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                    Franco Mastrogiovanni  | 
                   
                 
                Processo 
                  Mastrogiovanni/ 
                  La parola agli imputati 
                Con le udienze del 27 marzo e del 10 aprile 2012 si è 
                  conclusa la fase di ascolto degli imputati. Solo cinque (4 medici 
                  e un infermiere) dei 18 imputati nel processo per la morte dell’insegnante 
                  anarchico Francesco Mastrogiovanni hanno deposto, i rimanenti 
                  tredici operatori sanitari hanno ritenuto di non dover aggiungere 
                  nulla a quanto già dichiarato o hanno preferito depositare 
                  in alternativa all’interrogatorio, memorie difensive. 
                  Come avevamo previsto si è verificato il solito conturbante 
                  “diniego di responsabilità” nella piena osservanza 
                  della legge di Dow che recita: “In un’organizzazione 
                  gerarchica, piu’ alto è il livello, maggiore è 
                  la confusione”. Per coloro che occupano la posizione gerarchica 
                  più “bassa” (infermieri) si è destinatari 
                  passivi di decisioni dall’alto e per chi è in alto 
                  invece (primario) si è lontani dai risultati finali in 
                  quanto le atrocità non sono state perpetrate direttamente 
                  o addirittura, come nel nostro caso, nemmeno viste.  
                L’udienza del 27 marzo 
                   
