In Grecia sta succedendo qualcosa 
                    di potenzialmente esplosivo dal punto di vista dei processi 
                    di emancipazione. Per capire le dinamiche che vi si stanno 
                    dispiegando bisogna sforzarsi di avere uno sguardo disincantato, 
                    il più possibile sganciato da adesioni emotive e da 
                    facili partigianerie. Non si tratta di capire chi ha torto 
                    e chi ha ragione. Questo lo sappiamo già perché 
                    è di un’evidenza lapalissiana. Ha ragione il 
                    popolo dei diseredati, l’insieme di tutti coloro che 
                    vengono ulteriormente impoveriti in modo sistematico, assassinati 
                    socialmente da una politica il cui vero scopo non dichiarato 
                    è quello di salvaguardare l’arricchimento speculativo 
                    di una plutocrazia spietata, la cui ricchezza si nutre di 
                    un costante accumulo finanziario che immiserisce i non abbienti, 
                    massacrando di conseguenza chi già ha poco, pochissimo, 
                    o addirittura nulla.
                    Il resoconto quotidiano delle scelte e del disegno dei potenti 
                    incombe. Oggi chi conduce il gioco politico dei paesi economicamente 
                    più deboli si trova con facilità sovrastato, 
                    addirittura incanalato, da chi tira i fili implacabili ed 
                    efferati dell’alta finanza. Da qualche anno questa è 
                    cronaca di tutti i giorni. Con dovizia di particolari i vari 
                    notiziari, i diversi network, gli analisti dell’informazione, 
                    la baraonda insomma che ne parla senza tregua, quotidianamente 
                    ci comunica lo strazio continuo di governi ricattati e sottomessi 
                    da altri governi più potenti. Sostenendo di agire per 
                    salvare il salvabile e per non affossare definitivamente i 
                    popoli loro affidati, questi signori obbediscono alle oligarchie 
                    sopranazionali dominanti e prendono decisioni capestro che 
                    ricadono sulle loro genti, senza nemmeno consultarle. In un 
                    paese debolissimo come la Grecia la gran parte della popolazione, 
                    sottoposta a questa mannaia politica ed economica, si trova 
                    ridotta all’indigenza e all’invivibilità.
                    Intanto la ricchezza dei più ricchi cresce di pari 
                    passo col crescere della povertà dei più poveri. 
                    Questo è l’intrattenimento cui siamo costretti 
                    ad assistere. Questa è la dannazione che siamo costretti 
                    a vivere. E non se ne vede né se ne intuisce la fine. 
                    Anzi, ci sentiamo impadroniti dalla certezza che, se anche 
                    prima o poi ci sarà una pausa in questo gioco al massacro, 
                    nulla di ciò che è stato maltolto verrà 
                    mai in qualche modo restituito ai più. La regola non 
                    scritta imperante, imposta vigliaccamente senza nessun accordo, 
                    è che quando loro guadagnano se va bene noi non perdiamo 
                    nulla, mentre quando sono in difficoltà le loro perdite 
                    si riversano su di noi e sta a noi pagare i loro disastri. 
                    I guadagni sono solo di pochissimi, mentre le perdite vengono 
                    socializzate, di fatto sulla pelle di chi già non sta 
                    troppo bene. In natura soltanto la stupidità dell’essere 
                    umano si permette masochisticamente il “lusso” 
                    di un tale disequilibrio.
                  
                     
                       
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                      Atene 
                          - Piazza Syntagma, sciopero contro l’austerity 
                          e scontri tra manifestanti e polizia  | 
                    
                  
                  
