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                  / Anarchismo, anarchici, antispecismo 
                   
                  Un caro ringraziamento ad Andrea Papi che, con la 
                  sua lettera pubblicata sul penultimo numero di A rivista 
                  (“A” 368, febbraio 2012), si trova in pieno accordo 
                  con noi circa il fatto che l’anarchismo, per sue intrinseche 
                  ragioni, sia da considerarsi inevitabilmente antispecista. Molto 
                  interessante anche la sua precisazione sulla basilare differenza 
                  tra l’anarchismo (in quanto idea) e il movimento anarchico 
                  fatto di persone che si riconoscono nei presupposti e nei valori 
                  di quell’idea. 
                  Le persone non sono mai perfette e quindi ci vuole pazienza 
                  e perseveranza e soprattutto tolleranza. Ma è proprio 
                  su questo termine, tolleranza, che secondo noi si gioca gran 
                  parte dello specismo fortemente radicato non solo nel movimento 
                  anarchico vecchio stampo, ma anche in gran parte di quegli ambienti 
                  che si considerano evoluti e impegnati nella costruzione di 
                  una società libera. 
                  La tolleranza, infatti, viene inquadrata, sempre e comunque, 
                  come un valore positivo e irrinunciabile. Ma ovviamente non 
                  è così. Tolleranza e intolleranza dovrebbero alternarsi 
                  in relazione alle situazioni. Essere intolleranti non è 
                  solo sinonimo di prepotenza o arroganza. L’intolleranza 
                  nei confronti dell’ingiustizia è un atteggiamento 
                  irrinunciabile per qualunque persona che scelga di non essere 
                  complice delle prepotenze e delle violenze che ogni forma di 
                  potere, puntualmente, applica. La tolleranza nei confronti dell’ingiustizia 
                  è sempre complicità. Soprattutto quando ci sono 
                  delle vittime. Vittime del razzismo, del sessismo, vittime delle 
                  dittature, vittime senza voce che possono solo contare su chi 
                  osa non tollerare le ingiustizie attraverso l’attivismo, 
                  la sensibilizzazione, il boicottaggio, la denuncia e la chiara 
                  affermazione della propria coscienza. 
                  Questo, naturalmente, non significa rifiutare a priori opinioni 
                  diverse dalle nostre. Ma ci sentiamo di sottolineare che quando 
                  un comportamento o un’opinione politica o un atteggiamento 
                  sono già dichiaratamente intolleranti, non possono invocare, 
                  a loro volta, il diritto alla tolleranza. Sarebbe come dire 
                  che un razzista chiede di poter continuare con le sue discriminazioni 
                  e le sue violenze per una questione di tolleranza. O che un 
                  uomo desideri veder tollerato il suo buon diritto a dominare, 
                  picchiare, violentare sua moglie perché, secondo la sua 
                  opinione, l’uomo è un essere superiore e può 
                  fare della donna tutto ciò che vuole.  
                  E per quanto riguarda lo specismo, che è il dominio su 
                  tutti gli animali non umani, sta avvenendo esattamente questo. 
                  Ci sono in ballo prigionie, mutilazioni, segregazioni al buio 
                  per l’intera esistenza, alimentazioni forzate, deportazioni, 
                  agonie. Nei casi migliori sfruttamento intensivo e uccisione 
                  quando non servi più. È davvero accettabile che 
                  una persona che si rispecchia in un’idea così alta 
                  come l’anarchismo, possa, non solo chiedere tolleranza 
                  di fronte a tali brutali e plateali ingiustizie, ma ne sia anche 
                  il complice, il mandante?  
                  Noi abbiamo sempre identificato nel movimento anarchico quell’insieme 
                  di persone che non ci stanno, che non accettano di adattarsi 
                  tanto facilmente alle plateali ingiustizie che governano questo 
                  mondo. Da quando abbiamo iniziato a vivere cercando di seguire 
                  questa non accettazione, che è anche una non rassegnazione, 
                  la nostra vita, naturalmente, si è fatta anche un po’ 
                  più difficile, povera, complicata, ma gli orizzonti che 
                  si sono aperti sono stati (e sono) anche un ossigeno di una 
                  qualità sempre più alta a cui oggi difficilmente 
                  riusciremmo a rinunciare.  
                  Abbiamo quindi una grande opinione dell’idea anarchica 
                  e del suo movimento a livello storico. Ma oggi non possiamo 
                  non constatare l’assordante silenzio che sta operando 
                  nei confronti dell’ideologia del dominino strettamente 
                  connessa allo specismo.  
                  E tutto questo, per noi, è assolutamente intollerabile. 
                 Troglodita Tribe 
                  (Serrapetrona - Mc) 
                  
                 ... 
                  e risposta / ma l’intolleranza è la base di ogni 
                  guerra 
                   