                  è iniziata con un’ora di ritardo rispetto all’orario 
                  d’inizio preventivato (a causa di un allarme bomba scattato 
                  nella mattinata) e dopo il consueto appello delle parti civili, 
                  dei legali e degli imputati, si è entrati nel vivo dell’udienza. 
                  Cinque imputati (De Vita, Gaudio, Luongo, Oricchio e Tardio) 
                  dei sette presenti hanno dichiarato di non voler sottoporsi 
                  ad esame. Disponibili invece i due medici: Michele Di Genio 
                  (direttore del dipartimento di salute mentale) e Michele Della 
                  Pepa. Alle domande del Pm, Dott. Martuscelli, il Dr. Di Genio 
                  ha risposto che all’epoca dei fatti era in ferie e che 
                  aveva delegato, al Dr. Barone, ogni compito circa la gestione 
                  del reparto psichiatrico compresa la firma delle cartelle cliniche: 
                  “Su cento cartelle – ha dichiarato Di Genio 
                  – ne ho firmate solo 5 o 6” .  
                Le “tristi favole” del Dr. Di Genio 
                Sin dalla prima domanda del PM la figura del direttore diventa 
                  quella di un presente/assente e inizia il romanzo 
                  di una morte assistita, con quei tipici resoconti efficacemente 
                  definiti dal sociologo Erving Goffman, “tristi favole”. 
                  Rispondendo al P.M, il Dr. Di Genio ha testualmente affermato: 
                  “Al farmaco, se non basta da solo si aggiunge la contenzione”, 
                  ha fatto poi cenno alla terapia farmacologica (vero e proprio 
                  accanimento terapeutico) praticata a Mastrogiovanni, al comportamento 
                  dello stesso, alla sua storia clinica (ma qualche minuto dopo 
                  ha aggiunto di non essere stato mai in servizio durante i periodi 
                  di ricovero di Mastrogiovanni). Ha dichiarato, inoltre, che 
                  la contenzione deve essere un fatto eccezionale, con controlli 
                  da effettuarsi ogni 3-4 ore e di non sapere perché tale 
                  provvedimento, che va annotato in cartella, si sia prolungato 
                  per tre giorni, anche perché il paziente – da quello 
                  che sa – aveva commesso solo violenze verbali. In un clima 
                  surreale, intriso di mezze verità e supposte fantasie, 
                  si è innalzata la reprimenda dell’avv. Caterina 
                  Mastrogiovanni la quale, rivolta a Di Genio, ha esclamato: “Non 
                  sta dicendo il vero!”. Di Genio è stato presente, 
                  nel reparto il 31 luglio, ossia il giorno del ricovero di Francesco, 
                  e il 3 agosto solo per pochi secondi. Nel “video dell’orrore”, 
                  sequestrato dalla magistratura, si vede Di Genio entrare, il 
                  3 agosto 2009, sia pure per pochi secondi, nella stanza dove 
                  erano ricoverati il paziente Mancoletti e Francesco Mastrogiovanni 
                  e a suo dire, in quel momento, “le condizioni di Francesco 
                  Mastrogiovanni erano apparentemente buone”. Riferisce, 
                  inoltre, che conosceva Francesco perché ad Acciaroli 
                  avevano bevuto un caffè insieme e quando lo ha visto 
                  nel reparto si sono salutati dandosi la mano (sic…). Resta 
                  da capire come abbia fatto un paziente legato a dare la mano 
                  al medico. In ogni caso, pur conoscendolo, non ha chiesto nulla 
                  circa le sue condizioni di salute. All’Avv. Michele Capano 
                  (dell’Unasam) che gli ha chiesto come mai non fosse stato 
                  chiamato per l’emergenza Mastrogiovanni non ha saputo 
                  rispondere in modo convincente, lasciando pensare che una contenzione 
                  ai quattro arti, per tante ore consecutive, non fosse considerata, 
                  da chi avrebbe dovuto telefonargli, un’emergenza.  
                 Semincosciente ma sempre legato 
                Dopo quello di Di Genio ha avuto luogo l’esame del dott. 
                  Michele Della Pepa, medico-psichiatra, in servizio dalle ore 
                  20 del 31 luglio alle ore 8 del 1 agosto 2009 che ha dichiarato 
                  di non aver controllato che la contenzione fosse annotata ammettendo, 
                  implicitamente, di non aver letto la cartella clinica e, in 
                  preda a un visibile stato d’ansia, ha affermato: “Alle 
                  ore 20, il sig. Mastrogiovanni aveva fatto già 10 fiale 
                  ed era in uno stato di semi-incoscienza e ho preferito sospendere 
                  la terapia farmacologica”. Della Pepa ha dichiarato, 
                  infine, di aver deciso di non slegare Mastrogiovanni per paura 
                  che potesse cadere dal letto.  
                L’udienza del 10 aprile 
                era molto attesa in quanto prevedeva la deposizione del Dr. 
                  Barone, indicato dal primario come responsabile del reparto 
                  in sua assenza. Il Dr. Rocco Barone ha smentito quanto affermato 
                  dal Direttore Di Genio, nell’udienza precedente, e ha 
                  dichiarato di non essere mai stato nominato né responsabile, 
