Gli Yanomami, tra “civilizzazione” e sterminio 
                “Molto tempo fa, gli anziani dei Bianchi hanno disegnato 
                  quelle che chiamano leggi su pelli di carta, ma per loro sono 
                  solo bugie!” racconta Davi. “A loro interessano 
                  solo le parole delle merci.” 
                    
                  Nel 2018 sono usciti tanti libri di antropologia, molti sono 
                  importanti per gli addetti ai lavori, qualcuno di questi ha 
                  la capacità di essere divulgativo e arrivare a più 
                  persone, altri parlano di attualità, ma uno di questi 
                  è un libro unico e fondamentale e lo ha pubblicato la 
                  casa editrice Nottetempo: è il libro di Davi Kopenawa 
                  e Bruce Albert, La caduta del cielo (Milano 2018, pp. 
                  1088, € 35,00), una conversazione durata anni tra un antropologo 
                  e uno sciamano portavoce dei popoli dell'Amazzonia brasiliana, 
                  un resoconto senza precedenti della cosmovisione amazzonica. 
                   
                  Davi Kopenawa è un figlio della foresta pluviale che 
                  ha visto parte del suo popolo morire di epidemie importate da 
                  agenti governativi e missionari per poi intraprendere, in tutta 
                  risposta, il suo lungo apprendistato sciamanico; è un 
                  viaggiatore occasionale e riluttante, è anche un portavoce 
                  e un attivista per i diritti indigeni oggi riconosciuto a livello 
                  internazionale, che ha svolto un ruolo chiave nel cercare di 
                  salvare il suo popolo. A differenza di molti attivisti indigeni 
                  contemporanei, non è mai andato a scuola e ha sempre 
                  vissuto nella foresta. Ha circa sessantadue anni (non si conosce 
                  la sua età esatta) e ha visitato spesso tribù 
                  diverse dalla sua. 
                  Rappresentante di un popolo la cui esistenza è minacciata 
                  dall'estinzione a causa dell'avanzata della “civilizzazione” 
                  senza freni dell'uomo bianco, Kopenawa traccia un indimenticabile 
                  quadro della cultura yanomami che vive nel cuore della foresta 
                  pluviale - un mondo in cui l'antica conoscenza indigena combatte 
                  contro la geopolitica globale e i suoi interessi mercantili. 
                  Dalla sua iniziazione sciamanica all'incontro con i bianchi, 
                  ai viaggi in tutto il mondo come ambasciatore del suo popolo, 
                  Kopenawa ripercorre un'intera storia di repressione culturale 
                  e devastazione ambientale e manifesta una critica risoluta e 
                  radicale alla società industriale occidentale e all'ipoteca 
                  che ha posto sul futuro del mondo umano e non umano.  
                  L'antropologo Bruce Albert ha raccolto e trascritto le parole 
                  di Kopenawa affinché trovino un cammino anche lontano 
                  dalla foresta amazzonica, lo ha fatto attraverso un vero e proprio 
                  lavoro coautoriale, attraverso decenni di frequentazione della 
                  foresta e dei suoi abitanti, ha registrato decine di ore di 
                  conversazioni con Davi i Kopenawa, ha organizzato e trascritto 
                  i racconti orali e insieme li hanno editati, un vero e proprio 
                  lavoro di antropologia condivisa, dove il ruolo tra osservato 
                  e osservatore viene decostruito mettendo in pratica una reale 
                  antropologia partecipativa. 
                  Il libro è diviso in capitoli, talmente ricchi e profondi 
                  che potrebbero essere ognuno un libro indipendente, la lettura 
                  è coinvolgente perché ci apre le porte della foresta, 
                  dei suoi spiriti delle sue tradizioni ancestrali; un testo, 
                  un racconto che ci mette davanti al nostro assurdo stile di 
                  vita occidentale che sta distruggendo completamente il pianeta 
                  terra. 
                  Nella parte più autobiografica del libro viene descritto 
                  il percorso della vita di Kopenawa che si lega inestricabilmente 
                  con il destino collettivo del suo popolo e con la nascita della 
                  storica campagna in difesa degli Yanomami promossa dalla Commissione 
                  Pro Yanomami (fondata nel 1978 dallo stesso Albert, dalla fotografa 
                  brasiliana Claudia Andujar e dal missionario laico italiano 
                  Carlo Zacquini), e poi lanciata con successo sul palcoscenico 
                  mondiale da Survival International, il movimento mondiale per 
                  i diritti dei popoli indigeni.  
                
                   
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                    |   Davi Kopenawa Yanomami 
                        foto © Fiona Watson/Survival  | 
                   
                 
                Le violenze e i massacri descritti nel libro sono solo un'eco 
                  contemporanea di una litania di genocidi che gli Indiani di 
                  tutte le Americhe hanno dovuto affrontare negli ultimi secoli, 
                  e che continuano ancora oggi. In questo senso, quelli di Davi 
                  sono certamente i racconti più dettagliati che siano 
                  mai stati registrati dalla parte delle vittime: un'accusa straziante 
                  sul prezzo reale delle risorse sottratte alle terre indigene, 
                  quello che non viene mai pagato da coloro che ne traggono profitto. 
                  Ma le storie che Davi Kopenawa ha da raccontare sono moltissime 
                  e La caduta del cielo ci regala anche una serie straordinaria 
                  di saggi e visioni sia sulla vita degli Yanomami  
                  Il modo in cui gli Yanomami guardano al mondo non potrebbe essere 
                  più diverso dal nostro, e vogliono mantenerlo tale, perlomeno 
                  alcuni. Uno smacco alla convinzione diffusa e marcatamente adolescenziale 
                  dell'Occidente sulla propria presunta superiorità culturale, 
                  materiale e civile.  
                 Andrea Staid 
				
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