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 in direzione ostinata 
                  e contraria 
                 
Si fa, ma non si dice  
Intervista a Franco Grillini 
di Renzo Sabatini  
 
È questa la regola-base dell'ipocrisia italica, anche in tema di sessualità e omosessualità. 
In quest'intervista del 2005 il presidente onorario dell'ARCI-Gay parla anche del ruolo possibile degli artisti. 
A partire da Fabrizio De André e Francesco Guccini. 
                 
                  Lei è attivo da molti anni nel movimento per i diritti 
                  civili degli omosessuali, è il presidente onorario di 
                  ArciGay e nel 2001 è stato eletto parlamentare con i 
                  Democratici della Sinistra. Quindi con lei si fondono impegno 
                  politico e sociale. Potrebbe farci un autoritratto di Franco 
                  Grillini?  
                   
                  Ho appena compiuto cinquant'anni, trentacinque dei quali dedicati 
                  al'impegno politico, cominciato con le battaglie nel movimento 
                  studentesco e proseguito con la militanza nel Partito di Unità 
                  Proletaria, un piccolo partito della sinistra che si è 
                  poi sciolto nel 1984. La militanza omosessuale è cominciata 
                  nel 1982, l'anno del mio “coming out”. Dal 1982 
                  in poi è stato un crescendo di iniziative, di lotte, 
                  di battaglie, di presenze nella vita politica italiana: nel 
                  1985, assieme ad altri, abbiamo fondato l'ArciGay nazionale; 
                  nel 1987 abbiamo dato vita alla Lega Italiana per la Lotta Contro 
                  l'AIDS; nel 1997 abbiamo fondato la Lega Italiana Famiglie di 
                  Fatto, che è l'associazione delle famiglie omosessuali 
                  ed eterosessuali, volta ad ottenere la legge che riconosca anche 
                  in Italia i diritti delle coppie non sposate. Sono stato per 
                  tre volte consigliere provinciale a Bologna. Come Deputato sono 
                  membro della Commissione Giustizia, dentro cui mi sono occupato 
                  di tante cose, per esempio la legge sulla prostituzione, un 
                  provvedimento molto repressivo e restrittivo proposto dal Governo, 
                  cui mi sono opposto fieramente, tanto che alla fine la legge 
                  non è passata. Ovviamente anche come parlamentare mi 
                  sto occupando della legge per il riconoscimento delle coppie 
                  di fatto, che spero sia approvata entro la fine della legislatura. 
                 Potrebbe presentare anche l'attività di ArciGay? 
                  Che obiettivi si propone, che attività svolge, quanta 
                  gente coinvolge? 
                   
                  ArciGay è l'organizzazione nazionale degli omosessuali 
                  ed ha più di 200 circoli sparsi su tutto il territorio 
                  nazionale, da Aosta fino a Palermo. Ha più di 100.000 
                  iscritti quindi, forse, è la maggiore organizzazione 
                  gay europea. Siamo anche l'unica organizzazione gay al mondo 
                  che ha una tessera elettronica che i soci usano per entrare 
                  nei circoli e nei locali gestiti da ArciGay. Sembra una frivolezza 
                  ma in realtà è un modo per garantire la sicurezza 
                  dei soci, garantire una certa privacy e fare in modo che nei 
                  locali frequentati dai gay non entrino dei malintenzionati. 
                  È un'associazione molto vivace che ha costruito una presenza 
                  gay in tutte le città ed è stata protagonista 
                  di tutti i “Gay Pride” dal 1994 ad oggi, alcuni 
                  dei quali sono stati molto rilevanti, basti pensare al “World 
                  Pride” di Roma fatto nel 2000, anno del giubileo, con 
                  mezzo milione di persone; e poi i “Gay Pride” di 
                  Padova e Bari che hanno inciso profondamente sulla realtà 
                  locale. 
                  Il “Gay Pride” di Bari, del 2003, è considerato 
                  il momento di inizio della “primavera pugliese” 
                  che ha portato Nichi Vendola a diventare Presidente della giunta 
                  regionale. Quella è stata la prima volta in Italia in 
                  cui un omosessuale dichiarato ha vinto un'elezione popolare, 
                  per di più in una regione molto popolosa di quel sud 
                  italiano considerato molto “machista” e molto maschilista. 
                  Quindi una specie di rivoluzione culturale che qualcuno ha paragonato 
                  alla vittoria che ci fu un tempo nel referendum sul divorzio. 
                   
