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				 ricordando Amedeo 
                        Bertolo 
                       
                      Lasciamo il pessimismo 
                        per tempi migliori 
                       
                      
                       
                        di Paolo Finzi 
                          con due scritti di Amedeo Bertolo 
                          foto Centro Studi Libertari/AFA (Archivi Fotografici 
                          Autogestiti) 
                          
                          Amedeo Bertolo 
                       
                      All'età 
                        di 75 anni è morto Amedeo Bertolo, militante anarchico, 
                        uno dei fondatori di questa rivista, membro del nostro 
                        collettivo redazionale nei primi 4 anni (1971-1974). Lo 
                        ricordiamo qui con uno scritto di un nostro redattore 
                        che fece parte di quel primo collettivo redazionale. Riproponiamo 
                        due scritti di Amedeo, sulla nascita della “A” 
                        cerchiata e sulla nascita di questa rivista, che scelse 
                        la “A” cerchiata come proprio logo. 
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				ricordando Amedeo Bertolo 
                  
                Il Galletto di Amedeo 
                  
                di Paolo Finzi 
                    
                La morte di Amedeo Bertolo, uno dei fondatori di “A”. L'impegno militante, dalla giovanile solidarietà con la lotta antifranchista del popolo spagnolo alla campagna di contro-informazione sulla strage di Stato. Le molte iniziative realizzate. La scelta di un impegno editorial-culturale, senza trascurare quello politico-militante. Una mente lucida, che tanto ha dato nei termini di un'apertura mentale e culturale dell'anarchismo. E un carattere non-facile, con la socialità di un orso. Ci lascia un patrimonio di interrogativi. 
                 
