Teatro degli Zingari/ 
                  Bresci chi? 
                Un'accogliente radura nel bosco, abbarbicata sulle alture di 
                  Sussisa, una frazione di Sori, comune di Genova, fa da perfetto 
                  e suggestivo scenario allo spettacolo teatrale dedicato alla 
                  storia di Gaetano Bresci, nota di certo in ambito anarchico 
                  ma forse sconosciuta ai più. All'imbrunire di una bella 
                  domenica d'estate, l'associazione che porta il nome della brigata 
                  partigiana del luogo e che ha preso in gestione una casetta 
                  nel bosco con natura annessa, la Sap470, organizza la messa 
                  in scena della bella pièce della compagnia del Teatro 
                  degli Zingari, all'aperto e con un pubblico attento e variegato, 
                  in totale ascolto dei poliedrici attori che si alternano su 
                  un palco di prato, alberi e un'intelligente scenografia leggera 
                  ma funzionale allo svolgersi di una storia non semplice da raccontare. 
                
                   
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                    |   Il momento del processo a Bresci 
                        Foto di Gaia Raimondi  | 
                   
                 
                 A Milano, nel maggio del 1898, l'esercito guidato dal generale 
                  Bava Beccaris spara sulla folla, da giorni in protesta contro 
                  l'aumento dei prezzi, per la mancanza di lavoro che spingeva 
                  ad emigrare e per l'assenza di diritti civili e politici. I 
                  morti furono più di cento. La notizia arrivò a 
                  Patterson, negli Stati Uniti, dove si erano trasferiti molti 
                  emigranti italiani per lavorare nelle fabbriche tessili. Due 
                  anni dopo, un operaio toscano varcò l'oceano per tornare 
                  in Italia con una pistola e un'idea: quella di vendicare i morti 
                  di Milano e della repressione sabauda.  
                  Quell'uomo si chiamava Gaetano Bresci. Gaetano era anarchico 
                  perché aveva in odio le leggi che rendevano l'uomo schiavo 
                  all'uomo, che mantenevano sfruttamento, povertà ed ignoranza; 
                  era anarchico perché amava la libertà, la giustizia 
                  e l'umanità. È per amore, oltre che per odio, 
                  che mise in gioco la sua vita, è per amore e per odio 
                  che premette il grilletto della sua pistola per uccidere non 
                  “un re, ma un principio”. Bresci, personaggio principale, 
                  non ha un attore che lo interpreti, bensì viene raccontato 
                  da più voci, dagli sguardi di coloro che l'hanno incontrato, 
                  anche per puro caso, sul tragitto esistenziale delle proprie 
                  vite, chi sulla nave di rientro in Italia, chi durante la sua 
                  permanenza nel carcere di massima sicurezza di Ventotene, dove 
                  morirà in circostanze sospette dopo il regicidio. 
                
                   
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                    |   Tutti gli attori in scena (Foto di Gaia Raimondi)  | 
                   
