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				 arte 
                  
                Piramidi e gelosia 
                  
                di Franco Bunčuga 
                  
                Giancarlo De Carlo è stato uno degli architetti più interessanti dal secondo dopoguerra. Per vari anni militante anarchico, ha scritto cose molto interessanti. Due volumi pubblicati da Quodlibet lo scorso anno ci permettono di fare ancora i conti con le sue pratiche e il suo pensiero originale e libertario. 
                 
                  Tra i tanti eventi dedicati al 
                  centenario della nascita di Giancarlo De Carlo, che si concluderanno 
                  nel giorno del suo compleanno, il prossimo 12 dicembre, segnalo 
                  la recente pubblicazione presso l'editrice Quodlibet di due 
                  testi essenziali per capire la formazione del pensiero anticonformista 
                  e libertario di uno dei più grandi architetti italiani 
                  del secolo scorso. 
                  Il primo è La Piramide rovesciata, uno scritto 
                  sulla rivolta delle università in cui De Carlo fa il 
                  punto sulle sue esperienze con gli studenti in rivolta nelle 
                  università americane di Yale, al Massachusetts Institute 
                  of Technology (M.I.T.), a Berkeley, Venezia, Genova e Milano; 
                  pubblicato nel 1968 a Bari dall'editore De Donato e ripubblicato 
                  oggi a cura di Filippo De Pieri, col sottotitolo Architettura 
                  oltre il '68 e l'aggiunta di altri due testi decarliani 
                  affini. 
                  Il secondo libro è Sono geloso di questa città, 
                  Giancarlo De Carlo e Urbino, un prezioso approfondimento 
                  di Lorenzo Mingardi del rapporto esclusivo e “geloso” 
                  che ebbe l'architetto con la città che vide i suoi progetti 
                  più famosi e celebrati internazionalmente. 
                  Due libri che spesso si incrociano, che parlano di due momenti 
                  fondamentali per De Carlo, due temi che costituiscono la radice 
                  da cui poi germoglieranno tutte le sue successive esperienze 
                  progettuali e ideali, temi che, in nuce, erano già presenti 
                  nella relazione sul problema della casa che presentò 
                  all'incontro anarchico di Canosa di Puglia nel 1948, stimolato 
                  da Carlo Doglio dopo l'incontro di tre anni prima a Carrara 
                  al Convegno nazionale della Federazione anarchica italiana. 
                  Già nella relazione di Canosa, apparsa nello stesso anno 
                  come articolo sul secondo numero della rivista Volontà, 
                  De Carlo indica la soluzione del problema della casa nella dimensione 
                  urbana non semplicemente nella mera ricostruzione materiale 
                  delle rovine della guerra, ma nell'edificazione di una comunità 
                  che ricostruisca legami e spazi di libertà e partecipazione 
                  usando come strumento la pratica dell'architettura. 
                
                   
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                    |   Giancarlo De Carlo (1919-2005)  | 
                   
                  
                La piramide rovesciata 
		        Rileggere la Piramide rovesciata quasi cinquant'anni 
                  dopo e trovarla più attuale che allora è stata 
                  una bella sorpresa. Quando affrontai il testo nei primi anni 
                  '70, durante il corso di laurea in Urbanistica, devo confessare 
                  che rimasi un po' deluso: teorie un po' fumose e poche notizie 
                  pratiche da usare per il corso biennale di laurea allo Iuav 
                  tenuto da De Carlo, che frequentavo e che aveva come tema la 
                  progettazione di strutture universitarie sul territorio.  
                  Ora in quel testo vedo dipinto un mondo che non potevo vedere 
                  con troppa chiarezza perché vi ero completamente immerso. 
                  De Carlo era veramente altro dall'ambiente dell'architettura 
                  con cui eravamo venuti in contatto nei primi anni universitari; 
                  aveva avvertito in anticipo sin dai primi anni '60 i fermenti 
                  anti-autoritari presenti nei campus americani dove era stato 
                  in qualità di 'visiting professor'. 
                  La piramide rovesciata nasce da una conferenza per “i 
                  Venerdì letterari” di Torino del febbraio '68 col 
                  titolo generico di Questioni di architettura e urbanistica 
                  con sottotitolo: La crisi delle facoltà di architettura 
                  e già in aprile viene pubblicato per i tipi della De 
                  Donato dove acquisisce solo in fase di stampa il riuscitissimo 
                  titolo attuale.  
                  La descrizione della piramide gerarchica che raffigurava il 
                  potere universitario colpì profondamente la mia idea 
                  sul potere: formata da strati orizzontali che partivano dagli 
                  assistenti volontari e ordinari e arrivava, dopo numerosi livelli 
                  fino ai presidi e ai rettori; poi il colpo geniale di De Carlo 
                  svela gli arcani del potere: «la loro stratificazione 
                  dà luogo a una piramide i cui spigoli svaniscono in alto 
                  in una banda oscura. Per un osservatore esterno che giudichi 
                  la loro convergenza, il vertice dovrebbe essere vicino e concreto; 
                  ma in realtà il vertice non c'è. Al di là 
                  della banda che resta indecifrabile gli spigoli divergono, e 
                  con un nuovo andamento entrano nel viluppo della struttura dello 
                  Stato. Qui si attuano le convergenze e gli intrecci più 
                  imprevedibili; qui l'Università trova i legami più 
                  misteriosi e indissolubili col sistema.» E più 
                  avanti prosegue: «l'Università si configura come 
                  luogo di centri di potere che non hanno nulla a che fare con 
                  le esigenze dell'insegnamento e della cultura; come un sottoinsieme 
                  nell'insieme più generale di quei centri di potere che 
                  sono all'interno dello Stato o che dall'esterno lo governano.» 
                   
