Dibattito su Stirner/ La questione del canone (anarchico)
                
 La questione principale che Marco Cossutta pone nel suo 
                  commento al mio 
                  articolo “Max Stirner (forse) non era anarchico” 
                  (rispettivamente nello scorso numero e in “A” 
                  427, estate 2018) è se sia legittimo o meno accreditare 
                  all'anarchismo un canone da usare come criterio per valutare 
                  se un filosofo – nel nostro caso parliamo di Max Stirner 
                  – sia da arruolare o meno fra i teorici dell'anarchia. 
                  Marco Cossutta risponde che un canone anarchico non esiste e 
                  che pertanto l'indagine sull'appartenenza o meno a tale canone 
                  non sembrerebbe avere molto senso. Anch' io sono dello stesso 
                  avviso, per una serie di motivi che si potrebbero così 
                  riassumere: il pensiero anarchico non si lega ad una specifica 
                  scuola o a un pensatore particolare; molti interpreti concordano 
                  sul fatto che teorie e prassi libertarie sono presenti nel corso 
                  della storia, a partire dall'antichità e nei contesti 
                  geografici più diversi; non è esistita e non esiste 
                  una concordanza ideologica generalizzata tra i simpatizzanti 
                  ed i militanti anarchici, anche su questioni importanti, ad 
                  esempio quando e con quali limiti sia legittimo l'uso della 
                  violenza in contesti sociali e privati.  
                
                   
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                    |   Profilo 
                        di Max Stirner disegnato a memoria, alcuni decenni dopo la sua morte, da Friedrich Engels  | 
                   
                 
                 Se non esiste un canone dell'anarchia, una teoria universalmente 
                  condivisa da cui l'anarchismo ha preso avvio, sicuramente esiste 
                  una data d'origine del movimento anarchico organizzato, che 
                  coincide con quella dell'Internazionale dei lavoratori, o “Prima 
                  Internazionale” (1864). Gli anarchici si caratterizzano 
                  come la componente rivoluzionaria e libertaria dell'Internazionale, 
                  attorno ad un leader riconosciuto, il russo Michele Bakunin, 
                  ed in opposizione alle tendenze riformiste ed autoritarie. Soprattutto 
                  nel contrasto ideologico e programmatico con Marx e la corrente 
                  che faceva a lui riferimento, gli anarchici e Bakunin in particolare, 
                  definirono alcuni aspetti importanti dell'anarchismo sul piano 
                  programmatico, organizzativo e dottrinario. Bakunin è 
                  considerato il personaggio di spicco dell'anarchismo ottocentesco 
                  e scritti come Dio e lo Stato e Stato e anarchia 
                  due sintesi insuperate della dottrina dell'anarchismo. 
                  Cossutta sostiene che dal punto di vista teorico l'anarchismo 
                  è rappresentabile non attraverso un canone ma come un 
                  ideal tipo che può costituire un punto di riferimento 
                  e un discrimine; occorrerebbe però precisare che con 
                  modello ideale non si deve e non si può intendere un 
                  modello astratto o del tutto arbitrario, che prescinde dalla 
                  realtà storica e dal dibattito teorico che da alcuni 
                  secoli caratterizzano l'anarchismo. 
                  Sul piano dottrinario, ad esempio, ci sono una serie di costanti, 
                  di punti fermi ideologici, che troviamo in tutti, o quasi, i 
                  cosiddetti teorici dell'anarchismo. Alcuni di questi assunti 
                  sono notissimi: la critica del potere imposto dall'alto, attraverso 
                  una gerarchia; l'esaltazione della libertà fondata sull'idea 
                  che ogni individuo sia capace di farne un uso socialmente apprezzabile; 
                  l'idea che tutti gli individui anche se sostanzialmente originali 
                  sono uguali sotto molte prospettive, ad esempio nei loro diritti 
                  fondamentali. Se la dottrina anarchica può identificarsi 
                  piuttosto con un tipo ideale di dottrina che con quella di questo 
                  o quel “padre” dell'anarchismo, è pur vero 
                  che questo tipo ideale deve avere dei contenuti specifici, altrimenti 
                  non avrebbe senso parlare di anarchia. 
                  Nel mio intervento sulla rivista, “Max Stirner (forse) 
                  non era anarchico”, sostenevo che su alcune questioni 
                  fondamentali, come quella della libertà e dell'uguaglianza, 
                  le posizioni di Stirner non erano in linea con quelle ricorrenti 
                  in quasi tutti i pensatori anarchici, quindi parte di quel modello 
                  tipico o ideale di anarchismo costruito o costruibile a partire 
                  dalla storia politica e teorica del movimento anarchico. 
				Enrico Ferri 
					Roma 
                
