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 pedagogia libertaria. 2  
Mensa scolastica e autonomia  
di Giulio Spiazzi  
 
Anche il momento del pasto (& dintorni) può essere un'occasione per vivere e riflettere su un modo diverso di stare a scuola. 
L'esperienza concreta della scuola Kiskanu di Verona. 
                 
                   
                  “Lo sai perché il 
                  mare è salato?”, Kevin, smarrito, di fronte ad 
                  una simile domanda posta da Dimitri, lo guarda masticando a 
                  bocca aperta un raviolo nel tentativo di leggere le intenzioni 
                  dell'amico. Poi, lentamente, molla la presa sulla questione 
                  e si lascia condurre ipnotizzato nella risposta rapida di Dimitri 
                  “Ho visto in Sardegna che ci sono degli uomini che ogni 
                  giorno vanno nelle immediate vicinanze della riva e versano 
                  carriole e carriole di sale nei campi...” “Ah, sì?” 
                  accenna Kevin incredulo, “...eh, e poi?” con sempre 
                  maggiore attenzione, “...e poi questi uomini, dopo aver 
                  steso il sale per tutti i loro terreni, si ritirano verso l'interno 
                  e aspettano in tranquillità che l'alta marea arrivi. 
                  Durante la notte, le onde invadono le spiagge, entrano nei poderi 
                  e si prendono il sale. Ecco perché le acque del mare 
                  sono così salate!”. Kevin annuisce soddisfatto 
                  e ritorna a masticare rumorosamente. Alla mensa del kiskanu, 
                  una piccola realtà educativa libertaria di Verona, molti 
                  bambini e ragazzi trovano quotidianamente la possibilità 
                  di dar voce alle loro visioni delle cose del mondo, nel corso 
                  d' un momento conviviale che è anche un proseguo dialettico 
                  ed esperienziale delle attività mattutine. 
                  Il clima di gioioso convitto tra partecipanti di ogni fascia 
                  d'età (compresa tra i sei e i tredici anni, ovvero il 
                  ciclo delle scuole elementari e delle secondarie di primo grado 
                  o “vecchie medie”) al cammino autogestito per una 
                  auto-educazione è sereno e vivace, ricco di situazioni 
                  ilari e “fuori dalle righe”, come spesso non si 
                  vorrebbe fosse una mensa all'interno di luoghi istituzionali 
                  ove è richiesto religioso silenzio e “ordine a 
                  crocette” [secondo le testimonianze di ragazzi che ci 
                  sono passati]. Elia, Sofia, Manuel, Nicolas, dopo aver disposto 
                  le tovaglie sui tavoli, riprendono brevemente i loro girotondi 
                  di bambini di “classe prima” andando a rifugiarsi 
                  velocemente tra le gambe e le braccia di Alexandra, Filippo 
                  o Camilla, ragazzi delle medie intenti a discutere la teoria 
                  “provata” di Dimitri, circa l'acqua salata del mare. 
                  Nel bel mezzo di forchette, qualche coltello, bicchieri e piatti 
                  disposti a turno dai componenti dell'assemblea libatoria, nominatisi 
                  “responsabili”, c'è sempre qualcuno che s'aggira 
                  con una scopa e una paletta in mano o con una spugna secca, 
                  pronto a raccogliere l'inevitabile contenuto di qualche bicchiere 
                  rovesciato. Ma non è sempre così, alle volte è 
                  l'esatto contrario e tutto sembra essere in bilico di realizzazione 
                  fino a quando lo stomaco non decide che è meglio organizzare 
                  qualcosa di collettivo per poter soddisfare un bisogno primario, 
                  quello dell'assunzione del cibo. Nessun assalto alla mensa dunque, 
                  se prima non la si imbandisce. Nessuna riflessione sui più 
                  svariati argomenti del giorno o sui massimi sistemi della natura 
                  e del cosmo, se prima non ci si riesce a mettere assieme di 
                  fronte ad un piatto portato da casa o richiesto ai canali flessibili 
                  della “scuola”. 
                  
