|    
				 Catalogna 
                  
                Gli “altri” libertari 
                  
                intervista di Marco Masulli a Robert Morral Segarra foto Carles Palacio i Berta 
                  
                Ci sono diverse sensibilità e posizioni nel movimento libertario catalano in relazione alla questione nazionale. Qui viene intervistato un giovane della CGT attivo nei movimenti catalanisti. 
                 
                  Arrivato a Girona per 
                  concludere le ricerche di dottorato sul sindacalismo d'azione 
                  diretta, la mia attenzione è subito catturata dalle tantissime 
                  bandiere appese ai balconi della piccola cittadina catalana. 
                  È da poco passato l'1 di ottobre, giorno del referendum 
                  sull'indipendenza catalana: ogni giorno una manifestazione, 
                  un comizio. Sono scettico, temo la deriva nazionalista fomentata 
                  dalla repressione poliziesca. Nel tempo comprendo però 
                  che il movimento ha mille anime e tra di esse una vivace e libertaria. 
                  Decido di capire più a fondo le ragioni dei tanti che 
                  ogni giorno animano le sale dell'Ateneu Popular “Salvadora 
                  Catà”, dove si tengono le riunioni del Cdr locale 
                  e dove tante lotte si intersecano. Capisco allora che lì 
                  dentro c'è molto di più. Provo a darne un'idea 
                  attraverso un'intervista a Robert Morral Segarra, militante 
                  della Cgt de Catalunya e attivista del Cdr. 
M.M. 
                 La Cgt, con le individualità che la compongono, 
                  è giunta ad una posizione condivisa sulla causa indipendentista 
                  catalana? Quali sono stati i principali punti di attrito e di 
                  convergenza? 
                  Come comunista libertario, sebbene affiliato e militante della 
                  Cgt, non posso né desidero parlare a nome del sindacato. 
                  In primo luogo per il rispetto e l'affetto che nutro nei confronti 
                  de* compagn* contrari alla causa indipendentista catalana, che 
                  del tutto legittimamente la percepiscono come reazionaria e 
                  contraria alle tesi libertarie; in secondo luogo perché 
                  le posizioni su questo tema sono tanto disparate quanto le stesse 
                  persone affiliate al sindacato. 
                  Credo, e sottolineo credo, che l'unica posizione condivisa sull'indipendenza 
                  catalana sia la Risoluzione del II Congresso de la Cnt de Catalunya 
                  del 1985 seguita poi dall'accordo raggiunto in occasione del 
                  IV Congresso de la Cgt de Catalunya del 1992, dove si sostenne 
                  la difesa del diritto di autodeterminazione della Catalogna. 
                  Ovviamente si trattava di un tipo di autodeterminazione sostenuta 
                  da postulati libertari e mai funzionali alla costruzione di 
                  un nuovo Stato capitalista all'interno di strutture come l'UE 
                  o la NATO; un modello di emancipazione popolare legata ai principi 
                  di autogestione e, in ogni caso, nel rifiuto di una configurazione 
                  della Catalogna sotto la forma di Stato, socialista o capitalista 
                  che sia.  
                  Volendo sintetizzare, in ambito libertario esistono almeno tre 
                  posizioni rispetto agli eventi accaduti in Catalogna negli ultimi 
                  mesi. La prima, prendendo l'esempio del compagno Tomás 
                  Ibañez, si dichiara contro un'esposizione del sindacato 
                  anarcosindacalista e del movimento libertario a favore della 
                  lotta per l'autodeterminazione catalana credendo che questo 
                  processo possa favorire l'esplosione di un nazionalismo catalano 
                  uguale, cioè altrettanto esclusivo e dannoso per la classe 
                  lavoratrice, a quello spagnolo; oltre a favorire, come reazione, 
                  un rafforzamento del nazionalismo spagnolo.  
                  Una seconda posizione è quella che, comprendendo l'eterogeneità 
                  delle forze in campo, sostiene la necessità di inserirsi 
                  in spazi di base come gli autoproclamati Comités de Defensa 
                  de la República (CDR's). Farlo per lottare, per aprire 
                  una breccia nel muro del postfranchismo, per costruire un processo 
                  emancipatore, individuale e collettivo, a partire dal quale 
                  poter aprire un processo costituente che possa essere un motore 
                  di cambiamento generale. Infine c'è una terza posizione 
                  che spesso vede in questo processo un tentativo di non affrontare 
                  altri temi di lotta, arrivando a considerarlo estenuante e controproducente 
                  in alcune sue implicazioni. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Girona (Catalogna), 3 ottobre 2018 - Blocco  dell'autostrada durante lo sciopero generale  | 
                   
