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                “Il richiamo della foresta” è il festival 
                  che organizziamo nei boschi di Estoul, il villaggio della Valle 
                  d'Aosta dove abito da una decina d'anni. Nel tempo si è 
                  trasformato per me da ritiro personale a centro di molteplici 
                  relazioni, e fu tra cinque amici, nell'inverno del 2017, che 
                  nacque il desiderio di portare in montagna il lavoro che avevamo 
                  sempre fatto in città. 
                  Avevamo esperienze diverse e utili e un legame comune con la 
                  Scighera di Milano, glorioso circolo libertario della Bovisa, 
                  dove alcuni di noi si erano fatti le ossa. Con quel modello 
                  in testa avevamo tentato, senza successo, di prendere in gestione 
                  un rifugio alpino, progettando di trasformarlo in laboratorio 
                  culturale d'alta quota. Così aggiustammo la mira: anche 
                  senza il contenitore, o in attesa di trovare quello giusto, 
                  non potevamo cominciare a lavorare sui contenuti? Di qui l'idea 
                  di un festival a 1800 metri d'altezza. 
                
                   
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                    |   Chiara Birattari di Smarketing  | 
                   
                 
                 Estoul si trova su un piccolo altipiano in gran parte utilizzato 
                  per il pascolo, un paesaggio aperto e raro per la Valle d'Aosta. 
                  Avevamo in mente il luogo adatto, una radura circondata da un 
                  bosco di larici di proprietà comunale. Parlammo con il 
                  sindaco di Brusson e l'idea divenne più concreta: il 
                  bosco poteva essere usato come campeggio, e la radura, dotata 
                  dei servizi necessari, poteva ospitare il festival. 
                  
                 Sarebbe noioso benché istruttivo descrivere la lunga 
                  ricerca fondi. Gli incontri con gli assessori comunali e regionali, 
                  con i consiglieri di una fondazione bancaria, con gli imprenditori 
                  a cui chiedere una sponsorizzazione, con i donatori privati. 
                  La bella idea si era rivelata costosa, perché un conto 
                  è fare un festival in un circolo a Milano e un altro 
                  attrezzare un ambiente selvatico con palco, tensostrutture, 
                  bagni, cucina, impianti e generatori, invadendolo con grande 
                  dispendio di risorse (e questa è la contraddizione che, 
                  personalmente, sento più dolorosa). In ogni caso, né 
                  i finanziatori né le istituzioni ci hanno imposto o vietato 
                  nulla rispetto ai contenuti, per cui la fatica di dover gestire 
                  questi rapporti è stata ripagata dalla libertà 
                  di fare quello che volevamo. 
                  Che cosa volevamo fare? Portare arte, musica, libri, teatro, 
                  fotografia nei boschi, e portarci anche il discorso sul nostro 
                  vivere comune che ci ostiniamo a chiamare politica. Parlare 
                  di montagna “come occasione di libertà e bellezza”, 
                  abbiamo scritto nel manifesto. Volevamo, soprattutto, condividere 
                  dei giorni e questi luoghi con persone appassionate, respirare 
                  libertà e bellezza insieme a loro, fondare relazioni 
                  da coltivare nel tempo. Nelle nostre intenzioni la montagna 
                  non era tanto il fine quanto il mezzo, il tramite, il contesto, 
                  ciò che avrebbe tenuto insieme questa comunità 
                  effimera, con la speranza di renderla sempre più solida 
                  e duratura. 
                  Foto Loïc Seron Photographe 
                 Per questo, nelle prime due edizioni del festival (quella 
                  “del lupo” nel 2017 e quella “del camoscio” 
                  nel 2018, dalle locandine dipinte dall'amico Nicola Magrin), 
                  una parte importante è stata data al racconto di esperienze 
                  di ritorno e vita comunitaria, in montagna o in ambiente rurale. 
                  Nuovi montanari italiani e stranieri accanto a realtà 
                  storiche, e care ai lettori di A, come la comune agricola di 
                  Urupia, in Salento, o il villaggio ecologico di Granara sull'Appennino 
                  parmense. Chi studia e sostiene i progetti di ritorno, chi in 
                  montagna ospita e fa formazione: l'associazione Dislivelli di 
                  Torino, la fondazione Nuto Revelli di Cuneo (ma la sua sede 
                  simbolica è il borgo di Paraloup in Valle Stura), il 
                  centro studi valdese di Agape in Val Pellice.  
                  Abbiamo ascoltato racconti di giornaliste e antropologhe, viaggiatrici 
                  e montanare (Linda Cottino, Irene Borgna, Michela Zucca) e di 
                  ragazzi che negli anni Settanta avevano fatto del loro andare 
                  in montagna un atto politico, di protesta e di liberazione (Enrico 
                  Camanni). E ancora abbiamo provato a raccogliere le voci della 
                  montagna ribelle, quella storica delle minoranze, delle resistenze, 
                  delle eresie, e quella che oggi lotta in Val Susa o in Kurdistan. 
                  Abbiamo ricordato i maestri di montagna a cui siamo legati – 
                  Mario Rigoni Stern, Primo Levi, Tiziano Terzani – e imparato 
                  cos'è l'alpinismo secondo Hervé Barmasse, Nives 
                  Meroi, Romano Benet: esplorazione del rapporto tra uomo e ambiente 
                  selvatico, e tra esseri umani che vanno in montagna insieme. 
                  Più che esaurire l'argomento, ci è sembrato che 
                  ogni voce aprisse a tante altre possibilità di racconto, 
                  e innumerevoli sono le strade da battere in futuro. 
                
                   
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                    |   Paolo Cognetti, Erri De Luca e Remigio 
                        Foto Loïc Seron Photographe  | 
                   
                 
                 Dovrei ancora raccontare del teatro, dei concerti, dell'arte 
                  dal vivo, delle mostre fotografiche. Ma anche dei balli a notte 
                  fonda e dei risvegli dopo i temporali. Sono state circa cinquecento, 
                  lo scorso luglio, le persone che hanno partecipato al festival 
                  in tenda, in un campeggio del tutto autogestito e sparso per 
                  i boschi intorno alla radura. Credo che la notizia migliore 
                  sia proprio l'esistenza di questa gente, così appassionata 
                  da sopportare per tre giorni le asperità della montagna 
                  e così rispettosa da lasciarla, alla fine, senza nemmeno 
                  un segno del proprio passaggio. 
                  Erri De Luca ha chiuso “Il richiamo della foresta” 
                  di quest'anno (o aperto il prossimo, ha detto lui) parlando 
                  di geografia e di migrazioni, e dipingendo un grande sud del 
                  mondo che si estende molto al di là dell'emisfero australe: 
                  è il sud delle periferie urbane, dei mari solcati dagli 
                  uomini, delle coste lungo cui si mescolano, delle montagne che 
                  attraversano. “Le montagne, bordi della terra, prove della 
                  sua forza d'elevazione, margini in cui l'umanità si incontra”: 
                  ecco gli appunti che ho preso durante il discorso di Erri. I 
                  bordi, i margini, le periferie del mondo: sono i luoghi che 
                  ci interessa coltivare perché li sentiamo più 
                  fertili e tolleranti, aperti alle possibilità d'incontro, 
                  vivi come questa montagna in festa. Per il silenzio e la solitudine 
                  occorrerà passare un'altra volta. 
                  Per info: www.ilrichiamodellaforesta.it 
                  info@urogalli.org  
                Paolo Cognetti 
                Tutte le foto sono tratte dalla pagina fb Il richiamo della foresta. 
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