                  né direttore del reparto di psichiatria e, rispondendo 
                  alle successive domande del P.M., ha precisato che il suo compito 
                  consisteva semplicemente nel sostituire, per le urgenze, il 
                  primario. Ha aggiunto, inoltre, che non poteva assolutamente 
                  prendere decisioni contrarie a quelle adottate da Di Genio. 
                  Alla domanda riguardante la presenza in reparto del dott. Di 
                  Genio, il giorno del ricovero di Francesco Mastrogiovanni, il 
                  Barone ha risposto affermativamente aggiungendo di non aver 
                  mai saputo che il primario fosse in ferie anzi ha dichiarato 
                  che lo stesso, la mattina del 3 agosto, era regolarmente presente 
                  e in servizio in quel reparto al punto che fu informato del 
                  ricovero ed entrò a vedere Mastrogiovanni. Incalzato 
                  poi dall’avv. Caterina Mastrogiovanni il dott. Barone 
                  ha affermato di aver discusso, la mattina del 3 agosto, del 
                  ricovero di Mastrogiovanni col Dott. Di Genio il quale non modificò 
                  la terapia nonostante potesse farlo perché, essendo il 
                  primario, avrebbe potuto prendere qualsiasi decisione senza 
                  rischiare di essere contestato.  
                “Ho disposto la contenzione perché il 
                  paziente rifiutava di sottoporsi al prelievo” 
                Il Dott. Barone ha dichiarato, inoltre, che dopo aver visitato 
                  Mastrogiovanni ha disposto la terapia e la contenzione perché 
                  il paziente – come riferito da un infermiere – rifiutava 
                  di sottoporsi al necessario prelievo delle urine richiesto dai 
                  carabinieri di Pollica. Su questo punto Giuseppe Galzerano, 
                  componente del Comitato verità e giustizia, ci ha rilasciato 
                  la seguente dichiarazione: “Prima ci avevano detto 
                  che Mastrogiovanni aveva un comportamento aggressivo e per questo, 
                  non potendo fare diversamente, erano stati costretti a legarlo.Naturalmente 
                  noi non ci credevamo. Adesso invece, con la dichiarazione del 
                  Dott. Barone, veniamo a sapere che Mastrogiovanni è stato 
                  legato solo per aver detto un semplice e normale “No!”, 
                  un no al prelievo delle urine. Invece di convincerlo con le 
                  parole lo hanno costretto ad ubbidire sopraffacendolo con la 
                  forza e con la brutalità più selvaggia. “Tu 
                  ci dici no e noi ti leghiamo! Ti leghiamo per sempre!” 
                  Una volta fatto il prelievo, cessato lo stato di necessità, 
                  avrebbero potuto scioglierlo, invece andava punito per aver 
                  detto di no. È veramente aberrante scoprire questa concezione 
                  e questa pratica della psichiatria. Nel reparto di Vallo della 
                  Lucania i medici non ammettevano atti di disubbidienza alle 
                  loro richieste. “Guai ai disubbidienti” e così 
                  la contenzione è andata oltre la morte del paziente, 
                  che è bene ricordare- a testimonianza del totale stato 
                  di abbandono in cui è stato tenuto Mastrogiovanni - è 
                  stato sciolto ben sei ore dopo dal momento in cui il suo cuore 
                  ha cessato di battere”. 
                  In questo strano gioco delle parti il Dr. Barone ha precisato 
                  che: “La contenzione non è avvenuta sotto i 
                  miei occhi perché sono andato via dal reparto alle ore 
                  14, alla fine del mio turno lavorativo”. Dopo le 
                  ore 14.00 subentrò al Dr. Barone il dott. Amerigo Mazza 
                  e fu proprio lui ad applicare la contenzione meccanica senza 
                  peraltro annotarla in cartella. Continuando nel suo racconto 
                  Barone ha dichiarato di essere ritornato al lavoro il 2 agosto. 
                  Quel giorno durante la visita ha trovato Mastrogiovanni delirante 
                  ed aggressivo, ma ciò nonostante hanno discusso insieme 
                  di conoscenze comuni avute a Salerno. Secondo il dott. Barone, 
                  anche sulla base dei precedenti ricoveri, il paziente aveva 
                  bisogno di quattro o cinque giorni per superare lo stato maniacale, 
                  e comunque la contenzione, a suo avviso, era assai blanda, perché 
                  aveva ampia libertà di movimento. Ancora una volta, Barone, 
                  dimentica di annotare la contenzione, che pure ha disposto, 
                  precisando che non aveva nessun motivo per non annotarla e che 
                  la contenzione è un atto medico del tutto legittimo, 
                  praticato in diversi ospedali e in diversi reparti. Ritornato 
                  nel reparto la mattina del 3 agosto ha dimenticato, per la terza 
                  volta, di annotare la contenzione: l’importante – 
                  dice –è annotare in cartella la terapia farmacologica, 
                  perché il medico che avrebbe voluto informarsi della 
                  durata della contenzione poteva disporre del filmato del sistema 
                  di videosorveglianza… Ovvero un medico per sapere da quante 