                  Care/i compagne/i di Troglodita Tribe,  
                  ricambio il ringraziamento per l’onesta e gradita polemica 
                  con la mia Le 
                  ragioni dell’antispecismo. Mi offrite l’occasione 
                  per un ragionamento che ritengo importante.  
                  Dalle vostre parole evinco che mentre rispetto al piano ideale 
                  saremmo compagni di idee e di lotte, al contrario rispetto al 
                  problema da voi sollevato della tolleranza ci troviamo su fronti 
                  contrapposti, rischiando seriamente di essere nemici. Innanzitutto 
                  una piccola sottigliezza che, senza incrinare il discorso, non 
                  è affatto di poco conto. Nella mia lettera avevo indicato 
                  pazienza e perseveranza come strumenti d’intervento, non 
                  la tolleranza, come invece sottolineate voi. Avevo invece scritto 
                  che non si dovrebbe essere intolleranti, perché per combattere 
                  un “male” con efficacia bisogna capire le ragioni 
                  di chi ha punti di vista diversi. E non è la stessa cosa. 
                   
                  La tolleranza come atteggiamento costante, come scelta di vita, 
                  non a caso di origine clericale, è accettazione di ogni 
                  cosa, facilmente intrisa di paternalismo che vuol irretire. 
                  E su questo aspetto sono con voi. Indicare di non essere intolleranti 
                  nei confronti di chi si comporta in modo diverso e non la pensa 
                  come te invece ha un significato un po’ diverso, perché 
                  implica che si agisce soprattutto per aiutare a cambiare la 
                  visione del mondo e i comportamenti conseguenti. Invitare ad 
                  essere tolleranti, con fare critico e pronto alla discussione, 
                  come strumento d’intervento nei confronti di chi a modo 
                  suo, diverso dal tuo, ha scelto anch’egli la strada dell’emancipazione, 
                  vuol dire cercare il confronto per pervenire tutti ad una lotta 
                  comune giusta e coerente.  
                  La divisione che fate tra “anarchici di vecchio stampo” 
                  e quelli come voi (presumo che la barra di divisione sia l’antispecismo) 
                  mi giunge artificiosa, astratta e ideologica. Risente di un 
                  manicheismo giudicante che dall’alto (di quale autorità?) 
                  stabilisce chi sono i buoni e i cattivi. Non dimentichiamoci 
                  che l’intolleranza è la base di ogni guerra, sia 
                  metaforica sia concreta, perché si basa sulla condanna 
                  totale e indiscriminata di chi è diverso da te, vissuto 
                  come straniero. La guerra implica che il “male” 
                  venga combattuto con le stesse armi che lo hanno generato, che 
                  cioè risulterai vincitore se vincerai, sconfitto e sottomesso 
                  se perderai. E i vincitori s’impongono sempre sui vinti. 
                  Non è un caso infatti che l’anarchismo sia antibellicista 
                  e che non proponga di risolvere le situazioni attraverso logiche 
                  di guerra. 
                  Per la mia sensibilità la logica conseguenza di tutto 
                  il vostro discorso, al di là delle vostre intenzioni, 
                  è che o si comincia a pensarla come voi oppure chi non 
                  si adatta verrà trattato come un nemico non più 
                  tollerato, quindi colpito, annientato, distrutto e, se va bene, 
                  sottomesso. Conseguenze che con l’anarchismo, ma anche 
                  qualsiasi altra cultura e pratica libertarie, hanno ben poco 
                  da spartire. L’anarchismo nasce innanzitutto per liberare, 
                  non per creare nuove imposizioni. E infatti si è sempre 
                  scontrato con ogni impostazione autoritaria, comprese quelle 
                  mascherate e quelle ingenuamente inconsapevoli, come di primo 
                  acchito mi appare la vostra non tolleranza.  
                  Il problema, come potete vedere, è vasto e complesso, 
                  oltre ad essere dannatamente complicato e difficile. E, siccome 
                  mi sembrate convinti al cento per cento di essere comunque e 
                  sempre dalla parte della ragione, non potete però pensare 
                  di risolvere la cosa con un trionfale incitamento ad essere 
                  intolleranti. Per altri scopi, alcuni meno altri altrettanto 
                  nobili, in passato si son già fatti disastri irreparabili. 
                  Rompete “l’assordante silenzio”, che giustamente 
                  denunciate, con le urla della vostra voglia di riscatto e con 
                  la rivendicazione di una liberazione che vada oltre gli orpelli 
                  insostenibili dell’antropocentrismo, ma nei confronti 
                  dei dormienti lasciate stare l’intolleranza, che li vorrebbe 
                  additare come nemici irrecuperabili. Quando le vostre urla saranno 
                  insopportabili si sveglieranno. 
                  Ben venga comunque il confronto. Vi risaluto sempre con grande 
                  simpatia.  
                 Andrea Papi 
                  
