Vaccini culturali 
                 
                  1.  
                  Tra monsieur Hulot e il cameriere del piccolo Hotel delle sue 
                  vacanze al mare diciamo che non si sia instaurata gran simpatia 
                  – Monsieur Hulot è troppo distrattamente anarchico 
                  per rimanere irreggimentato nelle convenienze sociali del turista 
                  occasionale. Pur nella sua paziente bonarietà, allora, 
                  c'è un momento in cui il represso decide di prendersi 
                  la rivincita sul repressore: al bar dell'Hotel, Hulot nota che 
                  il cameriere porta le bevande ai tavoli su di un vassoio retto 
                  con la sinistra, l'aspetta al varco con la prossima ordinazione 
                  e, quando entra nella sala – sapendosi sotto controllo 
                  –, fa l'atto di guardare l'orologio al proprio polso. 
                  È un attimo – che il cameriere fa lo stesso, controlla 
                  l'ora e – ecco lo scherzetto vendicativo portato a termine 
                  – rovescia vassoio e bicchieri sul pavimento. Come lo 
                  sbadiglio, l'atto di guardar l'ora – almeno fino all'arrivo 
                  dei telefoni cellulari – potremmo definirlo “epidemico”. 
                   
                  2.  
                  Nel 1928, Edward Bernays, un nipote di Freud trasferitosi negli 
                  Stati Uniti, pubblica Propaganda e di successo 
                  – se pensiamo che tornò utile perfino a Goebbels 
                  per diffondere l'antisemitismo nella Germania nazionalsocialista 
                  – ne ebbe fin troppo. Sulla scia di questo successo, Bernays 
                  venne assunto dalla Compagnia Americana del Tabacco affinché 
                  risolvesse il problema del fumo femminile. In America fumavano 
                  solo i maschi, perché l'immagine della donna che fuma 
                  sembrava irrimediabilmente associata all'immagine della prostituta 
                  – nessuna “signora per bene”, insomma, avrebbe 
                  mai fumato né in pubblico né in privato senza 
                  sentirsi meno “per bene”. Inutile dire – lo 
                  sappiamo, basta guardarci attorno – che Bernays escogitò 
                  la strategia giusta per ottenere il risultato voluto – 
                  una strategia basata sulla sinergia di due soluzioni ben diverse. 
                  La prima soluzione fu quella di distribuire lungo il percorso 
                  di una grande manifestazione di massa newyorkese un centinaio 
                  di ragguardevoli bionde associate ad un fotografo. Ognuna avrebbe 
                  dovuto accendersi una sigaretta in pubblico alla tal ora – 
                  nel clou del tripudio di popolo – ed essere immortalata 
                  nel gesto. Il giorno dopo, i giornali americani – alcuni 
                  in prima pagina – pubblicavano fotografie di fumevoli 
                  bionde fumanti. La seconda soluzione fu affidata ad una campagna 
                  di affissioni e di inserzioni pubblicitarie. Sostanzialmente 
                  si sviluppava un'argomentazione: connettendosi esplicitamente 
                  al movimento femminista dell'epoca – siamo nei primi anni 
                  Trenta – ed alle sue rivendicazioni, Bernays ricategorizza 
                  il fumo femminile come un diritto, una conquista, un atto da 
                  sottrarre al monopolio maschile.  
                  Fenomeni come quelli indotti dalla prima soluzione di Bernays 
                  sono frequenti quanto noti. Mi viene in mente il caso di Accadde 
                  una notte, un film di Frank Capra del 1934, dove dall'abbraccio 
                  di Paulette Goddard e di Clark Gable si evince che quest'ultimo, 
                  incarnazione dello sciupafemmine, sotto la camicia, non porta 
                  la canottiera. E da lì, da una parte, il rifiuto delle 
                  innamorate ragazze americane nei confronti delle canottiere 
                  dei loro ragazzi e, dall'altra parte, il fallimento di alcune 
                  aziende manifatturiere. Ma anche il caso della ragazza che diventa 
                  cieca dopo aver visto la Michele Morgan de La sinfonia 
                  pastorale di Jean Delannoy, un film del 1946, starebbe 
                  bene in un elenco del genere. 
                   
