Ruggero, malgrado 
                    il suo tradizionale antielettoralismo, stavolta aveva deciso 
                    di votare. Non che le sue convinzioni politiche fossero cambiate, 
                    ma cosi, per divertimento, per vedere come si faceva e, magari, 
                    sotto sotto, con la speranza che servisse a qualcosa. Malgrado 
                    la non tenera età, non aveva mai visto da vicino un 
                    seggio elettorale. Da giovane animava i capannelli astensionisti 
                    che il locale gruppo anarchico organizzava alla vigilia delle 
                    elezioni, con gran dispetto dei suoi amici che erano invece 
                    impegnatissimi, magari su fronti opposti.
                    Prima si trattò di scegliere fra monarchia e repubblica 
                    e quest’ultima venne proclamata a malapena. Poi sorse 
                    il dilemma di destra o sinistra e quest’ultima non riusciva 
                    mai a spuntarla. Ruggero, comunque, non aveva l’età 
                    per votare e quando la raggiunse, pur volendo, non avrebbe 
                    potuto esercitare il suo diritto per ragioni varie. Nel primo 
                    paese estero in cui andò a vivere non poteva votare 
                    perché era uno straniero. Nel secondo, del quale assunse 
                    la cittadinanza, la dittatura militare aveva proibito le elezioni. 
                    Nel terzo era in pianta fissa e, dopo cinque lustri decise 
                    finalmente di naturalizzarsi e ottenne, per la prima volta 
                    in vita sua, il diritto di voto. Gli venne spiegato che bastava 
                    compilare una schedina a matita, infilarla nell’apposita 
                    busta, apporvi un francobollo e il gioco era fatto. Gli recapitarono 
                    chili di documentazione: statistiche, biografie, programmi, 
                    fotografie e...promesse, una miriade di promesse.
                    L’unico candidato che pareva umile e modesto, che invitava 
                    l’elettorato ad impegnarsi attivamente nelle cause sociali, 
                    era una donna e per di più una nera (una volta si mormorava 
                    “negra”, oggi, invece, si dice più elegantemente 
                    “afroamericana”) la quale proponeva un programma 
                    socialista assai progressista per il paese. Spedì la 
                    cedola elettorale. Non s’aspettava certamente che il 
                    suo voto preferenziale bastasse per eleggere la candidata 
                    prescelta, ma rimase interdetto dal risultato che le attribuiva 
                    lo 0,00%.
                  
 
                    Forse lo 0,0013%
                  Si recò a protestare alla circoscrizione elettorale, 
                    chiese loro dove fosse andato a finire il suo voto. Calmamente 
                    gli spiegarono che la sua candidata aveva ricevuto 35.000 
                    preferenze in tutta la nazione ma che, rispetto alle decine 
                    di milioni dei due grandi candidati presidenziali, percentualmente 
                    ciò costituiva forse lo 0,0013% e che il calcolo tenendo 
                    conto solamente di due decimali al di là dello zero, 
                    il risultato mostrava solo gli zeri precedenti.
                    Si rese conto che il vecchio detto “la matematica non 
                    è un’opinione” era falso.
                    Vennero altre elezioni e stavolta decise di “non sprecare 
                    il voto” e scelse il pretendente meno disgustoso. Vinse 
                    e fu eletto. Malgrado il suo scetticismo politico sperò 
                    che la situazione economico-sociale generale prendesse una 
                    rapida svolta verso il progresso: assistenza medica garantita 
                    a tutti, aumento considerevole del salario minimo, sovvenzioni 
                    per l’educazione e la cultura (circolava la voce che 
                    la sola città di Berlino stanziasse una somma maggiore 
                    per questo genere di attività, superiore a quella erogata 
                    dal Ministero competente [dovremmo dire piuttosto “incompetente”] 
                    per tutta la nazione) e via di seguito. L’unica crescita, 
                    invece, venne registrata nel bilancio del Ministero della 
                    Difesa (un eufemismo per evitare il termine “guerra”, 
                    magari d’aggressione). Cominciarono presto gli scandali 
                    e ci mancò poco che il capo della nazione non venisse 
                    revocato, non manu militari ma cortesemente, con tanto di 
                    inchini, in virtù di un qualche codicillo. 
                    Nuove elezioni dopo quattro anni. Il candidato delle destre 
                    (si fa per dire perché qui le sinistre non esistono 
                    o son sopravvivenze che non pesano affatto sulla bilancia 
                    politica) era una mezza cartuccia, rozzo e incolto. La solita 
                    amica francese rivolse a Ruggero l’insidiosa domanda: 
                    voterai per lui? Alzò le spalle e disse: ma da dove 
                    è venuto fuori quel pitecantropo? Donna colta e intelligente 
                    Marie pensò che Ruggero si riferisse all’aspetto 
                    somatico del candidato e osservò che sí, l’altro 
                    contendente era più aitante e simpatico ma che per 
                    guidare la nazione più potente del mondo ci voleva 
                    un uomo di polso...
                    Ruggero lasciò correre e cercò di far circolare 
                    l’immagine del pitecantropo. Inutilmente! I suoi amici 
                    americani, pur laureati, non avevano forse mai studiato la 
                    paleontologia oppure era lui che magari pronunciava male la 
                    parola. Consultò il fidato dizionario Oxford, che confermò 
                    l’esistenza del lemma e anche il suo valore fonetico. 
                    Provò allora a sostituire il termine con “troglodita”. 
                    Fece di nuovo cilecca. O la parola suonava ostica oppure non 
                    veniva riconosciuta. Allora cominciò a divertirsi e 
                    a trattare tutte le persone antipatiche di pitecantropi e 
                    trogloditi e ad arrischiare – senza che gliene derivasse 
                    danno – anche qualche epiteto più spinto, come 
                    “microcefalo”. 
                    Un connazionale, insegnante di latino, sorrise appena nell’ascoltare 
                    la narrazione delle sue prodezze e si vantò di ben 
                    maggiori esiti nelle sue invettive in latino non aulico (talvolta 
                    maccheronico o da legionario) e tirò fuori dal suo 
                    repertorio qualche esempio divertente. “Vedi!” 
                    disse, “se uno ti tratta da “buco del c...” 
                    (insulto quotidiano molto comune qui), tu gli rispondi “magna 
                    meretrix filium” lui rimane esterrefatto e completamente 
                    disarmato. La superiorità nell’insultare non 
                    consolò però Ruggero quando lesse nei giornali 
                    i risultati finali delle elezioni: il Pitecantropo aveva vinto, 
                    magari rubando qualche voto in Florida, sotto gli auspici 
                    delle leggi locali.
                    Ruggero – ma che dabbenaggine! – s’aspettava 
                    che il Troglodita venisse sommerso da una maggioranza dell’ottanta 
                    per cento, almeno. Le statistiche gli davano torto: uno scontro 
                    del genere non era mai avvenuto. Per lui era uno scandalo 
                    che l’uomo avesse vinto con tanti milioni di voti: prova 
                    che né l’intelligenza, né la cultura, 
                    né le buone intenzioni, né i programmi lodevoli 
                    bastano per far trionfare il buon senso. Ormai il paese si 
                    sarebbe avviato verso modelli da terzo mondo, guerre, distruzioni 
                    ambientali.
                  