                  Esperienza 
                  complessa non direttiva 
                 Quel che conta ora è organizzare materialmente 
                  un momento collettivo funzionale nel quale ci si possa ritrovare 
                  per poter pranzare con serenità. E poco importa se oggi 
                  tocca a me e domani a te a portare i piatti in cucina, a riempire 
                  e a svuotare le brocche d'acqua (cosa tra l'altro divertentissima 
                  quando c'è caldo e ci si può far nascere da esse 
                  qualche scherzo “bagnato”), a sbattere le tovaglie 
                  e a dar le briciole ai “poveri pettirossi infreddoliti”, 
                  l'importante è che tutti ci mettano del proprio, compresi 
                  gli accompagnatori, tristemente condannati all'unanimità 
                  a lavare i piatti. Così, vive nella ricerca dell'autonomia, 
                  anche in situazioni generalmente non contemplate come “didattiche” 
                  o “educative” come la mensa scolastica, una micro-comunità 
                  d'intenti, creata dal desiderio di bambini e ragazzi sette anni 
                  or sono, con l'orizzonte dichiarato di far crescere un assieme 
                  di volenterosi, sul bisogno (quotidianamente conquistato al 
                  pari del pane), di una educazione che possa essere in grado 
                  d'esprimere un reale interesse allo studio, un'autentica ricerca 
                  all'auto-costruzione di un cammino di autoapprendimento costante 
                  (otto anni di ciclo), una necessità di saper vivere a 
                  stretto contatto con gli altri, attraverso esperimenti di modalità 
                  conviviali non autoritarie, in un ambiente di “pari nelle 
                  differenze”, che non è mai dato ma che continua 
                  ad essere reinventato, ridiscusso, riorganizzato a seconda degli 
                  imprevisti di percorso. Il caso della condivisione del cibo, 
                  che attualmente a molti potrebbe sembrare marginale, quando 
                  si pontifica di scuola, di materie, di risultati, di esami, 
                  di promozioni o bocciature, torna invece come riferimento irrinunciabile 
                  quando si parla di pratica libertaria, di vissuto concreto e 
                  costante di un percorso educativo che vuole fare i conti con 
                  la persona, col gruppo di lavoro, con l'organizzazione fattuale 
                  d'una esperienza complessa non direttiva e il più possibile 
                  non adulto-centrica. 
                   
                 
                  
                 
                  La 
                  piena libertà di esprimere pensieri 
                 Ed è proprio dalle situazioni in cui l'organismo dei 
                  bambini e dei ragazzi si esprime elasticamente e con successo, 
                  nella gestione delle problematiche basilari di sopravvivenza 
                  della loro realtà in costruzione, che cose quali lo spazio 
                  del gioco, il trasporto mattutino, gli oggetti casuali che possono 
                  diventare fonte di tante ispirazioni (mercatini improvvisati, 
                  tipografie e zecche per foglie, semi, radici e pezzi di legno 
                  raccolti, sistemi idrici nati da canalette scavate nel fango 
                  o dagli scoli irregolari delle grondaie e così via) o 
                  appunto la mensa, che l'azione libertaria non più prona 
                  alla forza della teoria pura, fa fiorire la fantasia della vita, 
                  nelle semplici cose che rendono effettivamente autentico un 
                  cammino. Nelle esperienze educative di questo tipo, il bambino 
                  (chiaramente o/a) e il ragazzo, crea non solo le premesse ma 
                  anche un vero e proprio corpo di sapere che si da' leggi da 
                  se', in grado di sostenere l'urto del tempo, degli ambienti 
                  conformati, degli insegnamenti trascendenti e delle istituzioni 
                  “preposte” con i quali inevitabilmente prima o poi 
                  dovrà fare i conti. In quest'ottica, è sempre 
                  bello ascoltare da chi oggi frequenta i cicli delle superiori, 
                  come quel contatto diretto tra coetanei ed accompagnatori, nato 
                  dalle piccole-grandi cose vissute in piena intensità, 
                  durante l'auto-crescita nella realtà di studio libertaria, 
                  abbia lasciato un segno difficilmente cancellabile, un tratto 
                  che è motivo d'indomita volontà di “reggersi 
                  sulle proprie gambe” in ogni circostanza [di questo ne 
                  parleremo in altri interventi – n.d.a.] favorevole o avversa. 
                  La piena libertà d'esprimere pensieri, di fare progetti 
                  anche effimeri, di creare informazioni e dati non necessariamente 
                  “scientifici”, di sbagliare, di costruire situazioni, 
                  oggetti, strutture fisiche o mentali barcollanti e temporanee,, 
                  è l'esercizio primo di ogni presente e futura conoscenza 
                  maturata sul terreno della consapevolezza del fare e dell'autonomia 
                  del pensare. Ed è così che anche Kevin, dopo aver 
                  ben meditato la propria digestione, con serafica calma ha ribattuto 
                  a Dimitri: “...ma se nel mondo c'è più acqua 
                  che terra, come fa' ad essere tanto salato l'oceano?” 
                  e Dimitri: “beh,...per il momento non ci sono ancora abbastanza 
                  uomini che fanno quel lavoro e i campi a disposizione sono quello 
                  che sono...comunque dai, andiamo fuori che si gioca a pallone!” 
                   
                  Giulio Spiazzi 
                  giuliospiazzi@gmail.com 
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