   
                 L'immaginazione 
                  al potere?/ La risposta di Claudio Lolli  
                   
                  Nel marzo scorso, in occasione del cinquantennale del maggio 
                  '68 e in previsione del fiume di parole, anche retoriche, che 
                  avrebbero invaso i media per la ricorrenza, avevo voluto realizzare 
                  per la Rete Due della Radio Svizzera di lingua italiana, una 
                  trasmissione che, pur ricordando quella data, non ripercorresse 
                  la tradizionale ricostruzione storica con testimoni e protagonisti 
                  più o meno autorevoli. 
Ho preso spunto dal famoso slogan “L'immaginazione al potere” e ho “giocato” proprio con l'immaginazione tanto da fantasticare di un ipotetico “Sessantotto vincente”. Ho così “costretto” i miei interlocutori a montare su un'ipotetica, quanto improbabile, macchina del tempo per essere trasportati al primo giugno del 1968 e, una volta giunti a quella data, raccontarmi quello che vedevano attorno a loro. Com'era cambiato il mondo dopo che l'immaginazione aveva effettivamente “preso il potere”. Si è trattato, ovviamente, di quello che i francesi chiamano divertissement senz'altra pretesa se non quella di evidenziare le distanze, spesso abissali, tra i sogni e i desideri di quell'epoca e la realtà presente. 
                  Al gioco parteciparono il giornalista Piero Scaramucci, il filosofo 
                  Franco Berardi (Bifo), il regista cinematografico Bruno Bigoni, 
                  il musicista e compositore jazz Gaetano Liguori, il regista 
                  teatrale Sandro Tore, il regista documentarista Luca Vasco e 
                  poi ancora: Stefania, imprenditrice; Tonino, uno dei fondatori 
                  della Comune Urupia; Giovanna, insegnante e il cantautore, scomparso 
                  lo scorso 17 agosto, Claudio Lolli. Benché già 
                  pesantemente minato nel fisico dalla malattia, in nome di un 
                  rapporto quasi ventennale di reciproca stima, Lolli aveva acconsentito 
                  di ricevermi nel suo appartamento bolognese e rispondere alla 
                  mia inverosimile domanda. Com'era sempre stato nel suo stile, 
                  Claudio però non indugiò in “voli pindarici” 
                  o in fantasie più o meno consolatorie e, invertita l'immaginaria 
                  macchina del tempo, senza dichiararlo, ritornò a quel 
                  giovedì 29 marzo in cui ci stavamo incontrando, ossia 
                  venticinque giorni dopo il 4 marzo, data delle elezioni italiane. 
                  Questa che segue fu la sua risposta, una risposta che merita 
                  attenzione e riflessione. 
                  Claudio Lolli - “L'immaginazione ha due facce: una molto 
                  bella, infantile e un'altra che tende all'horror, io sono un 
                  grande amante dei film horror... Allora, io questo primo giugno 
                  1968, lo vedrei così, con degli omini piccolini, che 
                  avanzano, si mettono insieme, battono le mani e inneggiano a 
                  qualche cosa che io non capisco, che non conosco... dicono una 
                  parola che non mi ricorda nulla, non riesco neanche a sentirla 
                  bene, forse onestà, non lo so. Ah, ma non è finita 
                  lì: perché, dalla parte opposta (siamo a Roma), 
                  nel grande corso, arriva un'altra serie di omini piccolini, 
                  solo un pochino diversi e anche loro sono molto contenti, inneggiano 
                  a qualcosa... anche qui parole che non capisco... forse, la 
                  parola che dicono questi è onagrocrazia? Potrebbe essere. 
                  I due gruppi si uniscono, s'incrociano, si abbracciano, si sbeffeggiano, 
                  si picchiano? Non si capisce bene... questo è il senso 
                  dell'horror naturalmente. Poi alla fine si scopre che l'immaginazione 
                  è al potere, perché oggi l'immaginazione è 
                  davvero al potere in Italia. Cioè, tutto questo non è 
                  possibile, non è reale, io mi auguro che sia immaginario 
                  e che questo film finisca il più presto possibile... 
                  I due gruppi sono guidati da l'onorevole Di Maio e dall'onorevole 
                  Salvini, ecco qua: l'immaginazione è arrivata al potere 
                  nel senso che quello che non era immaginabile fino a qualche 
                  mese fa è successo. Allora attenzione: l'immaginazione 
                  al potere era un bel sogno, ma è diventato un brutto 
                  incubo.” 
				Romano Giuffrida 
					Reggio Emilia 
                