                  E in nota aggiunge: «Nella scalata della piramide accademica 
                  il segreto del rapido successo è nel saper resistere 
                  per anni a nascondere il proprio pensiero. Il fatto è 
                  che – nella maggior parte dei casi – sulla via di 
                  questa resistenza la fatica è sempre meno grave, finché 
                  alla fine il successo coincide col non aver più nulla 
                  da pensare.» 
                  Credo che chiunque abbia avuto a che fare con l'insegnamento 
                  universitario conosca bene la necessità di questo comportamento 
                  mimetico e De Carlo, che all'epoca non aveva avuto una cattedra, 
                  nel momento in cui scriveva lo viveva con fastidio sulla propria 
                  pelle. 
                
                   
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                    |   Giancarlo De Carlo, La Piramide Rovesciata, Architettura oltre il '68, Quodlibet 2018, a cura di Filippo De Pieri, euro 16,00  | 
                   
                  
                All'incrocio dinamico di una pluralità di saperi 
		        Ben ha fatto De Pieri a non pubblicare la pesante appendice 
                  di documenti prodotti dagli studenti in lotta delle facoltà 
                  di architettura presente nel testo originale edito a Bari da 
                  De Donato nel 1968, e a fornirne solamente l'indice in appendice. 
                  Altrettanto felice l'aggiunta nell'edizione odierna di altri 
                  due testi di De Carlo temporalmente e concettualmente molto 
                  vicini: Perché/come costruire edifici scolastici 
                  del 1969 e Il pubblico dell'architettura pubblicato nel 
                  1970. 
                  Nel primo De Carlo tra l'altro elabora il tema della «progettazione 
                  processuale» che punta a superare «l'ambigua e insidiosa 
                  funzione degli specialisti (dell'architetto)» accelerando 
                  «la restituzione di capacità creativa alla collettività» 
                  e nel secondo rielabora in qualche modo i temi svolti nella 
                  Piramide rovesciata, in cui il discorso si allarga alla 
                  questione della «attendibilità» o della legittimazione 
                  dell'architettura e alle implicazioni del progettare non «per» 
                  ma «con» un «pubblico» che coincide 
                  con «la gente – tutta la gente – che usa l'architettura». 
                  De Carlo aveva appena ottenuto la cattedra allo Iuav nel 1969 
                  e gli argomenti di questi saggi, in stretta coerenza con le 
                  tesi espresse nella Piramide Rovesciata, dimostrano come 
                  la sua battaglia per il rinnovamento della struttura dell'Università 
                  e dell'insegnamento dell'architettura continuasse anche una 
                  volta cooptato dalla struttura accademica che sempre lo visse 
                  come un corpo estraneo e come un pericolo, un 'virus' da isolare 
                  e neutralizzare con tutti i sistemi possibili. Quando De Carlo 
                  si troverà docente straordinario di urbanistica allo 
                  Iuav dovrà fare i conti con il fatto che «la separazione 
                  tra la specializzazione dell'insegnamento dell'urbanistica promossa 
                  da Giovanni Astengo e il consolidarsi di linee di ricerca intorno 
                  all'architettura come disciplina autonoma renderanno più 
                  difficile portare avanti il progetto intellettuale di un'urbanistica 
                  (e un'architettura) collocate all'incrocio dinamico di una pluralità 
                  di saperi.» 
                