                 Aiutiamo 
                  Emergency a non smettere 
                La crisi economica-finanziaria che sta travolgendo l’Europa 
                  e il pianeta intero non poteva risparmiare certamente chi ostinatamente 
                  lavora nel campo della solidarietà, provando a costruire 
                  un mondo diverso, rispettoso dei diritti di tutti, rispondendo 
                  a bisogni in campo sanitario dall’Africa all’Afganistan, 
                  passando per l’Italia, perché anche in casa nostra 
                  c’è chi vive in condizioni di miseria. Non solo 
                  i migranti che inseguono le stagioni nei lavori agricoli o si 
                  arrampicano nei ponteggi del nostro benessere, per poi rientrare 
                  a casa senza potersi permettere nemmeno un mal di schiena per 
                  il troppo sforzo giornaliero. Anche gli italiani, quelli che 
                  hanno perso tutto a causa della crisi, quelli che non hanno 
                  più un lavoro, quelli che non hanno mai avuto niente 
                  e che ora non possono contare più sull’aiuto di 
                  nessuno. 
                  Emergency dal 1994 prova a rispondere agli immensi bisogni in 
                  campo sanitario e lo fa indipendentemente, autofinanziandosi, 
                  offrendo cure gratuite e di qualità, accessibili a tutti. 
                  Il suo operato trasparente ed equo, può far pensare che 
                  Emergency sia una delle rare realtà che fortunatamente 
                  ci sarà sempre. Ma non è così, Emergency 
                  si regge prevalentemente sulle donazioni di privati cittadini 
                  e naturalmente sul lavoro di tanti volontari sparsi per il territorio. 
                  Paradossalmente, con la crisi il numero delle donazioni è 
                  aumentato, ma è diminuito notevolmente l’importo 
                  delle stesse. Questo significherà lavorare con meno fondi 
                  a disposizione, per quanto i bisogni siano sempre in crescita 
                  e in crescita costante sono le vittime della guerra e della 
                  povertà. 
                  Le risorse economiche a disposizione sono necessarie per tenere 
                  aperti gli ospedali, i centri chirurgici per le vittime di guerra, 
                  i centri ostetrici, pediatrici, di primo soccorso, di riabilitazione. 
                  E per mantenere in vita anche i poliambulatori specialistici 
                  gratuiti che Emergency ha aperto in Italia negli ultimi anni. 
                  A tutti coloro che apprezzano il lavoro e l’esistenza 
                  di Emergency, a chi crede nell’eguaglianza in dignità 
                  e diritti di tutti gli esseri umani (e i lettori di A credo 
                  siano assolutamente dentro questa visione del mondo), Emergency 
                  chiede aiuto per continuare a esistere, perché non venga 
                  interrotto uno straordinario “esperimento umano” 
                  di cura e di cultura. 
                  Aiuta Emergency. Chiama il numero verde 800.394.394. 
                  Oppure fai un versamento su conto corrente postale intestato 
                  a Emergency Ong Onlus - c/c postale n. 2842 6203  
                  IBAN IT 37 Z 07601 01600 000028426203 
                  O ancora un versamento su conto corrente bancario intestato 
                  a Emergency Ong Onlus - c/c bancario presso Banca Etica, Filiale 
                  di Milano 
                  IBAN IT 02 X 05018 01600 000000130130 
                  Grazie. 
                Nicola Pisu 
                  (Serrenti - VS) 
                  anarchico e volontario di Emergency 
                  
  
                 Ancora 
                  una volta addosso all’anarchico 
                Chi lotta per gli altri  
                  lotta per se stesso  
                  e chi lotta per se stesso  
                  lotta per gli altri  
                  (Fonte: “Undici ore d’amore di un uomo ombra”, 
                  Gabrielli editori) 
                Lo Stato perde il pelo, ma non il vizio, quando ha dei problemi 
                  se la prende sempre con gli anarchici, a mio parere la parte 
                  più sana della società. 
                  Sul manifesto di venerdì 27 gennaio leggo: 
                  – Maxi-operazione di polizia contro il movimento No-Tav 
                  all’alba. Nel mirino decine di attivisti. Ventisei arresti, 
                  con denunce e perquisizioni in tutta Italia, per gli scontri 
                  del 3 luglio intorno al cantiere di Chiomonte. Una svolta repressiva, 
                  nell’aria da almeno un mese, per delegittimare la protesta 
                  contro la linea Torino Lione. – 
                  In questi giorni sto leggendo un bel libro dal titolo “Insuscettibile 
                  di ravvedimento” a cura di Paolo Finzi. 
                  Il libro racconta la storia di Alfonso Failla, una delle figure 
                  più prestigiose del movimento anarchico del secolo scorso. 
                  Alfonso, s’impegnò nella lotta contro il regime 
                  fascista e fu più volte arrestato e sottoposto a provvedimenti 
                  restrittivi. 
                  Nel 1930 venne confinato ove rimase fino all’estate del 
                  ‘43 e dopo l’evasione, dal campo di Renicci d’Anghiari, 
                  partecipò alla resistenza. 
                  È innegabile il contributo che gli anarchici hanno dato 
                  nel corso della storia alle rivoluzioni e conquiste sociali, 
                  persino durante la lotta partigiana in Italia. 
                  Eppure gli anarchici continuano ad essere insultati, malmenati 
                  e arrestati; solo esclusivamente perché si ribellano 
                  alle leggi ingiuste. 
                  Nel libro di Alfonso ho trovato un suo articolo dal titolo “Siamo 
                  dei violenti”? (Umanità Nova,. aprile 1945) e mi 
                  sono molto piaciute queste parole: 
                  – Usiamo la violenza per difendere la libertà e 
                  il diritto alla vita (..) il nostro comportamento è di 
                  tolleranza e rispetto: la nostra arma preferita per accelerare 
                  il progresso della società è la discussione cordiale 
                  (...) l’anarchico si rivolge con bontà non s’impone. 
                  Mi chiedo e domando, ma si può essere violenti se una 
                  persona difende le montagne del suo paese? Non credo! 
                  Per questo il mio cuore trasmette tutta la sua solidarietà 
                  ai 26 compagni arrestati per avere difeso le loro montagne. 
                  E ricordo che le montagne sono di tutti, anche dei prigionieri 
                  che non le possono vedere, ma le sognano tutti i giorni e tutte 
                  le notti dalle sbarre delle loro celle. 
                  Io le sogno da ventidue anni dalle sbarre della mia finestra. 
                Solidarietà ai compagni che hanno arrestato e che lottano 
                  anche per me.  
                 Carmelo Musumeci 
                  Uomo-ombra del carcere di Spoleto 
                  www.carmelomusumecí.com 
                  gennaio 2012 
                  
