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                  dossier Georges 
                    Brassens 
                  Giù duro 
                    con Dio-Patria-Famiglia 
                  di Gianni Mura 
                  Più 
                    antiistituzionale che anarchico. Ma con forza e senza equivoci, 
                    scegliendo di stare dalla parte degli emarginati, dei “cattivi 
                    soggetti” pentiti e no, delle puttane, dei morti di 
                    fame. E di dargli il cuore e i versi, la musica. 
                | 
             
             
                
                    
                  Georges 
                    Brassens, anarchico. Va be’, l’ha detto anche 
                    lui cercando una definizione spiritosa: “Sono talmente 
                    anarchico che attraverso la strada sul passaggio pedonale 
                    pur di non dover discutere con un flic (poliziotto, 
                    n.d.r.)”. A mio parere Léo Ferré è 
                    stato più anarchico di Brassens, più apertamente 
                    e profondamente anarchico, com’è accaduto ad 
                    altri mandati in collegi religiosi. Qui non intendo dare patenti, 
                    certificati di appartenenza o altro. L’etilometro esiste, 
                    l’anarcometro no, che io sappia. Allora conviene ripercorrere 
                    alcuni momenti della vita di Brassens, per capire la sua allergia 
                    alle istituzioni, a cominciare da Dio, Patria, Famiglia, là 
                    dove Dio sta anche per Chiesa e preti, monache e sacramenti, 
                    Patria per esercito, divise, polizia, giudici, Famiglia per 
                    fidanzamenti, matrimoni, figli. Val la pena di ricordare che 
                    una delle più belle canzoni di Brassens è “La 
                    non demande en mariage”. 
                    Destinataria Joha Heiman, estone di origine, che dal 1947 
                    alla morte di Brassens (1981) fu la sua compagna, più 
                    anziana di dieci anni, possiamo dire la donna della sua vita. 
                    Ognuno nel suo appartamento, però. Brassens teneva 
                    in poco conto il denaro, si vantava di non esser mai entrato 
                    in una banca. Era il suo amico e factotum Pierre Onténiente, 
                    detto Gibraltar perché solido come una roccia, a fargli 
                    da contabile e amministratore. Si erano conosciuti nel 1943 
                    al campo di lavoro di Basdorf, 25 km a nord di Berlino. Baracca 
                    26, camerata 5. Sveglia alle 5.30. È lì che 
                    Brassens compone alcune canzoni che resteranno nel repertorio 
                    (“Pauvre Martin”, ad esempio, e “Souvenir 
                    de parvenue” che con modifiche al testo diventerà 
                    “Le mauvais sujet repenti”). Anche la casa, come 
                    i soldi, non era un problema per Brassens. Gli bastava un 
                    letto, una scansia per i libri, un tavolo su cui mangiare 
                    (salumi, formaggi, verdura cruda, frutta, un cassoulet ogni 
                    tanto: non aveva grandi esigenze e beveva poco ). Dal 1944 
                    al 1966 abita a casa di Jeanne (“La cane de Jeanne”) 
                    e Marcel (“Chanson pour l’auvergnat”) Planche, 
                    Impasse Florimont 9. Si lava a un catino, in corte. Coi primi 
                    guadagni fa installare elettricità e gas. Definirla 
                    casa di ringhiera è già un complimento. Ma lui 
                    ci sta bene. 
                  Condannato 
                    a un anno, per furto 
                  La madre di Georges, Elvira, 
                    nata in Lucania, vedova di guerra (primo indizio) e cattolica 
                    praticante sposa in seconde nozze il muratore Jean-Louis Brassens. 
                    Non subito, perché lui, “libero pensatore”, 
                    fortemente anticlericale (secondo indizio) rinvia la cerimonia 
                    fino a che non risulta indispensabile per poter iscrivere 
                    a scuola Simone, la figlia di primo letto. Jean-Louis brontola 
                    ma non si oppone al battesimo di Georges e manifesta la sua 
                    indipendenza non assistendo alla prima comunione. 
                    Da qui saltiamo all’episodio raccontando nella canzone 
                    “Les quatre bacheliers”. Nella casa di Sète 
                    c’è uno stillicidio di piccoli furti (denaro, 