                 
                 Lo spettacolo non è solo un'indagine su un fatto di 
                  cronaca, nonostante ci siano più momenti di sinergica 
                  rappresentazione dei luoghi e fatti, racconti in forma collettiva, 
                  polifonica, dal basso, quanto piuttosto un viaggio in una storia 
                  italiana poco conosciuta, che prima di essere storia politica 
                  è storia umana. In questo viaggio ci si sofferma a riflettere 
                  sul confine tra vendetta e giustizia, sui meccanismi del potere 
                  di allora e di oggi, sorprendendo lo spettatore a constatare 
                  le numerose analogie con i tempi attuali. Il gruppo di attori 
                  e attrici si alternano sulla scena, interpretando tutta la cornice 
                  storico-politica che fa da sfondo alla sete di giustizia del 
                  personaggio principale della storia, filo rosso sottile e al 
                  contempo grande assente proprio per permettere all'immaginario 
                  dei fruitori di leggere analogie con vicende più contemporanee 
                  e oltremodo attuali. 
                  Il Teatro degli Zingari è nato dall'incontro di persone 
                  che hanno attraversato, vissuto e si sono impegnate all'interno 
                  della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova fondata 
                  da don Andrea Gallo e che hanno scelto il teatro come strumento 
                  di espressione e di inclusione sociale. Dal 2000 ad oggi il 
                  collettivo teatrale ha portato sulla scena letture della resistenza 
                  e delle pagine di Eduardo Galeano, ha affrontato attraverso 
                  spettacoli teatrali i temi delle migrazioni e dei beni comuni, 
                  ha realizzato concerti e serate culturali, ha dato vita ad un 
                  laboratorio permanente condotto da amici registi e attrezzato 
                  la vecchia falegnameria di San Benedetto a sala polifunzionale. 
                  Proprio perché questa storia parla di un vissuto collettivo, 
                  la compagnia aveva attivato una raccolta fondi tramite di crowdfunding 
                  “raccogli tutto” (ovvero raccogliere i fondi e portare 
                  a termine il progetto anche se il budget previsto non fosse 
                  totalmente coperto), affinché tutti potessero contribuire 
                  alla sua realizzazione.  
                  I fondi raccolti in questa campagna sono stati necessari per 
                  coprire spese già sostenute, per retribuire in parte 
                  il lavoro di professionisti (regista, tecnici) che stanno aiutando 
                  gratuitamente e per la realizzazione delle scene e dei pochi 
                  costumi. Lo spettacolo è attualmente in tourneé 
                  in diverse città italiane e cerca diffusione e sostegno, 
                  assolutamente meritati per l'originalità e la pregnanza 
                  nella narrazione di una triste vicenda quantomai contemporanea. 
                 
				Gaia Raimondi 
                 
                    USA (e Argentina)/ 
                  Le cooperative di lavoro “recuperate” dagli operai 
                Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la prima normativa 
                  nazionale riguardo alle cooperative di lavoro. “Si tratta 
                  di un'opportunità straordinariamente importante per i 
                  lavoratori e le imprese che hanno bisogno di un efficace piano 
                  di successione. Questa normativa è una tappa importante 
                  per il nostro lavoro, teso a far progredire le imprese cooperative 
                  di proprietà dei lavoratori e gestite da lavoratori. 
                  Riteniamo che una più ampia consapevolezza della proprietà 
                  dei dipendenti cambierà le cose all'interno delle piccole 
                  imprese americane”, ha dichiarato Esteban Kelly, direttore 
                  esecutivo della Federazione statunitense delle cooperative di 
                  lavoro.  
                  Il Main Street Employee Ownership Act è la prima legge 
                  bipartisan a livello federale che punta sulle cooperative di 
                  lavoro, che sosterrà le piccole imprese, salverà 
                  posti di lavoro e promuoverà salari equi. Questa normativa 
                  migliora l'accesso al capitale e l'assistenza tecnica per le 
                  imprese di proprietà dei lavoratori, aiutando notevolmente 
                  le cooperative di lavoro. La federazione americana delle cooperative 
                  di lavoro (USFWC) è l'organizzazione nazionale di base 
                  per le cooperative di questo tipo. Vi aderiscono centri di lavoro 
                  democratici, sviluppatori, organizzazioni e individui che supportano 
                  le cooperative di lavoro. L'USFWC promuove i luoghi di lavoro 
                  di proprietà dei lavoratori, gestiti e governati attraverso 
                  la formazione cooperativa, le azioni di sensibilizzazione e 
                  lo sviluppo delle attività imprenditoriali.  
                  Le cooperative che fanno parte della Federazione, che vanno 
                  da 2 a 2.000 soci, sono presenti in tutto il paese e riguardano 
                  decine di attività industriali, con diverse strutture 
                  di gestione e di governance. Con circa 200 (delle quasi 400) 
                  cooperative di proprietà dei lavoratori e membri dell'organizzazione 
                  che rappresentano quasi 4.000 lavoratori (8.000 in tutto) in 
                  tutto il paese, l'USFWC sta creando un movimento dinamico per 
                  la proprietà democratica dei lavoratori.  
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Il dossier curato da Enrico Massetti  | 
                   