                 Malatesta 
                  non aveva il wi-fi 
                La chat è stata una delle più grandi intuizioni 
                  nella storia del web, riuscire a mettere in contatto due o più 
                  persone senza vincoli geografici e permettere un dialogo in 
                  tempo reale, seppure possa sembrare banale, personalmente mi 
                  ha sempre affascinato. La componente geografica è sempre 
                  stata un fattore determinante per la costruzione di società. 
                  Le città sono connesse con il territorio e con i cittadini 
                  prima di tutto tramite una connotazione geografica. I romani 
                  sono tali in primis perché nati a Roma, o ci hanno risieduto 
                  per così tanti anni da diventarlo. Questo semplice assioma 
                  ha permesso a tutti i regimi e democrazie apparenti di proliferare 
                  come funghi, inventando tutta una serie di leggi per dominare 
                  il popolo e confinarlo in uno spazio ben preciso: i confini, 
                  le dogane e via dicendo. Questa banalità con internet 
                  viene capovolta, i confini nel web non hanno senso, come le 
                  dogane e i limiti geografici e partendo da questo punto che 
                  possiamo costruire nuove città, senza alcuna componente 
                  territoriale, dove le persone decidono di aggregarsi virtualmente 
                  con finalità pragmatiche e non, seguendo unicamente i 
                  loro interessi e la loro libertà decisionale.  
                  Tutti noi navighiamo su internet, ma sfruttiamo davvero poco 
                  le sue potenzialità e nella maggior parte dei casi nel 
                  modo in cui ci viene detto. Ci sono diversi modi di intendere 
                  ed utilizzare la rete, il primo, quello largamente utilizzato 
                  per via della sua semplicità ed efficacia, è affidarsi 
                  a servizi di terze parti, giganti come facebook, google, yahoo, 
                  che appoggiati da banche di tutto il mondo, ci garantiscono 
                  l’accesso ai servizi in modo quasi sempre gratuito, ma 
                  dove ogni nostra informazione/file risiede in un server gestito 
                  dalla società stessa. Questo se da una parte ci consente 
                  di avere sempre online e in un posto piuttosto sicuro i nostri 
                  file, dall’altra lascia che le nostre informazioni (anche 
                  le più personali, vedi mail private o messaggi privati 
                  sui social network) si trasformino in dati immagazzinati dai 
                  proprietari del servizio, che di certo non? cancellano le nostre 
                  preziose informazioni personali, ma grazie a sempre più 
                  precisi algoritmi, tracciano un profilo della persona in questione: 
                  la sua età, le sue caratteristiche fisiche, dove risiede 
                  e dove si sposta di frequente, dove ha compiuto i suoi studi 
                  e dove lavora, quali sono i suoi gusti personali in fatto di: 
                  cibo, macchine, sport, vestiti, tecnologia (a cosa serve altrimenti 
                  il pericolosissimo pulsante “mi piace” di facebook?) 
                  quali sono le sue ideologie politiche e religiose, e via dicendo. 
                  La cosa più assurda è che il 90% di queste informazioni 
                  siamo noi stessi a dargliele, in modo del tutto gratuito, semplicemente 
                  parlando o facendo ricerche nel web. In questo modo queste grandi 
                  multinazionali conoscono una persona in modo molto dettagliato 
                  e intimo, potendosi regolare di conseguenza per i servizi da 
                  dargli, per le inserzioni pubblicitarie da proporgli e costruirgli 
                  una vera e propria bolla intorno alla sua esistenza virtuale 
                  (n.d. interessantissimo a questo proposito il libro di Eli Pariser 
                  “The filter bubble”, uno studio approfondito degli 
                  algoritmi di ricerca dei principali servizi sul web, da Facebook 
                  a Google, dove dimostra come i primi risultati di una ricerca, 
                  siano influenzati dalle precedenti ricerche effettuate e dai 
                  nostri interessi, in modo da dare risultati sempre più 
                  su misura, rendendoci così prigionieri di queste “bolle 
                  invisibili”). Questo senza contare il fatto che molti 
                  di questi giganti hanno da anni stretto accordi con governi 
                  ed eserciti garantendo loro “in caso di necessità”, 
                  il libero accesso ad ogni tipo di informazione personale di 
                  ogni utente.  
                  È per questo che bisogna trovare un modo diverso di interagire 
                  con la rete, un modo dove ogni persona è autonoma? da 
                  condizioni esterne, dove ogni persona deve diventare un server, 
                  un punto di scambio, un punto di arrivo e di partenza, diventare 
                  un insieme di hyperlink, un database ubiquo di informazioni 
                  e contatti privati o condivisi.?  
                  Una volta cambiata questo modo di vedere la realtà, le 
                  nuove città si creerebbero in modo naturale, come un 
                  unione spontanea e libera di persone/server, scelti in base 
                  a caratteristiche, qualità, per creare nuovi modi di 
                  lavorare insieme o quello che vi pare.  
                  In parte questa filosofia è stata già sposata 
                  dalle applicazioni p2p (peer to peer), dove ogni persona è 
                  un nodo e si aggancia ad altri nodi per condividere ogni sorta 
                  di file (il grande vantaggio delle applicazioni peer to peer 
                  è quello di eliminare la dipendenza da un server madre, 
                  dal momento che ogni nodo/utente è di per sé un 
                  piccolo server autonomo che si collega unicamente ad altri nodi/utenti). 
                  Limitarci allo scambio di file è inutile, il p2p che 
                  sarà alla base della costruzione di queste nuove città 
                  dovrebbe essere ampliato esponenzialmente, con una gestione 
                  dell’utente e delle possibilità nettamente implementata 
                  rispetto alle attuali potenzialità. Dare la possibilità 
                  ad ogni singolo utente di aggregarsi in corporazioni, permettere 
                  oltre la condivisione di file anche la vendita di prodotti e 
                  servizi per esempio, il tutto ovviamente garantendo la più 
                  totale libertà di gestione e di implementazione del servizio, 
                  lasciando alla comunità di sviluppatori la possibilità 
                  di intervenire sul codice e creare nuovi servizi utilizzabili 
                  da tutti gli utenti (i cosiddetti plug-in).  
                  Questa globalizzazione virtuale permetterebbe di creare corporazioni 
                  e città senza vincoli geografici, dove dei produttori 
                  di stoffe vietnamiti possono accorparsi liberamente con stilisti 
                  algerini per produrre capi d’abbigliamento da vendere 
                  in una via di Parigi da commercianti francesi e online nel mondo 
                  intero.  
                  Oggi grazie ad internet siamo capaci di costruire infinite città, 
                  dove i cittadini possono risiedere nei luoghi più disparati 
                  del mondo e al tempo stesso collaborare e costruire assieme. 
                  Oggi la rivoluzione può essere fatta costruendo infiniti 
                  mondi paralleli e abitarli secondo le nostre regole.  
                 Ivan Minutillo 
                  (Formia - LT) 
                 