                  Tra l'altro Vendola ha vinto a dispetto di una campagna che 
                  tentava di screditarlo proprio per la sua dichiarata omosessualità. 
                   
                  È stata una campagna di fango e di insulti, addirittura 
                  con volantinaggi nelle chiese. Una campagna molto sporca e molto 
                  brutta che però gli elettori non hanno gradito, tanto 
                  che molti elettori di centrodestra hanno scelto il voto disgiunto, 
                  votando per il loro partito ma anche per Vendola, probabilmente 
                  per protesta contro questo atteggiamento assurdo, di una destra 
                  che non capisce che persino l'Italia è cambiata e si 
                  pone ormai su standard di modernità, apertura e laicità 
                  a livello degli altri Paesi europei. 
                
                   
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                    Franco 
                        Grillini. Esponente 
                        “storico” delle lotte per i diritti civili 
                        e in particolare degli omosessuali, 
                        attualmente Grillini è nell'Italia 
                        dei Valori, consigliere regionale in  
                        Emilia-Romagna, presidente della 
                        Commissione Politiche economiche  
                        della regione, responsabile 
                        nazionale diritti civili e 
                        associazionismo Idv, presidente 
                        di Gaynet (associazione di 
                        giornalisti gay) e direttore 
                        di Gaynews.it  | 
                   
                 
                  Andrea, 
                  una canzone bellissima 
                 Passando a Fabrizio De André, nell'album “Rimini” 
                  del 1978, scritto con Massimo Bubola, è inserita la canzone 
                  “Andrea”, il cui protagonista è un omosessuale. 
                  De André disse poi che si trattava di una canzone scritta 
                  proprio PER gli omosessuali. Lei come reagì quando uscì 
                  questa canzone? 
                   
                  Fu una sorpresa molto forte. De André ha fatto parte 
                  della colonna sonora della mia vita e quando uscì questa 
                  canzone provai un grande sentimento di gratitudine, anche perché 
                  quando un cantante così importante e stimato, uno che 
                  ha una grossa influenza sulle giovani generazioni, fa una canzone 
                  di questo tipo, da una grossa mano a chi, come noi, si batte 
                  nella società per cambiare la cultura. Perché 
                  il pregiudizio contro gli omosessuali vive soprattutto come 
                  pregiudizio culturale. Anche se riusciamo a portare a casa quelle 
                  leggi che ancora non abbiamo, contro le discriminazioni o per 
                  il riconoscimento delle coppie di fatto, se però non 
                  cambiamo anche la testa della gente, la cultura, evidentemente 
                  le leggi non servono a un granché. Queste canzoni invece 
                  incidono profondamente su un sentimento, richiamano al dovere 
                  di solidarietà e di comprensione della diversità, 
                  alla tolleranza e quindi hanno un ruolo molto grande. Per di 
                  più Andrea è anche una canzone bellissima. 
                   
                  Nel 1991 De André presentava questa canzone in modo 
                  molto esplicito, dedicandola ai “Figli della luna”, 
                  come Platone chiamava gli omosessuali. La cantava a luci accese 
                  per dire che ognuno doveva poter essere semplicemente se stesso, 
                  senza doversene vergognare. C'è stata una reazione da 
                  parte sua e della comunità omosessuale ad un atteggiamento 
                  così esplicito da parte di un artista così famoso 
                  e così amato? 
                   
                  Certo! Ricordo che facemmo un comunicato stampa e ci ripromettemmo 
                  anche di incontrare De André per ringraziarlo, cosa che 
                  purtroppo poi non è accaduta. Invitammo tutti ad andare 
                  ai concerti e ad applaudire in modo particolare questo momento. 
                  Tra l'altro proprio in quegli anni (e forse, chissà, 
                  è proprio questa l'origine dell'iniziativa di De André) 
                  noi abbiamo avuto in Italia un picco di violenze contro gli 
                  omosessuali. C'era una violenza fortissima contro gli omosessuali 
                  in quel periodo, con omicidi a Roma, Milano e in alcune città 
                  italiane del sud. Era una violenza brutale, perché molti 
                  omosessuali venivano trovati con la testa fracassata, uccisi 
                  in modo barbaro. Violenza che si sommava alla violenza sommersa, 
                  quella nei luoghi di lavoro, negli ambienti familiari, coi ragazzi 
                  cacciati di casa. 
                  Era un fenomeno così forte che molti artisti, tra cui 
                  De André, decisero di dare un contributo alla campagna 
                  contro la violenza sugli omosessuali, attraverso un impegno 
                  artistico che è stato veramente molto importante, perché 
                  dagli anni novanta ad oggi le cose sono radicalmente cambiate 
                  in questo paese, tanto è vero che io sono stato eletto 
                  in Parlamento, Nichi Vendola è diventato Presidente regionale, 
                  molti nostri soci sono diventati consiglieri comunali e provinciali 
                  e c'è un'attenzione verso la questione omosessuale, in 
                  Italia, che mai c'era stata prima di allora. 
                   