                 
                Da azienda tradizionale a proprietà 
                  cooperativa: Select Machine, Inc. 
                  Fondata nel 1994 da Doug Beavers e Bill Sagaser, Select Machine 
                  vende e distribuisce prodotti lavorati e attrezzature per l'installazione 
                  di macchinari per la costruzione e la demolizione. Quando i 
                  soci fondatori iniziarono a cercare di cedere l'attività, 
                  emersero diversi potenziali acquirenti interessati, ma tutti 
                  volevano acquistare l'attività per il suo portafoglio 
                  clienti e i macchinari, in modo da consolidare la produzione 
                  in strutture sottoutilizzate altrove. Chiudere gli impianti 
                  e lasciare i dipendenti senza lavoro non era un risultato accettabile 
                  per i soci fondatori, che hanno quindi cominciato a esplorare 
                  alternative a una vendita tradizionale. Dopo la ricerca, hanno 
                  deciso che una cooperativa di lavoratori era l'opzione migliore 
                  per la loro azienda e nel 2011 sono passati alla nuova forma 
                  societaria. 
                   
                  Una nuova cooperativa nata dalla lotta 
                  di classe: New Era Windows 
                  Nel 2008 il titolare decise di chiudere una fabbrica di finestre 
                  su Goose Island e licenziare tutti. Nel 2012 i lavoratori decisero 
                  di acquistare la fabbrica e licenziare il capo. Ora possiedono 
                  insieme l'impianto e lo gestiscono democraticamente. Questa 
                  è la loro storia. 
                  Nel 2008, dopo molti decenni di attività, Republic Windows 
                  and Doors era fallita e venne chiusa. Quando arrivò l'annuncio 
                  di chiudere lo stabilimento, fu comunicato ai dipendenti che 
                  il lavoro sarebbe stato interrotto immediatamente e che non 
                  avrebbero ricevuto il pagamento o la liquidazione stabilita 
                  contrattualmente. I dipendenti decisero di occupare la fabbrica 
                  in segno di protesta e la collettività manifestò 
                  con numerose iniziative per sostenerli.  
                  Tutti dissero di averne abbastanza. Se volevano mantenere una 
                  produzione di qualità all'interno della comunità, 
                  avrebbero dovuto affidarsi a coloro che erano più interessati 
                  a conservare quei posti di lavoro. Cominciò così 
                  il progetto per l'avvio di una nuova cooperativa di proprietà 
                  dei lavoratori. I lavoratori chiesero aiuto alla United Electrical 
                  Workers Union, che era stata al loro fianco fin dall'inizio, 
                  a The Working World, che aveva lavorato con decine di fabbriche 
                  controllate dai lavoratori in America Latina e al Center for 
                  Workplace Democracy, una nuova organizzazione di Chicago impegnata 
                  a sostenere il controllo dei lavoratori.  
                  Con un enorme appoggio da parte della collettività, The 
                  Working World ha raccolto gli investimenti necessari perché 
                  i lavoratori acquistassero la fabbrica, e ora la cooperativa 
                  garantisce utili. 
                   