                  Nei film del neo-realismo italiano, dalla fine della Resistenza agli anni '60, era spesso presente. Molti la consideravano “la moto dei preti di campagna”, ma nel nostro caso uso e utilizzatore furono ben diversi. Quella moto un po' “protetta”, il Galletto della Moto Guzzi, utilizzabile anche per lunghi viaggi, nel caso di Amedeo servì per raggiungere più volte la Spagna, da Milano, portando agli anarchici impegnati nella lotta clandestina anti-franchista, una volta, un intero ciclostile (smontato) che poi sarebbe servito per produrre volantini. 
La diffusione della parola, della parola anarchica, da quei giovanili viaggi solidali e non privi di rischi alla fondazione e gestione (con Rossella, compagna di una vita) – vent'anni dopo – di una casa editrice (Elèuthera) che ha segnato finora il più riuscito tentativo di diffusione delle idee anarchiche e libertarie al di fuori dei consueti “giri” del movimento anarchico e dintorni, senza mai perderne contatti e relazioni. Come si evince dal catalogo della casa editrice. 
				I primi 4 anni dentro ad “A” 
                Amedeo Bertolo (Milano, 1941-2016) è stato una figura 
                  significativa del movimento anarchico e del pensiero libertario 
                  dalla seconda metà del Novecento. 
                  È stato anche l'ideatore di “A”. Lui la racconta 
                  un po' diversa, in un piccolo scritto inserito nel nostro n. 
                  358, quello con cui abbiamo degnamente celebrato i primi 40 
                  anni “A”. Scritto da noi ripubblicato in coda a 
                  questo numero. 
                  Comunque in un bel giro di compagne e compagni, in quegli anni 
                  a cavallo tra i '60 e '70, soprattutto a cavallo della strage 
                  di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e tre giorni dopo l'assassinio 
                  in questura di Giuseppe Pinelli, la figura intellettuale e militante 
                  di Amedeo si stagliava per uno spirito organizzativo particolare. 
                  Il carattere non era facile, un orso a volte molto disponibile 
                  altre appartato, discontinuo. Eppure ha spesso esercitato un'influenza 
                  forte, quasi magnetica a volte. Nella sua lucidità, a 
                  volte nella sua durezza, ci coglievano una credibilità, 
                  un chiedere molto a sé e agli altri, che tendevano a 
                  farne un “leader” naturale. Questione delicata, 
                  sopratutto tra gli anarchici, che rifiutano il potere ma poi... 
                  spesso non sanno tener alta la sensibilità e trovare 
                  soluzioni concrete e relazionali per andare in controtendenza. 
                  E sarà poi un compito di Amedeo, negli anni '80, scrivere 
                  un saggio illuminante su potere, dominio, autorità. 
                  Quando muore uno – un compagno, tra noi anarchici – 
                  capita di sentir ripetere che “un altro prenderà 
                  il suo posto”. Retoricamente, forse, bello. Con Amedeo 
                  non succederà di sicuro, a mio avviso. Troppo specifico 
                  il suo ruolo. Amedeo era fortemente connotato nel pensiero, 
                  nelle relazioni. 
                  In queste settimane, per ora in modo collettivo e non ancora 
                  ben coordinato, abbiamo cominciato a raccoglierne gli scritti, 
                  identificandoli anche per sigla, nome de plume, ecc. 
                  Sulla rivista “A” una quarantina, non tanti. Eppure 
                  nei primi 4 anni di “A” Rossella e Amedeo erano 
                  stati membri del collettivo redazionale di “A”, 
                  intensamente, uscendone a fine dicembre 1974, per dedicarsi 
                  ad altri progetti editoriali e militanti. Dunque, da 42 anni 
                  Amedeo era fuori dalla redazione, eppure il dialogo tra noi 
                  due non si è mai interrotto. Quando c'erano scelte importanti 
                  da fare, decisioni da prendere, mi rivolgevo anche a lui. A 
                  volte mi aiutava a riflettere e concordavo con lui. A volte 
                  no, non mi trovavo d'accordo con lui, ma il ragionamento che 
                  sapeva sviluppare era, anche nel dissenso, sempre utile. Perchè 
                  il suo rigore logico, la sua capacità di vedere le cose 
                  come stavano (senza “prosciutto sugli occhi”), la 
                  sua lucidità che a volte sembrava sconfinare nel cinismo, 
                  erano una costante e una certezza. 
                  Davvero insostituibile uno come Amedeo. E il suo carissimo amico 
                  Roberto Ambrosoli, suo compagno al liceo classico Berchet a 
                  Milano negli anni '50, ne coglie lo spirito. 
                  “Arrangiatevi” sarebbe probabilmente la sua risposta 
                  al nostro sconforto. E queste note in memoria non le avrebbe 
                  apprezzate. Troppo, per uno schivo come lui. 
                
                   
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                    |   Varese, 1962 - I tre imputati al processo per il rapimento del vice-console spagnolo a Milano Isu Elias. Il settimanale anarchico Umanità Nova seguì il processo tramite l'inviato Alfonso Failla, militante antifascista,13 anni tra confino e carcere  | 
                   