 Tra popolazione esasperata e forze dell’ordine
                  Abbiamo così il popolo greco in ginocchio, affamato 
                    e derubato, sostanzialmente per mantenere in auge un sistema 
                    fondato sulla rapina perpetrata da oligarchie che hanno la 
                    possibilità e l’abilità di accumulare 
                    rendite finanziarie. Per le stesse ragioni e all’interno 
                    dello stesso gioco, probabilmente allo stato greco seguiranno 
                    altri stati, sempre economicamente deboli, tra cui in prima 
                    fila quello italiano. Come sta succedendo in Grecia il disastro 
                    statale si riverserà su genti e popolazioni, inevitabilmente 
                    provocando inenarrabili rovine sociali ed esistenziali.
                    In questo quadro inquietante, le cui tinte reali in verità 
                    sono molto più fosche, la reazione popolare, cioè 
                    la qualità delle ribellioni a un simile insopportabile 
                    sopruso di portata gigantesca, acquista un valore niente affatto 
                    indifferente. La ribellione popolare esplosa in Grecia, oltre 
                    a manifestare in modo evidente la volontà generale 
                    di non accettare supinamente le abiette misure lacrime e sangue, 
                    non dà l’idea di essersi ancora espressa in tutta 
                    la sua portata potenziale. Non c’è dubbio che 
                    in Grecia è in atto una vera e propria rivolta sociale 
                    che sta cercando, a tratti in modo intuitivo a tratti con 
                    razionalità, una strada convincente per provare a uscire 
                    dal baratro senza fondo in cui sta precipitando. Più 
                    o meno tutti i greci ora sanno, o sono sul punto di sapere, 
                    che la strada possibile per non essere inghiottiti dall’abisso 
                    di questo rovinoso sistema capitalista in auge non può 
                    passare attraverso le logiche imposte dallo stato e dal suo 
                    governo. Ciò che solo pochi, per ora, cominciano a 
                    intuire è che non può non passare attraverso 
                    la ricostruzione dal basso di rapporti sociali, politici ed 
                    economici rivoluzionati e innovativi.
                    Ne consegue che tra la popolazione esasperata e le forze di 
                    polizia spesso si verificano scontri diretti, che con sempre 
                    più frequenza assumono connotati furibondi di travolgente 
                    violenza. È inevitabile, dal momento che lo stato vorrebbe 
                    ridurre i suoi cittadini a sudditi, pretendendo accettazione 
                    supina e obbedienza cieca riguardo a qualsiasi decisione dei 
                    suoi organi istituzionali. Così la frequenza di occasioni 
                    di scontri durissimi sta cambiando la qualità e le 
                    modalità del modo di condurli. Da una parte le forze 
                    di polizia ogni volta sembrano più incattivite e intervengono 
                    con aumenti di brutalità. D’altra parte la popolazione 
                    giustamente non vuole sottomettersi e fiuta con grande rabbia 
                    l’insopportabile ingiustizia. Sia aumenta la propria 
                    collera per il senso d’impotenza da cui è vieppiù 
                    pervasa, sia si sta abituando al fatto di doversi difendere 
                    da feroci aggressioni poliziesche ogni volta che decide di 
                    dimostrare nelle piazze la propria determinazione di opporsi.
                    Questa progressione, che ha aspetti sia emotivi che razionali, 
                    è apparsa in tutta evidenza durante la manifestazione 
                    di domenica 12 febbraio, quando nella tradizionale piazza 
                    Sintagma si sono trovate concentrate diverse centinaia di 
                    migliaia di persone (100.000 secondo la stampa ufficiale, 
                    250.000 secondo le cifre fornite dagli stessi manifestanti). 
                    In quella manifestazione è successo qualcosa di nuovo. 
                    Per la prima volta le centinaia di migliaia di persone presenti 
                    per protestare, dopo esser state aggredite in modo spropositato 
                    dalle forze dell’ordine senza una ragione che non fosse 
                    pura repressione, hanno sostenuto, incitato e in un certo 
                    senso richiesto l’intervento di chi era risoluto a fronteggiare 
                    la polizia in modo efficace ed estremamente deciso. Praticamente 
                    la massa presente per protestare contro il governo ha incitato 
                    compatta ed ha partecipato attivamente a risposte di lotta 
                    violenta contro le forze governative. Questo non lo dicono 
                    solo i compagni presenti, che è ovvio, ma tutta la 
                    stampa normalmente più o meno schierata contro l’uso 
                    della violenza per protestare.
                    La guerriglia è generale. Coinvolge uomini e donne 
                    di ogni età. Gente comune, scesa in piazza per la prima 
                    volta, ma decisa comunque a far sentire la propria voce… 
                    Atene Brucia. Di rabbia e di violenza. Molti me lo gridano 
                    in faccia: «È solo l’inizio. Se passano 
                    le misure per noi è finita. Allora sarà guerra. 
                    Guerra per vivere o morire.» È la lucida 
                    e sincera testimonianza dell’inviato Daniele Mastrogiacomo 
                    (“la Repubblica”, lunedì 13 febbraio). 
                    Sono gli stessi compagni del sito dei comunisti libertari 
                    greci a sottolineare che c’è una differenza nel 
                    modo di partecipare della gente rispetto alle situazioni precedenti. 
                    Solo che, stavolta, la gente ha reagito – scrivono.
                  
                     
                       
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 Lisbona 
                          slogan di solidarietà con le lotte in Grecia  | 
                    
                  
                  