                  Investire nelle cooperative - The Working 
                  World  
                  Nel 2003, un decennio di riforme economiche e il conseguente 
                  crollo finanziario avevano reso il settore industriale argentino 
                  un guscio vuoto e portato quasi metà della popolazione 
                  al di sotto della soglia di povertà. Con le spalle al 
                  muro, molti lavoratori cominciarono a prendere in mano il proprio 
                  destino, occupando aziende precedentemente fallite e abbandonate 
                  e riaprendole come cooperative di lavoratori gestite e amministrate 
                  democraticamente. Queste aziende sono ora note come le empresas 
                  recuperadas - le imprese recuperate. Di fronte a tremende difficoltà, 
                  questi lavoratori hanno cominciato a ricostruire l'economia 
                  argentina dal basso. 
                  Dopo aver appreso delle attività recuperate, il fondatore 
                  di The Working World, Brendan Martin, decise di lasciare Wall 
                  Street per trovare un modo per sostenere il nascente movimento 
                  cooperativo. Nel 2004, dopo aver contattato Avi Lewis in occasione 
                  di una proiezione di The Take, un documentario sul movimento 
                  operaio, ha individuato la soluzione. Come tutte le altre imprese, 
                  quelle recuperate avevano bisogno di finanziamenti per sostenere 
                  la loro crescita. In realtà, ciò di cui avevano 
                  bisogno – ciò di cui il mondo aveva bisogno – 
                  era di reinventare la finanza, per mettere i bisogni delle persone 
                  davanti ai profitti. Poco dopo l'incontro, Brendan e Avi fondarono 
                  The Working World, per fornire i capitali di investimento indispensabili 
                  alle cooperative dell'Argentina.  
                  The Working World è un fondo di investimento che costruisce 
                  imprese cooperative per comunità a basso reddito, utilizzando 
                  un modello rivoluzionario che combina finanza non estrattiva 
                  con un sostegno su misura all'impresa. Le finanze sono affidate 
                  ai lavoratori senza far loro depositare garanzie o assumere 
                  l'onere del debito che potrebbe mettere a rischio le loro condizioni 
                  di vita. Lo fa promuovendo una forma più inclusiva di 
                  proprietà – le imprese che sono gestite collettivamente, 
                  di proprietà di chi ci lavora e della comunità 
                  – e vincolando i rendimenti dei prestiti al successo del 
                  progetto, per minimizzare il rischio, sia per i fondi sia per 
                  le imprese da questi aiutate a prosperare. 
                  Agire come partner permette di concentrarsi su ciò che 
                  è veramente importante: la stabilità e la crescita 
                  delle imprese che hanno sede in quartieri a basso reddito e 
                  sono costruite per essere al loro servizio. 
                  Significa anche che i fondi non attingono mai dalle persone 
                  con cui lavorano, ma solo dagli utili che hanno contribuito 
                  a generare. Nessuna comunità quindi verrà mai 
                  resa più povera lavorando con questi fondi. 
                  Dal 2004, The Working World ha sostenuto più di 800 progetti 
                  con oltre 200 imprese, erogando prestiti per più di quattro 
                  milioni di dollari e creando centinaia di posti di lavoro.  
				Enrico Massetti
  
				traduzione di Guido Lagomarsino 
                 
                    
				Comune Urupia/ 
                  Dove fortunatamente ci sono i campi, ma non c'è campo 
                Domenica sera il Festival delle Terre è in chiusura, 
                  anche se molta gente è già andata via ci sono 
                  ancora parecchie persone e dalla veranda dove sto discutendo 
                  di sud e di estremo nord con uno sconfortato emigrante ne possiamo 
                  vedere una cinquantina che chiacchierano, bevono, fumano sparse 
                  nella penombra.  
                  A un certo punto, mentre parliamo di nuove tecnologie, gli indico 
                  i vari gruppetti con età variabili tra zero e settant'anni 
                  e mi rendo conto che siamo proiettati in una scena d'altri tempi, 
                  antichissima: nessuno, neanche gli adolescenti, è contrassegnato 
                  dalla luce di un telefonino nel buio. Niente uozap, feisbuc, 
                  svistagram – una specie di miracolo. Appena possibile 
                  chiedo consulenza alla mia esperta in problematiche giovanili 
                  che mi disillude solo in parte: a Urupia non c'è molto 
                  campo e in effetti con alcuni operatori non si riesce a fare 
                  un granché, però è anche vero – precisa 
                  – che quando sei qui “non ti viene tanto” 
                  di stare incollata per ore intere a uno schermetto. 
                