                  
                Più di mezzo secolo di anarchia 
                Ripercorriamo in breve alcune tappe della sua vita. Nato in 
                  piena Seconda guerra mondiale (1941) si avvicina all'anarchismo 
                  dopo aver letto un comunicato sul settimanale Umanità 
                  Nova appeso nell'Università Statale. Prende contatti 
                  con il movimento anarchico spagnolo impegnato nella lotta clandestina 
                  contro il regime franchista, si reca in Spagna. 
                  Al ritorno in Italia giunge notizia che uno di questi, Jorge 
                  Conill Valls, è stato condannato a morte in seguito ad 
                  alcuni attentati dimostrativi contro luoghi simbolo del regime. 
                  In segno di protesta Amedeo, insieme ad altri giovani anarchici 
                  e socialisti, decide di sequestrare il vice-console spagnolo 
                  Isu Elías. È il primo rapimento politico in Italia: 
                  il fatto ha una certa eco nell'opinione pubblica, la pena di 
                  morte viene commutata in ergastolo e il vice-console è 
                  rilasciato. Il giorno del processo il ventunenne Bertolo, fino 
                  ad allora latitante, si costituisce in tribunale; il giudice 
                  riconosce i motivi di valore morale alla base del gesto e ordina 
                  la sospensione della pena, mentre fuori, a Milano e a Roma, 
                  si tengono manifestazioni contro la dittatura di Franco. 
                  Redattore del foglio “Materialismo e Libertà” 
                  nel 1963, tre anni più tardi è tra gli organizzatori 
                  del convegno giovanile internazionale che si svolge a Milano, 
                  ospiti, tra gli altri, i provos olandesi e i contestatari francesi. 
                  Alla fine del convegno viene improvvisata una manifestazione 
                  nel corso della quale un garrote (lo strumento di morte utilizzato 
                  dal regime franchista) viene portato a spalle davanti al Duomo, 
                  prima che arrivi la polizia a compiere i soliti arresti. In 
                  questo contesto si rafforzano quei legami con la gioventù 
                  contestatrice europea che continueranno negli anni successivi 
                  e che contribuiranno a portare in Italia lo spirito e le pratiche 
                  del maggio francese. 
                  Animatore del gruppo Gioventù Libertaria di Milano e 
                  poi del gruppo Bandiera nera, aderenti ai Gruppi Giovanili Anarchici 
                  Federati (GGAF, poi GAF) fonda insieme a Giuseppe Pinelli la 
                  Croce nera anarchica sull'esempio dell'Anarchist Black Cross 
                  di Stuart Christie. Obiettivo principale è portare solidarietà 
                  attiva ai militanti vittime della repressione franchista. 
                  L'apertura del circolo “Sacco e Vanzetti” in viale 
                  Murillo (1966), poi del circolo “Ponte della Ghisolfa” 
                  (1968) in piazza Lugano, poi circolo “Scaldasole” 
                  nell'omonima via al quartiere Ticinese (1969), poi della sede 
                  di viale Monza (1976) in condivisione con la Federazione Anarchica 
                  Milanese, poi della sede di Elèuthera in via Rovetta 
                  27 fino al trasferimento (lo scorso anno) in via Jean Jaures. 
                  Se li è fatti tutti i traslochi delle sedi politiche 
                  ed editoriali. 
                
                   
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                    |   Carrara, Teatro degli Animosi, 31 agosto/5 settembre 1968 - Amedeo Bertolo e Antonella Frediani in un palco durante il Congresso dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche (IFA)  | 
                   