                  Quindi il fatto che a parlare di omosessualità fosse 
                  in questo caso una persona non omosessuale non ha rappresentato 
                  un problema. La comunità omosessuale non s'è sentita 
                  “usata” per essere finita nell'album di un famoso 
                  cantautore senza nemmeno essere stata consultata? 
                   
                  Assolutamente no. Noi valutiamo positivamente tutte quelle iniziative, 
                  anche spontanee, che pongono il tema della lotta al pregiudizio. 
                  Non ci interessa che a promuoverle siano omosessuali o meno. 
                  In questo mondo gli omosessuali sono discriminati, purtroppo 
                  ancora oggi in molti paesi è prevista addirittura la 
                  condanna a morte per gli omosessuali. 
                  Proprio in questi giorni stiamo raccogliendo firme di solidarietà 
                  per trentacinque omosessuali sauditi che verranno sottoposti 
                  al supplizio delle frustate per aver partecipato ad una festa 
                  privata che aveva al centro i festeggiamenti per una coppia 
                  di due omosessuali che stanno assieme da tanto tempo, in Arabia 
                  Saudita. Insomma, nel mondo c'è ancora tanta violenza, 
                  ce n'è anche in Italia, quindi ben vengano tutte quelle 
                  iniziative anche spontanee, soprattutto quelle di artisti popolari 
                  che decidono di inserire nella loro produzione artistica una 
                  parte che riguarda anche la lotta a un pregiudizio che è 
                  ancora molto forte e produce molti danni e molta sofferenza. 
                   
                  Andrea è un testo delicato, quasi una fiaba. Come 
                  in tante altre occasioni De André racconta senza dare 
                  giudizi. Sul protagonista si abbatte la tragedia della guerra, 
                  che uccide il suo amore e lo spinge al suicidio. Quindi, in 
                  fondo, è anche una canzone contro la guerra. Secondo 
                  lei qui De André ha colto nel segno? È una canzone 
                  nella quale si è ritrovato o avrebbe preferito un testo 
                  più esplicitamente militante? 
                   
                  Personalmente sono sempre stato un nonviolento, ho sempre detestato 
                  l'uso delle armi e le guerre di qualsiasi tipo. Mi viene in 
                  mente un episodio della guerra in Iraq: un soldato americano 
                  che ha sparato a un iracheno con cui aveva avuto un rapporto 
                  sessuale, evidentemente assalito dal senso di colpa. Da un gesto 
                  d'amore è nata una tragedia! La riflessione sulla guerra 
                  ci porta a fare un ragionamento in fondo molto semplice: la 
                  guerra uccide l'amore, uccide le relazioni fra le persone, uccide 
                  i diritti, perché quando c'è la guerra non esiste 
                  altro linguaggio che quello della violenza e delle armi. Allora 
                  non c'è dubbio che un'idea di libertà e di società 
                  aperta e tollerante prima di tutto esclude la guerra. 
                 
                  Un 
                  fatto rilevante 
                 Allargando il discorso alla comunità gay italiana, 
                  questa canzone secondo lei ha lasciato un segno, è una 
                  canzone nella quale la comunità si è sentita in 
                  qualche modo rappresentata, rispettata, compresa? Ha retto nel 
                  tempo? O magari non se n'è proprio parlato? 
                   