                  ore fosse contenuto un paziente avrebbe dovuto trascorrere il 
                  suo tempo a visionare il video dei giorni precedenti, cioè, 
                  invece di assistere i pazienti, avrebbe dovuto guardare la televisione 
                  e, volendo, avrebbe potuto anche servirsi dello scorrimento 
                  veloce delle immagini. Un’altra grande contraddizione 
                  si è consumata quando ha raccontato che Mastrogiovanni 
                  appena arrivato in reparto, in seguito al TSO, non era particolarmente 
                  violento, era aggressivo solo verbalmente e non ha mai commesso 
                  atti violenti. A questo punto viene da pensare che la violenza 
                  l’abbia commessa proprio il dott. Barone disponendo la 
                  contenzione di un paziente tranquillo e collaborativo, come 
                  mostrano e testimoniano le immagini del “video dell’orrore”. 
                  Anche Barone racconta che i polsi di Mastrogiovanni presentavano 
                  degli “arrossamenti” assolutamente normali da non 
                  definire ferite. A questo punto l’avv. Mastrogiovanni 
                  ha chiesto al Presidente del Tribunale, Dott. Elisabetta Garzo, 
                  di mostrare all’imputato le foto eseguite il giorno cinque. 
                  Di fronte all’evidenza Barone si è visto costretto 
                  ad ammettere: “Sono delle lesioni, per carità!” 
                  e aggiunge: “Non ho mai visto contenzioni che hanno 
                  portato a queste lesioni!” e “Non ho mai 
                  sospettato che non fosse stato alimentato e in proposito non 
                  ho chiesto agli infermieri”. A domanda dell’avv. 
                  Valentina Restaino (dell’Unasam) ha affermato: “Ho 
                  disposto la contenzione senza visitarlo, senza controllare nulla”. 
                  Rispondendo infine all’avv. Gioacchino Di Palma (di Telefono 
                  Viola) il dott. Barone ha detto che non aveva nessun motivo 
                  per occultare la contenzione e che la sua è stata solo 
                  un’innocua dimenticanza. Naturalmente il dott. Barone 
                  cerca di minimizzare ben sapendo che una contenzione ininterrotta 
                  durata ottantatre ore è un reato, che diventa ancor più 
                  grave se porta alla morte del paziente. A domanda della Presidente 
                  del Tribunale; “Che idea si è fatto della morte?” 
                  il dott. Barone ha detto che lo stato delle condizioni di salute, 
                  al momento del ricovero, erano “discrete” (Mastrogiovanni 
                  aveva quasi tutti i valori alterati) e per il decesso del paziente 
                  ha affermato: “Non è stata causata sicuramente 
                  dalla contenzione! È stato un fatto cardiaco! Una morte 
                  improvvisa!”. Terminata la deposizione del dott. 
                  Rocco Barone, l’avv. Giovine, della difesa degli imputati, 
                  ha depositato dei fotogrammi ricavati dal video in nome e per 
                  conto del suo assistito, l’infermiere Scarano.  
                La visita negata 
                È stato sentito, in seguito, il dott. Raffaele Basso, 
                  in servizio l’1 e il 2 agosto, che ha affermato che: “Il 
                  non aver riportato la contenzione in cartella è motivo 
                  di estremo dispiacere da parte nostra, non c’era motivo 
                  di occultarla, è stata una superficialità non 
                  annotarla, la contenzione è stato un errore sulla terapia”. 
                  Al legale di Telefono Viola, avv. Gioacchino Di Palma che gli 
                  ha domandato se nella giornata del 1° agosto 2009 è 
                  stata somministrata, al paziente, la terapia infusionale ha 
                  risposto di no, affermando anche che, in quella giornata di 
                  caldo estivo, il reparto non era dotato di condizionatori. È 
                  stato ascoltato, per ultimo, l’infermiere Giuseppe Forino, 
                  in servizio il 2 e il 3 agosto, il quale ha affermato che le 
                  fascette non erano strette e che, durante i suoi due turni, 
                  ha visitato Mastrogiovanni ben quaranta volte, di averlo fatto 
                  anche bere e di averlo sciolto per pochi minuti senza alcun 
                  ordine medico. Anche lui dice che, quando lo ha slegato, presentava 
                  ai polsi dei normali arrossamenti, ma quando il Presidente dott. 
                  Elisabetta Garzo, per l’ennesima volta, gli ha mostrato 
                  le foto, ha riconosciuto: “Sono ferite, io ne sono 
                  meravigliato!”. Inoltre ha affermato che Mastrogiovanni, 
                  durante il turno pomeridiano del 3 agosto, non presentava alcun 
                  sintomo preoccupante: né fame d’aria, né 
                  bava alla bocca. Fiorino ha ricordato inoltre che, quella sera, 
                  si recò in ospedale la nipote del maestro, Grazia Serra, 
                  la quale gli chiese di poter far visita allo zio. Il Fiorino, 
                  a sua volta, chiese l’autorizzazione per farla entrare 
                  al Dr. Mazza ma, quest’ultimo, nella sua grande umanità, 
                  disse di no. 
                  