                 Botta... 
                  / Un altro uso improprio del termine “anarchia” 
                Lettera aperta alla redazione di Repubblica, a Michele 
                  Serra 
                Buongiorno, 
                  di solito leggo con piacere L’amaca di Michele 
                  Serra, ma sono rimasta piuttosto perplessa di quella pubblicata 
                  su La Repubblica del 2 febbraio 2012. 
                  In realtà sarei profondamente d’accordo con quanto 
                  sostenuto a proposito dell’urgenza di porre al centro 
                  della riflessione – e dell’agire, aggiungo io – 
                  il discorso ambientale, ma perché usare l’aggettivo 
                  “anarchico” per definire il nostro attuale sistema 
                  produttivo? 
                  Si tratta senz’altro di un uso improprio del termine “anarchia” 
                  che implica un’adesione acritica a luoghi comuni, ambigui 
                  e faziosi, che identificano l’anarchia con il caos e l’assenza 
                  di regole. Significa cioè ignorare completamente una 
                  concezione politica e una teoria sociale che ha già attraversato 
                  tre secoli e che ha il suo perno nell’autogoverno e nella 
                  distruzione dei rapporti autoritari gerarchici, auspicando la 
                  formazione di una società basata sul libero accordo, 
                  la libertà e la solidarietà. Niente di più 
                  lontano del sistema economico e politico attuale! 
                  Oltre a ignorare la storia del pensiero politico, affiancare 
                  l’anarchismo alla distruzione dell’ambiente significa 
                  dimenticare lo sforzo di tutti quegli anarchici e quelle anarchiche 
                  impegnati quotidianamente in prima persona contro lo sfruttamento 
                  del territorio. E significa infine fare un torto a uno dei pionieri 
                  del movimento ecologista: Murray Bookchin (New York 1921-2006), 
                  teorico dell’ecologia sociale e dell’ecologismo 
                  anarchico, il quale già dagli anni cinquanta riteneva 
                  l’attuale sistema produttivo incompatibile con una risoluzione 
                  della crisi ecologica e individuava come unica soluzione possibile 
                  della crescente crisi ecologica la trasformazione radicale della 
                  società contemporanea.  
                  Selva Varengo 
                  (Milano) 
                  