                  3.  
                  In Emulazioni pericolose – il cui sottotitolo 
                  recita “l'influenza della finzione sulla vita reale” 
                  –, Luca Mastrantonio ben racconta il caso de I 
                  dolori del giovane Werther – storia di un amore 
                  ritenuto “impossibile” e di un suicidio conseguente 
                  -, pubblicato da Goethe nel 1774. Bestseller da subito, scopiazzato 
                  e fin parodiato, fu tradotto in francese già l'anno successivo, 
                  in inglese nel 1779 e in Italia nel 1781. Quello che oggi chiameremmo 
                  il suo “indotto” comprende il codice vestimentario 
                  maschile – giacca blu, pantaloni gialli e stivali, come 
                  vestiva Werther –, l'Eau de Werther, un profumo molto 
                  amato dalle donne, cartoline con l'effige dei disgraziatissimi 
                  innamorati, fin vasi cinesi adattati al mercato europeo tramite 
                  le loro immagini e, ahinoi, una sequela di suicidi in suo nome. 
                  In particolare si ricorda quello di una dama di corte diciassettenne, 
                  Christel Lassberg, che il 16 gennaio del 1778, con il libro 
                  in tasca, venne ripescata dalle acque di un fiume, a poca distanza 
                  dalla casa di Goethe. 
                  Non mancarono, allora, gli interventi “salvifici” 
                  di qualche autorità: in Austria ne venne vietata la vendita, 
                  a Milano l'arcivescovo si comprò tutte le copie disponibili 
                  per farlo sparire e la facoltà di teologia di Copenhagen 
                  lo mise al bando. Nella prefazione alla riedizione del 1778, 
                  lo stesso Goethe cercò di arginare il fenomeno raccomandando 
                  al lettore di non emulare il protagonista del romanzo. 
                   
                  4.  
                  Quanto di questi fenomeni possa esser fatto risalire ai neuroni-specchio 
                  (ovvero a quei neuroni che favorirebbero o promuoverebbero l'imitazione) 
                  e quanto no, come problema, al momento lo lascerei ai neurobiologi 
                  – che già devono mettersi d'accordo su natura e 
                  funzioni dei detti neuroni. Qui, vorrei andare al nocciolo politico 
                  della questione, al momento della responsabilità individuale 
                  – quando il menefreghismo neuronale è già 
                  stato inibito nei limiti in cui ci è consentito inibirlo. 
                  Sfacciatamente – in cambio di guiderdoni sonanti –, 
                  Bernays offriva al “politico abile e sincero” uno “strumento di qualità per modellare la volontà 
                  del popolo”, ma, fatte le debite proporzioni, non sembra 
                  molto dissimile da chiunque di noi: l'animale sociale vive di 
                  emulazioni e qualcuno se ne approfitta. 
                  Non sto neppure a risalire al Don Chisciotte di Cervantes che 
                  si inventa una missione nella vita per aver letto troppi romanzi 
                  cavallereschi, ma, servendomi di quanto raccontato da Mastrantonio, 
                  riprendo l'esempio del cinema – anche perché è 
                  un caso storicamente circostanziato. La luminosa idea di inserire 
                  prodotti commerciali nei film per promuoverne l'acquisto, a 
                  quanto pare, venne in seguito al film Laura, 
                  un film di Otto Preminger del 1944. C'è una sequenza 
                  in cui il detective beve whisky paragonando la bottiglia del 
                  suo “Black Pony” alla bellezza femminile. Nei giorni 
                  successivi, in molti negozi di liquori aumentò la richiesta 
                  di Black Pony, ma la marca non esisteva affatto. Capito come 
                  vanno le cose, l'anno dopo, nel 1945, ne Il romanzo 
                  di Mildred, un film di Michael Curtiz, con Joan Crawford, 
                  compare il Jack Daniel's – whisky “vero”, 
                  non inventato lì per lì per rappresentarlo come 
                  categoria dello spirito (cui, onde evitare l'ambiguità, 
                  spetterebbe la maiuscola). Da lì in avanti il fiume delle 
                  “proposte condizionanti” è inarrestabile: 
                  attori come Gary Cooper, Cary Grant, Spencer Tracy e la stessa 
                  Joan Crawford, nei panni dei loro personaggi, fumano una sigaretta 
                  dietro l'altra dietro lauto compenso della stessa potentissima 
                  Compagnia che aveva usufruito dei consigli di Edward Bernays. 
                  Mastrantonio ricorda anche un tentativo di salvare la salute 
                  pubblica da parte del Ministero competente, in Italia, nel 2015. 
                  Si provò a vietare la presenza di fumatori nei film, 
                  ma ottenendo in risposta una secca opposizione. In un documento 
                  firmato da parecchi registi, infatti, si può leggere 
                  che “il cinema, la letteratura, l'espressione artistica 
                  in generale non rispondono e non dovrebbero mai rispondere ad 
                  alcun indirizzo, anche il più onorevole, il più 
                  giusto, il più sano, il più edificante”. 
                  L'estetica, dunque – in nome della libertà dell'arte 
                  – si tira fuori: le responsabilità le lascia ad 
                  altri non meglio identificati. 
                   
