Donne e altri umani 
                Parliamo di donne.  
                  C'è stato un tempo, anni fa, in cui il discorso sulle 
                  donne era importante. Si portavano avanti battaglie, probabilmente 
                  anche eccessive nei toni, ma sono quelle battaglie che ci hanno 
                  condotte ad alcune non trascurabili conquiste. È evidente, 
                  come spesso accade, che le battaglie sono state diverse in paesi 
                  differenti, perché le tradizioni occidentali divergono, 
                  e se in Gran Bretagna la tutela delle madri sole, per esempio, 
                  esiste, almeno sulla carta, da tempo, in Italia esiste solo 
                  il biasimo delle madri sole, che - proprio in quanto incapaci 
                  di procurarsi un capo-famiglia e in palese violazione della 
                  legge dei padri biblici – hanno sempre costituito un argomento 
                  da evitare nella conversazione comune. Ciò non toglie 
                  che esse si siano moltiplicate nel tempo, e siano arrivate a 
                  rappresentare una componente non trascurabile della nostra comunità 
                  di appartenenza. Però attenzione: come molte cose in 
                  Italia, anche le madri sole sono strutturate gerarchicamente. 
                   
                   Una 
                  mia conoscente, intellettuale di successo e nota opinionista 
                  di sinistra (qualunque cosa questo voglia dire), ha deciso a 
                  un certo punto di avere un figlio senza avere un marito. Questo 
                  figlio è cresciuto benissimo, senza privazioni e con 
                  uno sguardo sul mondo che è certamente, immagino, sereno 
                  e privilegiato. La madre sola ha proseguito con altrettanta 
                  serenità la sua carriera e vigilato sull'ordinato farsi 
                  adulto del figlio. Un'altra mia conoscente, anche lei intellettuale 
                  ma di condizioni economiche e di prestigio molto diverse, si 
                  è trasformata anche lei in una madre sola molto presto, 
                  abbandonata suo malgrado, e le durezze pratiche e simboliche 
                  della vita hanno reso malfermo il suo equilibrio, e strampalata 
                  la crescita dei due figli. Altre donne delle quali conosco a 
                  malapena la storia sono madri sole senza mezzi, e vivono negli 
                  interstizi di una comunità che si autodefinisce equa 
                  e bilanciata. I casi son tanti, e non starei qui a enumerarli: 
                  non mi piacciono i discorsi che sconfinano nel patetico. Piuttosto, 
                  il punto è: il biasimo sociale e la fatica economica 
                  sostenuti da una madre sola sono proporzionali alla posizione 
                  di prestigio occupata nella comunità, almeno in Italia. 
                  Non vi è protezione istituzionale: solo una situazione 
                  florida di partenza, o in alternativa la carità del buon 
                  samaritano, se il buon samaritano esiste.  
                   
                  Parliamo di donne.  
                  In università, dove lavoro, ci sono docenti di sesso 
                  femminile in ogni dove. Esse lavorano e si danno da fare, indifferentemente 
                  in ambito umanistico e nel contesto delle scienze dure. Man 
                  mano che risaliamo la piramide dei posti di responsabilità, 
                  le quote rosa diventano il solo motivo per cui qualche donna 
                  c'è (e, intendiamoci, non è che le donne in posizione 
                  di potere siano necessariamente “amiche“ delle politiche 
                  femminili). Nel mio dipartimento, su 5 posizioni di responsabilità 
                  istituzionale, due sono ricoperte da uomini, nonostante la percentuale 
                  di uomini e donne nel dipartimento sia sbilanciata, e potentemente, 
                  al femminile. Magari siamo più stupide e meno capaci, 
                  ma insomma, noto un dato e lo riporto. 
                  Di sicuro, quando prendiamo posizione, continuiamo a essere 
                  percepite – da uomini e donne in ugual misura – 
                  come isteriche e vittime inani della nostra emotività. 
                  Una mia collega in posizione istituzionale rilevante, dopo aver 
                  preso posizione in modo deciso in un consesso accademico prevalentemente 
                  maschile, si è vista soggetto principale di una voce 
                  di corridoio che la etichettava come “lesbica“, 
                  ammesso che questo sia, come veniva inteso, un penoso insulto. 
                  La collega, mentre lo raccontava, rideva, dicendo che suo marito 
                  aveva reagito alla notizia offrendosi volontario per una dimostrazione 
                  pubblica. Son cose belle, nei nostri sfavillanti anni 2000. 
                   
                  Parliamo di donne, e parliamone nell'industria editoriale italiana. 
                   
                  Qui è più difficile, perché la cosa mi 
                  riguarda, e non vorrei che venisse fraintesa. Scrivo fantascienza 
                  da sempre, e ho pubblicato un romanzo in Urania, all'inizio 
                  degli anni '90. Non era bello e non era brutto: era, suppongo, 
                  semplicemente adatto alla collana. Quest'anno, come lo scorso 
                  anno, 3 dei 5 finalisti del Premio Urania erano donne (e quest'anno, 
                  di qui il motivo dell'imbarazzo, una delle 3 ero io). Sia l'anno 
                  scorso che quest'anno, il romanzo vincitore è risultato 
                  scritto da un uomo.  
                  Nella storia del premio Urania, che esiste dal 1989, solo una 
                  volta ha vinto una donna. Le statistiche in sé non vogliono 
                  dir nulla: un romanzo viene pubblicato se è congruente 
                  con le caratteristiche della collana. Sono certa che la giuria 
                  abbia scelto su questa base, non sul genere sessuale dell'autore. 
                   
                  E però quel che mi ha stupita è ciò che 
                  ne è venuto fuori: un dibattito infinito, per ora solo 
                  via social network, che sembrava datato anni '90 per il disagio 
                  riportato da molte scrittrici e per le reazioni ferite, infastidite, 
                  spesso sconsolate degli scrittori e anche di alcune fan e scrittrici. 
                  In altri termini, di nuovo, chi ha manifestato il dubbio che 
                  vi fosse una qualche discriminazione del femminile nella fantascienza 
                  è stato, tacitamente o esplicitamente, tacciato di isteria. 
                   
                  Con la differenza che ora è chiaro a tutti che le quote 
                  rosa sono una bufala, una pezza cucita su una situazione culturale 
                  che, ahimé, non è mai cambiata. 
                   
                  Allora parliamo di donne ma parliamo anche di uomini. L'emancipazione 
                  non si fa da una parte sola, e neanche a colpi di nuove norme. 
                  Si lavora sulla cultura. Che di nuovo è il problema che 
                  ci dovrebbe interessare ma del quale non ci occupiamo. 
Nicoletta Vallorani 
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