
                  Prima di cominciare a parlare nello specifico di 
                    questa nuova pubblicazione “Lo sguardo dalla Torre” 
                    di Günther Anders, vorrei chiederti una piccola presentazione 
                    di questo grande filosofo del ’900 troppo spesso dimenticato.
                    Anders è stato uno dei più significativi critici 
                    della civiltà tecnologica dello scorso secolo. Cresciuto 
                    in una colta famiglia della borghesia ebraica, si laureò 
                    con Edmund Husserl e divenne successivamente allievo di Martin 
                    Heidegger, dal quale si distanziò quando questi si 
                    avvicinò al regime nazionalsocialista. Si formò 
                    dunque intellettualmente all’interno della prestigiosa 
                    scuola fenomenologica e di un mondo accademico che il più 
                    delle volte si dimostrava autoreferenziale e chiuso rispetto 
                    a tutto ciò che accadeva fuori di esso. Anders invece 
                    si trovò ben presto di fronte alla cruda quotidianità, 
                    costretto a fare i conti con la violenza della persecuzione 
                    e del potere politico. 
                    Con l’avvento di Hitler al potere dovette fuggire negli 
                    Stati Uniti, dove per sopravvivere svolse anche umili mansioni 
                    - come l’addetto alle pulizie per gli studi cinematografici 
                    di Hollywood, e l’operaio in fabbrica - grazie alle 
                    quali conobbe in prima persona la precarietà e le nuove 
                    forme di alienazione della crescente società dei consumi 
                    americana. In seguito, con lo scoppio della bomba atomica 
                    di Hiroshima, Anders si rese definitivamente conto che gli 
                    effetti degli apparati tecnici non possono più essere 
                    controllati e che il “totalitarismo della tecnica” 
                    che disciplina le nostre esistenze a tal punto da determinare 
                    anche la fine del tempo dell’umanità – 
                    il nucleare potrebbe infatti decretare davvero la scomparsa 
                    della vita umana – rappresenta una minaccia che la filosofia 
                    non può esimersi dal problematizzare. Anders trova 
                    l’occasione di filosofeggiare in semplici fatti o oggetti 
                    che si trovano nel mondo di tutti i giorni – come le 
                    armi, la televisione, la radio, dai quali sviluppa un profondo 
                    pensiero che si innalza fino alla metafisica, un pensiero 
                    che sente il bisogno di muovere i suoi primi passi dal mondo 
                    quotidiano e continuare il confronto con esso, così 
                    da poterlo modificare efficacemente. 
                    Per Anders la filosofia non è affatto consolazione, 
                    speculazione, giustificazione dell’esistente, bensì 
                    “arma intellettuale”. I suoi scritti non possono 
                    in alcun modo essere separati dalla sua attività di 
                    militante antifascista, ecologista e anticapitalista. I saggi 
                    contenuti nella raccolta italiana Discorsi sulle tre guerre 
                    mondiali (1990) per esempio, rappresentano il tentativo 
                    di riflettere sulle strategie e sulle prospettive antinucleari, 
                    cui Anders contribuì anche con la prassi, fondando 
                    in Austria il movimento “Lotta contro la morte atomica”.
                  Questo testo è particolare perché non 
                    è un saggio come può essere “L’uomo 
                    è antiquato” (meraviglioso come dice lo 
                    stesso Goffredo Fofi nella sua bella prefazione) ma una raccolta 
                    di favole fino ad oggi inedito in Italia. Leggendolo mi sono 
                    fatto molte domande su come possano essere incisive nella 
                    mente del lettore, tu come ti sei avvicinato a questo testo, 
                    cosa pensi di questo metodo di narrazione di Anders?
                    Si tratta in effetti di un genere poco esplorato, quello della 
                    favola filosofica. L’originalità e la bellezza 
                    del testo consiste nel linguaggio poetico e figurato che, 
                    attraverso immagini chiare e comuni che si fissano nella mente 
                    del lettore, tenta di aprire una via maestra – raggiungibile, 
                    a seconda del bagaglio culturale e delle sensazioni e dalle 
                    interpretazioni del lettore, anche da molti altri percorsi 
                    laterali – che conduce a un concetto filosofico ben 
                    definito. Si può fare filosofia allontanandosi dalla 
                    tradizionale forma saggistica, addirittura scrivendo favole? 
                    Anders non soltanto ne era convinto, ma credeva che ciò 
                    fosse una necessità: la filosofia deve trattare temi 
                    urgenti e concreti che coinvolgono tutti noi, come l’indebolimento 
                    dei nostri sentimenti, la nocività, la solitudine creata 
                    dai nuovi apparati tecnici, la falsificazione delle informazioni, 
                    le nuove forme di resistenza. Ma per fare questo bisogna che 
                    essa parli in modo più comprensibile, che venga liberata 
                    da quella terminologia oscura che non le permette di uscire 
                    dalla torre d’avorio e dai salotti esclusivi dei filosofi 
                    di professione. 
                    Occorre insomma che la filosofia esplori nuove forme di linguaggio 
                    e di narrazione. Così, ricorrendo alla forza dell’immaginazione 
                    e al linguaggio letterario per Anders è forse possibile 
                    ampliare il raggio di fruibilità e di comunicazione 
                    della filosofia anche ai non specialisti, per combattere le 
                    menzogne del potere, risvegliare le coscienze e costruire 
                    percorsi di liberazione. Che questo metodo sia efficace, noi 
                    non possiamo dirlo. Lo stesso Anders – pessimista di 
                    natura ma estraneo a ogni forma di rassegnazione – ne 
                    dubitava, aggiungendo però: “nonostante la sua 
                    insufficienza, è solo l’immaginazione che può 
                    fungere da organo della verità”. 
                  Hai tradotto e curato il testo, è un testo 
                    complesso, quali sono state le difficoltà principali?
                    Anders era pienamente cosciente che il tentativo di “popolarizzazione” 
                    della filosofia non può essere ridotto a un semplicistico 
                    appiattimento concettuale e linguistico. La profondità, 
                    l’universalità, e l’indagine fino alle 
                    cose ultime restano peculiarità essenziali della filosofia 
                    e di conseguenza della riflessione filosofica contenuta in 
                    queste favole. La difficoltà è stata dunque 
                    quella di esprimere efficacemente sia l’elemento narrativo 
                    – la minuziosa scelta delle parole e delle sfumature 
                    poetiche che rendono affascinante Lo sguardo dalla torre, 
                    sia quello speculativo, che nelle favole sono intimamente 
                    intrecciati. Come dice Walter Benjamin, cugino di Anders, 
                    ogni traduzione nasconde un’intraducibile, ossia qualcosa 
                    che non viene espresso dalla semplice traduzione letterale 
                    delle parole ma da una costellazione di immagini, di simboli 
                    e di significanti che nel loro complesso costruiscono una 
                    trama che si può ricomporre soltanto dopo un’attenta 
                    riflessione. 
                    Ciò che resta intraducibile in queste favole è 
                    appunto la filosofia, che a dire il vero resta intangibile 
                    anche per il lettore, il quale, trovandosi catapultato nelle 
                    coinvolgenti storie di strambi personaggi, pseudo-dei, filosofi 
                    veri e inventati, finisce per ritrovarsi inconsciamente all’interno 
                    di un percorso filosofico che difficilmente riconosce come 
                    tale. È questo il salvifico inganno andersiano: consegnarci 
                    la filosofia come strumento di liberazione in una forma non 
                    immediatamente riconoscibile.
                  