                  5.  
                  Al di là dell'affermare che “l'emulazione è 
                  un fenomeno virale” e del chiedersi se “è 
                  possibile vaccinarsi?” – rispondendo “probabilmente 
                  no, e sarebbe sbagliato, limiterebbe la nostra libertà 
                  di scelta, la nostra natura che sin dalla tenera infanzia tende 
                  a copiare gli altri come forma di apprendimento” –, 
                  Mastrantonio non va. Che il virus, qui, sia metaforico e che 
                  la storia umana esemplifichi a iosa idee da cui, nel nome del 
                  bene collettivo, sarebbe auspicabile vaccinarsi (si pensi al 
                  razzismo ed alle dittature) non sembrano argomenti che possano 
                  preoccuparlo troppo. 
                  È tutta la vita che io, invece, cerco di vaccinarmi dalla 
                  filosofia, ovvero da quella sua teoria della conoscenza in virtù 
                  della quale qualcuno saprebbe cosa sia il vero, cosa sia il 
                  giusto, cosa sia il bello e cosa sia, insomma, tutto ciò 
                  che, intrinsecamente, avrebbe valore nella vita – e, nei 
                  limiti in cui credo di esserci riuscito, non mi sento affatto 
                  privato di gradi di libertà. Mi sento, piuttosto – 
                  entro certi limiti –, arricchito di alternative, perché, 
                  scampato alla filosofia, so che il sentirsi libero o meno dipende 
                  da mie operazioni mentali e non da uno stato di cose indipendenti 
                  da me. E questa consapevolezza – una riappropriazione 
                  – non costituirebbe che l'inizio di un processo dove ad 
                  ogni valore che governi i comportamenti si accompagni la responsabilità 
                  di averlo prima prodotto e poi esercitato. 
                   
                  6.  
                  Senza volerlo, la seconda soluzione di Bernays – quella 
                  basata sul porre un rapporto nuovo tra il fumo femminile e i 
                  diritti da conquistare – ci orienta verso la natura tutta 
                  mentale dei valori. Qualsiasi cosa può risultare valorizzata 
                  – purché inserita in un rapporto in cui il valore 
                  già riconosciuto al secondo termine si rifletta sulla 
                  prima. Non so se a Bernays può essere ascritta una teoria 
                  dei valori – presumibilmente, è soltanto implicita 
                  nelle sue remunerate applicazioni –, ma so che, mentre 
                  ad un Bernays conviene che il rapporto non venga dichiarato 
                  – che l'interlocutore non si accorga del processo di valorizzazione 
                  in atto –, a chi lotta per un mondo migliore è 
                  chiaro quanto sia necessario porre questo rapporto in modo esplicito 
                  – affinché la relazione umana non risulti già 
                  sbagliata in partenza. 
                Felice Accame 
                  
                  Nota 
                  Le vacanze di Monsieur Hulot di Jacques Tati – 
                  in cui compare l'episodio della guardatina all'orologio – 
                  è del 1953. I casi della canottiera di Clark Gable e 
                  della ragazza che diventa cieca sono raccontati da Edgar Morin 
                  in I divi, edito da Mondadori, a Verona nel 1963. Emulazioni 
                  pericolose di Luca Mastrantonio è pubblicato da Einaudi, 
                  a Torino nel 2018. 
				  
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