                  
                Posizioni disparate 
		        In questo contesto il libertario che ha deciso di non 
                  unirsi alla causa (o almeno non nei termini attuali) come si 
                  relaziona alla popolazione catalana del contorno urbano e rurale, 
                  apparentemente schierata maggioritariamente a favore del processo? 
                  E con le altre organizzazioni filo indipendentiste e repubblicane? 
                  Personalmente credo che il contorno urbano catalano non sia 
                  maggioritariamente indipendentista. Ad esempio, nell'Area Metropolitana 
                  di Barcellona e nella stessa città alle ultime elezioni 
                  il voto favorevole all'indipendenza non ha superato il 50%. 
                  Un'altra cosa è il sentimento di maggioranza nel paese, 
                  per il quale questo conflitto deve essere risolto votando con 
                  un referendum concordato con lo Stato, con tutte le garanzie. 
                  L'indipendentismo mi pare essere invece più diffuso nell'ambiente 
                  rurale. I libertari che hanno deciso di non aderire al processo 
                  di lotte possono in effetti vivere (d'altra parte, come il resto 
                  della popolazione) con un certo affaticamento questo processo, 
                  anche perché a volte è difficile mettere sul tavolo 
                  altri temi di conflitto sociale. 
                  Rispondendo all'altra domanda, dipende di quale organizzazione 
                  o formazione indipendentista si parla. Il rapporto non potrà 
                  essere lo stesso con persone appartenenti ad entità sovraniste 
                  come l'ANC (Associazione indipendentista di tipo interclassista) 
                  e OMNIUM (associazione legata alla borghesia catalana). 
                  Per quanto riguarda i rapporti con i partiti favorevoli ad una 
                  Repubblica catalana, essi non saranno gli stessi con PDCAT (neoliberista) 
                  e ERC (social-liberali, o socialdemocratici nel migliore casi) 
                  rispetto a quelli con la CUP (che incorpora una parte della 
                  sinistra alternativa e anticapitalista catalana). Se con PDCAT 
                  e ERC i rapporti sono quasi nulli, con la CUP spesso sono più 
                  amichevoli ed esiste una complicità nelle lotte di strada 
                  e nei movimenti sociali. Altri compagni hanno legittimamente 
                  visto questo rapporto come dannoso per i fini e gli strumenti 
                  indicati dalla pratica anarco-sindacalista. 
                  Diverso è invece il rapporto con i CDR's. In questo caso 
                  vi è un messaggio sociale chiaramente orientato a sinistra 
                  e all'azione non-violenta. Allo stesso tempo però le 
                  lotte investono molti più ambiti: giustizia sociale, 
                  contrasto agli oligopoli, alle multinazionali Ibex-35, agli 
                  sfratti del settore bancario, lotta al patriarcato; battaglie 
                  che vanno, insomma, ben oltre l'indipendenza politica dal Regno 
                  di Spagna, ben oltre un semplice cambio di bandiera. 
                  Inoltre, la loro organizzazione è su base orizzontale 
                  e assemblearia, sono radicati nei quartieri e nei municipi; 
                  la somiglianza dei comitati con il modello confederalista democratico 
                  induce quindi molti libertari a partecipare attivamente alle 
                  loro iniziative. 
                   
                  Tuttavia, almeno da un punto di vista esterno, le manifestazioni 
                  di strada e la stessa causa indipendentista sembrano caratterizzarsi 
                  per un forte carattere borghese... 
                  Il processo catalano è stato fin dal suo inizio pieno 
                  di contraddizioni. È stato politicamente guidato da una 
                  parte di una destra corrotta e neoliberista che difende uno 
                  stato capitalista all'interno delle strutture della NATO e dell'UE 
                  e che ha approfittato di questo movimento per coprire la più 
                  grande ondata di corruzione degli ultimi tempi. 
                  Tuttavia, sarebbe scorretto sia arrivare alla conclusione che 
                  si tratti di un processo strettamente borghese, sia interpretarlo 
                  come un processo rivoluzionario; anche perché fino ad 
                  ora è stato guidato soprattutto dalla classe media catalanoparlante, 
                  bianca ed eterosessuale.  
                  Non si può però ignorare di essere di fronte ad 
                  un processo di mobilitazione sociale permanente, unico nel suo 
                  genere in Europa. Poi è difficile caricaturare o stereotipare 
                  un'intera parte di popolazione: una cosa è l'élite 
                  sociale e politica che conduce il processo e un'altra la diversità 
                  delle persone che credono che l'indipendenza della Catalogna 
                  possa essere un'opportunità per costruire un paese socialmente 
                  più giusto.  
                  Ciononostante, ci sono due visioni politiche che possono essere 
                  opposte: una che vede l'indipendenza come fine a se stessa, 
                  senza porsi domande sul modello sociale e politico da costruire 
                  e un'altra che invece vede l'indipendenza come un mezzo per 
                  costruire un paese migliore, con più libertà, 
                  giustizia e uguaglianza. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Girona (Catalogna) - Picchetto nel quartiere di Sant Narcís  | 
                   
