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                  articolo 18 
                  Licenziare per assumere. Geniale 
                  di Angelo Tirrito 
                  Alcune riflessioni sul dibattito 
                    in corso su garanzie, licenziamenti, disoccupazione, ecc... 
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                  Altre volte mi 
                    sono occupato del mercato e del falso anelito alla sua separazione 
                    dallo Stato, per la quale fingono di battersi tutti i liberisti 
                    di questo mondo, italiani compresi, che dimostrano il massimo 
                    accanimento “scientifico” al punto di esecrare 
                    il povero J. M. Keynes reo di immaginare lo stato come investitore 
                    capace, non tanto di generare argini diretti alla prevenzione 
                    delle crisi, quanto a mettere in moto meccanismi per contribuire 
                    a risolverle. 
                    Negli ultimi tempi ero, però, costretto ad un certo 
                    imbarazzo. Non potevo non tenere conto di come, nel governo 
                    fosse, pesantemente presente, un personaggio che, per difendere 
                    se stesso dall’attenzione giudiziaria, lasciava che 
                    nel mercato giocassero liberamente anche le forze capaci di 
                    imporre i propri interessi: monopolisti, falsificatori di 
                    bilanci, corruttori e mafiosi compresi. 
                    In questo quadro l’attacco all’art. 18 sembrava, 
                    più che altro, non tanto il frutto di un pensiero che 
                    avesse un qualche senso economico ma, piuttosto, della volontà 
                    di discreditare i sindacati.  
                    Già la lettera dell’agosto 2011 dell’ Europa 
                    all’Italia in cui si tirava in ballo anche l’art. 
                    18, aveva suscitato in me qualche apprensione, ma confesso 
                    di averla sottovalutata essendo questa parte confusa tra altre 
                    più gravide di conseguenze immediate. 
                    Oggi al vertice del governo c’è un competente 
                    uomo del mercato. Dovremmo, quindi, dibattere su proposte 
                    di interventi, che nel rispetto di tutte le leggi, 
                    trovino la loro ragion d’essere in progetti di rilancio 
                    dei fattori produttivi, tra cui il lavoro, per assicurare 
                    il benessere per tutti. E data la alta considerazione nazionale 
                    ed internazionale che lo circonda insieme con tutti i ministri, 
                    ci sarebbe da aspettarsi di non essere presi in giro.  
                    Ma ecco. di nuovo, l’eliminazione dell’art. 18. 
                    Bisogna licenziare per assumere. Soprattutto 
                    i giovani! 
                    
                    
                    Dieci domande 
                  Nell’introduzione all’opera in questione Non 
                    si definisce a che tipo di umanità apparterranno i 
                    licenziati. Tutto lascia prevedere che saranno i meno giovani. 
                    I quali, comunque, verranno assunti da altre aziende che nasceranno 
                    nel clima di rilancio del lavoro che i competenti sapranno 
                    realizzare. (ci ritornerò) 
                    A questo punto chiunque fosse fornito di un minimo di logica 
                    dovrebbe porsi e porre alcune domande tipo le dieci che Repubblica 
                    poneva a Berlusconi. 
                    - a quanti anni si acquisisce il diritto ad essere 
                      licenziati senza un perché? (ex Art. 18) 
                    
 - quelli, comunque, licenziati con un perché, potranno 
                    essere assunti da altre aziende?
                    
 - i giovani per i quali i padri sono stati licenziati, quando 
                    arriveranno alla stessa età potranno, a loro volta, 
                    “godere” del licenziamento cosicché non 
                    correranno il pericolo di annoiarsi?
                    
 - visto che i licenziati verranno assunti da altre aziende, 
                    perché queste altre aziende non assumono direttamente 
                    i giovani?
                    
 - avendo, in grande fretta, cambiato il sistema pensionistico, 
                    i contributi versati dal lavoratore, che dopo anni di servizio 
                    hanno raggiunto maggiori importi mensili che permetterebbero 
                    pensioni proporzionate, verranno rispettati negli importi 
                    precedenti dalla azienda che li assume o saranno, con grave 
                    danno, calcolati ex-novo come per nuovi assunti?
                    
 - e nel periodo nel quale si è in attesa di un nuovo 
                    lavoro, chi verserà i contributi per le pensioni?
                    
 - non verrebbero più versati? e se dovessero versarli 
                    i lavoratori, su che importi verrebbero calcolati? sui precedenti 
                    emolumenti o su quelli che si percepirebbero come indennità 
                    di disoccupazione con conseguente riduzione della pensione? 
                    E la quota che precedentemente era a carico del datore di 
                    lavoro, da chi sarà versata?
                    