                     
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                      Cina 
                          (Zhoukoudian, vicino a Pechino) 
                          Museo dei resti storici dei Pitecantropi  | 
                    
                  
                  
 
                    Inguaribile mediocrità
                  Cominciarono le angherie, le spavalderie, l’arroganza, 
                    soprattutto nei riguardi degli altri paesi, dei rapporti internazionali. 
                    Risorse il capitalismo selvaggio che non rigettava frontiere. 
                    Prevalse definitivamente il clima delle privatizzazioni, della 
                    desindacalizzazione (le maestranze aderenti alla centrale 
                    sindacali scesero a livelli infimi), il rincaro del costo 
                    della vita, intervennero i tagli alla sanità, all’educazione, 
                    all’assistenza sociale.
                    Come se non bastasse, sopravvennero i conflitti bellici, anche 
                    se queste guerre erano state dichiarate ingiuste dal Papa 
                    (stranamente, i cattolici americani anziché ascoltare 
                    il saggio polacco davano retta ai pitecantropi) e illegali 
                    secondo il diritto internazionale. Il disastro si estese, 
                    vennero messe in pericolo le alleanze politiche mondiali. 
                    
                    Ruggero partecipò alle prime sparute manifestazioni 
                    antibelliche e ci mancò un pelo che non venisse ‘fermato” 
                    dalle forze dell’ordine (qui non si osava ancora chiamarle 
                    “le forze del disordine”, come faceva invece apertamente 
                    il settimanale anarchico Umanità Nova in Italia). Si 
                    compiacque, dopo qualche mese, nel veder crescere il contingente 
                    dei protestatari, fenomeno dovuto in parte al rimpatrio delle 
                    prime bare dei caduti americani (i programmi televisivi non 
                    trasmettevano mai filmati sulle atrocità dei bombardamenti 
                    degli “Alleati”). Timidamente e poi sempre più 
                    dinamicamente si moltiplicavano gli appelli alla pace, il 
                    rigetto della politica isolazionistica, la ripulsa delle aggressioni 
                    militari. Ormai i candidati per le elezioni seguenti si assestavano 
                    su posizioni chiare: la cessazione delle ostilità.
                    In un viaggio all’estero si sorprese che i sondaggi 
                    non dessero il pitecantropo per vinto. Rassicurava i suoi 
                    interlocutori affermando che non c’era più pericolo, 
                    che l’America si era desta e che avrebbe sepolto i pitecantropi 
                    sotto una valanga di improperi e di voti avversi. Ruggero 
                    si disse che questa volta non valeva la pena scomodarsi e 
                    che una gran maggioranza avrebbe subissato i “duri”.
                    La saggia moglie lo convinse a far coincidere la fiera elettorale 
                    con una scampagnata, per mantenerlo a distanza dalle inevitabili 
                    liti. Il piccolo schermo, però, lo perseguitò 
                    anche li. Rimase allibito coi primi risultati, poi confermati. 
                    Com’era possibile? Doveva concludere che il popolo degli 
                    elettori fosse affetto da un’inguaribile mediocrità? 
                    
                    Prima di esprimere un giudizio pensò all’Italia. 
                    Anche il Cavaliere era stato “democraticamente” 
                    eletto. Cercò altri esempi storico-politici e ne trovò 
                    a bizzeffe. Ne concluse che la teoria dell’evoluzione 
                    era fallace, che andava integrata con aspetti psicologici, 
                    che l’intelletto pesa poco sulla bilancia delle scelte 
                    e che, forse non a torto, per questo lo chiamavano un utopista.