
                  sono stati dei più semplici e io li ho vissuti in maniera 
                  confusa. Quelli erano gli anni delle mie ribellioni nei confronti 
                  della famiglia, della società, del potere. Dopo il liceo 
                  ho cominciato gli studi di scienze politiche ma li ho poi abbandonati 
                  per dedicarmi completamente all'attività di musicista. 
                  Però anche se la mia formazione musicale è classica, 
                  i miei interessi erano diversi, più legati all'istinto 
                  ribelle di quegli anni e perciò seguivo anche altri percorsi 
                  musicali: musica nera, jazz, rock, punk; successivamente la 
                  musica etnica e poi le avanguardie colte contemporanee. Romano 
                  Giuffrida l'avevo conosciuto in quegli anni, poi ci siamo persi 
                  di vista per un lungo periodo e ci siamo incontrati di nuovo 
                  recentemente e così abbiamo cominciato a raccontarci 
                  cosa era stato di noi nel frattempo. Così è nata 
                  la mia collaborazione al libro. 
                   
                  Visto che hai seguito tanti generi musicali, qual è 
                  quello più importante per te in questo momento? 
                   
                  Per quello che sto facendo io adesso, direi che i miei interessi 
                  musicali rimangono molto aperti. A me piace lavorare sul suono 
                  e con il suono. Sto facendo dei lavori in questo senso anche 
                  con lo stesso Giuffrida. Mi piace suonare musiche del globo 
                  intero e ho anche formato un piccolo trio che propone proprio 
                  i canti del mondo e va alla ricerca di quelle che sono le sonorità 
                  dei vari continenti, le matrici popolari utilizzate sia nella 
                  musica colta che nella stessa musica popolare. 
                  Nel contributo che hai scritto per il libro di Giuffrida ti 
                  riferisci alla tua condizione di tossicodipendente all'inizio 
                  degli anni Ottanta. Giuffrida scrive, presentandoti, che tu 
                  sei di quelli che oggi possono: “ascoltare il vento tra 
                  le foglie, sussurrare i silenzi che la sera raccoglie”. 
                  Di altri amici invece resta il ricordo. Puoi parlarci di quegli 
                  anni in cui ti sei ritrovato, per citare ancora De André, 
                  a “giocherellare a palla” con il cervello? 
                  Erano davvero anni in cui si giocava a palla col proprio cervello! 
                  Erano anni confusi e rifiutare le regole voleva dire mettersi 
                  in gioco e quell'impegno, se vogliamo, era anche una fatica: 
                  il rifiutare tutte le indicazioni che venivano dai gruppi parlamentari, 
                  anche quelli della stessa sinistra, il volersi trovare schierati 
                  da un'altra parte, tutto questo è stato faticoso. In 
                  quei momenti i poteri forti hanno immesso sul mercato sostanze 
                  che creano dipendenza. Hanno utilizzato un'arma letale per sciogliere, 
                  smembrare il movimento alternativo al sistema. 
                  Questa per me ormai è storia. E io mi sono ritrovato 
                  in questa condizione di dipendenza in maniera inconsapevole. 
                  Ho rivisto poi, dopo, questo periodo, a distanza di dieci anni, 
                  come un buco nero della mia memoria: più cresceva la 
                  dipendenza e meno erano gli interessi legati al sociale, alla 
                  vita reale. Io a quegli anni ci sto pensando ora, perché 
                  allora non avevo proprio tempo per pormi delle questioni politiche, 
                  era veramente una condanna, in quel senso. Io sono convinto 
                  che i poteri forti creassero a misura queste devianze, per controllare 
                  meglio quelle che erano aspettative altre, il dibattito politico 
                  di quegli anni, le diverse istanze che venivano dai giovani 
                  schierati al di fuori dei gruppi parlamentari. 
                   
                    Una 
                  sorta di premonizione 
                   
                  Nel 1968 De André pubblica “Tutti Morimmo a 
                  Stento”, mettendoci di fronte a un'umanità che 
                  fino a quel momento non aveva mai trovato posto nelle canzoni. 
                  Il disco si apre proprio con il “Cantico Dei Drogati”. 
                  In Italia all'epoca di droga non si parlava, il fenomeno non 
                  era ancora esploso. Come mai secondo te De André già 
                  ne parlava? 
                   