                  Non se n'è parlato molto. Tutte le volte che qualcuno 
                  ha deciso di fare una “compilation” sul tema dell'omosessualità 
                  ovviamente c'è un posto d'onore per Andrea. È 
                  una canzone che ha lasciato un segno perché tutte le 
                  volte che si è parlato di questi temi con altri artisti 
                  noi abbiamo sempre citato ad esempio la canzone di De André. 
                  Andrea ha lasciato un segno e soprattutto ha lasciato un esempio: 
                  quando si parla di contenuti della produzione artistica, voi 
                  sapete bene che ogni tanto c'è qualcuno che storce il 
                  naso e dice che non è tanto importante se un pezzo d'arte 
                  abbia un contenuto di un certo tipo, l'importante è che 
                  la musica sia bella, che la poesia sia bella, che poi dica una 
                  cosa o un'altra non ha importanza. 
                  Io credo invece che il contenuto di una qualsiasi opera d'arte, 
                  canzone, poesia, quadro, scultura, romanzo, sia veramente importante, 
                  perché nella dialettica tra forma e contenuto è 
                  ovvio che quest'ultimo ha una parte rilevante perché 
                  parla alla gente, parla alle intelligenze, parla ai cuori e 
                  può lasciare un segno profondo. Proprio come ha lasciato 
                  un segno profondo questa canzone, che è un esempio che 
                  noi additiamo e diciamo: “se l'ha fatta De André 
                  la possono fare anche altri”. De André è 
                  stato capace di questo gesto straordinario, delicato, un gesto 
                  d'amore in definitiva, magari per un amico che lui ha conosciuto, 
                  un amico che ha avuto dei problemi. Non conosciamo i motivi 
                  che hanno spinto De André a scrivere questa poesia ma 
                  non c'è dubbio che è stato un fatto rilevante. 
                   
                  Poco fa ci ha raccontato che questo atteggiamento di De André 
                  vi ha molto aiutato come movimento. In relazione al discorso 
                  che lei ci ha appena fatto, sul rapporto fra forma e contenuto, 
                  noi ci chiediamo a volte quanto davvero servano le canzoni a 
                  far cambiare idea alla gente. Le è capitato, concretamente, 
                  di conoscere qualcuno che ha modificato un atteggiamento di 
                  pregiudizio perché proprio questa poesia, questa canzone, 
                  l'aveva convinto?  
                   
                  Beh, certo! I concerti furono molto partecipati, c'erano decine 
                  di migliaia di persone, i palasport erano pieni, le sale erano 
                  piene e moltissimi ci telefonarono emozionati, perché 
                  quando si accendevano le luci e la canzone veniva cantata con 
                  la grande attenzione di tutti, beh, questo ha inciso profondamente 
                  su molte persone che partecipavano a quei concerti, perché 
                  non dimentichiamo che il pregiudizio non alberga solo nella 
                  parte del paese ultraconservatrice o ultrareligiosa. Troviamo 
                  il pregiudizio alle volte anche tra i giovani o in area progressista. 
                  Ma anche per gli stessi omosessuali che parteciparono a quei 
                  concerti, sentire parlare esplicitamente il cantante amato che 
                  con coraggio faceva un discorso di apertura e di tolleranza, 
                  ma anche un discorso di impegno perché fare quel gesto 
                  significava chiamare gli ascoltatori ad un impegno concreto, 
                  non semplicemente ad una testimonianza, ebbene questo ha cambiato 
                  le vite di molte persone e ha consentito a molti di ragionare 
                  su questo tema e a loro volta trasformarsi in persone che lottano 
                  contro i pregiudizi. Diciamo che ha avuto un effetto positivo 
                  a cascata, che ha lasciato un segno profondo in molte persone. 
                  Recentemente ho incontrato un omosessuale che mi ha raccontato 
                  che proprio da quel giorno, da quando ha sentito quella canzone, 
                  da quando partecipò a quel concerto, decise di buttare 
                  all'aria le sue paure e di vivere la sua vita alla luce del 
                  sole. 
                   
                  È un'informazione che avrebbe fatto sicuramente piacere 
                  a De André! La canzone di cui stiamo parlando è 
                  ambientata ai tempi della guerra 15/18. Andrea è un “contadino 
                  del regno” e il suo uomo muore in battaglia sui monti 
                  di Trento. Secondo lei perché De André ha scelto 
                  di ambientare questa storia un po' nel passato? Non avrebbe 
                  potuto scegliere il suo tempo, come ha fatto con le prostitute 
                  di Via del Campo, il transessuale Princesa o i Rom di Khorakhané? 
                   