                    gioielli) che dura mesi. Nessun segno di scasso. “I 
                    gangsters del liceo” (titolo di giornale) sono denunciati 
                    da uno studente più giovane. Non c’è scasso 
                    perché ognuno ruba in casa sua e poi rivende i gioielli 
                    a Montpellier inventando una scusa pietosa. Brassens, che 
                    da tre anni sogna di essere come François Villon (parole 
                    sue) s’è limitato a prelevare dal cassetto della 
                    sorella un anellino di poco valore. I “gangsters” 
                    sono portati via da casa in manette. Il padre di Brassens 
                    va al commissariato: “Tutto bene, piccolo? Ti ho portato 
                    del tabacco”. Più in là, fuori dal tribunale 
                    di Montpellier, la gente urla “a morte i ladri”. 
                    Brassens è condannato a un anno con la condizionale, 
                    gli altri a un anno e mezzo. In casa non si parlerà 
                    più dell’episodio, ma delle sue conseguenze. 
                    Espulso dalla scuola, Georges deve trovare un lavoro. “Non 
                    me lo vedo come muratore”, commenta il padre, anche 
                    se Georges ha un fisico da torello. Nemmeno lui si vede come 
                    muratore, meglio andare lontano da Sète, da casa e 
                    dalla gente che mormora. A Parigi sarà un perfetto 
                    sconosciuto. 
                    Ci arriva nel febbraio del ’40. A Parigi Georges è 
                    già stato due volte: nel ’31, da bambino, e nel 
                    ’37, per l’Expo. E gli è piaciuta, ci respira 
                    libertà. In più, a Parigi c’è l’appartamento 
                    della zia Antoinette (173, rue d’Alésia, nel 
                    XIV) che è ben lieta di ospitarlo. A un patto: che 
                    abbia un lavoro. In tempo di guerra, il lavoro abbonda: inizia 
                    da rilegatore, poi va alle officine Renault di Boulogne- Billancourt. 
                    La zia possiede un piano, lì Georges si esercita nel 
                    tempo libero (solo a guerra terminata e grazie a un prestito 
                    di Jeanne comprerà la prima chitarra) e intanto si 
                    fa crescere i baffi. 
                    A guerra terminata, altro indizio, Brassens e alcuni suoi 
                    amici hanno un progetto editoriale. La testata (“Le 
                    cri des gueux”, Il grido degli straccioni) era stata 
                    pensata in Germania. Una bozza è pronta nell’aprile 
                    del ’46. Coinvolti: Emile Miramont, Marcel Visse, Maurice 
                    Hémery, Raymond Darnajou, André Larue (futuro 
                    biografo di Brassens) e Roger-Marc Thérond. Buona scelta: 
                    Thérond diventerà direttore di “Paris- 
                    Match”, Larue scriverà per “France-soir”. 
                    A mancare, a quel progetto di giornale libertario, non sono 
                    le idee ma i soldi. Non uscirà dallo stato di progetto. 
                  Dentro 
                    “Le monde libertaire” 
                  Nel luglio del ’46 muore 
                    zia Antoinette. Georges non ha più parenti ma molti 
                    amici. Se prima, a Sète, influenzato dal professor 
                    Bonnafé, Brassens aveva scoperto la letteratura, i 
                    classici ma anche i moderni e i contemporanei, con una spiccata 
                    preferenza per i poeti, a Parigi legge Proudhon, Bakunin, 
                    Kropotkin. Ha sempre più voglia di libertà ed 
                    è sempre più contrario a ogni forma di potere, 
                    di valore consacrato. In quell’estate conosce e diventa 
                    amico di un singolare poeta bretone e anarchico, Armand Robin. 
                    Pare parlasse 19 lingue e abbia avuto un po’ di notorietà 
                    quando sfilò lo sfollagente dalla cintura di un poliziotto 
                    distratto sostituendolo con un giglio bianco. Commento di 
                    Brassens: “C’est formidable”. Tra le cose 
                    che lo avvicinano a Robin, il comune amore per gli animali. 
                    È il pittore Marcel Renot a introdurre Brassens nella 
                    sede della federazione anarchica (Quais de Valmy, XV). Ci 
                    si riunisce una volta a settimana, si discute di problemi 
                    sociali ma anche di letteratura e pittura. Tra gli invitati 