                   
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                    |   Oscar Agostoni monologa, il pubblico ascolta rapito 
                        Foto di Giuseppe Aiello  | 
                   
                 
                È il sesto anno che la Comune ospita la versione estiva 
                  e campagnola del Festival delle Terre, nato quasi venti anni 
                  fa a Roma ad opera della “associazione di solidarietà 
                  e cooperazione internazionale” Crocevia, ma che qui ha 
                  assunto caratteristiche proprie legate all'identità del 
                  luogo e del territorio, ospitando, oltre alle proiezioni dei 
                  film presso il lussuoso cinema all'aperto nel cortile interno, 
                  ben ventilato e privo di zanzare (si vocifera che le panche 
                  di legno degli ultimi posti siano state importate da Sparta 
                  ai tempi di Leonida, ma nessuno si è lamentato), testimonianze 
                  dirette e variegate su progetti di diversa natura, ma sempre 
                  legati alla relazione tra umani e pianeta, rapporto che anno 
                  dopo anno non sembra semplificarsi affatto. 
                  Una finestra che Urupia si concede durante l'affollata estate, 
                  apparentemente il peggior periodo per atterrare nella comune 
                  salentina, quando l'invasione di vecchi amici e parenti induce 
                  a disincentivare gli arrivi di visitatori estemporanei e fulminei 
                  passanti. Al contrario, durante quei tre giorni sta diventando 
                  piccola tradizione che, previo gentile preavviso e opportunamente 
                  muniti di tenda, ci si stringa un po' e si faccia spazio per 
                  tutti, viandanti, curiosi ma soprattutto quelli che aspettavano 
                  un pretesto per andare a vedere com'è la “comune 
                  anarchica” (ricordo che la denominazione continua a non 
                  essere ufficialmente accettata, anche se negli anni l'attribuzione 
                  sta spontaneamente diventando più diffusa). Come assaggio 
                  va più che bene, basta che non si pretenda di aver capito 
                  cos'è Urupia dopo un atipico fine settimana come questo. 
                  Già arrivando un paio di giorni prima o restando dopo 
                  si ha il tempo di fare una vendemmia che è breve, rilassante 
                  e ricreativa ma richiede sveglia presto, in quanto, mi spiegarono 
                  qualche anno fa, tra le precauzioni necessarie per fare il vino 
                  buono c'è anche quella di non portare uva calda in cantina; 
                  e ad agosto dopo le nove il sole in Salento picchia forte. 
                  A proposito – chiedo a Carlotta – non è una 
                  scelta un po' ardita quella di mettere il festival, e quindi 
                  aprire la comune, proprio tra una vendemmia e l'altra? 
                  Carlotta – Ma non è che avevamo previsto che 
                  le date coincidessero con la vendemmia, ci aspettavamo una pausa 
                  tra quella dello Chardonnay e il Primitivo, però vista 
                  la pioggia che è arrivata si è incasinato tutto 
                  e quindi ci troviamo a raccogliere l'uva quasi in contemporanea. 
                  Poi non è che per questa iniziativa ci siano molte date 
                  disponibili; proiettare i film all'aperto è una cosa 
                  che puoi fare solo d'estate, già a settembre di sera 
                  fa troppo freddo. Poi, per aprire la comune a tutte, noi da 
                  sole non ce la faremmo, abbiamo bisogno delle amiche che vengono 
                  ad agosto, che vengono da anni o da decenni e che sanno come 
                  muoversi qui e che ci aiutino. Questo si può fare solo 
                  ad agosto. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Gioventù impegnata in una discussione su argomenti misteriosi 
                        Foto di Giuseppe Aiello  | 
                   