                  Angelo Pagliaro 
                
                 Per informazioni, si può telefonare: 
                  Vincenzo Serra, 0974.2662 
                  Giuseppe Galzerano, 0974.62028 
                  Giuseppe Tarallo, 0974.964030 
                  www.giustiziaperfranco.it 
                   
                  postmaster@giustiziaperfranco.it 
                  
                 
                
                Elezioni 
                  amministrative/  
                  Un’illusione di libertà 
                In occasione delle 
                  recenti elezioni ammninistrative, che hanno interessato solo 
                  una parte del corpo elettorale, gli anarchici di Trapani hanno 
                  diffuso questo testo a spiegazione della “classica” 
                  scelta astensionista del movimento anarchico. 
                
                Abituare il popolo a delegare ad altri la conquista e la 
                  difesa dei suoi diritti, è il modo più sicuro 
                  di lasciar libero corso all’arbitrio dei governanti  
                  (Errico Malatesta, 1897) 
                Conferenze stampa, proclami su internet, alleanze strategiche, 
                  propaganda. 
                  La campagna elettorale per le amministrative 2012 è entrata 
                  nel vivo, in un quadro politico frammentato e confuso, reduce 
                  dai disastri degli ultimi vent’anni di berlusconismo. 
                  La provincia di Trapani non fa eccezione rispetto al resto del 
                  paese. La classe politica annaspa con poche idee, tutte confuse. 
                  Destra, centro e sinistra sono etichette alle quali gli stessi 
                  protagonisti credono poco, incapaci come sono di decifrare una 
                  fase sociale, politica ed economica segnata da una crisi strutturale 
                  di tutto il sistema. L’unica cosa che conta è ritagliarsi 
                  un posto al sole per i prossimi anni, mantenendo o guadagnando 
                  per sé (e per i propri amici) i privilegi, il potere, 
                  il consenso e l’influenza che la politica di professione 
                  può garantire. 
                  Poi, come sempre, ci siamo noi cittadini, noi lavoratori, noi 
                  senza potere.  
                  Tutti ci chiedono di votare per questo o quel candidato, e tutti 
                  sono pronti a garantire la realizzazione di programmi mirabolanti, 
                  promettendo benessere, equità, sviluppo, ordine. Eppure, 
                  al di là dei personali convincimenti di ciascuno, è 
                  sufficiente guardare la realtà delle cose: i governi 
                  – compresi quelli eletti “democraticamente” 
                  – non hanno mai lavorato per tutelare gli interessi e 
                  la libertà dei popoli che vengono governati.  
                  E questo vale a tutti i livelli. 
                  Le elezioni sono un’illusione di libertà, per tanti 
                  motivi. Perché la maggioranza vince e le minoranze sono 
                  destinate a soccombere; perché in ogni caso il meccanismo 
                  della delega conferisce il potere a una minoranza di individui 
                  che decidono per tutti; perché consolidano un sistema 
                  gerarchico nel quale la libertà è ridotta al simulacro 
                  della rappresentanza istituzionale; perché giustificano 
                  il disordine sociale in cui c’è chi ha tutto e 
                  chi non ha niente; perché alimentano una casta parassitaria 
                  e autoreferenziale di burocrati. E allora? 
                  Noi anarchici invitiamo all’astensione, al rifiuto della 
                  delega, all’assunzione di responsabilità da parte 
                  di ciascuno. 
                  L’organizzazione sociale, la produzione e la distribuzione 
                  della ricchezza, la cura delle nostre città, l’esercizio 
                  delle libertà individuali e collettive, il rispetto dell’ambiente, 
                  sono cose troppo importanti per essere delegate a poche persone. 
                  Quello che proponiamo non è il disinteresse di chi diserta 
                  le urne per qualunquismo o sterile disaffezione. Il nostro astensionismo 
                  è attivo e rivoluzionario perché fa parte integrante 
                  di un approccio alternativo alla cura del bene comune, basato 
                  sull’autorganizzazione e la gestione diretta delle risorse 
                  da parte delle comunità che si autogovernano. Questo 
                  è possibile anche partendo dalle cose semplici: dalle 
                  assemblee di quartiere all’autoproduzione, dall’erogazione 
                  allo scambio solidale di beni e servizi, dalla costruzione di 
                  reti di mutuo appoggio alla creazione di organismi di base e 
                  di lotta nei quartieri e nei posti di lavoro.  
                  E tanto altro ancora. 
                  Noi non promettiamo niente, e non chiediamo voti. Il nostro 
                  programma è quello di sempre, e presuppone l’impegno 
                  di ciascuno: costruire libertà e uguaglianza nella solidarietà. 
                 