                  
                Un vero snodo della “politica culturale” anarchica 
                La strage di Stato del 12 dicembre 1969 cambia la storia d'Italia, 
                  la vita dei compagni e l'attività della Croce nera che 
                  si concentra ora sulla necessaria attività di difesa 
                  e di controinformazione. Amedeo appena saputo della morte di 
                  Pinelli telefona ai suo compagni: “Hanno ucciso Pino. 
                  Andiamo in questura, per farci tacere dovranno ammazzarci tutti”. 
                  Comincia quindi una intensa stagione. Celebre la conferenza 
                  stampa al Circolo Ponte della Ghisolfa del 17 dicembre 1969, 
                  in cui i giovani milanesi affermano a chiare lettere: “Valpreda 
                  è innocente, Pinelli è stato assassinato, la strage 
                  è di Stato”. Per il “Corriere della Sera” 
                  si tratta di “farneticazioni”, mentre il questore 
                  di Milano da subito infanga la memoria di Pinelli, accusandolo 
                  di essersi suicidato a dimostrazione della sua colpevolezza. 
                  Amedeo, che già stava lavorando a fondo sulle bombe scoppiate 
                  nei mesi predenti su e giù per l'Italia, ascrivendole 
                  a un piano ordito dallo Stato per fermare la spinta della contestazione 
                  del '68/'69, è tra coloro i quali delineano lucidamente 
                  i contorni della strategia della tensione. Il libro Le bombe 
                  dei padroni (Processo popolare allo stato italiano nelle persone 
                  degli inquirenti per la strage di Milano), centinaia di 
                  migliaia di giornali e volantini, sono solo alcuni dei segni 
                  rimasti visibili di una stagione in cui il movimento riesce 
                  a ribaltare il tavolo, dall'iniziale caccia alle streghe contro 
                  i libertari fino all'affermazione della verità: gli anarchici 
                  sono innocenti, la strage è di Stato, Pinelli assassinato, 
                  Calabresi assassino. 
                  La redazione di “A Rivista Anarchica” dal 1971; 
                  l'attività dei Gruppi anarchici federati (dalla fondazione 
                  nel 1972 fino all'autoscioglimento nel 1978) e quella del Comitato 
                  Spagna libertaria; i convegni (su Bakunin, sui Nuovi padroni 
                  – in cui si analizza una nuova classe di dominatori, i 
                  tecnoburocrati – sull'Autogestione – vista come 
                  pratica continua di destrutturazione del potere); gli incontri 
                  internazionali come quello del 1984 a Venezia dove si ritrovano 
                  circa tremila compagni da varie parti del mondo; il lavoro redazionale 
                  nella rivista “Interrogations” fondata nel 1974 
                  da Louis Mercier Vega, già combattente nella guerra civile 
                  spagnola con la Colonna Durruti; la creazione del Centro studi 
                  libertari (1976) che si affianca all'archivio Pinelli, luogo 
                  dove viene organizzato quel ricco materiale “ereditato” 
                  dalle generazioni precedenti grazie al supporto generoso di 
                  compagni come Pio Turroni; la riattivazione della casa editrice 
                  Antistato che grande ruolo ha nel portare in Italia autori da 
                  riscoprire (Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Landauer, Armand) 
                  o che rinnovano profondamente l'orizzonte culturale del movimento 
                  (Bookchin, Ward, Goodman, Castoriadis, Mercier Vega, Lourau, 
                  Clastres, Colombo e altri, e la nuova serie della rivista “Volontà” 
                  dal 1978); ancora, nel 1986, la nascita della case editrice 
                  Elèuthera, erede dell'Antistato, che ha sempre in Amedeo 
                  uno degli animatori e che con le sue pubblicazioni continua 
                  a fornire nuovi stimoli e ad aprire vie impreviste all'anarchismo. 
                  E questo per restare solo ai progetti “grossi”, 
                  cui si è affiancata un'intensa e costante attività 
                  di incontri, seminari, iniziative varie che, insieme con una 
                  rete davvero estesa, a livello internazionale, di relazioni 
                  personali, ha fatto di Rossella e Amedeo un vero snodo della 
                  “politica culturale” (possiamo chiamarla così?) 
                  di buona parte dell'anarchismo, decine, centinaia di contatti, 
                  una parte dei quali diventati “autori Elèuthera”, 
                  presenti in un crescente catalogo che ora si aggira intorno 
                  a 250 libri pubblicati. 
                
                   
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                    |   Milano, 20 dicembre 1969 - Amedeo Bertolo ai funerali del ferroviere anarchico  Giuseppe Pinelli. Amedeo e Pino militavano entrambi nel gruppo anarchico “Bandiera Nera” e nella Croce nera Anarchica  | 
                   