                  In quegli anni la Psichedelia aveva già avvicinato i 
                  giovani all'utilizzo delle sostanze come veicolo di conoscenza. 
                  De André ne parlava perché già in quegli 
                  anni si usavano delle sostanze allucinogene. Già Timothy 
                  Leary1 infatti distingueva fra 
                  sostanze buone e cattive e quelle che creano dipendenza sono 
                  da considerare, tuttora, le sostanze cattive. Certo, quella 
                  di De André era una sorta di premonizione, perché 
                  questo pensare all'annullamento della persona, che troviamo 
                  in quella canzone, è un fatto che poi si è verificato 
                  puntualmente alla fine degli anni Settanta, in maniera massiccia, 
                  quando è stato usato come strumento per abbattere un 
                  fenomeno politico in crescita. Quindi lui è stato proprio 
                  un antesignano, ha capito quello che sarebbe accaduto con grande 
                  anticipo. 
                   
                  La canzone probabilmente avrà colpito molti, aprendo 
                  uno spaccato su un mondo che all'epoca era sconosciuto. Per 
                  un tossicodipendente che gli capitava di ascoltare questa canzone, 
                  che significato poteva avere?  
                   
                  Io ho provato a scriverlo in questa lettera che ho pubblicato 
                  sul libro di Giuffrida. La canzone, inizialmente, aveva creato 
                  in me, che ero vittima di quella condizione di dipendenza, un 
                  senso di profondo fastidio. Mi sembrava un'intromissione in 
                  quella che ormai era la strada che avevo preso, un percorso 
                  masochistico. Mi infastidiva questo essere solleticato nella 
                  mia coscienza. Ripensandoci dopo ho scoperto che era importantissimo 
                  quello che diceva quella canzone: metteva di fronte le persone 
                  a una scelta ben precisa. 
                   
                  Il Cantico dei Drogati è scritto in prima persona. 
                  Il protagonista parla di sé, si guarda e si descrive 
                  in questa sua deriva. Tu che sei passato attraverso questa esperienza 
                  trovi che la canzone colga nel segno, trovi che le immagini 
                  utilizzate da De André siano quelle giuste? 
                   
                  Si, assolutamente. Qui lui utilizza le parole proprio in maniera 
                  strepitosa e sa quali corde andare a toccare. Proprio per quel 
                  motivo mi infastidiva, perché evocava le paure, il proprio 
                  malessere, la consapevolezza di essere allo sfascio, allo sbando. 
                  Una condizione che fa paura e la paura a volte diventa incontrollabile. 
                  Per cui si cerca di risolvere il proprio bisogno proprio per 
                  non aver paura ed è una tensione continua fra paura e 
                  bisogno, bisogno e paura. Questo ti crea la condizione di malessere, 
                  di completo disagio. Lui in questa canzone, bellissima, premonitrice, 
                  aveva colto tutti gli aspetti che la tossicodipendenza comporta. 
                   
                  Nella strofa che chiude la canzone il protagonista lancia 
                  una specie di richiesta di soccorso a chi lo ascolta. Ti sembra 
                  realistico? Ti è capitato di lanciare questi segnali, 
                  magari restando inascoltato? 
                   