   
                 Botta.../ 
                  Ma gli anarchici non possono stare con i comunisti 
                   
                   
                  Cara redazione di “A”, 
                  sono stata negli anni 80 una seguace del vostro giornale insieme 
                  a Il Male, Frigidaire etc. Compravo libri dalle Edizioni Anarchismo 
                  di Bonanno e vengo da una famiglia anarchica, il mio prozio 
                  uccise un prete negli anni 20 e fuggì in Uruguay dove 
                  è morto nel 1960 (Angelo Bartolomei). 
Devo dire però che ho smesso di seguirvi perché credo che chi è anarchico non può essere comunista. Non condivido l'abbaiare per il Vietnam e lo scodinzolare verso l'occupazione del Tibet da parte dei comunisti cinesi. Sono stata in Cecoslovacchia nei primi anni 80 e devo dire che reputo il comunismo la peggiore sciagura dell'umanità. Aggiungo che comunque sia si vive meglio sotto il fascismo che sotto il comunismo e questo lo dimostra cosa sta succedendo in Venezuela. 
                  Insomma gli anarchici non possono stare assieme ai fascisti 
                  ma nemmeno ai comunisti e per questo non vi seguo più. 
                  Cordiali saluti. 
				Federica Biagioni 
					Follonica (Gr) 
				
  
                 