                 ... 
                  e risposta/Cercherò di non farlo più 
                Gentile Selva Varengo,  
                  la sua lettera aperta mi è giunta attraverso amici.  
                  La mia risposta è facile: lei ha ragione. Ho usato (e 
                  non è la prima volta, credo) il termine “anarchico” 
                  in maniera impolitica, come sinonimo di caotico, sgovernato, 
                  arbitrario. So che è l’uso comunemente più 
                  accetto, ma da ex (giovanissimo) frequentatore del circolo anarchico 
                  di via Scaldasole avrei dovuto avere qualche esitazione in più... 
                  Cercherò di non farlo più. È che usare 
                  le parole non è mai facile. A volte sono ambigue (“anarchico”, 
                  nell’uso corrente, lo è), a volte non si ha il 
                  tempo di riflettere quanto si vorrebbe e si dovrebbe. 
                  Grazie della sua lettera, buon lavoro e buona vita. 
                Michele Serra 
                  (Milano) 
                  
                 Nel 
                  Monferrato la Resistenza continua... 
                Anche quest’anno a Casale Monferrato è andata 
                  in scena, in occasione del giorno del ricordo (8 febbraio), 
                  la farsa della commemorazione dei “martiri delle foibe”. 
                  Farsa che, da alcuni anni, viene riproposta in chiave revisionista 
                  ed apologetica di un vile passato che credevamo appunto... passato! 
                  Riteniamo infatti che nessuno avrebbe nulla da eccepire se si 
                  trattasse di una normale commemorazione delle vittime della 
                  follia della guerra, comprese le migliaia di Slavi trucidati 
                  dal regime mussoliniano perché “razza inferiore” 
                  e per “riportare l’italianità nelle terre 
                  irredente”.  
                  Ma a Casale no. Qui si assiste ad un subdolo e becero tentativo 
                  di far passare i carnefici come vittime e di riabilitare un 
                  ventennio che significò tirannia, lutti e guerra. Perché 
                  questo è il messaggio che si vuol far passare, imponendo 
                  alle scolaresche discutibili rappresentazioni teatrali in cui 
                  i militi della Repubblica Sociale Italiana paiono come vittime 
                  dell’”odio comunista”. Perché null’altro 
                  significano le parole dell’assessore Riboldi quando parla 
                  di “riconciliazione nazionale” mettendo sullo stesso 
                  piano fascisti e Partigiani, stravolgendo la storia e cercando 
                  di minimizzare i crimini dei primi.  
                  Del resto cosa pensare di una giunta di centro-destra che dedica 
                  un giardino pubblico al generale fascista Ugo Cavallero, distintosi 
                  per l’ordine di usare i gas nervini che uccisero migliaia 
                  di Etiopi? Per non parlare della vicenda Eternit in cui la suddetta 
                  giunta avrebbe accettato l’offerta di Schmidheiny se non 
                  ci fosse stata la giusta reazione popolare. Esiste una sola 
                  parola per definire tutto ciò: fascismo!  
                  Perché il fascismo non è solo quello dei militanti 
                  di CasaPound che ammazzano due ragazzi Senegalesi perchè 
                  hanno un diverso colore della pelle o il rogo di un campo Rom 
                  alla periferia di Torino. Il fascismo ha anche il volto di chi, 
                  presentandosi in una veste più “istituzionale”, 
                  persegue i medesimi fini su un piano commemorativo e pseudo-culturale. 
                  Fascismo quale volto oscuro della democrazia, in fondo entrambi 
                  regimi borghesi intercambiabili l’un l’altro a seconda 
                  del momento storico e della possibilità delle classi 
                  subalterne di liberarsi dalle catene dello sfruttamento imposte 
                  dalla società capitalista.  
                  E contro questo fascismo, noi come Anarchici ed Antifascisti, 
                  non possiamo esimerci di lottare perché oggi come ieri 
                  abbiamo scelto di stare dalla parte degli sfruttati, dei migranti 
                  e delle fasce più deboli e meno protette. Perché 
                  crediamo che sia possibile un altro tipo di società in 
                  cui libertà, uguaglianza e rispetto delle/gli altre/i 
                  e dell’ambiente in cui viviamo siano valori fondanti. 
                   