                  Lanciare segnali, sì, mi è capitato, anche in 
                  maniera piuttosto ingenua, se vuoi, perché in realtà 
                  non sai mai esattamente a chi rivolgerti, quando vivi in una 
                  condizione di paura e di disagio e sei dipendente. E quindi 
                  cerchi qualcuno. Innanzitutto però devi arrivare ad un 
                  momento di assoluta decisione nel voler smettere di assumere 
                  determinate sostanze. Di questo devi essere consapevole. Poi 
                  non è detto che tu ci riesca, ma la consapevolezza è 
                  il primo passo. Il tentativo deve nascere da una necessità, 
                  non da un'imposizione. Le imposizioni poi te le crei tu, per 
                  poter favorire questo processo di disintossicazione. La richiesta 
                  di aiuto può essere fatta a degli amici, però 
                  gli amici generalmente avevano paura quanto me, quindi non era 
                  quello l'appiglio al quale potevo aggrapparmi. 
                  Dopo mille tentativi di disintossicazione fatti chiudendomi 
                  in casa, in realtà, mi hanno aiutato molto altre sostanze 
                  farmaceutiche che hanno creato una sorta di antagonismo alla 
                  sostanza oppiacea e quindi quello mi ha aiutato a risolvere 
                  il problema fisicamente. Ma psicologicamente poi, dopo, devi 
                  ricostruire tutto. È una cosa che uno fa continuamente, 
                  che faccio ancora adesso, perché poi le dipendenze non 
                  sono solo legate alle droghe ma anche a tante altre cose, quindi 
                  il percorso di disintossicazione è continuo, quotidiano. 
                  Quindi l'aiuto farmacologico mi è servito ma la ricostituzione 
                  psicologica, il contatto con la realtà, con il quotidiano, 
                  è avvenuto in maniera molto più lunga e graduale. 
                  Anche passando attraverso altre disintossicazioni: quelle alcoliche 
                  e quelle che mi hanno portato ad affrontare la necessità 
                  di disintossicarmi da altre sostanze ancora. Oggi mi sento di 
                  poter dire che questa poltiglia di vita che ho fatto mi ha portato 
                  finalmente ad un momento più sereno, che mi consente 
                  anche di riflettere su tutto questo passato. 
                   
                  In seguito De André descriverà questo disco 
                  come: “polveroso, cattedratico, barocco”. Dirà 
                  che: “questa processione di vittime cantate potrebbe finire 
                  per far ribrezzo”. Tu la condividi questa sua riflessione? 
                  Il Cantico dei Drogati poteva essere magari meno crudo e più 
                  poetico? 
                   
                  Ma proprio perché è così crudo questo brano 
                  è molto poetico. Mi sembra strano che lui possa aver 
                  tacciato di barocchismo un disco così crudo. Per come 
                  la vedo io di barocco ce n'è ben poco nel “Tutti 
                  morimmo a stento”. Anzi proprio quell'esercito di altri, 
                  di diversi, di marziani, come li chiamava Camerini2 
                  in quegli anni, credo che possa far riflettere ancora oggi. 
                  Quindi non saprei proprio perché lui abbia descritto 
                  questo suo album in maniera così negativa. Forse quando 
                  ha detto queste cose era già alla ricerca di altro e 
                  credo che avesse ancora molto da dire. Però per me è 
                  importantissimo anche quello che diceva in quegli anni. Questo 
                  l'ho anche scritto in quella lettera pubblicata sul libro di 
                  Giuffrida ed emerge anche da un lavoro di riflessione su tutta 
                  la produzione di De André, un lavoro che ho fatto con 
                  Giovanna Panigali e con un gruppo musicale sardo, gli Andhira. 
                
                   
                      
                        Dal “Cantico 
                          dei drogati” (1968) 
                         “Ho 
                          licenziato Dio 
                          gettato via un amore 
                          per costruirmi il vuoto 
                          nell'anima e nel cuore. 
                          Le parole che dico 
                          non han più forma né accento 
                          si trasformano i suoni 
                          in un sordo lamento. 
                          Mentre fra gli altri nudi 
                          io striscio verso un fuoco 
                          che illumina i fantasmi 
                          di questo osceno giuoco.”
                           | 
                   
                 
                   Il 
                  problema dell'alcool  
                   
                  I drogati ritornano nel “Recitativo” che chiude 
                  l'album in una sorta di invocazione. De André ci dice 
                  chiaramente che i drogati, le prostitute, i condannati a morte 
                  che popolano questo album sono le vittime della società 
                  e non i colpevoli. Chiede a chi ascolta di non giudicare ma 
                  di avere pietà. Tu pensi che questa esortazione abbia 
                  avuto un qualche risultato, che chi ha ascoltato si sia messo 
                  in sintonia, abbia smesso di giudicare e abbia cercato di cominciare 
                  a capire? 
                   