                  
                Realizzazioni tante, progetti ancora di più 
                Personalmente, ho avuto con Amedeo un rapporto speciale. È stato con Gianni (suo fratello), Antonella Frediani, Pino Pinelli, Umberto Del Grande, Enrico Maltini, Fausta Bizzozzero, Luciano Lanza e altri pochi, tra i primi anarchici che conobbi all'inizio del 1968. Tutti più vecchi di me, e per questa ragione miei “esempi”. Ma Amedeo lo vissi nei miei primi anni di militanza come una figura paterna, ricordo che in alcune lettere lo definivo “papà A.B.”. Ricordo anche lunghe chiacchierate, quel suo ragionare lucido e molto determinato nell'azione: oggi lo ricordiamo per le sue doti intellettuali, ma in quegli anni '60 e '70 il “sacro fuoco” della militanza dura era patrimonio comune, ordinariamente comune, e Amedeo – per un insieme di ragioni – esercitava naturalmente un suo carisma. Era naturalmente un leader, ma gli mancava – fortunatamente – qualcosa per esserlo appieno. Non era portato al “comando”. 
Non era un “continuista”, di quelli (come il sottoscritto) che una volta coinvolto in un'iniziativa, non la molla più (per mille ragioni, anche sensate). Amedeo era troppo curioso. Gli piaceva sognare, pensare, realizzare nuove “cose”, cercava di forgiarle secondo la propria sensibilità. Una volta realizzato un progetto, in molti casi subito pensava ad altro. 
E se lunga è la lista delle cose da lui realizzate, altrettanto lo sarebbe quella dei progetti cui pensava, sempre in modo organico. Punto 1., poi sottopunti 1.1 e 1.2, uno fa questo, l'altro fa quello, assemblea generale ogni tot, parte teorica, parte operativa. Si inizia il... . I fondi possono derivare da questo. Se no... 
Non so lui o Rossella abbiano conservato le molte idee che gli sono frullate per la testa, i molti progetti cui ha lavorato. In un mondo come quello anarchico in cui moltissimo si è sempre discusso in merito all'organizzazione, ma non sempre si è agito in conseguenza, Amedeo era affidabile e credibile. Se si imbarcava in un progetto, barra al centro e ce la metteva tutta. 
Poco o niente ho detto, qui, del suo pensiero. Dei suoi scritti, alcuni dei quali a mio avviso fondamentali per un ammodernamento (diciamo così) dell'anarchismo, o meglio del nostro anarchismo (ivi compreso quello di “A”) visto che di anarchismi ce ne sono vari in circolazione. 
Ci saranno altre, prossime occasioni. Compagne e compagni ben più ferrati di me, di noi, so che si apprestano alla raccolta, edizione, riflessione dei suoi scritti. Lo merita Amedeo, lo merita il movimento anarchico, di cui come quasi tutti i suoi esponenti Amedeo diceva ogni male possibile, con quella esacerbazione dell'animo che è propria degli amanti traditi. 
È dentro questo amore teorico e pratico per la libertà individuale e collettiva che riconosco in Amedeo un punto di riferimento imprescindibile. Non un capo da venerare né un pensatore cui adeguarsi. Come individuo non c'è più, ma ci ha lasciato una cassetta degli attrezzi ricca ed aggiornata. Sta a noi non lasciarla invecchiare e tenerla aggiornata. 
Amedeo, orso Amedeo, il tuo “arrangiatevi” lo sento benissimo. E non mi incazzo, non ti mando a quel paese (ci sei già). Prima che tu ricominci a menarmela perchè non capisci che cosa c'entri quel collaboratore su “A”, perché diamo tanto spazio a quella tematica, perchè non intervistiamo quella, ecc. lascia che ti abbracci come, tra la tua indole riservata e la tua patologia che ti presentava fragile, credo di non aver fatto da lungo tempo. 
Se avessimo una bandiera, la inchineremmo al tuo passaggio, alla tua dipartita. Non avendola, ci arrangiamo e tiriamo avanti – per quanto possibile – con questa rivista che ti ha nel suo DNA. E con il tuo carisma (e la tua lucida intelligenza) so che continuerai ad esserci. Burbero e coinvolto. 
Ciao Amedeo. È appena passato in redazione un compagno. Mi ha parlato di te come un “padre” che lo ha formato e cui è grato. Gli ho fatto leggere questo testo. Mi ha detto “bello” e ha aggiunto che dovrei sottolineare di più la tua contemporanea figura di militante instancabile, di fine intellettuale e di grande organizzatore. “Non ho mai conosciuto compagni che fossero tutte queste tre cose insieme”, mi ha detto. 
                 Paolo Finzi 
				 