                   
                  Probabilmente la ragione sta nel fatto che la Prima Guerra Mondiale 
                  fu una guerra brutale, come tutte le guerre, non è che 
                  esista una guerra che non sia brutale, ma quella fu particolarmente 
                  brutale, sconvolse il paese e lo trasformò profondamente. 
                  Ci furono le decimazioni, morirono centinaia di migliaia di 
                  persone. Quindi, forse, ambientarla lì voleva dire parlare 
                  non solo di una guerra da molti dimenticata ma anche parlare 
                  di un periodo storico del nostro paese nel quale esistevano 
                  molte problematiche, molte pulsioni, tra cui anche quella omosessuale. 
                  Oggi quando gli storici parlano di omosessualità si riferiscono 
                  sempre agli ultimi trent'anni della storia di ogni paese. O 
                  al massimo gli anni che vanno dalla rivolta di Stonewall, accaduta 
                  il 28 giugno 1969, quando in un bar di New York ci fu la ribellione 
                  contro i soprusi della polizia e da quella data parte l'idea 
                  e la sostanza di un movimento omosessuale moderno ed è 
                  una data che è diventata simbolo internazionale della 
                  ribellione dei gay e delle lesbiche di tutto il mondo, quando 
                  si celebra il Gay Pride. Però c'era una storia omosessuale 
                  anche prima. 
                  L'omosessualità esiste da quando esiste l'umanità 
                  ed ha prodotto straordinari esempi di amori che si sono poi 
                  riflettuti nell'arte. Pensiamo per esempio al “Simposio” 
                  di Platone, dove si dice quella frase straordinariamente bella: 
                  “il potere ha sempre paura dell'amicizia fra le persone”, 
                  perché gli amori, le amicizie, i sentimenti forti sono 
                  profondamente conflittuali con il potere. Quindi ambientare 
                  una canzone come questa all'epoca della Prima Guerra Mondiale 
                  a mio parere ha voluto ricordare che la questione omosessuale 
                  esiste da sempre nella memoria collettiva e nella storia dell'umanità 
                  e, per quanto riguarda la guerra, è profondamente connaturata 
                  con il sentimento pacifista, perché non c'è un 
                  amore che possa esistere dentro una guerra, infatti poi il compagno 
                  di Andrea muore, a dimostrazione che le guerre sono profondamente 
                  in contraddizione con ogni sentimento umano. 
                 
                  Pasolini, 
                  una morte emblematica 
                 Nel caso di Khorakhané, la canzone dedicata ai Rom, 
                  ci è stato raccontato da amici di De André che 
                  lui prima di scrivere questo testo ha lungamente e puntigliosamente 
                  studiato la storia dei Rom e li ha anche frequentati per capire 
                  a fondo la loro cultura. In genere è noto che De André 
                  parlava di emarginazione a partire da una conoscenza profonda 
                  e diretta. Ascoltando Andrea lei ha la stessa sensazione anche 
                  per quanto riguarda le persone omosessuali? 
                   
                  Per quanto riguarda gli zingari va ricordato che furono tra 
                  coloro che vennero sterminati nei campi di concentramento nazisti. 
                  Tra l'altro si tratta di un sterminio poco ricordato nelle celebrazioni 
                  ufficiali, ma furono diverse decine di migliaia i Rom rastrellati 
                  in tutta Europa, trascinati nei campi di sterminio e ammazzati 
                  semplicemente perché erano Rom. Spesso la storia ritorna 
                  nell'immaginario collettivo e si trasforma in produzione artistica, 
                  in canzoni, che nel caso di De André sono anche straordinariamente 
                  belle. 
                  Per quanto riguarda Andrea, secondo me De André ha scritto 
                  questa canzone perché l'ha voluta dedicare a qualcuno, 
                  probabilmente un caro amico, che magari in quel momento non 
                  c'era più, del quale ne conosceva profondamente la sofferenza 
                  e le vicissitudini. Generalmente un artista, quando scrive una 
                  canzone come questa, lo fa perché è profondamente 
                  coinvolto anche sul piano personale. 
                   
                  Nel 1980 Fabrizio De André e Massimo Bubola hanno 
                  scritto “Una storia sbagliata”, dedicata ad un omosessuale 
                  per così dire eccellente, Pier Paolo Pasolini. Dice De 
                  André di questa canzone: “La morte di Pasolini 
                  fu un grave lutto per noi, come se ci fosse mancato un parente 
                  stretto. Un aspetto tragico che abbiamo voluto sottolineare 
                  è quello legato a una moda, purtroppo ancora corrente, 
                  che si ricollega al clima di ignoranza e di caccia al diverso. 
                  E cioè il fatto che della morte di un grande uomo di 
                  pensiero si sia fatta praticamente carne di porco da sbattere 
                  sul banco di macelleria dei settimanali spazzatura e non solo 
                  di quelli”. Una presa di posizione molto netta. È 
                  cambiato qualcosa rispetto al clima descritto dall'artista genovese? 
                   