                 ...e risposta/ Nessuna graduatoria tra totalitarismi  
                Cara Federica, 
                  partiamo dalla tua famiglia. Abbiamo chiesto al nostro storico 
                  (nel doppio senso del termine: è uno storico e collabora 
                  con “A” da tempo immemorabile) Massimo Ortalli, 
                  uno dei responsabili dell'Archivio storico della Federazione 
                  Anarchica Italiana (Fai), di raccontarci un po' chi era il tuo 
                  prozio e perché aveva ucciso un prete (vedi 
                  box qui di seguito). 
Passiamo alle tue affermazioni. Chi è anarchico non può essere comunista, sostieni. Ti sbagli, perché certo non può essere leninista o stalinista o... ma il comunismo (come parola e come concetto) non è patrimonio esclusivo dei comunisti autoritari e dei marxisti. Errico Malatesta, per citare il più rappresentativo degli anarchici, usava tranquillamente il concetto di comunismo anarchico come sostanziale sinonimo della propria concezione di anarchia. E tuttora ci sono, non solo in Italia, molti anarchici che si definiscono comunisti anarchici. È un loro “diritto” e non per questo vanno accomunati neppure tangenzialmente ai comunisti... nel senso comune del termine. Né la loro estraneità e opposizione al comunismo di Stato, o autoritario che dir si voglia, è meno chiara della nostra. 
A nostro avviso, l'abuso che è stato fatto del concetto di “comunismo” dalle persone, dai partiti e dagli stati sedicenti comunisti ha talmente stravolto il significato originario della parola che, per essere chiari ed evitare qualsiasi equivoco, non ci definiamo “comunisti anarchici”. 
Se dovessimo usare altre espressioni che non sia quella semplice di anarchici, ci piacerebbe pensarci come i libertari del socialismo (parola sicuramente meno compromessa di comunismo). 
                  Nessun nostro esserci appiattiti sull'anti-americanismo né 
                  sul filo-comunismo ai tempi della guerra del Vietnam (iniziata 
                  ben prima della nascita di “A”): una sporca pace 
                  per una sporca guerra, si intitolava nel '73 un nostro 
                  editoriale che metteva in luce le responsabilità del 
                  blocco comunista accanto a quelle a stelle e strisce. Sulla 
                  Cina, come rivista e casa editrice L'Antistato (con “Gli 
                  abiti nuovi del Presidente Mao” di Simon Leys), non abbiamo 
                  fatto nemmeno uno sconto alla dittatura comunista di Mao e successori. 
                  Né per il Tibet (pur non simpatizzando per il risibile 
                  piccolo Buddha) né per altro. Sulla Cecoslovacchia '68, 
                  come sull'Ungheria '56, ma potremmo risalire alla gestione 
                  bolscevica della Rivoluzione russa, già nel '17, abbiamo 
                  avuto – e ci riferiamo alla quasi totalità del 
                  movimento anarchico – una linea di coerenza pagata nei 
                  gulag staliniani e ovunque i filo-bolscevichi comandavano. 
Si stava meglio sotto il fascismo? Non ci interessano le sottili distinzioni. Fascismo, nazismo, stalinismo, una parte degli attuali regimi religiosi, tutte le forme di totalitarismo hanno caratteristiche di fondo che rendono impossibile qualsiasi forma di libera espressione, diritto umano e civile, opposizione allo sfruttamento sul posto di lavoro, ecc. Non ci interessa valutarli uno per uno, per improbabili graduatorie. 
Noi siamo critici con il modello statale, ma sappiamo riconoscere quando esistano, seppure solo in parte e/o minacciate, quote di libertà. Sappiamo e vogliamo distinguere tra totalitarismi e democrazie, nel solco delle riflessioni di Luce Fabbri e di altre e altri anarchiche e anarchici. Sempre e ovunque non ci accontentiamo mai delle libertà esistenti. Perché la nostra è, per citare un'espressione felice (che è anche il titolo di un libro di Gianpietro “Nico” Berti), un'idea esagerata di libertà. 
Libertà, sia ben chiaro, sempre associata alla parola responsabilità, individuale e sociale. Senza questo abbinamento, la libertà è un concetto per noi svuotato di ogni senso. 
				Paolo Finzi 
                     