                  Ma non direi. Forse il disincanto di cui parlavamo prima rispetto 
                  a questo disco sarà nato in lui proprio dallo scoprire 
                  il fallimento di questa esortazione. Perché purtroppo 
                  non credo che da allora siano mutati di molto gli atteggiamenti 
                  generali nei confronti dell'altro, del diverso. Lo vediamo adesso 
                  rispetto alle migrazioni, al tema dei clandestini, insomma rispetto 
                  a tutto ciò che rappesenta l'altro, il diverso. Forse 
                  quella esortazione che ha fallito nel suo intento era ciò 
                  che lui considerava un esercizio barocco. Forse però 
                  qualcuno è riuscito ad ascoltarla, a capire che, rispetto 
                  all'altro, ci sono molto modi per potersi porre, che non sono 
                  necessariamente quelli del rifiuto. Io credo che anche il mio 
                  lavoro tenda un po' a questo. Cerco di vedere le reazioni di 
                  chi ascolta certe proposte artistiche, cerco di coinvolgere 
                  chi ascolta anche su questi temi. Le reazioni positive ci sono, 
                  ma la tendenza generale non è che mi lasci molto ottimista. 
                   
                  Tornando a parlare del Cantico Dei Drogati, De André 
                  ha detto che scriverla, assieme all'amico e poeta Mannerini, 
                  ebbe per lui un valore libertorio, perché all'epoca era 
                  totalmente dipendente dall'alcol. Disse anche che c'era una 
                  sorta di autocompiacimento, frequente fra i tossicodipendenti. 
                  Come la vedi, ti sembra che l'alcolismo di De André potesse 
                  essere paragonabile ad esempio alla condizione del tossicodipendente? 
                   
                   
                  Si assolutamente. Sono condizioni molto simili. Anche se i termini 
                  sono diversi, perché si frequentano ambienti diversi, 
                  ma fondamentalmente lo stato psicologico è lo stesso. 
                  Credo che per lui fosse proprio una liberazione, il cantare 
                  o lo scrivere di sé in quel senso. Quanto all'autocompiacimento, 
                  per dire la verità, quando sei dipendente da una sostanza 
                  non hai proprio tempo di compiacerti di te, perché sei 
                  preso da un gioco osceno, come lo chiama giustamente De André. 
                  Non stai troppo a guardarti. Direi invece che qui De André 
                  sapeva raccontare bene le cose, a sé stesso e anche agli 
                  altri. 
                   
                  Anni dopo De André ha scritto Amico Fragile, 
                  una delle sue canzoni più importanti, durante una solenne 
                  ubriacatura. In effetti De André, che ha poi rinunciato 
                  a bere, a quanto pare, per mantenere una promessa fatta al padre 
                  sul letto di morte, diceva che l'alcol gli rompeva i freni inibitori 
                  consentendogli di esprimere a pieno la sua creatività. 
                  Tu hai avuto una simile esperienza con la droga? E non si potrebbe 
                  dire che un simile atteggiamento, da parte di una persona che 
                  aveva tanta presa fra i giovani, fosse potenzialmente pericoloso? 
                   
                   
                  Beh, effettivamente il rischio c'è. Comunque bisogna 
                  dire che ci sono delle differenze, su questo piano, fra le droghe 
                  pesanti e l'alcol. Perché le droghe pesanti tendono a 
                  implodere, quindi a non dare espansività, l'alcol al 
                  contrario te ne dà, quindi forse in questo senso De André 
                  utilizzava questo strumento, l'alcol, per potersi dare di più. 
                  È chiaro che il “pentimento” successivo nasce 
                  dalla consapevolezza che non è in quel modo che ci si 
                  dà agli altri nel modo giusto, perché l'alcol 
                  è semplicemente uno strumento, un ausilio che puoi avere, 
                  ma che è fuorviante per sé e per gli altri. Parlo 
                  a ragion veduta perché è un percorso che ho fatto. 
                  Dopo il decennio “dedicato” alle droghe pesanti 
                  ho affrontato anche il versante dell'alcolismo. Psicologi e 
                  sociologi abbinano le due sostanze in maniera manualistica, 
                  le consorziano: prima viene la droga pesante e poi si finisce 
                  nell'alcol e guardando le statistiche credo che sia abbastanza 
                  vero che ci sia questo collegamento fra le due cose. De André 
                  l'ha vissuto in prima persona questo problema. 
                  Non so se l'abbia risolto davvero grazie alla promessa fatta 
                  a suo padre. Forse l'ha risolto in realtà grazie a una 
                  promessa fatta a se stesso. Perché credo che fosse un 
                  rispetto che doveva a se stesso, da quel grande uomo di pensiero 
                  che era. Doveva uscirne per potersi poi dare meglio anche agli 
                  altri. 
                   