 L’autogestione non è una novità
                  La rivolta sociale sta dilagando di fronte a disperazione 
                    e morte della speranza che avanzano, generate e incitate da 
                    governi asserviti in pieno alle esigenze del dominio finanziario, 
                    le cui scelte uccidono la società. È però 
                    una rivolta che va conosciuta e capita nella complessità 
                    della sua dimensione, non limitabile ai momenti dello scontro 
                    di piazza. Nei fatti sta assumendo aspetti, di cui non si 
                    parla a livello mediatico, molto meno spettacolari ma molto 
                    più interessanti. Si tratta di pratiche e di avvio 
                    di esperienze che, se riusciranno a prendere piede a livello 
                    di masse di persone, nel lungo periodo risulteranno molto 
                    più efficaci ed incisive della mera rivolta di piazza, 
                    la quale invero non ha molte possibilità di riuscita 
                    e d’incisività oltre il nichilismo devastatore 
                    che facilmente assume. Se infatti la rivolta si limita ai 
                    momenti insurrezionali, quando va bene, ma è molto 
                    raro, riesce a bloccare la contingente azione governativa 
                    o a nullificare aggressioni repressive, senza però 
                    dare avvio a qualcosa di nuovo destinato a permanere; quando 
                    ci riesce aiuta ad abbattere o a fermare il nemico, ma è 
                    insufficiente per essere liberante.
                    Le testimonianze dirette dei/le compagni/e e ciò che 
                    scrivono nei loro siti fanno supporre con chiarezza che in 
                    Grecia è in atto, e a poco a poco si sta dilatando, 
                    un fermento sociale innovatore, che non solo si oppone con 
                    forza e determinazione alle misure capestro cui il popolo 
                    è sottoposto, ma che cerca strade nuove per emanciparsi 
                    dalla condizione socio/economico/politica cui è costretto. 
                    La crisi devastante che sta mettendo a dura prova il popolo 
                    greco sta fungendo da detonatore e involontariamente lo spinge 
                    a mettere in atto dei processi di potenziale innovazione rivoluzionaria. 
                    Ovviamente, se si vuole che questi processi riescano effettivamente 
                    a originare situazioni emancipative, non possono essere lasciati 
                    a se stessi.
                    Ma la realtà trova la sua strada spontaneamente… 
                    – è scritto sempre nel sito dei comunisti libertari 
                    greci – …i problemi veri, quelli della gente, 
                    e non i falsi ideologici dei politici… costringono la 
                    gente ad organizzare la sua vita in un altro modo… Per 
                    la prima volta nella storia della Grecia moderna, l’autogestione 
                    non è una novità. Nessuno si stupisce ormai 
                    di niente. Sembra in effetti che siano diverse, ed in 
                    aumento, le situazioni spontanee occupate ed autogestite, 
                    diverse tra loro, ma tutte in vario modo orientate a tentare 
                    di cominciare a costruire nuove modalità di produzione 
                    e d’intervento lavorativo, non più espropriato 
                    da enti istituzionali, multinazionali, banche, o quant’altro, 
                    bensì mantenuto sotto il controllo e la gestione delle 
                    comunità sociali che hanno occupato ed espropriato 
                    per lottare, per salvaguardare la propria sopravvivenza. Accanto 
                    a queste c’è anche il tentativo di mettere in 
                    piedi una rete di distribuzione autogestita che sia in grado 
                    di sottrarsi alle fauci della distribuzione mercantile.
                    L’emittente radio della chiesa ortodossa per poco 
                    non veniva occupata – Sai che novità... l’emittente 
                    televisiva ALTER è occupata e autogestita dai lavoratori. 
                    L’ospedale di Kilkis è occupato e sotto il diretto 
                    controllo dei lavoratori. Nessuno sa quante aziende si trovano 
                    in sciopero oppure sono state occupate. Continua nella 
                    sua informazione il sito dei libertari greci. Ampi servizi 
                    sull’occupazione e sull’autogestione dell’ospedale 
                    di Kilkis sono stati fatti tra l’altro da siti di controinformazione 
                    italiani e trasmessi su Yahoo e Indymedia, in cui si dà 
                    rilievo alle proposte di lotta e di azione votate dalle assemblee 
                    in lotta. Stiamo assistendo all’inizio di una diserzione 
                    sociale in costante fibrillazione, all’interno della 
                    quale si mescolano in un vortice incontrollabile voglia di 
                    resistere e di non essere sottomessi, bisogno di nuovo sganciato 
                    dalle logiche del mercato capitalista, paure, dubbi, rabbia, 
                    disperazione. A tutti gli effetti è in atto una rivolta 
                    sociale i cui contorni si devono ancora delineare.
                  
                     
                       
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                      |   Kilkia, 
                          Grecia settentrionale - occupazione ed autogestione  
                          dell’Ospedale Generale cittadino da parte dei 
                          lavoratori  | 
                    
                  
                  
 
                    Ricostruzione sociale
                  In una tale contingenza è importantissimo che nessuno si faccia prendere da derive nichiliste. L’insurrezione è inevitabile e va bene perché la sua determinazione è in grado di bloccare l’azione repressiva del potere. Ma gli eventi e i momenti insurrezionali non possono essere considerati i punti di forza della rinascita sociale e della ricostruzione emancipativa, che invece si rafforzano attraverso la costruzione alternativa, plurale, molteplice e radicale di nuove relazioni sociali, di nuove metodologie politiche di scelta e di decisione, di nuove forme economiche di produzione scambio e distribuzione. La ricostruzione sociale gestita direttamente dalle comunità lascerà il segno e darà avvio a concrete speranze, mentre il puro e semplice abbattimento dei poteri costituiti lascerà lo spazio a incognite incontrollabili dai più, storicamente controllate da oligarchie di furbi e spregiudicati con la capacità di prendere in mano le situazioni e il potere. Per essere autentica e permanere l’autogestione non può essere improvvisata, mentre va realizzata con consapevolezza e scienza.