                  Quindi oggi come ieri attraverso la lotta e l’azione diretta 
                  dobbiamo contrastare qualsiasi rigurgito neofascista. Perché 
                  oggi i fascisti stanno cercando di rialzare la testa e noi non 
                  glielo permetteremo: a Casale ed in tutto il Monferrato i nostri 
                  nonni hanno combattuto e sono morti affinché le generazioni 
                  dopo di loro non dovessero più conoscere un simile abominio. 
                  Loro hanno scelto da che parte stare. Noi anche!  
                  Oggi come ieri, la resistenza continua... 
                Antifascisti Anarchici 
                  lab.perlanera@libero.it 
                  
                 Repressione. 
                  Appello alla solidarietà 
                Cari compagni e compagne, 
                  come saprete dalle nostre cronache negli ultimi anni abbiamo 
                  dovuto affrontare numerose disavventure giudiziarie ed altre, 
                  ben più serie, ci attendono nei prossimi mesi. 
                  Il nostro avvocato, che è bravo e paziente, ha atteso 
                  a lungo e ancora attende che gli diamo qualcosa per i processi 
                  che ha vinto (pummarola all’Unione Industriali in occasione 
                  del G8, scritte “Calabresi assassino” alla sede 
                  della Stampa, scritte alla Croce Rossa “CRI complice dei 
                  pestaggi nei CIE”, occupazione dell’ex cinema Zeta). 
                  In tutto sono 5.000 euro. 
                  La prossima settimana si concluderà il processo “Borghezio”: 
                  il PM ha chiesto per due di noi un anno e sei mesi per diffamazione 
                  a mezzo stampa. 
                  Il 13 aprile comincerà il processo all’assemblea 
                  antirazzista. Sebbene l’associazione a delinquere sia 
                  caduta, il pacchetto di accuse messo insieme dalla procura di 
                  Torino è imponente: si va dall’occupazione del 
                  consolato greco dopo l’uccisione del compagno Alexis Grigoropoulos 
                  a numerosi presidi davanti al CIE, dalla protesta al museo egizio 
                  dopo l’assassinio di un lavoratore egiziano alla protesta 
                  in circoscrizione per la militarizzazione del quartiere. 
                  Rischiamo diversi anni di reclusione. 
                  In questi giorni ci è stata comunicata la conclusione 
                  indagini per le giornate di resistenza No Tav del 2010, che 
                  vedono tra gli indagati tre di noi. Presto comincerà 
                  il processo. 
                  In questi anni i movimenti di opposizione sociale hanno subito 
                  un crescente attacco da parte degli apparati di polizia e giudiziari. 
                  La crisi che incalza, la scomparsa di forme di ammortizzazione 
                  del conflitto sociale, la maggiore pervasività delle 
                  idee e delle proposte degli anarchici hanno messo in moto un’infinità 
                  di azioni repressive, nonostante le quali non ci siamo mai tirati 
                  indietro. Anzi! Sono state di sprone per andare avanti, moltiplicando 
                  le iniziative e l’impegno. 
                  La nostra cassa è in deficit pesantissimo oltre 7000 
                  euro: oggi non riusciamo più a coprire né ad anticipare 
                  altro. 
                  Abbiamo urgente bisogno della vostra solidarietà. 
                  Una solidarietà concreta. 
                  Potete usare il conto corrente postale numero 33280108 intestato 
                  ad “Associazione l’Antistato”, Torino. 
                I compagni e le compagne della Federazione 
                  Anarchica Torinese 
                  fai_to@inrete.it 
                  