                  Pasolini fu ucciso nella notte fra il primo e il due novembre 
                  1975 e con Pasolini l'Italia ha perso forse il più autorevole 
                  degli intellettuali e scrittori del Novecento. Quella morte 
                  fu scioccante anche per come avvenne, perché Pasolini 
                  fu letteralmente massacrato e fu una morte emblematica di tutte 
                  le violenze che gli omosessuali subiscono nella nostra società. 
                  Quella morte rappresenta anche uno dei fatti oscuri della vita 
                  italiana degli anni Settanta. 
                  Gli anni Settanta sono un buco nero nella storia di questo paese; 
                  sembra che non si riesca mai ad avere la verità definitiva 
                  su quello che successe in Italia in quegli anni: sul terrorismo, 
                  la violenza, le stragi. Anche l'omicidio Pasolini è rimasto 
                  inspiegato, una vicenda infinita. L'autore presunto adesso nega, 
                  affermando di essere stato vittima di un complotto. Ma non c'è 
                  dubbio che anche Pasolini a suo tempo fu vittima del pregiudizio. 
                  Le frasi che abbiamo sentito riportate dal presunto omicida, 
                  che racconta che quelli che lo massacravano gli gridavano: “sporco 
                  frocio” e cose simili, sono frasi molto significative 
                  del clima di quel tempo. Perché bisogna tener presente 
                  che il pregiudizio, gli stereotipi che lo alimentano, il rifiuto 
                  e l'odio della diversità, sono tutte cose che producono 
                  violenza, sofferenza, morte. 
                  Questi pregiudizi, purtroppo, sono ancora molto diffusi. Meno 
                  diffusi del 1975, quando fu ucciso Pasolini, perché all'epoca 
                  il pregiudizio era quasi istituzionalizzato, ma ancora sono 
                  molto forti e producono ancora molta sofferenza. 
                 
                  L'ipocrisia 
                  italica del “si fa ma non si dice” 
                 Su questo tema abbiamo intervistato lo scrittore Stefano 
                  Benni. Lui ci ha detto che le canzoni di De André, proprio 
                  perché raccontano senza giudicare, sono “un antidoto 
                  contro tutti i razzismi”. Lei come la pensa, concorda 
                  con Benni?  
                   
                  Assolutamente sì! Anche perché la musica, che 
                  entra profondamente nella mente e parla all'anima di ciascuno 
                  di noi, quando veicola messaggi, nel caso di De André 
                  in modo poeticamente così elevato, tocca nel profondo 
                  le corde più nascoste di ciascuno di noi e incide profondamente. 
                  In questo periodo in Italia non accadono, sul piano musicale, 
                  fatti così rilevanti come quelli degli anni Settanta, 
                  cioè una presenza così massiccia e così 
                  forte di cantautori nella cultura del Paese. Allora i ragazzi 
                  di adesso stanno riscoprendo la musica di quegli anni, i cantautori 
                  italiani degli anni Settanta, tra cui lo stesso De André. 
                  Questa riscoperta della cultura degli anni Settanta è 
                  molto positiva perché il valore di quello che fu fatto 
                  allora non si esaurisce con il passare degli anni. 
                   
                  Su questo punto mi viene da farle una domanda direi sul costume, 
                  sul sentire comune. Spesso oggi si sentono artisti, critici 
                  e giornalisti che, commentando De André, dicono: “ha 
                  restituito dignità alle prostitute, ai drogati”. 
                  Però non mi è mai capitato di sentir dire: “De 
                  André ha restituito dignità agli omosessuali”. 
                  Secondo lei perché? È un aspetto sottovalutato, 
                  poco conosciuto della produzione dell'artista, oppure l'omosessualità 
                  è ancora un tema di cui è più difficile 
                  parlare rispetto, per esempio, alla prostituzione? 
                   