                
 Così 
                  nacque “A” 
                   
                  di Amedeo Bertolo 
                Eravamo 
                  giovani, decisamente. Il più vecchio ero io: avevo ventinove 
                  anni. Il più giovane, Paolo Finzi, ne aveva diciannove. 
                  Gli altri (Luciano Lanza, Fausta Bizzozzero, Nico Berti, Roberto 
                  Ambrosoli) avevano tra i venticinque e i ventotto anni. Sto 
                  parlando del nucleo centrale dei fondatori di “A” 
                  nell'autunno del 1970, quando nasce il progetto della rivista. 
                  Giovani e avventati: saggiamente avventati, visti i risultati. 
                  Il progetto nasce in modo singolare, su sollecitazione esterna 
                  a quelli che saranno – che saremo – i suoi effettivi 
                  promotori. Un piccolo editore romano ci propone, tramite un 
                  suo collaboratore (Guido Montana), di dare vita a una nuova 
                  pubblicazione anarchica. Nuova, diversa. Il Montana ci suggerisce 
                  anche il titolo: “A”, graficamente una A cerchiata. 
                  Perplessità nostra iniziale sul progetto e sul titolo, 
                  poi accettazione. Mentre prepariamo il primo numero, inventandoci 
                  grafici e giornalisti, l'editore ha un ripensamento (probabilmente 
                  trovandoci troppo anarchici e dilettanteschi per i suoi gusti) 
                  e lascia il progetto. Che fare? Rinunciare? Continuare? Con 
                  quali capacità, con quali soldi? Avventatamente e saggiamente 
                  decidiamo di esserne capaci e di proseguire da soli. E decidiamo 
                  di utilizzare un gruzzolo accantonato nel corso degli ultimi 
                  due anni per un progetto – arenatosi – di comune 
                  libertaria, sufficiente a malapena a coprire i costi tipografici 
                  dei primi tre numeri della rivista. Poi si vedrà; che 
                  Bakunin ce la mandi buona. 
                  Il vecchio Bak ce la manda buona. Tirata a diecimila copie, 
                  “A” vende da subito sette-ottomila copie, diventando 
                  di gran lunga la più diffusa pubblicazione anarchica. 
                  La formula che a tentoni, un po' programmaticamente un po' sperimentalmente, 
                  avevamo adottato funzionava, era adeguata ai tempi, tempi di 
                  rivolta giovanile e di intensa conflittualità sociale 
                  (eravamo a ridosso del '68 studentesco e del '69 operaio) e 
                  di inaspettata riscoperta dell'anarchismo (effetto paradossale 
                  anche dell'affaire Piazza Fontana). 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Milano, 1974. Amedeo Bertolo durante un comizio  | 
                   
                 
                 
                  La formula? Una veste grafica attuale (attuale allora, 
                  evidentemente), un linguaggio attuale, contenuti attuali 
                  (o attualizzati). Un po' specchio delle lotte e un po' riflessione 
                  critica, con un po' di pensiero di più ampio respiro, 
                  un po' di proposte teoriche innovative (quelle dei Gruppi Anarchici 
                  Federati – G.A.F. – cui la rivista faceva riferimento, 
                  pur non volendone essere espressione ufficiale) e un po' di 
                  riproposizione orgogliosa di identità anarchica... 
                  Eravamo giovani e un tantino presuntuosi. Quel tanto di presunzione 
                  necessaria forse a farci credere capaci di ridare giovinezza 
                  a un anarchismo che percepivamo come senile, ripetitivo, stancamente 
                  e inutilmente retorico, una vulgata che tradiva le potenzialità 
                  dell'anarchismo classico... 
                  Ho lasciato la redazione di “A” alla fine del 1974, 
                  dopo avere pensato e realizzato il suo passaggio grafico e redazionale 
                  al nuovo format magazine, per impegnarmi in altre iniziative 
                  editoriali e culturali: la rivista internazionale di ricerche 
                  anarchiche “Interrogations”, il Centro Studi Libertari 
                  G. Pinelli, le Edizioni Antistato..., perseguendo in altre forme 
                  più o meno lo stesso progetto identitario e insieme apertamente 
                  innovativo che aveva fatto nascere “A”. 
                 Amedeo 
                  Bertolo 
                    La veridica storia della A cerchiata 
                   