                   
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                    |   Lorenzo Mingardi, Sono Geloso di questa città, Giancarlo De Carlo e Urbino, Quodlibet 2018, euro 19,00  | 
                   
                  
                Sono geloso di questa città 
		        Lorenzo Mingardi, nella sua ricerca ripercorre la storia dei rapporti profondi tra De Carlo e l'originale sviluppo della città di Urbino incentrato sulla progettazione di strutture universitarie, e delinea i tratti di un De Carlo appassionatamente geloso di Urbino, città nella quale, attraverso innumerevoli progetti, realizzati e non, ha lasciato indelebilmente il suo segno. “Finché sarò vivo, e molto oltre credo, nessun altro potrà essere «l'architetto della città di Urbino».” In questa frase emblematica, che l'autore pubblica in seconda di copertina, De Carlo rivendica l'importanza dei suoi interventi urbinati e contemporaneamente dichiara il suo amore, spesso contrastato, per la città. E in qualche modo la continuità della sua opera con quella del grande architetto rinascimentale di Francesco di Giorgio Martini che lasciò una profonda impronta ad Urbino. Spesso De Carlo accennava a questa relazione ideale e considerava l'architetto uno dei suoi maestri. 
Le foto d'epoca a corredo del testo, a volte un po' sfocate e i continui rimandi ai documenti originali e alle lettere di De Carlo danno un senso di presenza e di partecipazione agli eventi, ci riportano all'atmosfera dell'epoca e soprattutto sottolineano il ruolo anche politico di De Carlo nello sviluppo della città, le lotte, le liti, i contrasti con gli attori sul territorio, le grandi soddisfazioni, le vittorie e le delusioni. 
Esperimento unico nel panorama della ricostruzione post bellica, lo sviluppo economico e culturale della città viene affidato all'Ateneo Urbinate, sotto la guida di Carlo Bo. Il risultato sarà la realizzazione di una città a vocazione universitaria che riuscirà a realizzare l'unico esempio in Italia di un campus di impianto internazionale, grazie alle idee lungimiranti di Carlo Bo e a gli strumenti urbanistici inventati da Giancarlo De Carlo.  
Nei fondamenti ideali del Piano Regolatore di Urbino redatto da De Carlo nel 1963 emergono già temi che ritroveremo nella Piramide Rovesciata: l'incentivazione della partecipazione studentesca, il rinnovamento della pratica dell'architettura e la convinzione che l'Università potesse divenire strumento per il cambiamento della forma fisica della società sul territorio, la pratica di un'architettura della libertà. 
L'esperimento urbinate di De Carlo ha utilizzato l'inserimento dell'università come un cuneo per scardinare l'assetto urbano esistente e aveva come fine ultimo quello di dimostrare che l'architettura se non diventa urbanistica non è una buona architettura, se non impone relazioni, sviluppo, scelte, complessità è un cristallo morto e non un organismo vivente. Il Piano sottolinea come sia necessario pensare a scala urbana e contemporaneamente intervenire nel singolo edificio e curare tutti tasselli del processo progettuale con lo scopo di creare spazi di libertà e di partecipazione. Già nel '47 De Carlo aveva scritto: «Il problema urbanistico della scuola [è] divenuto ormai il problema urbanistico della città [...] La scuola non è più casualmente o a ragion veduta inserita nel quartiere, ma diviene [...] il suo nucleo.»  
E come scriverà poi nella Piramide Rovesciata, De Carlo aveva in mente la realizzazione di «una comunità totale di docenti e studenti [...] una struttura della società, ancorata al reale del presente e proiettata verso l'utopia del futuro». 
Alla luce di queste posizioni non meraviglia il fatto che De Carlo sin da subito abbia trovato una grande sintonia con la visione di Carlo Bo. E un sincero appoggio nel sindaco di Urbino, Egidio Mascioli, ex bracciante e partigiano dei Gap, eletto sindaco nel 1953 nelle liste del Pci. 
Il Pci era aperto all'epoca alle spinte più innovative della cultura della sinistra o semplicemente non aveva affatto intellettuali nelle sue file e si affidò nel caso di Urbino a personaggi della levatura di Giancarlo De Carlo o di Livio Sichirollo, pupilli rispettivamente degli eretici Elio Vittorini e Antonio Banfi. 
                Una risonanza a livello internazionale 
		        Uno dei punti qualificanti della struttura universitaria realizzata 
                  a Urbino fu il Collegio del Colle. Così allora come oggi 
                  gli studenti erano strumenti di speculazione e di riqualificazione 
                  dei centri storici, una forma di gentrificazione ante-litteram. 
                  Il Collegio per scelta viene dislocato fuori del centro storico 
                  e si richiama a modelli di Campus internazionale e ha una struttura 
                  a grappolo; si ispira al termine inglese cluster teorizzato 
                  da Alison e Peter Smithson, che De Carlo conosce in quegli anni 
                  insieme agli anarchici inglesi tra i quali Colin Ward e John 
                  Turner. Questi architetti che gravitavano attorno alla rivista 
                  Freedom gli faranno conoscere il filone di pianificazione anglosassone 
                  che risalendo da Lewis Mumford, via Patrick Geddes affondava 
                  le sue radici nelle teorie di Petr Kropotkin. 
                  Alle scuole estive dei Ciam a Venezia, che si svolgevano sin 
                  dal 1952, oltre a A. e P. Smithson viene in contatto con Aldo 
                  Van Eyk, Jaap Bakema, Shadrach Woods, Georges Candilis e molti 
                  altri giovani architetti che poi confluiranno nel gruppo del 
                  Team X che metterà in discussione l'autorità dei 
                  Ciam che in quegli anni era divenuto l'organismo istituzionale 
                  dell'architettura internazionale.  
                  Mingardi usa come titolo a commento della struttura dei Collegi 
                  la frase di De Carlo: «La tua vita cambia e la causa è 
                  l'architettura», che ben definisce il programma del progetto 
                  urbinate. 
                