                  
                  Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” Trapani 
                
                  
                Trapani/ 
                  Repressione e nuova cooperativa 
                  ai cantieri 
                 All’alba di mercoledì 18 aprile, con uno spropositato 
                  dispiegamento di reparti antisommossa, le forze dell’ordine 
                  (polizia, carabinieri, finanzieri e uomini della capitaneria 
                  di porto) hanno sgomberato il presidio permanente dei lavoratori 
                  del Cantiere Navale di Trapani.  
                  Dopo circa sette mesi di lotta autorganizzata per il diritto 
                  al lavoro, istituzioni e proprietà hanno concertato l’azione 
                  repressiva per stroncare la resistenza degli operai licenziati 
                  in massa lo scorso dicembre. Il giorno prima dello sgombero, 
                  i lavoratori del Collettivo - aderente alla Flmu-Cub - si erano 
                  incatenati ai cancelli del cantiere per impedire l’ingresso 
                  di sei operai neoassunti dalla Satin spa (l’azienda “madre” 
                  il cui proprietario è lo stesso della Cantiere Navale 
                  Trapani spa) in virtù di un impresentabile piano industriale 
                  al ribasso, accettato a gennaio dai sindacati confederali e 
                  dal sindacato Failms. La medesima provocazione padronale era 
                  stata respinta anche il 26 marzo con un’analoga protesta 
                  del Collettivo autorganizzato che, nell’impedire l’accesso 
                  dei crumiri, aveva comunque sottolineato il rifiuto di prestarsi 
                  a una guerra tra poveri utile solo agli interessi della proprietà. 
                  Dopo lo sgombero, i lavoratori si sono spostati in presidio 
                  permanente davanti il palazzo del governo chiedendo un incontro 
                  urgente con il prefetto che, ovviamente, ha fatto spallucce. 
                  Sabato 21 aprile, il Collettivo ha convocato una manifestazione 
                  per protestare contro la repressione e per rilanciare la lotta 
                  per il lavoro. Il corteo, aperto dallo striscione “La 
                  dignità non si sgombera” ha raccolto l’adesione 
                  di diverse realtà politiche e associative di Trapani 
                  e Palermo. Presenti, come sempre, gli anarchici del Gruppo “Salsedo” 
                  che hanno organizzato uno spezzone rosso e nero aperto dallo 
                  striscione su cui campeggiava la scritta: “Contro i licenziamenti, 
                  azione diretta”. All’iniziativa, hanno partecipato 
                  anche compagni palermitani della Federazione Anarchica Italiana 
                  e della Federazione Anarchica Siciliana. Un centinaio di persone 
                  hanno attraversato le strade della città raggiungendo 
                  i cancelli del cantiere navale dove si è svolta un’assemblea 
                  cittadina. Nel ribadire la loro ferma volontà di non 
                  arrendersi, nonostante le difficoltà e alcuni limiti 
                  manifestati nell’ultimo periodo, gli operai trapanesi 
                  hanno ufficialmente annunciato la costituzione della cooperativa 
                  “Bacino di carenaggio” con la quale si vuole rilevare 
                  e autogestire il cantiere. Un percorso di autodeterminazione 
                  che proprio gli anarchici trapanesi avevano pubblicamente suggerito 
                  alcuni mesi fa come ipotesi praticabile per uscire dal cappio 
                  della crisi e dei licenziamenti. 
                  
                  Taz 
                  laboratorio di comunicazione libertaria 
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