                  
                Una generazione di libertari che guarda al Chiapas e al Kurdistan 
		        Certo, ma come si può coniugare l'attuale 
                  difesa delle istituzioni catalane con il tentativo di inserire 
                  un discorso anti-istituzionale a lungo termine? Penso ad esempio 
                  alla differenza tra questa mobilitazione e quella del giugno 
                  2011, che sembrava presentare un carattere sovvertitore più 
                  marcato ed era rivolta anche contro le istituzioni catalane 
                  per via delle misure di austerità... 
                  Non è un momento politico facile, e questa è una 
                  contraddizione permanente: alcuni sono passati dal bloccare, 
                  nel giugno 2011, il Parlamento catalano per i più grandi 
                  tagli al welfare effettuati nella sua cosiddetta “democrazia”, 
                  al pressarlo affinché si proclamasse istituzionalmente 
                  la morte del Regno di Spagna e si desse alla Catalogna una repubblica, 
                  aprendo un processo costituente dal basso e creando un precedente 
                  anche per altre zone dello Stato spagnolo.  
                  Come alcuni “consiglieri” hanno affermato dall'esilio, 
                  non è esistita da parte del governo di Puigdemont, durante 
                  i 18 mesi precedenti al referendum, una chiara volontà 
                  di rompere con lo Stato spagnolo, ma solo quella di stipulare 
                  un nuovo patto politico ed economico ricercato da certe élites. 
                  La sollevazione sociale attivata l'1 ottobre (che ha sorpreso 
                  quella stessa élite politico- economica) ha fatto però 
                  pensare a molti, che non avevano mai creduto in questo processo, 
                  che fosse possibile un cambiamento strutturale dal basso. Nei 
                  seggi elettorali catalani si è dimostrato che non esistono 
                  forze (Policía Nacional, Guardia Civil o Brigada Mòvil 
                  dei Mossos) che possano fermare un popolo organizzato che lotta 
                  per i suoi diritti.  
 
                  Utilizzando l'analogia storica in maniera irresponsabile, 
                  non è la prima volta che l'anarchismo iberico si confronta 
                  con la “questione istituzionale”. Come si relazionano 
                  le nuove generazioni militanti con questo “eterno ritorno”, 
                  con questo conflitto, apparentemente ineludibile, tra mezzi 
                  e fini dell'azione libertaria? 
Il movimento libertario vive oggi, in effetti, alcune contraddizioni simili a quelle già vissute negli anni Trenta. Ci sono stati momenti in cui l'anarchismo, specialmente in Catalogna, e una sinistra indipendentista o autodeterminista catalana, nonostante le molteplici tensioni, avevano trovato punti di accordo e consenso in alcune importanti lotte sociali. 
                  C'è oggi una generazione di libertari che guarda al Chiapas 
                  e al Kurdistan, legge sul confederalismo democratico e vede 
                  (nonostante le grandi differenze) in una parte della lotta dei 
                  CDR's, l'opportunità di incidere socialmente in una lotta 
                  nazionale che ci sarà, ci piaccia o no, e che è 
                  stata egemonica in Catalogna negli ultimi anni e mesi.  
                  Noi libertari che partecipiamo ai CDR's esprimiamo grandi contraddizioni; 
                  ma come durante le dimostrazioni del 15 maggio 2011 crediamo 
                  di non dovere lasciare vuoto questo spazio, anche solo per ricordare 
                  che il momento in cui la Catalogna raggiunse il più alto 
                  punto di libertà e indipendenza in tutte le sue forme 
                  fu quel 19 luglio 1936, quando i lavoratori catalani si autogestirono 
                  e arrivarono a socializzare fino all'80% dei mezzi di produzione 
                  insorgendo contro il fascismo e l'autoritarismo in tutte le 
                  sue forme. 
                Marco Masulli 
				
               |