                   
                     Antifascismo/ Il «caso Bartolommei» e l'uccisione di un prete 
                      
  Pourquoi 
                        Bartolommei a-t'il tue? («Perché Bartolomei 
                        ha ucciso?»): con questo titolo il Comitato 
                        Anarchico Pro vittime Politiche prende l'iniziativa di 
                        stampare un piccolo opuscolo di sole otto pagine a Liegi 
                        nel 1929 in collaborazione con il Comité International 
                        de Défense Anarchiste di Bruxelles e il Groupe 
                        Anarchiste di Liegi, con il chiaro obiettivo di spiegare 
                        le ragioni per le quali il Bartolommei ha commesso l'omicidio 
                        che lo costringerà, per evitare la condanna a morte 
                        inflittagli in contumacia, ad espatriare dapprima in Germania 
                        e quindi in Uruguay. Ricapitoliamo i fatti descritti cercando 
                        anche di contestualizzare sommariamente l'ambiente nel 
                        quale questi fatti si svolgono. 
                        Nei primi anni Venti del secolo corso, quando in Italia 
                        imperversava la violenza omicida dello squadrismo fascista, 
                        violenza favorita e protetta da carabinieri e corpi militari, 
                        e poi pienamente istituzionalizzata dal regime, furono 
                        molti i sovversivi – anarchici, socialisti, comunisti 
                        – che dovettero espatriare sia per sottrarsi alle 
                        inevitabili persecuzioni – aggressioni, perdita 
                        del lavoro, ricatti, carcere, confino e via andare – 
                        sia per affermare l'avversione a una realtà assolutamente 
                        incompatibile con i loro principi e valori. 
                        Angiolino Bartolommei è uno di questi. Nato a Scarlino 
                        in provincia di Grosseto nel 1894, di professione manovale, 
                        aderisce giovanissimo al movimento anarchico, distinguendosi 
                        per l'impegno e la generosità. Proprio per questa 
                        sua adesione ai principi dell'anarchismo, subisce continue 
                        provocazioni e percosse sia dagli organi dello Stato sia 
                        dai fascisti. Nel 1923 lascia clandestinamente l'Italia 
                        per recarsi dapprima in Tunisia, dove l'accoglie la folta 
                        comunità di anarchici italiani lì residenti, 
                        poi in Francia, svolgendo vari mestieri tra i quali il 
                        metalmeccanico e il minatore. Qui viene ripetutamente 
                        avvicinato dall'abate Cesare Cavaradossi, agente consolare 
                        legato al fascismo e cappellano dell'opera Bonomelli (associazione 
                        cattolica di assistenza agli emigrati italiani) che cerca 
                        di convincerlo, con il ricatto della minaccia di espulsione, 
                        di denunciare i compagni di lavoro e di ideali diventando 
                        informatore del consolato italiano. 
                        Bartolommei, esasperato dalle subdole e infami insistenze 
                        del prete che vorrebbe trasformarlo in un arnese di questura, 
                        si reca a casa sua e lo uccide con un colpo di pistola. 
                        Costretto a lasciare la Francia, si rifugia in Belgio, 
                        dove trova l'aiuto non solo dei compagni anarchici, ma 
                        anche di tutto quel vasto arcipelago antifascista che 
                        ha dovuto prendere la strada dell'esilio. Non mancheranno 
                        di manifestargli appoggio e sostegno anche numerosi intellettuali 
                        e uomini politici democratici di varie nazionalità. 
                        Condannato a morte da un tribunale francese, viene però 
                        rimesso in libertà dal governo belga che ne rifiuta 
                        l'estradizione, evidentemente non insensibile alla diffusa 
                        solidarietà e comprensione che circondano il suo 
                        gesto. Espulso dal Belgio, dopo un lungo peregrinare per 
                        paesi e continenti, sbarca in Uruguay, accolto fraternamente 
                        dai numerosi anarchici italiani che vivono nella cosiddetta 
                        Svizzera sudamericana. Tra questi saranno in particolare 
                        Luce Fabbri e la redazione di Studi Sociali a frequentarlo 
                        lungamente, fino alla morte che lo coglie nel 1960 all'età 
                        di 66 anni. 
                        La vicenda di Bartolommei, pur nella unicità estrema 
                        del suo gesto, è comunque simile a quella di tantissimi 
                        antifascisti italiani costretti all'esilio, all'emarginazione, 
                        alla repressione anche nei paesi “liberi” 
                        nei quali sono costretti a rifugiarsi. 
                      Massimo Ortalli  | 
                   
                 
                
				
 
  
                  