                  Dell'alcol De André disse anche che gli era servito 
                  per evadere una realtà che per lui rappresentava una 
                  dolorosa contraddizione, perché il mestiere con cui esprimeva 
                  la rivolta sociale lo faceva anche arricchire economicamente. 
                  Questa delle contraddizioni che ci capita di vivere fra quello 
                  che pensiamo e quello che siamo è una delle strade verso 
                  la droga? 
                   
                  Le contraddizioni spingono molto spesso a soluzioni di comodo: 
                  tacitiamo la coscienza in modo da non averci più a che 
                  fare. L'alcol euforizza, l'eroina e le droghe pesanti trattengono, 
                  la differenza è questa ma il risultato non cambia: ti 
                  alteri e alterandoti la coscienza viene “sistemata”. 
                  Promettere a se stessi di far rinascere questa coscienza è 
                  uno dei passi fondamentali del percorso di uscita dalla condizione 
                  di dipendenza. 
                   
                    Intrico 
                  fra droga,  criminalità e politica 
                   
                  Nel corso di tante interviste abbiamo messo assieme quasi 
                  involontariamente varie testimonianze sui contributi che Fabrizio, 
                  sommessamente, senza pubblicità, dava a varie cause. 
                  Emergency, l'Associazione per la pace, la stampa anarchica, 
                  la comunità di Don Gallo a Genova, il gruppo Lupo di 
                  Stefano Benni, il Comitato di Solidarietà che lavorara 
                  con i profughi durante la guerra in Yugoslavia e così 
                  via. Secondo te era anche questo un modo per riparare alla contraddizione 
                  di cui si parlava? 
                   
                  Ma non lo so, forse. Ma comunque per me è importante 
                  sottolineare che questo delinea la sua coscienza e sottolineare 
                  il fatto che lui manifestasse il suo aiuto in maniera non eclatante, 
                  pur facendo parte del mondo dello spettacolo. Fortunatamente 
                  Fabrizio era così e ben venga questo suo rimanere nell'ombra 
                  in quello che faceva per gli altri, perché è molto 
                  facile poi farsi della pubblicità con del falso buonismo. 
                  Magari, perché no, finanziava anche qualche comunità 
                  di recupero per tossicodipendenti, visto che era così 
                  sensibile a questo tema, quello delle dipendenze, che è 
                  molto importante per le sue conseguenze devastanti. 
                   
                  La droga è poi esplosa come problema sociale in Italia, 
                  come si diceva prima. Tra l'altro un libro recente, “Romanzo 
                  Criminale” di De Cataldo, ci fa capire quale intrico ci 
                  sia fra droga, criminalità e politica. Ne accennavi proprio 
                  tu all'inizio dell'intervista. De André però non 
                  è più tornato sull'argomento se si escludono brevi 
                  passaggi, come la “Pilar del mare” in Sally che 
                  si “addormentava il cuore con due gocce di eroina”. 
                  Anche il Cantico dei Drogati non ha fatto quasi mai parte delle 
                  scalette dei suoi concerti. Secondo te perché? Con Il 
                  Cantico aveva detto tutto quello che c'era da dire su questo 
                  argomento, oppure andavano meglio le canzoni di autori più 
                  giovani come “Lilly” di Venditti o “Silvia 
                  lo sai” di Carboni?  
                   