                  di Amedeo Bertolo 
                È 
                  ormai talmente diffusa la A cerchiata, e generalmente conosciuta 
                  e riconosciuta, che ha finito con l'essere considerata un simbolo 
                  anarchico tradizionale, con il dare l'impressione di esserci 
                  “da sempre”. Così ad esempio, la rivista 
                  americana “Fifth Estate” (1997) crede di vedere 
                  una A cerchiata sull'elmetto di un miliziano anarchico della 
                  rivoluzione spagnola. Addirittura qualcuno la vuol fare risalire 
                  a Proudhon (cfr. N. Baillargeon, L'ordre moins le pouvoir, 
                  Marseille 2001)... 
                  In realtà essa è poco più di una parvenue 
                  dell'iconografia libertaria: la A cerchiata nasce nel 1964 a 
                  Parigi e nel 1966 a Milano. Due date e due luoghi di nascita? 
                  Sì, e vedremo come. 
                  È nell'aprile del 1964, infatti, che sul bollettino interno 
                  delle Jeunesses Libertaires (cioè dei giovani anarchici 
                  francesi: quattro gatti, allora, i giovani anarchici in Francia 
                  come in Italia come dappertutto) compare la proposta di un segno 
                  grafico per l'insieme del movimento anarchico, al di là 
                  delle differenti tendenze e dei diversi gruppi e federazioni. 
                  Perché questa proposta? “Due motivazioni principali 
                  ci hanno spinto: innanzitutto facilitare e rendere più 
                  efficaci le scritture e i manifesti murali, e poi assicurare 
                  una presenza più ampia del movimento anarchico agli occhi 
                  della gente e un carattere comune a tutte le espressioni dell'anarchismo 
                  nelle sue pubbliche manifestazioni. Più precisamente, 
                  si trattava, secondo noi, di trovare un mezzo pratico che consentisse 
                  da un lato di ridurre al minimo il tempo impiegato per firmare 
                  i nostri slogan sui muri e dall'altro di scegliere un segno 
                  sufficientemente generale da poter essere adottato da tutti 
                  gli anarchici. La sigla da noi proposta ci sembra rispondere 
                  a questi criteri. Associandola costantemente alle espressioni 
                  verbali anarchiche finirà, per un noto automatismo mentale, 
                  con l'evocare da sola nella gente l'idea dell'anarchismo”. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Amedeo Bertolo visto da Pietro Spica  | 
                   
                 
                 
                  Il segno grafico proposto è proprio una A maiuscola inscritta 
                  in un cerchio. Perché? Forse per derivazione dal già 
                  diffuso simbolo antimilitarista, in cui la “zampa di gallina” 
                  viene sostituita con la lettera iniziale della parola anarchia 
                  in tutte le lingue europee. Forse per altre suggestioni. Ad 
                  esempio, il segretario della Alliance Ouvrière Anarchiste 
                  (una minuscola federazione anarchica di lingua francese), Raymond 
                  Beaulaton, mi ha scritto, nel 1984, che fin dal 1956-57, i primi 
                  membri dell'AOA usavano nella loro corrispondenza, dopo la firma, 
                  una sigla che era dapprima una A inscritta in un cerchio a sua 
                  volta inscritto in un'altra A (per l'appunto AOA), diventata 
                  poi una doppia A inscritta in una O e poi semplificata in una 
                  A inscritta in una O. 
                  Di certo vi è però che il primo uso “pubblico” 
                  della A cerchiata da parte di tale Alliance compare nel giugno 
                  1968 sul loro bollettino ciclostilato “L'Anarchie”. 
                  Ma torniamo al 1964. La proposta delle JL non dà, lì 
                  per lì, alcun frutto. Nel dicembre dello stesso anno 
                  la A cerchiata ricompare nel titolo di un articolo, a firma 
                  Tomás [Ibañez], sul giornale “Action libertaire”, 
                  edito da alcuni giovani anarchici perlopiù spagnoli, 
                  tra cui anche alcuni di quelli che, sul citato bollettino di 
                  otto mesi prima, avevano proposto quel segno identitario. Ma, 
                  di nuovo, nessuna rispondenza nel movimento anarchico francese 
                  (né, tanto meno, internazionale). 
                