                 Proposta 
                  da Firenze/ Mercoledì cena e chiacchierata 
                 
                  
                Quest'anno tutti i mercoledì all'Ateneo Libertario Fiorentino 
                  abbiamo deciso di far seguire alle tradizionali cene delle 20.30 
                  una chiacchierata in compagnia e libertà sui temi di 
                  attualità che più toccano questi nostri tempi, 
                  aperta a chi abbia voglia di trovarsi a parlare faccia a faccia 
                  con dei suoi simili, azione che si va sempre più perdendo 
                  a favore di solitarie serate passate chiusi in un cubo crepuscolare, 
                  cimiterialmente illuminato dalla lucina lattiginosa di un qualche 
                  schermo ultrapiatto composto di milioni di puntini oltretutto 
                  fastidiosi e nocivi all'occhio che li sta fissando. 
                  La necessità è data dal bisogno di confrontarsi 
                  dal vivo su ciò che accade in questa nostra realtà 
                  più tristemente recente, evitando il più possibile 
                  ciò che da tempo va insinuandosi nelle abitudini anche 
                  di compagni fra i più navigati al lavoro politico: stiamo 
                  parlando dell'uso costante, spesso compulsivo dei social 
                  network e dei relativi commenti politici e sociali che molti 
                  di noi ci pubblicano sopra. Questo, pensiamo, sta facendo disabituare 
                  le persone a confronti più personali e immediati e molto 
                  spesso una frase o un'immagine anche bellissime e d'impatto 
                  su un social ci fa credere di aver contribuito alla lotta 
                  contro questo sistema, facendoci in realtà solo aver 
                  compiuto poco più di una comparsata in un mondo virtuale 
                  e molto labile dove crediamo di aver esercitato la massima libertà 
                  d'opinione. Nulla di più sbagliato in quanto, rimasto 
                  virtuale il momento della discussione, il nostro pensiero cade 
                  infruttuoso in un'inazione tipica dell'utente massmediatico 
                  che crede di fare nel momento in cui in realtà è 
                  lui che è ipnoticamente fatto, cotto e mangiato. 
                  Quanti di noi passano anche qualche ora sui social e si ritirano 
                  poi soddisfatti delle proprie affermazioni, ragionamenti e appelli 
                  o foto del compianto compagno recentemente mancato con relativo 
                  emoji con lacrimuccia di risposta, quanti like 
                  o occhini strizzati o cuoricini ci fanno sentire a posto con 
                  la nostra coscienza di persone impegnate nella politica non 
                  accorgendoci che l'azione di passare del tempo seduti al computer 
                  non può minimamente confrontarsi col dibattito, la discussione 
                  e in seguito l'organizzazione di qualche azione di critica e 
                  contrasto dal vivo? 
                  Nel momento in cui manifestazioni, picchetti, volantinaggi, 
                  cortei mostrano la corda grazie alla sempre maggiore indifferenza 
                  cui sono abituate le persone alle quali con questi strumenti 
                  ci rivolgiamo e che di fronte a questi dovrebbero incuriosirsi 
                  e coinvolgersi, proviamo almeno a non spezzare i sempre più 
                  labili fili che una comunicazione “fredda” contribuisce 
                  a logorare ulteriormente. 
                  Inoltre, e ciò non guasta, come si fa a dire no all'invito 
                  per una semplice ma ghiotta cena e un buon bicchier di vino 
                  in compagnia? Riprendiamoci il tempo delle bisbocce, delle discussioni 
                  appassionate fino all'alba, dei pugni battuti sui tavoli... 
                  la vita è adesso! 
                  Siamo aperti tutti i mercoledì (via Borgo Pinti, 50/R). 
                  
                Per info: 
                  ateneolibertariofirenze@inventati.org 
                  mastodon.bida.im/@Ateneo_Libertario_Firenze 
                  www.autistici.org/ateneolibertariofiorentino/ 
				Ateneo Libertario Fiorentino 
					Firenze 
                 
                   
                   
                   
                
  
                  
                     
                      |    I 
                          nostri fondi neri 
                             | 
                     
                     
                        
                          Sottoscrizioni. 
                            A/m Massimo Varengo, dalla Brigata Lollo (Pregassona 
                            – Svizzera) ricordando Paolo Soldati, 75,00; 
                            Marco Tognetti (Colle Val d'Elsa – Si) 100,00; 
                            Enrico Calandri (Roma) 100,00; Francesco Grandone 
                            (località non precisata) per copia in Pdf, 
                            4,00; Guido Salamone (Roma) 10,00; Massimo Torsello 
                            (Milano) 20,00; Antonio Gei (Piovene Rocchette – 
                            Vi) 10,00; Linda Carloni e Adriano Paolella (Roma) 
                            325,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia 
                            Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Alberto Ciampi 
                            (San Casciano Val di Pesa – Fi) 10,00; Roberto 
                            Palladini (Nettuno – Roma) 10,00; Alessandro 
                            Fico (Godega di Sant'Urbano – Tv) 10,00; Orazio 
                            Gobbi (Piacenza) 10,00; Salvatore Caggese (Bari) 10,00 
                            per Pdf; Diego Guerrini (Roma) 4,00 per Pdf; Paolo 
                            Migone (Parma) 10,00. Totale 
                            € 1.503,00. 
                             
                            Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo 
                            anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento. 
                            Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento 
                            normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata 
                            tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. 
                            (quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo 
                            di cento euro). Linda Carloni e Adriano Paolella 
                            (Roma); Patrizio Quadernucci (Bobbio - Pc); Giordano 
                            Sangiovanni (Milano); Carmelo Goglio (Olmo al Brembo 
                            – Bg); Claudio Paderni (Bornato – Bs); 
                            Giovanni D'Ippolito (Casole Bruzio – Cs). Totale 
                            € 700,00. 
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