                  Direi decisamente quest'ultima. È più facile parlare 
                  degli altri temi, è meno inquietante. Quando si parla 
                  di omosessualità si tocca una corda delicata, spesso 
                  si parla di se stessi e quindi molti preferiscono sorvolare 
                  su questo tema. Riguardo alla sessualità, l'Italia è 
                  un paese di grandi sfaccettature contradditorie, perché 
                  nella vita privata ci sono comportamenti molto liberi, molto 
                  liberali, però nella vita pubblica non bisogna dirlo, 
                  non bisogna farlo vedere, non bisogna che si sappia. 
                  C'è un'ipocrisia italica del “si fa ma non si dice”, 
                  probabilmente legata alla cultura del senso di colpa e del peccato 
                  che dovrebbe poi essere confessato. Una cultura che incide profondamente 
                  e allora, da questo punto di vista, c'è una certa ritrosia. 
                  Il coraggio di De André è rimasto un fatto isolato 
                  per molto tempo, anche nella produzione artistica. In quel momento 
                  era un fatto quasi unico e questo ne definisce anche la grandezza, 
                  l'intelligenza. E il fatto che altri, quando citano De André, 
                  però non citino questo aspetto, è significativo 
                  del forte prevalere del pregiudizio, che incide ancora in modo 
                  molto serio nella nostra società. 
                   
                  Ci sono altri artisti italiani che hanno preso posizioni 
                  altrettanto cristalline, che hanno realizzato opere su questo 
                  tema? 
                   
                  Per molti aspetti De André è un po' un caso unico. 
                  C'è un altro artista che ci è vicino, che è 
                  anche un amico che conosco personalmente e che amo moltissimo, 
                  ed è Francesco Guccini. Lui per esempio, parlando di 
                  omosessualità, ha fatto una cosa molto simpatica, com'è 
                  nel suo custome, visto che a lui piace molto scherzare. Guccini, 
                  quando l'onorevole Mirko Tremaglia, Ministro per gli italiani 
                  all'estero, ha fatto quell'orrendo comunicato dicendo che la 
                  maggioranza degli italiani e degli europei, ormai, erano tutti 
                  “culattoni” (una cosa che ha sollevato molte proteste 
                  e condanne per questo modo di esprimersi così dispregiativo, 
                  che alimenta la cultura del pregiudizio e del razzismo che ha 
                  creato tanti lutti), bene, Guccini da allora ha cominciato i 
                  suoi concerti dicendo: “sia ben chiaro che siamo tutti 
                  culattoni e io vi annuncio che anche io sono culattone”! 
                  Quindi è stato molto simpatico e ricordava quello che 
                  si faceva negli anni settanta quando, contro il riemergere dell'antisemitismo, 
                  si diceva: “siamo tutti ebrei tedeschi”. 
                  Devo aggiungere che ci sono stati anche altri cantanti che hanno 
                  parlato della questione omosessuale. Qualcuno lo ha fatto anche 
                  in occasione del festival di Sanremo. Un altro cantante che 
                  io amo molto, Lucio Dalla, ha scritto una bellissima canzona 
                  sul rapporto fra un tramviere e suo figlio omosessuale. Quindi 
                  direi che c'è un certo risveglio da questo punto di vista. 
                  Ma sicuramente De André è stato un precursore. 
                   
                  Prima ci ha detto con un certo rammarico che aveva progettato 
                  di incontrare De André ma di non essere riuscito a farlo. 
                  Se avesse avuto questa possibilità cosa le sarebbe piaciuto 
                  dirgli? 
                   
                  Intanto l'avrei ringraziato per l'insieme della sua produzione 
                  artistica. De André ha scritto canzoni importanti che 
                  fanno parte della colonna sonora della mia vita ma che sono 
                  diventate anche importanti metafore della vita culturale del 
                  Paese. È un'eredità che non è morta con 
                  lui perché la sua produzione artistica ha l'afflato dell'eternità. 
                  È una produzione artistica che ci aiuta a combattere 
                  le cose negative della nostra società, perché 
                  questo è un aspetto molto importante e positivo della 
                  modernità: che ci consente di combattere e di superare 
                  gli aspetti negativi della nostra società. Non a caso 
                  i fondamentalisti si oppongono ai cambiamenti e alla modernità. 
                  Ma la modernità ci consente di capire e di comprendere 
                  realtà che prima non venivano comprese e intrepretate, 
                  attraverso strumenti culturali nuovi, tra cui la produzione 
                  artistica. Perciò se avessi incontrato De André 
                  in primo luogo l'avrei ringraziato per questo. Poi l'avrei ringraziato 
                  in particolare per quello che ha fatto nei suoi concerti per 
                  gli omosessuali, proprio per tutte le cose che dicevo prima. 
                 
                  Quella 
                  contestazione a Sanremo 1972 
                 Le prostitute di “Via del Campo” sono del 1966 
                  e “Tutti Morimmo a Stento”, l'album che apre una 
                  breccia sul tema dell'emarginazione, è del 1968. Bisognerà 
                  però attendere altri 10 anni per una canzone sugli omosessuali. 
                  Secondo lei perché questo ritardo? 
                   