                    esterni, Louis Aragon, che Robin vede come il fumo negli occhi, 
                    mentre gli è simpatico André Breton. 
                    È il fiorista Henri Bouyé che propone a Brassens 
                    un posto (non retribuito) di correttore di bozze al giornale 
                    “Le monde libertaire”. Nella tipografia, in rue 
                    du Croissant, Brassens con le sue battute e il suo carattere 
                    aperto conquista i tipografi. E sale a piccoli passi. Cura 
                    una rubrica di grammatica, a firma Jo Cédille, poi 
                    commenta fatti di cronaca (firmando Gilles Corbeau o Pépin 
                    Cadavre) ma come correttore, oltre a correggere refusi, corregge 
                    anche le opinioni altrui, talvolta. E quando cambia i caratteri 
                    della testata, modernizzandola, si trova molti anarchici contro. 
                    C’erano due correnti, in quel giornale: una più 
                    rigorosa e comunista, una più allegra e individualista 
                    ( e minoritaria) che è quella di Brassens. La rottura 
                    non è dolorosa, Brassens lascia la redazione ma continua 
                    a frequentare Robin e il fiorista Bouyé. 
                    È la svolta della sua vita e della sua carriera, perché 
                    sarà Bouyer, all’inizio del 1952, a presentarlo 
                    a Jacques Grello, attore e chansonnier, che resta molto impressionato 
                    dalle sue canzoni, gli regala una chitarra, gli offre di esibirsi 
                    nel suo locale, il “Caveau de la République”. 
                    Pubblico indifferente. Riprova al “Le Lapin Agile”. 
                    Stessa reazione, non se lo fila nessuno.Andrà meglio, 
                    molto meglio, da Patachou (nome d’arte di Henriette 
                    Ragon). Lanciata da Maurice Chevalier, ha aperto nel ’48 
                    Chez Patachou, ristorante-cabaret, sulla collina di Montmartre. 
                    Il 2 marzo Brassens fa il provino. Patachou è entusiasta. 
                    Si prende subito due canzoni, “Brave Margot” e 
                    “Les amoureux des bancs publics” ma, spiega a 
                    Brassens, le altre non sono adatte al suo repertorio (“Le 
                    gorille”, “Hécatombe” eccetera). 
                    Dovrà cantarle, lui non ci sta, dice di essere autore-compositore 
                    ma non interprete, e in parte è vero. Non ha senso 
                    scenico, né una voce che soggioga al primo impatto. 
                    E poi è timido per quanto audaci sono molti dei suoi 
                    testi. Gli piace esibirsi per pochi amici, “più 
                    di quattro si è una banda di coglioni”. Ma si 
                    lascia convincere. La prima esibizione (6 marzo) è 
                    un trionfo. A Parigi fa un freddo cane. Brassens si esibisce 
                    fuori programma, alle 2 di notte, preceduto da un’affettuosa 
                    presentazione di Patachou perché il pubblico resti, 
                    scoprirà un grande talento all’esordio. Vista 
                    l’ora e la temperatura, metà sala si svuota. 
                    L’altra metà rimane e si spella le mani. Il resto 
                    è noto. 
                    A fine carriera, o quasi, Jacques Chancel intervista Brassens 
                    e gli chiede: “Non pensa che avrebbe potuto fare strada, 
                    se si fosse messo in politica?”. “Un anarchico 
                    non si mischia con la politica” è la risposta. 
                    Altra frase di Brassens: “Nelle mie canzoni attacco 
                    le istituzioni, raramente gli uomini”. Questo ci riporta 
                    alle considerazioni iniziali, su un Brassens più antiistituzionale 
                    che anarchico. Ma con forza e senza equivoci, scegliendo di 
                    stare dalla parte degli emarginati, dei “cattivi soggetti” 
                    pentiti e no, delle puttane, dei morti di fame. E di dargli 
                    il cuore e i versi, la musica. E di andar giù pesante 
                    con la triade Dio- Patria- Famiglia, cioè preti, suore, 
                    frati, generali, eserciti, poliziotti, nazionalisti, guerrafondai, 
                    matrimoni (sempre ricchi di corna). In un’intervista 
                    a Louis Nucera dichiarò: “La sola rivoluzione 
                    possibile è migliorare se stessi, sperando che gli 
                    altri facciano la stessa cosa. Credimi, è la sola strada”. 
                   