                   
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                    |   In una foto recente Amedeo con Rossella Di Leo, compagna di 
                  una vita e di tante iniziative comunemente portate avanti nei 
                  decenni, dal Centro Studi Libertari/Archivio Pinelli alla casa 
                  editrice Elèuthera  | 
                   
                 
                 
                  Bisogna aspettare fino all'inizio del 1966 perché il 
                  simbolo della A cerchiata, proposto dal bollettino delle JL, 
                  venga ripreso e utilizzato, in modo dapprima “sperimentale” 
                  poi regolare, dalla Gioventù Libertaria di Milano, un 
                  gruppo di giovani anarchici (di cui facevo parte), che era in 
                  fraterni rapporti con i giovani parigini, con cui aveva costituito 
                  una effimera ma altisonante Fédération Internationale 
                  des Jeunesses Libertaires. È da allora che il segno comincia 
                  la sua vita pubblica. 
                  Dapprima, per l'appunto, a Milano, dove diventa firma usuale 
                  sui volantini e manifesti dei giovani anarchici, e in Italia, 
                  per tornare poi in Francia e diffondersi piuttosto rapidamente 
                  nel resto del mondo. Marianne Enckell, [responsabile del CIRA 
                  di Lausanne] dice di non aver prova di un uso della A cerchiata 
                  nel maggio parigino e di aver trovato scarse tracce della sua 
                  presenza fuori dall'Italia fino al 1972-73. 
                  È, comunque, a mia memoria, dall'inizio degli anni Settanta 
                  che la A cerchiata “esplode” con una spontanea appropriazione 
                  mimetica da parte dei giovani anarchici, un po' in tutto il 
                  mondo: un successo strepitoso che ha fatto dire a qualcuno che, 
                  se il suo inventore avesse brevettato la A cerchiata, sarebbe 
                  oggi miliardario! 
                  Le cause della rapida e intensa fortuna? Più o meno le 
                  motivazioni espresse dalle JL. Cioè, da un lato, la grande 
                  semplicità che fa della A cerchiata uno dei segni grafici 
                  più immediati come la croce, la falce-martello, la svasticaÂ
 
                  Dall'altro lato un movimento “nuovo”, giovane, in 
                  rapido sviluppo, che cercava un segno unificante. Così, 
                  in assenza a livello internazionale di un simbolo grafico degli 
                  anarchici e in presenza talora, a livello nazionale o locale, 
                  di una simbologia tradizionale inadeguata (in Italia, ad esempio, 
                  era molto utilizzata la fiaccola), s'è di fatto imposta 
                  la A cerchiata, senza che nessun gruppo o federazione mai si 
                  sognasse di decretarne l'applicazione. 
                  Questa è la veridica storia della A cerchiata, che è 
                  fatta insieme di volontà consapevole e di spontaneità. 
                  Un cocktail tipicamente libertario.  
                 Amedeo 
                  Bertolo 
                  (dal bollettino del Centro Studi Libertari - Milano) 
                 P.S. Tutta 
                  la documentazione relativa a questa storia delle origini della 
                  A cerchiata si trova presso il Centro Studi Libertari / Archivio 
                  G. Pinelli di Milano e il Centre International de Recherches 
                  sur l'Anarchisme (CIRA) di Lausanne. 
                   
                    
                   
                 
                   
                  
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