                  Io credo che De André avesse già detto tutto quello 
                  che c'era da dire in quel brano e lo aveva detto, secondo me, 
                  in maniera assai più convincente rispetto agli altri 
                  brani che hai citato, che sono brani un po' più epici, 
                  se vogliamo, romanzati. La crudezza del brano di De André, 
                  di cui dicevamo prima, è quella che alla fine mi risulta 
                  più vicina, esprime bene il mio modo di sentire le cose. 
                  Che poi non sia più tornato sull'argomento secondo me 
                  dipende dal fatto che lui stava dedicandosi ad altro e in fondo 
                  l'argomento l'aveva affrontato dicendo già allora quello 
                  che poi si è puntualmente verificato. Evidentemente non 
                  aveva ragione di tornarci e forse era il caso di affrontare 
                  altri argomenti più urgenti, più impellenti. 
                   
                  Hai scritto che il ritornello del Cantico Dei Drogati, il: 
                  “come farò a dire a mia madre che ho paura”, 
                  ascoltato un giorno a casa di un amico, è rimasto per 
                  te un tarlo fastidioso che ti risuonava nella testa. Già 
                  prima ci hai parlato delle tue paure ma, come mai questo tarlo 
                  ti risuonava?  
                   
                  Mi risuonava perché quando vivi quella condizione di 
                  tossicodipendenza, tutto quello che ti infastidisce rispetto 
                  al tuo percorso ti provoca rabbia, fastidio, e quindi lo vuoi 
                  assolutamente rimuovere. Però il tarlo resta, lavora 
                  dentro, perché la coscienza non la puoi cancellare più 
                  di tanto, e quindi quello restava e dentro di te ti dicevi: 
                  “fondamentalmente ha ragione, però adesso non ho 
                  tempo di pensarci, perché devo andare là, fare 
                  questo, quello...”. E la madre è il primo punto 
                  di riferimento, è un riferimento proprio ancestrale e 
                  credo che lui l'utilizzasse in quel senso. Non è che 
                  pensi come farai a dirlo agli amici o a un SerT3. 
                  A livello inconscio c'è questo richiamo ancestrale ed 
                  è alla mamma che ci si rivolge per chiedere aiuto. 
                   
                  La questione droga, l'abbiamo accennato, è ormai un 
                  problema mondiale con un intreccio di poteri forti, criminalità, 
                  interessi enormi, interi apparati statali complici. In questo 
                  quadro il Cantico dei Drogati secondo te, almeno a livello di 
                  testo, è invecchiato o resta sempre attuale? Potrebbe 
                  essere usato a livello educativo, di prevenzione? 
                   
                  Secondo me non è invecchiato e potrebbe essere usato 
                  a livello educativo, perché lui in questo testo ha descritto, 
                  ha raccolto tutti gli aspetti da prevenire. Pensiamo a quando 
                  dice: “mi citeranno di monito”, una frase che mi 
                  ha molto colpito. Credo che basti dire questo, perché 
                  la condizione che lui descrive, che vive: giocare a palla col 
                  proprio cervello, finire per essere emarginato socialmente senza 
                  più alcun tipo di aspirazione e di ispirazione, è 
                  una condizione assolutamente tragica dell'esistenza. E il fatto 
                  che lui sottolinei questo: “guardatemi, perché 
                  voglio esservi di monito”, rende questo brano ancora oggi 
                  unico e si può senz'altro utilizzarlo a livello educativo. 
                   
                    Il senso 
                  che possono avere  i brani di De André 
                   
                  Nella tua lettera a De André scrivi che avresti preferito 
                  telefonare piuttosto che affidare alla penna il tuo intervento. 
                  Ecco se adesso invece di essere al telefono con me fossi al 
                  telefono con Fabrizio che cosa ti piacerebbe dirgli?  
                   