                     
                        | 
                    
                     
                      Günther 
                          Anders (1902-1992) con la prima 
                          moglie Hannah Arendt  | 
                    
                  
                  Qual è la favola che ti ha colpito di più? 
                    
                    Quella che dà il titolo alla raccolta, scritta nel 
                    1932 e che risente dell’influenza di Franz Kafka. “Quando 
                    la signora Glü dalla più alta torre panoramica 
                    gettò lo sguardo verso il basso, dalla strada sottostante, 
                    simile a un minuscolo giocattolo ma riconoscibile inequivocabilmente 
                    per il colore del cappotto, sbucò suo figlio; e un 
                    secondo dopo, questo giocattolo venne travolto e distrutto 
                    da un autocarro rassomigliante anch’esso a un giocattolo 
                    – comunque la faccenda si sbrigò nell’arco 
                    di un istante di irreale brevità, e il tutto si svolse 
                    solamente fra giocattoli. “Io non vado giù!”, 
                    urlò a quel punto la signora Glü, rifiutandosi 
                    di scendere le scale, “io non abbandono la torre! Lì 
                    sotto potrei disperarmi!” È un esempio di che 
                    cosa significhi fare filosofia attraverso la forma favolistica. 
                    Le interpretazioni sono molteplici. 
                    Ma è chiaro che qui ad Anders interessa smascherare 
                    il fallimentare meccanismo di difesa di chi, di fronte ad 
                    un evento drammatico, come può essere la morte di un 
                    figlio, sceglie di non vedere bene e di mistificare la realtà 
                    – fino a intrecciarla con l’irrealtà – 
                    per potersi spogliare della responsabilità e del dolore. 
                    Molto spesso anche noi preferiamo isolarci in una torre lontana 
                    e consolatoria piuttosto che scendere e intervenire nel mondo 
                    per cambiarlo. 
                  Dal tuo punto di vista quale delle tante analisi 
                    di Anders rimangono più attuali nei nostri anni, nella 
                    nostra società della tecnologizzazione senza limiti?
                    Il concetto di “sovraliminale” resta estremamente 
                    attuale. Per Anders la tecnica ha permesso che gli effetti 
                    delle nostre azioni o dei prodotti che produciamo abbiano 
                    moltiplicato il raggio della loro influenza, sia spaziale 
                    che temporale. Così questi effetti diventano talmente 
                    grandi che superano il limite della nostra capacità 
                    di comprenderli, interiorizzarli ed eventualmente contrastarli. 
                    
                    Con un missile possiamo annientare molti uomini che si trovano 
                    dall’altra parte del pianeta senza che la lontananza 
                    permetta di provare compassione, di sentirsi colpevoli e di 
                    sentire veramente la differenza tra il premere un bottone 
                    per lanciare un arma letale o per cambiare canale della televisione. 
                    Se l’immaginazione non è sufficiente per comprendere 
                    le conseguenze delle nostre azioni, allora deve essere ampliata 
                    e rafforzata, poiché è anche grazie all’immaginazione 
                    che possiamo correggere i nostri comportamenti. 
                    È per via di questa sua funzione morale che Anders 
                    attribuisce una grande importanza all’immaginazione, 
                    elevandola a metodo privilegiato della narrazione filosofica.