                 
                “Ci piace moltissimo aprire 
                  la Comune” 
                  La meteorologia con noi è stata gentilissima, potenti 
                  scrosci pomeridiani fino a giovedì e poi dal lunedì, 
                  ma nel fine settimana clima perfetto. In questo modo il capannone, 
                  che porta questo nome in memoria del suo umile passato, ma oggi 
                  è una nobile sala che introduce alla scuola, poteva essere 
                  usato di pomeriggio per le presentazioni e la sera lasciato 
                  agli infanti con proiezioni più adatte a loro, che se 
                  li fai crescere a filmati sulle devastazioni operate dalle compagnie 
                  minerarie rischi che vengano su davvero con una visione del 
                  mondo eccessivamente fosca.  
                  A proposito di cinema: come cronista faccio veramente pietà; 
                  per intero non ho visto quasi niente a parte il film di Danilo 
                  Licciardello sulle New Breeding Techniques (i nuovi Ogm), ma 
                  solo perché è un amico e non voglio fare poi brutta 
                  figura quando qualcuno mi chiede com'è il suo nuovo documentario. 
                  Vista l'eclatante parzialità non ne faccio elogi e mi 
                  limito a dire che ha un andamento lieve di gusto pop ed è 
                  pieno di informazioni che mi erano totalmente sconosciute, quindi 
                  di per sé visione utilissima. 
                  Poi ho seguito El secreto de la belleza - Pueblos en defensa 
                  de la tierra di Néstor Jiménez che narra dei 
                  tentativi di resistenza delle popolazioni del Chiapas all'assalto 
                  del sistema Stato-multinazionali alle sue risorse creando potere 
                  e soldi per pochi e povertà e desertificazione per chi 
                  su quelle terre ci ha sempre vissuto. Molto ben realizzato, 
                  anche dal punto di vista dell'immagine: se riuscissimo a far 
                  vedere alla gioventù cose del genere al posto del mefitico 
                  calcio benzodiazepina di cui si nutrono i popoli lobotomizzati, 
                  magari faremmo anche qualche passo avanti invece della retromarcia 
                  spedita alla quale assistiamo con un filo d'ansia.  
                  Ciò vale anche per gli altri documentari – tra 
                  i quali Mal d'Agri (1 & 2) sulle estrazioni petrolifere 
                  in Basilicata; Entroterra, che parla dello spopolamento 
                  delle aree appenniniche e forse più di tutti per il lungometraggio 
                  argentino Chaco a proposito dei nativi sudamericani – 
                  dei quali ho visto poco; me li sono fatti raccontare ed erano 
                  tutti realizzati benissimo, anzi fin troppo bene, e la verità 
                  è che riesco a tollerare la documentazione sull'umana 
                  scelleratezza quando ce l'ho su carta, ma a vederla proiettata 
                  su schermo mi avvilisco.  
                  Ho partecipato invece a quasi tutto il resto, a cominciare dal 
                  pre-festival di Oscar Agostoni che giovedì sera ha presentato 
                  il suo monologo Controcanto in un tempo ostile, che si 
                  interroga a venti anni di distanza (a noi sembra ieri, ma indispensabile 
                  per chi a quei tempi andava all'asilo) sulle mai chiarite vicende 
                  che circondarono e provocarono la morte di Maria Soledad Rosas 
                  ed Edoardo Massari. Non c'è bisogno di motivare perché 
                  Oscar abbia voluto essere presente qui, mentre si può 
                  spiegare meglio le ragioni per le quali le comunarde si imbarcano 
                  nell'impresa. Quali sono le ragioni principali per cui decidete 
                  di interrompere tutte le attività e vi dedicate a questa 
                  iniziativa? 
                  Daniele – Perché ci piace moltissimo aprire 
                  la Comune per discutere e confrontarci con gente che viene da 
                  posti diversi su tematiche di interesse per tutti. Sono magari 
                  persone che colgono questa occasione per conoscerci e venire 
                  qui per la prima volta. 
                  Gianfranco – In realtà se ricordo bene la prima 
                  volta che lo abbiamo fatto sono state proprio delle persone 
                  di Crocevia a proporci di fare una rassegna che portasse i loro 
                  film anche qui, in zone e ambiti nei quali sono poco conosciute. 
                  La cosa andò bene e abbiamo continuato. Per Urupia è 
                  molto stimolante che ci vengano delle proposte dall'esterno, 
                  ci fa sempre piacere. Poi ovviamente non siamo poi in grado 
                  di accoglierle tutte, anzi, la maggior parte non ce la facciamo 
                  a farle e dobbiamo dire di no, però è comunque 
                  importante. 
                
