“Non disprezzarle 
                          quelle puttane 
                          In confidenza ti dico 
                        C’è mancato poco 
                          Che una di quelle poveracce 
                          Non fosse tua madre”  
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                  “Brassens per me è 
                    stato un mito, come artista e come uomo. Mi sono accostato 
                    all’anarchismo per merito suo, perché avevo di 
                    fronte non pura teoria, ma un esempio vivente. Brassens ha 
                    avuto un’enorme influenza su di noi, voglio dire su 
                    quel gruppetto di genovesi che voleva far canzoni in modo 
                    nuovo. In modo particolare ha influito su Paoli e su di me. 
                    Era un modello nitido, rappresentava il superamento dei valori 
                    piccolo-borghesi”.
                    Chi parla è un Fabrizio De André all’indomani 
                    della morte di Georges Brassens, una intervista quindi d’annata 
                    che risale al 1981. 
                    “È stata una fatica enorme tradurre Brassens 
                    in Italiano. Lui si serviva molto dell’argot, che da 
                    noi non ha corrispettivo. L’argot lo parlano a Parigi 
                    come nel sud. Da noi esistono tanti dialetti, non un gergo 
                    comune. Ho dovuto riadattare l’italiano all’argot, 
                    reinventando espressioni e termini non esistenti nel linguaggio 
                    corrente”.
                    E infatti le sue traduzioni sono più che mai attuali. 
                    Se ci è stata data la fortuna di conoscere la canzone 
                    francese di Brassens, molto del merito va dato proprio a Fabrizio 
                    De André. Che non solo ha tradotto alcuni brani del 
                    “Maestro francese”, ma ha trasportato proprio 
                    quelle situazioni raccontate da Brassens all’interno 
                    delle canzoni, nelle sue canzoni in italiano a firma del solo 
                    Fabrizio. 
                    La “Brave Margot” di Brassens, altro non è 
                    che la Bocca di Rosa discesa nel paesino di San Vicario, o 
                    Sant’Ilario a seconda delle preferenze. Se nel primo 
                    caso le beghine vanno prima a protestare per quella presenza 
                    troppo audace nel paesino, nel secondo caso le comari corrono 
                    dal commissario a denunciare la schifosa del paese che ha 
                    tanti clienti, più del consorzio alimentare. Come peraltro 
                    nella Complaint des filles de joie, Brassens ammoniva a non 
                    ridere alle spalle di quelle povere ragazze da marciapiede, 
                    perché “non è detto che stiate ridendo 
                    di vostra madre”. E lo sa bene il direttore del porto, 
                    quello che ci vede tante palanche in quei bei culoni a riposo 
                    che sfilavano per le strade della città alla domenica 
                    mattina (A Dumenega), ma peccato per lui che non si accorge 
                    che fra quelle puttane a riposo c’era anche sua moglie. 
                    
                    Potrei fare un elenco delle situazioni simili fra Brassens 
                    e De André, così come potrei riportare i testi 
                    francesi e i testi italiani tradotti. Entrambi comunque potrebbero 
                    essere letti anche senza musica: l’assenza dell’accompagnamento 
                    musicale non disturberebbe. “Per me equivaleva a leggere 
                    Socrate: insegnava come comportarsi o, al minimo, come non 
                    comportarsi”. Parola di Fabrizio De André.
                    Mi piace citare un Gino Paoli d’annata che nel 1972 
                    nel suo lavoro “Amare per vivere” inserisce guarda 
                    caso una “Marcia Nuziale” nella versione tradotta 
                    da De André qualche anno prima.
                    Fausto Amodei sul finire degli anni ‘50 traduce più 
                    di trenta canzoni di Brassens nel suo dialetto. Origine piemontese, 
                    direi anzi torinese doc, molto vicino alla canzone politica, 
                    o meglio chansonnier di protesta, è stato forse il 
                    primo ad avvicinare la poesia di Brassens alla platea italiana, 
                    riscuotendo un discreto successo, ma soprattutto ispirando 
                    lo stesso De André e soprattutto il suo omologo per 
                    quanto riguarda il dialetto milanese, Nanni Svampa. 
                  
                  Chierici, 
                    per esempio
                   Ma mi sembra opportuno aprire 
                    una grande parentesi a favore di Beppe Chierici. Piemontese 
                    di Cuneo più o meno coetaneo di Fausto Amodei, traduce 
                    in maniera molto letterale molte delle canzoni di Brassens, 
                    prima in un LP del 1969 “Chierici canta Brassens” 
                    poi in un secondo del 1976 “Beppe come Brassens – 
                    storia di gente per male” tanto da poter vantare i complimenti 
                    dello stesso Brassens, diventato nel frattempo suo amico, 
                    che gli scrive in una lettera di essere “il suo unico 
                    traduttore non traditore”. Fonda una compagnia teatrale 
                    con Daisy Lumini, altra grande interprete scomparsa nel 1993, 
                    e insieme ottengono consensi e successi unanimi. Chierici 
                    con lo pseudonimo di Beppe Clerici, è tuttora un apprezzato 
                    attore che vive e svolge la sua attività artistica 
                    in Francia. 
                    Autore, interprete, cabarettista, attore di teatro, scrittore, 
                    fondatore storico dei "Gufi" sin dal 1964 ha tradotto 
                    e interpretato Brassens nel dialetto milanese. Appunto milanese 
                    di nascita, Nanni Svampa ha all’attivo decine e decine 
                    di serate in teatro dedicate a Brassens, nonché uno 
                    spettacolo che ha radunato artisti di tutta Europa che hanno 
                    interpretato Brassens, in occasione del decennale della sua 
                    morte, quindi ormai più di venti anni fa. È 
                    oggi l’artista che ha interpretato e cantato la maggior 
                    parte delle canzoni di Brassens, non solo in milanese, ma 
                    anche in italiano. “Validissimo, una scelta azzeccata 
                    per i temi e per i metri. La cadenza milanese, con molte tronche 
                    e accentazioni finali, ben si presta a riprodurre l’argot”. 
                    È ancora De André che ne parla, seppur tuttavia, 
                    come mi confermarono entrambi, Fabrizio non volle partecipare 
                    allo spettacolo, preferiva ricordarlo come lo aveva conosciuto, 
                    attraverso le sue canzoni, senza averlo mai voluto incontrare 
                    per non ridurre a persona il suo mito. 
                    Sempre nel 1991 Svampa dà alle stampe insieme a Mario 
                    Mascioli il volume "Brassens" dove per la prima 
                    volta vengono tradotte quasi tutte le canzoni dal francese, 
                    articolate da una lunga intervista a Brassens stesso fatta 
                    nel 1975 dal giornalista francese André Sève.
                   1976, 
                    Premio Tenco
                   Premio Tenco nel 1976, Brassens 
                    ha visto in quell’anno una partecipazione straordinaria 
                    di artisti che sul palco hanno cantato le sue canzoni, in 
                    tre serate dell’agosto di quell’anno.
                  