 - in questo secondo caso perché, senza colpa per il 
                    licenziamento subito, un lavoratore dovrebbe vedersi ridotto 
                    l’importo della pensione?
                    
 - poiché il licenziamento sarà disposto per 
                    procurare un beneficio all’ azienda, nel caso questa 
                    lo realizzasse, non sarebbe pure merito del lavoratore che 
                    ha contribuito a quei benefici prima col suo lavoro e poi 
                    col suo licenziamento?
                    
 - e se malgrado il licenziamento l’azienda fallisce, 
                    non sarebbe equo che i responsabili pagassero in qualche modo?
  
                    
                  Ritengo che la ragione per cui si vuole eliminare l’art. 
                    18 sia ben diversa e sia, come sempre, la sfrenata volontà 
                    del controllo assoluto del lavoro, facile ad ottenersi imponendo 
                    e gestendo la miseria, che non è solo quella economica, 
                    perché se fosse solo quella la ribellione sarebbe immediata.  
                  
                     
                    
                    Creare il lavoro? 
                  La miseria, senza spazi di rivolta, (non necessariamente 
                    sanguinosa) è quella che distrugge ogni certezza e 
                    speranza per il presente e per l’ avvenire. E quella 
                    minima speranza per il futuro non può che nascere, 
                    per un lavoratore subordinato, dal fare il proprio dovere 
                    sul lavoro.  
                    E che fine fa, nei confronti dei lavoratori, il famoso “merito” 
                    che “gli uomini del mercato” esaltano come unico 
                    elemento discriminante?  
                    Come può esservi per un operaio, per un impiegato, 
                    per un lavoratore subordinato, un elemento fondamentale di 
                    valutazione diverso dall’esperienza acquisita, nel 
                    tempo, sul lavoro? 
                    Si può valutare il merito di un lavoratore se il tempo 
                    diventa, invece, il motivo della perdita del suo lavoro? 
                    Ma torno al rilancio dell’economia che realizzeranno 
                    questi tecnici. Lo dicono dovunque e in tutte le lingue. Bisogna 
                    creare lavoro! Creare lavoro? Ma che bisogno 
                    c’è di crearlo il lavoro? 
                    Questi signori sono mai stati negli ospedali, nei pronto soccorso? 
                    sanno delle scuole con aule di 35 alunni, dello stato del 
                    nostro territorio, della situazione degli anziani, della mancanza 
                    quasi totale degli asili nido, dell’età media 
                    e della mancanza di personale nei tribunali, del degrado delle 
                    nostre città e delle nostre campagne ecc. ecc. 
                    Ma con tutto il lavoro che c’è da fare che bisogno 
                    c’è di andarselo ad inventare? Ma qualcosa l’ 
                    hanno inventata!  
                    Lustrando le loro grandi competenze hanno appena varato, nel 
                    decreto per la crescita, l’inventiva di Società 
                    a r. l. con capitale di un euro, da fondarsi da parte di giovani. 
                    Poiché, malgrado l’inventiva, per amministrare 
                    una qualunque azienda occorrono alcuni minimi investimenti 
                    come: contratti luce, gas, telefono, scaffalature, computer, 
                    cauzione per l’affitto ecc. per un importo, supponiamo, 
                    di 5.000 euro, il bilancio della società sarà 
                    di 1 euro di capitale e 4.999 euro di debito. Quale banca 
                    darà un fido e quale fornitore la merce? Inventiamoci 
                    pure che, commossi dalla buona volontà dei giovani 
                    e del governo, banche e fornitori diano ciò di cui 
                    si ha bisogno; i prezzi di vendita di questa nuova società 
                    non possono essere che superiori a quelli delle società 
                    più grosse e più capitalizzate presenti nel 
                    mercato. Le nuove società dei giovani saranno quindi 
                    società “marginali” che permetteranno alle 
                    altre società del mercato di aumentare i prezzi di 
                    vendita fino ad allinearli, quasi, a quelli delle società 
                    marginali. 
                    Mettere in moto meccanismi che giochino a favore di aumenti 
                    dei prezzi per chi sono un aiuto? per i consumatori? E creare 
                    strutture che dilapidino velocemente i pochi risparmi dei 
                    padri e dei nonni (i veri finanziatori di quei giovani che 
                    apriranno quelle società) sarà un fattore di 
                    crescita e di coesione sociale? 
                 
                  
                  Angelo Tirrito 
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