                  Mah, gli direi: “Caro Fabrizio, quello che ti ho scritto 
                  è nato dall'immediatezza, è una cosa che tenevo 
                  dentro per me, che cercavo di risolvere. Perché già 
                  allora tu avevi descritto così bene la mia condizione”. 
                  In realtà mi sarebbe piaciuto conoscerlo e magari non 
                  solo avere un rapporto dal punto di vista umano ma anche professionale, 
                  perché faceva delle cose che tuttora mi interessano, 
                  il modo stesso con cui esplorava non solo il mondo della parola 
                  ma anche il mondo dei suoni, era per me interessantissimo, tanto 
                  che lo sto riascoltando tuttora con grande interesse. Quindi 
                  probabilmente, al di là dei temi tragici della vita, 
                  poteva anche esserci uno scambio di opinioni, di percorsi, di 
                  cammino. 
                  Penso a quello che Luigi Nono4 
                  scriveva nel titolo di una sua composizione che più o 
                  meno suonava così: “caminante, no hay caminos, 
                  hay que caminar” . Ovvero chi cerca l'altro non ha una 
                  strada precisa da seguire, deve solo camminare. Io penso che 
                  probabilmente ci saremmo incontrati su questo terreno del cammino. 
                   
                  Visto che hai appena raccontato che stai riascoltando 
                  l'opera di De André, a parte il Cantico dei Drogati, 
                  quali sono le sue cose che ti hanno colpito di più? 
                   
                  Io apprezzo soprattutto l'aspetto musicale e da quel punto di 
                  vista mi piace soprattutto la produzione da Creuza de ma in 
                  poi, perché mi piacciono le soluzioni che ha trovato 
                  con Pagani nel fare quel disco che resta per me un grandissimo 
                  lavoro. Se però guardiamo ai testi, proprio in questi 
                  giorni stavo riguardando il brano: “Coda di Lupo”, 
                  che mi richiama agli anni che stavo raccontando prima, gli anni 
                  settanta, gli anni di un movimento che si è concluso, 
                  che ha gettato dei semi senz'altro, perché sono tuttora 
                  evidenti i germogli degli anni Settanta, si vedono anche adesso, 
                  ma che comunque si è concluso. Ebbene rileggendo il testo 
                  di Coda di Lupo trovo che possa fare il paio con il Cantico 
                  dei drogati, anche se è stato scritto a dieci anni di 
                  distanza. Il fatto di rievocare quel clima, quegli anni, utilizzando 
                  certe immagini, come per esempio quella di Lama fischiato a 
                  Roma, questo lo trovo interessante, tuttora molto importante5. 
                  Un brano così mi dà il senso che possono avere 
                  i brani di De André non solo nel rileggere il passato 
                  ma anche nell'analizzare quello che abbiamo adesso davanti e 
                  mi rendo conto di quanto fosse premonitore nel suo modo di affrontare 
                  le questioni politiche e sociali. 
                   
                  Renzo Sabatini 
                Note
 
                  -  Lo psicologo e scrittore americano (1920-1996) promotore 
                    dell'uso delle droghe psichedeliche a fini terapeutici. 
                  
 -  Si riferisce probabilmente al cantautore italo 
                  brasiliano Alberto Camerini.
                  
 -  SerT: Servizio Tossicodipendenze, nell'ambito del 
                  Servizio Sanitario Nazionale.
                  
 -  Luigi Nono (Venezia, 1924-1990): musicista, 
                  compositore, ricercatore musicale.
 
                  Aveva musicato questi versi del poeta sivigliano Antonio Machado.
                   -  Si riferisce al verso: “Capelli Corti generale 
                  ci parlò all'università dei fratelli Tute Blu 
                  che seppellirono le asce / ma non fumammo con lui, non era venuto 
                  in pace”. Luciano Lama (1921-1996), all'epoca 
                  Segretario Nazionale della CGIL, fu contestato a Roma dagli 
                  studenti, il 16 febbraio 1977.
  
                (intervista realizzata via telefono il 09.05.2005. 
                  Registrata presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. 
                  Andata in onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In Direzione Ostinata e contraria“, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André) 
                 
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista prosegue la pubblicazione su “A” 
                        di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche 
                        realizzate da Renzo Sabatini e andate 
                        in onda in Australia nel programma “In direzione 
                        ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia 
                        fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si 
                        è trattato di sessanta puntate (ciascuna della 
                        durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 
                        40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state 
                        trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni 
                        di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più 
                        lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al 
                        cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012). 
                        
                        la redazione di “A” | 
                   
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