                 Dal 
                  carcere di Cuneo / Tobia Imperato: “Io ho già vinto” 
                Arrestato il 26 gennaio 
                  scorso nell’ambito della retata contro i NoTav, detenuto 
                  prima alle Molinette di Torino poi trasferito nel carcere di 
                  Cuneo, quindi messo agli arresti domiciliari “duri” 
                  (nessun contatto con l’esterno, nemmeno con la nipotina 
                  di 5 anni da poco operata: si sospetta che sia una No-Tav anche 
                  lei?), l’anarchico Tobia Imperato ci ha fatto avere dal 
                  carcere di Cuneo questa lettera, che pubblichiamo più 
                  che volentieri, come in passato abbiamo ospitato altri scritti 
                  di Tobia. 
                  Tobia – lo si evince anche da questo suo scritto – 
                  non è tipo da farsi impressionare più di tanto. 
                  E quando sarà fuori del tutto (intendiamo: non più 
                  ai domiciliari) lo rivedremo di sicuro, prima o poi, fare un 
                  salto nella redazione di “A” per una di quelle discussioni, 
                  fraterne ma accese, che da qualche decennio caratterizzano la 
                  nostra intensa amicizia, intensa quasi come le divergenti sensibilità 
                  e opinioni che spesso ci contrappongono, pur nel solco comune 
                  dell’anarchismo.  
                  Roberto Ambrosoli, padre di Anarchik (e, a dire il vero, anche 
                  di un paio di figli), milanese trasferitosi a Torino da giovane 
                  (cioè molto molto tempo fa, vero Roberto?), ha dedicato 
                  a Tobia la sua pagina di Anarchik. 
                  Anche da noi di “A” un abbraccio, caro Tobia! 
                p.f. 
                 Chi vince contro lo stato? 
                Chi vince contro lo Stato? Questo mi ha chiesto un secondino, 
                  saputo che ero un detenuto No-Tav, mentre impudicamente frugava 
                  tra i miei effetti personali, cercando nella pasta portatami 
                  da casa un’improbabile lima. 
                  Chi vince contro lo stato? Non gli ho risposto. Non spreco il 
                  mio tempo a convertire gli sbirri. Eppure dentro di me avevo 
                  non una, ma decine di risposte. Sapevo di aver già vinto 
                  io. Io che completamente nudo ero obbligato a fare piegamenti 
                  davanti a lui per dimostrare che non mi ero infilato niente 
                  nel culo.  
                  Io, che non avevo paura di lui o di quelli come lui, né 
                  dentro né fuori. 
                  Io, che non ero sottomesso e non mi sottraevo alla lotta. 
                  Io, che ero disposto a mettermi in gioco, sempre e comunque, 
                  per difendere la mia libertà e quella di tutti. 
                  Io, che non ero e non sarò mai solo. 
                  Io, che ricevevo in continuazione telegrammi, lettere, giornali, 
                  anche da compagni che non conoscevo. 
                  Come me, stretta al mio fianco, c’era una valle intera, 
                  violata da un’opprimente occupazione militare, per imporre 
                  un’orribile devastazione in nome di un falso progresso. 
                  Una valle che resiste nonostante i pestaggi, e l’uso sconsiderato 
                  di gas CS. Non solo, caso forse unico nella storia dei movimenti 
                  popolari, resta unita in tutte le sue anime che vanno dai cattolici 
                  sino agli anarchici, respingendo al mittente l’accusa 
                  di essere noi dei violenti infiltrati nel movimento. Una valle 
                  che sostiene attivamente tutti gli arrestati. Anzi, ci considerano 
                  a pieno diritto Valsusini e ci ringraziano per aver condiviso 
                  assemblee, momenti conviviali e situazioni di lotta. 
                  E insieme alla valle, in tutta Italia si moltiplicano le iniziative 
                  in nostro sostegno. E anche all’estero si propaga la solidarietà, 
                  come quando il procuratore Giancarlo Caselli – deus ex-machina 
                  dell’inchiesta che ci ha condotto in carcere – è 
                  stato duramente contestato in Svizzera. 
                  Queste erano le cose che mi passavano per la testa mentre mi 
                  rivestivo dopo l’umiliazione subita. E dentro di me ridevo. 
                  Sapevo di essere io il più forte.  
                  Lo Stato, per mezzo di giudici e poliziotti, avrebbe anche potuto 
                  distruggere la mia vita. Io ho già vinto. 
                Tobia Imperato 
                  (carcere di Cuneo) 
                Caro Paolo, 
                  ho ricevuto la rivista e ti ringrazio. Ho scritto una “lettera 
                  dal carcere” che ti accludo. Mi farebbe piacere se fosse 
                  pubblicata su “A”, anche se – probabilmente 
                  – io sarò fuori quando uscirà il prossimo 
                  numero. 
                P.S. Salutami tutti i compagni della redazione e del Centro 
                  Studi Pinelli. 
                  
                
                    
                  
                     
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                          nostri fondi neri 
                            
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                           Sottoscrizioni.  
                            Federico Battistutta (Gropparello – Pc) 30,00; 
                            Giovanna Valtorta (Castelnuovo Magra – Sp) 10,00; 
                            Aurora e Paolo (Milano) ricordando Pio Turroni a 30 
                            anni dalla morte (7.4.1982), 500,00; Alessandro Pigazzini 
                            (Lugagnano Val d’Arda – Pc) 3,00; Giorgio 
                            Sacchetti (Arezzo) 40,00; a/m Umanità Nova, 
                            Francesco D’Alessandro (Walla Walla – 
                            USA) 73,00; Pasquale Palazzo (Cava de’ Tirreni 
                            – Sa) ricordando Faber, 10,00; Marino Frau (Serrenti 
                            – Vs) 20,00; Fabrizio Giulietti (Napoli) 20,00; 
                            Antonello Cossi (Sondalo – So); Gianni Ricchini 
                            (Verbania) 20,00.; Rino Quartieri (Zorlesco – 
                            Lo) 20,00: Paolo Soldati (Clermond Ferrand – 
                            Francia) 200,00; Daniela Belloni (Caprie – To) 
                            5,00: Silvio Gori (Bergamo) ricordando Marina Egisto 
                            e Minos, 50,00; Simone De Maria (Carugate – 
                            Mi) 20,00; Attilio Destri (Tresana – Ms) 20,00; 
                            a/m Massimo Varengo, Mirco Tres (Canegrate – 
                            Mi) 10,00. Totale euro 1.091,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Franco 
                            Bertolucci (Vecchiano – Pi); Roberto Panzeri 
                            (Valgreghentino – Lc); Massimo Ortalli (Imola 
                            – Bo); Tomaso Panattoni (Milano); Ettore Valmassoi 
                            (Quero – Bl); Luigi Pogni (Segrate – Mi); 
                            Gianni Alioti (Genova). Totale euro 700,00. 
                         
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