                   
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                    |   Colin Ward (1924-2010) e Giancarlo De Carlo  | 
                   
                  
                Non chiusi recinti del sapere 
		        In effetti, il Collegio del Colle è una città in miniatura che crea un effetto urbano e riprende i codici e le strutture della città storica, rilette in chiave dell'architettura brutalista, che all'epoca praticava: cemento a vista, corpi semplici, arredo essenziale ed estrema chiarezza strutturale. Piazza, case, strade si trasformano in un corpo centrale con servizi comuni al quale si allacciano 'a grappolo' i nuclei abitativi attraverso percorsi di collegamento complessi ed efficaci: una struttura 'viva'. 
Il progetto del Collegio del Colle di De Carlo – “De Carlo's little Urbino”, come lo definì Peter Blake – ebbe una risonanza a livello internazionale e gli valse la chiamata come visiting professor negli USA: nel '66 viene chiamato da Charles Moore a Yale e poi da Kevin Linch nel '67 al Massachusetts Institute of Technology. Negli Usa De Carlo visita molte scuole, tra le quali Berkeley dove era nata la rivolta studentesca nel '63, esperienze che si riverberano nelle pagine della Piramide Rovesciata. 
Per celebrare il progetto nel settembre del '66, il Team X indice una delle sue riunioni a Urbino all'interno dei Collegi, pratica in uso nel gruppo che già nel '65 aveva svolto il suo incontro nella Freie Universitat progettata da S. Wood. 
Anche nella realizzazione della facoltà di Magistero, riutilizzo di un edificio in ambiente urbano, applica gli stessi principi progettuali sperimentati al Collegio, realizza spazi liberi in cui si chiede allo studente di realizzare percorsi individuali e complessi, strutture modificabili in cui l'architettura si rivela metafora del tessuto urbano; perché le strutture universitarie debbono essere ambienti liberi e aperti così come libero e aperto è il centro cittadino. 
Negli stessi mesi, De Carlo scrive il libro Pianificazione e disegno delle università, dove riprende le raccomandazioni del Rapporto Robbins, il piano di sviluppo per le università inglesi del 1963: creare strutture universitarie che possano essere usate in comune da tutti i cittadini e non chiusi recinti del sapere. 
Lorenzo Mingardi sottolinea come nel progetto del Magistero “De Carlo riesce nella difficile impresa di riprodurre quell'intima fusione tra spazi interni ed esterni tipica della città ducale”. Impresa che rivela come il vero confronto e dialogo di De Carlo a Urbino, al di là di quello politico e progettuale a volte aspro con l'amministrazione e l'Ateneo, ben descritto dall'autore, sia sempre stato quello a distanza con Francesco Di Giorgio Martini, il primo 'architetto di Urbino', l'unico di cui, credo, non fosse geloso, anche perché in fondo in fondo se ne sentiva se non la reincarnazione, almeno il degno successore.  
                Franco Bunčuga 
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