                  La 
                    sua rude dolcezza
                  Non meno importanti le testimonianze 
                    cantate di Enrico Medail, interprete di Léo Ferré 
                    e Brassens, di Gigliola Cinquetti che ha interpretato in Italiano 
                    “Quando passo il ponte con te”, di Gipo Farassino, 
                    Giuseppe Setaro, Giangilbeto Monti e di molti altri interpreti 
                    del panorama musicale italiano.
                    Fra gli autori della carta stampata vorrei ricordare lo splendido, 
                    ma ormai raro e introvabile saggio del 1985, di Antonello 
                    Lotronto. Forse il primo testo a parlare di Brassens, dell’uomo 
                    Brassens, visto quasi esclusivamente attraverso le sue canzoni, 
                    in un percorso biografico molto ben curato che mette in risalto 
                    l’uomo, il suo essere, la sua anarchia, la sua creatività 
                    e la sua rude dolcezza.
                    Del resto lo stesso Brassens si era presentato con queste 
                    parole: “Mi autocensuro sempre. Ho la pretesa di non 
                    avere nessuna opinione, nessuna opinione definitiva su tutto. 
                    È così perché sono pretenzioso, orgoglioso 
                    e non voglio passare per uno stronzo. Se fossi più 
                    semplice, dato che sono relativamente ignorante, non di un’ 
                    intelligenza rara, ma neanche troppo stupido, sarei più 
                    felice perché direi qualsiasi cosa, ecco tutto". 
                    Era il 1973, un anno dopo aver dato alle stampe la poesia 
                    in musica di Antoine Pol (scritto proprio così, Pol, 
                    non Paul come quasi sempre riportato nei testi e nei dischi) 
                    Les Passantes. Una poesia scritta da un capitano di artiglieria 
                    della prima guerra mondiale, musicata da Brassens in una prima 
                    versione estremamente fedele al testo del poeta, ma rimasta 
                    inedita su disco, se non per pochi appassionati che hanno 
                    un cd singolo edito con la rivista francese L’Express. 
                    Tradotta da Fabrizio De André l’anno dopo con 
                    una fedeltà e bellezza nel testo che lascia spazio 
                    solo alle emozioni e forse alla commozione è a mio 
                    avviso una delle più belle interpretazioni di Brassens 
                    in Francese e in Italiano di Fabrizio De André.
                    Non vanno comunque tralasciate rispettivamente le versioni 
                    italiana di Fabrizio De André e quella milanese di 
                    Nanni Svampa de “Le gorille”. Autentica dissacrazione 
                    del potere, recitata attraverso una sorta di rivincita sessuale 
                    con la sottomissione di chi per mestiere giudica e sottomette, 
                    canzone dichiaratamente contro la pena di morte, fu per molto 
                    tempo censurata in Francia e fu la prima rappresentazione 
                    pubblica di Brassens in teatro, dove la celebre cantante di 
                    allora Patachou lo spinse quasi letteralmente sul palco. Vedendo 
                    il giovane Brassens molto in imbarazzo lo fece accompagnare 
                    dal suo contrabbassista Pierre Nicolas, che poi rimase accanto 
                    a Brassens per tutta la sua carriera. 
                    “Mi ha sconvolto la vita. Se ho iniziato a fare questo 
                    mestiere è solo merito suo”. È ancora 
                    Fabrizio De André a ricordarci un Brassens appena scomparso. 
                    "Lasciate correre i ladri di mele, non impiccate i ladri 
                    di polli, Brassens insegnava ai borghesi un rispetto cui non 
                    erano mai stati abituati”. 
                    E fu proprio il quotidiano "Le Monde" a restituire 
                    a De André l’indomani della sua morte il più 
                    bel giudizio e commento sul nostro Amico Fabrizio: “Era 
                    il Brassens d’Italia: era un musicista eclettico, che 
                    non disdegnava le grandezze sinfoniche. Seppe mescolare benissimo 
                    i generi e gli strumenti, barocco (tradizioni medievali, processioni 
                    popolari), memorie contadine, rock, swing, rhythm’ n’ 
                    blues ed evocazioni orientali”.
                    Honneur au Gorille!