                  
                  Gianni Mura
 
                   
                    |    3 
                        La testa affondata nella chitarra 
                      Il pubblico all'inizio 
                        non mi ha aiutato molto. Avevo il cinquanta per cento 
                        delle persone che erano violentemente contro. E anche 
                        il cinquanta per cento violentemente a favore, ma evidentemente 
                        avevo una tendenza fastidiosa a essere più influenzato 
                        da quelli che erano contro che dagli altri. E mi ripiegavo 
                        su me stesso. Normale. Jacques Grello mi aveva già 
                        fatto esibire una volta a Parigi al Lapin Agile e un'altra 
                        volta all'Ecluse, ma non erano le stesse canzoni. E poi 
                        le avevo cantate in un modo.... a bassa voce, la testa 
                        affondata nella chitarra, nessuno aveva sentito, nessuno 
                        si era accorto di nulla. Penso che se avessi potuto cantare 
                        quelle canzoni come le ho cantate qualche tempo dopo, 
                        avrei quantomeno attirato l'attenzione di chi era là 
                        quella sera...  | 
                   
                 
                 
                
                   
                    I 
                        testi di qualche canzone  | 
                   
                   
                    |   Le 
                        vent 
                        ........ 
                        Si, par hasard, 
                        Sur l' pont des Arts, 
                        Tu crois’s le vent, le vent fripon, 
                        Prudenc', prends garde à ton jupon! 
                        Si, par hasard, 
                        Sur l'Pont des Arts, 
                        Tu crois’s le vent, le vent maraud 
                        Prudent, prends garde à ton chapeau! 
                      Les jean-foutre 
                        et les gens probes 
                        Médis'nt du vent furibond 
                        Qui rebrouss' les bois, 
                        Détrouss' les toits, 
                        Retrouss' les robes... 
                        Des jean-foutre et des gens probes, 
                        Le vent, je vous en réponds, 
                        S'en soucie, et c'est justic', 
                        [comm' de colin-tampon!  | 
                    Il 
                        vento 
                        ........ 
                        Se per caso, 
                        sul Pont des Arts 
                        incroci il vento, il vento malizioso, 
                        prudenza, attenta alla tua sottana! 
                        Se per caso 
                        sul Pont des Arts 
                        incroci il vento, il vento briccone, 
                        sii cauto, attento al cappello! 
                      I babbei e la gente per 
                        bene 
                        parlano male del vento furibondo 
                        che sradica gli alberi, 
                        spoglia i tetti, 
                        alza le gonne... 
                        Dei babbei e della gente per bene 
                        il vento, vi assicuro, 
                        se ne frega altamente, 
                        (e fa bene!  | 
                   
                   
                    Au 
                        près de mon arbre 
                         
                        ......... 
                        J'avais un’ mansarde 
                        Pour tout logement, 
                        Avec des lézardes 
                        Sur le firmament, 
                        Je le savais par coeur depuis 
                        Et, pour un baiser la course, 
                        J'emmenais mes belles de nuits 
                        Faire un tour sur la grande Ourse... 
                        J'habit’ plus d’ mansarde, 
                        Il peut désormais 
                        Tomber des hall’bardes, 
                        Je m'en bats l'œil mais, 
                        Mais si quelqu'un monte aux cieux 
                        Moins que moi, j'y paie des prunes: 
                        Y’ a cent sept ans, qui dit mieux, 
                        Que j'ai pas vu la lune!  | 
                    Vicino 
                        al mio albero 
                        ........ 
                        Avevo una mansarda 
                        come unico alloggio, 
                        con delle crepe 
                        che davano sul firmamento, 
                        che conoscevo ormai a memoria; 
                        e per bacio a corsa 
                        portavo le mie belle di notte 
                        a fare un giro sull’Orsa Maggiore... 
                        Non abito più in mansarda, 
                        ormai può 
                        piovere a dirotto, 
                        me ne infischio, ma 
                        ci scommetto che nessuno 
                        è più infelice di me. 
                        Sono centosette anni, chi offre di più, 
                        che non vedo la luna!  | 
                   
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