                  Forse i tempi non erano maturi. In Italia il movimento è 
                  iniziato con la contestazione del congresso internazionale di 
                  sessuologia di Sanremo, nel 1972. In quel congresso gli omosessuali 
                  venivano tratteggiati in maniera molto negativa, trattati come 
                  malati da sottoporre a cure psichiatriche, in alcuni casi da 
                  sottoporre ad elettroshock (ma sono atteggiamenti e concezioni 
                  che permangono anora oggi in certi gruppi integralisti). Il 
                  movimento gay italiano nasce dalla contestazione di quel congresso. 
                  È quindi un movimento che ha ormai oltre trent'anni, 
                  però bisognerà attendere molto tempo prima che 
                  l'opinione pubblica si accorga di questo movimento, prima che 
                  se ne accorgano i media e la politica. In questo momento la 
                  questione omosessuale è una delle questioni più 
                  rilevanti nel dibattito politico del mondo occidentale. Ha inciso 
                  profondamente nelle elezioni americane e in quelle spagnole. 
                  Però c'è stato bisogno di un paziente e certosino 
                  lavoro, durato diverse decine di anni, prima che la questione 
                  divenisse rilevante e influenzasse anche la produzione artistica. 
                  Pensiamo per esempio alla produzione cinematografica: prima 
                  della metà degli anni settanta gli omosessuali nel cinema 
                  erano tratteggiati come macchiette oppure gli ambienti omosessuali 
                  erano descritti come sordidi, ambienti dove si finiva ammazzati 
                  o suicidi. Persino in alcune canzoni, in Italia, si tratteggiava 
                  l'idea dell'omosessualità come macchietta. 
                  La canzone di De André, che è invece una canzone 
                  fortemente emotiva, rispettosa, positiva, è del 1978, 
                  quando il movimento gay italiano aveva pochi anni, quindi non 
                  direi che fosse in ritardo. 
                   
                  Allora chiudiamo con un suo pensiero su questa canzone. 
                   
                  La canzone di De André, parla di un amore, parla di due 
                  persone che si vogliono bene. Questo amore nella nostra società 
                  non è ancora riconosciuto come dovrebbe. Quando due persone 
                  stanno assieme, si amano, vuol dire che stanno costruendo una 
                  piccola società o un piccolo pezzo di società 
                  che si esprime solidarietà, affetto, reciproca attenzione, 
                  reciproco impegno. Ci sono diritti e doveri di queste coppie 
                  che vanno riconosciuti. 
                  Già nel 1991 noi facevamo una battaglia per il riconoscimento 
                  delle coppie di fatto, per i diritti delle coppie omosessuali. 
                  In questo momento questa battaglia è arrivata a un punto 
                  cruciale: la maggioranza dei paesi europei ha riconosciuto questi 
                  diritti. La questione delle coppie di fatto è al centro 
                  della discussione in tutto il mondo di cultura occidentale. 
                  Questa è una nostra battaglia in Italia e Andrea fa parte 
                  della colonna sonora di questa battaglia. Io vorrei dire agli 
                  ascoltatori che la violenza c'è ancora, il pregiudizio 
                  c'è ancora e c'è chi lo alimenta. C'è chi 
                  ancora ritiene di trovarsi nel giusto malmenando qualcuno che 
                  esprime la propria affettività omosessuale pubblicamente. 
                  De André ha messo questa cosa al centro di una delle 
                  sue canzoni più belle, noi siamo grati a De André 
                  e diciamo che la sua canzone accompagna la battaglia politica 
                  ed umana che stiamo conducendo. 
                   
                  Renzo Sabatini 
                 (intervista realizzata via telefono il 09.05.2005. Registrata 
                  presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in 
                  onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André) 
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista a Franco Grillini, prosegue la pubblicazione 
                        su “A” di una parte significativa delle 27 
                        interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini 
                        e andate in onda in Australia nel programma “In 
                        direzione ostinata e contraria” sulle frequenze 
                        di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. 
                        In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna 
                        della durata di circa quaranta minuti, per un totale di 
                        quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono 
                        state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte 
                        le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque 
                        della più lunga e dettagliata serie radiofonica 
                        mai dedicata al cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012). 
                        
                        la redazione di “A” | 
                   
                 
                
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