                   
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                    |   Presentazione di Enoize, prima dell'attesa degustazione 
                        Foto di Giuseppe Aiello  | 
                   
                 
                Una visione troppo economicista 
                  Ora, visto che sul manifestino c'è il logo di Crocevia 
                  che è una Ong che sul suo sito riporta: “Le nostre 
                  fonti di finanziamento sono e sono state quelle messe a disposizione 
                  dal Ministero agli Affari Esteri, dall'Unione Europea, dalle 
                  Agenzie ONU, dagli Enti locali, dalle Fondazioni e dai privati 
                  cittadini”, viene spontanea la domanda: a voi chi vi finanzia? 
                  Comune? Provincia? Regione? 
                  Mi guarda stortissimo; alla sua torva occhiata rispondo – 
                  “Dai fammi fare l'intervistatore scemo...” 
                  – Nessuno.  
                  Daniele, appena meno laconico, precisa: – Ci finanziano 
                  le compagne e i compagni che vengono qui e lasciano un contributo 
                  per l'iniziativa, quello è il “finanziamento”. 
                  Oltre a quello di Crocevia sul manifestino c'è il logo 
                  di Genuino Clandestino, come mai? 
                  Gianfranco – Perché siamo tra gli organizzatori 
                  e ospiti del prossimo incontro di GC, a ottobre, e sarà 
                  uno degli argomenti centrali anche in questi giorni. Si tratta 
                  di mettere in connessione il nostro agire qui, in questo posto, 
                  con il tutto, con quello che ci circonda e che sta fuori di 
                  qui. Noi non siamo “ambientalisti” – cioè 
                  quelli che si occupano della tutela dell'ambiente – casomai 
                  siamo “ecologisti”, è l'intero ambiente di 
                  cui facciamo parte che ci riguarda. 
                  E della ormai non così breve storia di GC, che finalmente 
                  va a tornare a sud dopo parecchi anni, e delle sue prospettive 
                  si è parlato a lungo di domenica con Movimento Terre, 
                  al quale fanno riferimento lavoratrici e lavoratori della terra 
                  della Puglia e della Lucania. Su un piano parallelo si muovono 
                  le Cucine in Movimento di Roma, che cercano di mettere in relazione 
                  città e campagna affrontando tra l'altro le spinose questioni 
                  che riguardano la qualità del cibo e la sostenibilità 
                  economica dei prodotti non avvelenati per i detentori di portafoglio 
                  leggero. 
                  Ciò che mette in connessione il tutto è stato 
                  sottolineato da Agostino quando, prima di una illuminante lezione 
                  di Vitale Nuzzo sulla coltivazione della vite che ha messo in 
                  discussione molte certezze date per acquisite, ha affermato 
                  (cito approssimativamente) che l'intera iniziativa è 
                  rivolta a documentare e denunciare l'aggressione che il capitalismo 
                  opera quotidianamente ai danni delle terre e dell'ambiente in 
                  generale e ad affrontarla non solo in forma oppositiva ma anche 
                  con intenti propositivi. Il giorno dopo gli ho chiesto se ritenga 
                  che questo termine – “Capitalismo” – 
                  sia adeguato per descrivere le forze, il sistema al quale cerchiamo 
                  di opporci. Agostino mi ha risposto che il capitalismo è 
                  l'organizzazione basata sul riconoscimento della proprietà 
                  e quindi sull'accumulo del capitale e che tutto ciò che 
                  ci troviamo davanti – sfruttamento, guerre, distruzione 
                  del territorio e così via – è fondato sul 
                  principio per il quale si può possedere, qualcosa può 
                  essere proprietà di qualcuno.  
                  La mia obiezione è che una visione di questo tipo è 
                  fortemente economicista, non descrive le molteplici, fluide 
                  e articolate dinamiche del dominio e mostra tutti i limiti di 
                  una lettura marxista della società. La replica è 
                  stata che non si tratta di una visione marxista perché 
                  questa delinea l'economia come struttura e il resto come sovrastruttura, 
                  mentre i diversi aspetti sono connessi in modo indissolubile. 
                  Come si può immaginare potrei continuare ad argomentare 
                  lungamente per motivare il mio profondo dissenso verso un'analisi 
                  di questo tipo, ma già intravedo lettori dotarsi di lamette 
                  a uso taglio vene e quindi magnanimamente soprassiedo. Per scelta 
                  e per fortuna ci sono stati interventi dedicati al puro piacere 
                  consapevole del vino con raffinati interventi storico-antropologici 
                  (Flavio Castaldo), edonistico-ricreativi (Michele Marangio) 
                  e, ideale punto d'arrivo (ma solo per ripartire) del nostro 
                  microviaggio, la presentazione di Enoize.  
                  La psicologa-sommelier Gabriella Rubino e il bevitore-hacker 
                  Dario Biagetti hanno condotto una degustazione “naturalmente 
                  contro il fascismo” con una definizione che poteva sembrare 
                  retorica, e che invece parte da una storia brutta e pesante 
                  e cerca di muoversi in territori nei quali, ci hanno spiegato, 
                  negli ultimi anni si sta sviluppando una grottesca ideologia 
                  nazionalista e identitaria. Iniziando anche simbolicamente da 
                  Lucca, dove i nipotini di Benito alle elezioni hanno preso otto 
                  punti percentuali. 
                  In definitiva – come sempre qui – molta legna sul 
                  fuoco, di storie vissute e dette, in pubblico e in privato; 
                  tra queste alcune che riporterei volentieri ma, siccome fanno 
                  parte delle narrazioni personali, mi autocensuro. Un buon posto 
                  per parlare e per ascoltare. Meno male che a Urupia ci sono 
                  i campi ma non c'è campo, o almeno non tanto, non abbastanza. 
Giuseppe Aiello 
                         
