La rappresentazione del movimento 
                     
                  
Tutto ciò che è riproducibile 
                    con la macchina da presa può essere rappresentato sullo 
                    schermo. I film si adeguano alle più profonde esigenze 
                    cinematografiche soltanto quando seguono la tendenza realistica, 
                    concentrandosi sull’esistenza fisica reale. Un esempio? 
                    La bellezza del vento che si muove tra gli alberi, le onde 
                    del mare, la neve che cade…
                    In altre parole, nonostante la sua capacità di riprodurre 
                    indiscriminatamente tutti i fatti visibili, il cinema gravita 
                    verso la realtà immediata. E da questo fatto nascono 
                    due diverse premesse legate l’una all’altra. In 
                    primo luogo la messa in scena è legittima dal punto 
                    di vista estetico finché dà l’illusione 
                    della realtà. In secondo luogo, e per la stessa ragione, 
                    ogni messa in scena è anticinematografica se trascura 
                    o va al di là delle proprietà fondamentali del 
                    mezzo.
                    Fino all’avvento del cinema cercare di riprodurre un 
                    movimento nell’interezza della sua natura, nella continuità 
                    della sua evoluzione, restava insoluto e sembrava insolubile. 
                    Nel tempo in cui si diffondeva l’uso dei treni, della 
                    bicicletta, dell’automobile, del telegrafo, del telefono, 
                    dell’aereo e di ogni mezzo adatto a battere il record 
                    della velocità, il problema della rappresentazione 
                    del movimento, sembrava non interessare molto. Se ne occupava 
                    soprattutto la pittura, ma sempre in forma statica. Il cubismo 
                    e i suoi derivati proposero una raffigurazione prospettica 
                    dell’oggetto su molti piani. Tale complessa prospettiva 
                    dava un’impressione di movimento, invitando lo spettatore 
                    a spostarsi anch’esso fantasticamente.
                    Tali espedienti, avevano però lo stesso difetto a cui 
                    non sembrava poter mettere rimedio. L’impossibilità 
                    di raffigurare un movimento con un altro movimento.
                    Il cinema ha risolto proprio questa impossibilità, 
                    sommando una serie di infinitesimali fotografie istantanee 
                    e discontinue nella loro successione integrale e continua 
                    che è appunto il “movimento”, permettendo 
                    così quella che noi oggi riconosciamo come “narrazione 
                    cinematografica”.
                    La rappresentazione del movimento, permessa dal cinema, fu 
                    dapprima percepita in modo del tutto superficiale (il linguaggio 
                    cinematografico non aveva ancora sviluppato tutte le sue capacità), 
                    poi usata un po’ a sproposito (riproducendo fino all’avvento 
                    del sonoro nel 1929 una sostanziale messa in scena teatrale 
                    filmata) fino a quando i grandi padri dell’arte cinematografica, 
                    penso Chaplin, Griffith, Stoheim, Ejsenstein, Pudovkin, Vertov, 
                    Lang (solo per citarne alcuni) gli restituirono dignità 
                    e forma artistica. La domanda è: quella dignità 
                    e qualità artistica appartiene ancora oggi al cinema 
                    contemporaneo?