                
                   
                     Sulle orme di Amedeo ed Eduardo 
                       
                        foto di: Roberto Gimmi  
                      Marghera 
                        (Ve), Ateneo degli Imperfetti, 15 settembre - Un'ottantina 
                        di persone 
                        hanno partecipato al seminario organizzato dal Laboratorio 
                        Libertario/Ateneo degli Imperfetti 
                        di Marghera e dal Centro studi libertari/Archivio Giuseppe 
                        Pinelli di Milano a partire 
                        dalle riflessioni e dalle biografie di due militanti anarchici 
                        scomparsi di recente, 
                        Amedeo Bertolo ed Eduardo Colombo. Numerosi gli interventi 
                        e le relazioni, vivace il dibattito.   | 
                   
                 
				
 
  
                     
                
                   
                    Massenzatico (Re)/ 
                  Tra cappelletti e cultura libertaria 
                       
                        
                      Massenzatico 
                        (Reggio Emilia), 5-7 ottobre 2018 - Tre giornate di grandi 
                        mangiate, musica, cultura, libri, dibattiti, vaccinazione 
                        antiautoritaria, critica dell'Onu, gastronomia nigeriana 
                        e sinta, poesie, torneo di calcetto senza il balilla, 
                        macchina infernale e tante altre diavolerie. Un migliaio 
                        le persone passate al convegno “Cucine senza confini” 
                        e alle iniziative collaterali, presso il circolo Arci 
                        “Cucine del Popolo”.  
						
                        
						Per saperne di più e contattarli:  
                        www.cucinedelpopolo.org 
                         
                        cuocarossonera@gmail.com. 
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