    
                
  
                Un uomo ombra semilibero dopo un quarto di secolo  
                 Ormai è un mese e mezzo che sono in regime di semilibertà: 
                  esco al mattino e rientro alla sera. Ho pensato di diffondere 
                  parzialmente questo diario che ho scritto per far conoscere 
                  le emozioni di chi esce dal carcere dopo un quarto di secolo. 
                  Vi auguro una buona lettura e un sorriso, questa volta fuori 
                  dalle sbarre... almeno fino a questa sera! 
                   
                  Mi trovo nel “reparto semiliberi” del carcere di 
                  Perugia in attesa che mi preparino il programma di trattamento. 
                  Poi inizierò ad uscire al mattino e rientrerò 
                  in carcere alla sera. Sono stato assegnato in cella con un compagno 
                  che è in regime di articolo 21 O.P. (lavoro esterno). 
                  La stanza è confortevole. Ci sono le sbarre, ma non assomiglia 
                  proprio alle celle dove sono stato rinchiuso finora, per un 
                  quarto di secolo. La struttura è fuori dal muro di cinta 
                  e dalla finestra vedo in lontananza passare le macchine, scorgo 
                  gli alberi e i prati. I miei occhi guardano in tutte le direzioni 
                  e non mi stanco mai di guardare il nuovo mondo che mi circonda. 
                   
                  Ce l'ho fatta. Sono libero, almeno fino a questa sera. 
                  Fuori dal carcere alzo la testa. Un vento freddo mi accarezza 
                  il viso. Il cuore mi batte all'impazzata e la testa mi scoppia 
                  di felicità. Assaporo l'odore della libertà, almeno 
                  fino a questa sera. 
                  È sera. Sono di nuovo dentro, ma il mio cuore è 
                  rimasto fuori. Spero di ritrovarlo domani mattina quando uscirò 
                  per una nuova giornata. 
                  Sto imparando di nuovo a vivere. Sono riuscito a entrare in 
                  un bar, a ordinare un caffè e a pagare, tutto da solo. 
                  Dentro il locale mi sembrava di avere tutti gli occhi addosso, 
                  specialmente quando giravo il cucchiaino nella tazzina, forse 
                  perché l'ho girato troppo a lungo. Ma mi piaceva il rumore 
                  che faceva. 
                  È incredibile come sia cambiato il mondo che ho lasciato 
                  26 anni fa. Le persone camminano parlando o muovendo il dito 
                  a testa bassa concentrate sui loro telefonini. Per fortuna i 
                  bambini non sono cambiati e i loro sorrisi mi ricordano che 
                  sono tornato nel mondo dei vivi. Non mi sembra ancora vero che 
                  da alcuni giorni posso uscire al mattino e rientrare alla sera; 
                  mi sto dando dello scemo che per un quarto di secolo ho vissuto 
                  convinto che nella vita non avrei avuto più speranza. 
                  Quando esco dal carcere è ancora buio ed è bellissimo 
                  vedere nascere la prima luce del giorno senza sbarre e muri 
                  di cinta intorno. Mi sento in paradiso e, alla sera, quando 
                  con il buio rientro in carcere, l'inferno mi fa meno paura. 
                  Oggi mi sono fatto una lunga passeggiata tra gli alberi. È 
                  bellissimo camminare senza fare avanti e indietro dopo pochi 
                  passi e non trovare nessun muro davanti o dietro di me. 
                  Gli spazi aperti mi fanno girare la testa, forse perché 
                  sono stato circondato da quattro mura per troppi anni. E il 
                  mondo mi sembra troppo grande per i miei occhi e probabilmente 
                  anche per il mio cuore. Al mattino quando esco dal carcere, 
                  e prima di rientrare alla sera, parlo o mando dei messaggini 
                  ai miei nipotini. Penso con tristezza ai miei compagni in carcere 
                  che hanno una sola telefonata a settimana della durata di dieci 
                  minuti. Non capirò mai perché il carcere, oltre 
                  alla libertà, ti vuole togliere anche l'amore delle persone 
                  a cui vuoi bene. 
                  
                 Ho deciso di continuare a scrivere questo diario anche da 
                  semilibero perché voglio che i “buoni” continuino 
                  a sapere cosa pensano, cosa sognano e come sopravvivono i prigionieri. 
                  E spero che alcuni di loro mettano in discussione le loro certezze. 
                  Oggi pensavo a quanti reati si eviterebbero dando delle opportunità 
                  di riscatto ai prigionieri, ma purtroppo rieducare i detenuti 
                  non interessa quasi a nessuno. Sì, è vero, qualcuno 
                  forse commetterebbe ancora altro male, ma sono sicuro che in 
                  molti diventerebbero persone migliori. 
                  Oggi riflettevo che, dopo un quarto di secolo scontato in carcere, 
                  conosco tutto delle nostre Patrie Galere, ma ben poco del mondo 
                  di fuori. Giorno dopo giorno mi sto accorgendo che non è 
                  facile ritornare a vivere, mi sento come un profugo in un paese 
                  straniero, perché mi mandano da un ufficio all'altro 
                  solo per avere una carta d'identità o una semplice tessera 
                  sanitaria. Le giornate fuori però volano, mentre in carcere 
                  invece non passavano mai. In un batter d'occhio, arriva sempre 
                  l'ora che devo rientrare in carcere. Per fortuna alla sera sono 
                  così stanco di emozioni e di felicità che mi addormento 
                  subito, con il sorriso sulle labbra. Mi sembra di vivere due 
                  vite diverse, una di giorno e l'altra di notte. E ogni mattina, 
                  quando esco dal carcere, sento il profumo dolce della libertà, 
                  mentre alla sera sento l'odore aspro dell'Assassino dei Sogni. 
                  Oggi, mentre osservavo il verde degli alberi e l'azzurro del 
                  cielo, pensavo che è stata dura in tutti questi anni 
                  rimanere vivo con una pena che non finisce mai. Eppure ce l'ho 
                  fatta. Sì, è vero, ho dovuto pagare un caro prezzo, 
                  ma adesso mi sento l'uomo più felice dell'universo. 
                  Il mio “Diavolo Custode” mi rimprovera spesso che 
                  quando sono a casa, ma anche fuori, faccio continuamente tre 
                  passi avanti e tre indietro. E mi urla che non sono più 
                  chiuso nella mia cella. Ha ragione, ma non è facile dimenticare 
                  le vecchie abitudini. Forse il mio cuore è rimasto ancora 
                  prigioniero dell'Assassino dei Sogni, ma sono sicuro che presto 
                  riuscirò a liberare anche lui. 
                  Oggi, per la prima volta, sono uscito dal carcere senza nessuno 
                  che mi attendesse fuori. 
                  Era ancora buio. C'era un freddo polare. Nessuna faccia amica. 
                  Per un attimo ho avuto un po' di paura. Poi mi sono fatto coraggio. 
                  Sono andato alla fermata del pullman. Prima delle sette ho preso 
                  la corriera che mi ha portato alla stazione di Perugia. Ho fatto 
                  fatica a mettere nel verso giusto il biglietto della corsa dentro 
                  la macchinetta. E stavo andando nel panico perché mi 
                  sembrava che tutti osservassero me. Alla fine per fortuna ce 
                  l'ho fatta. Ho tirato un sospiro di sollievo. Poi ho preso l'altro 
                  pullman per Foligno. E alla fine sono arrivato alla Casa Famiglia 
                  di Bevagna della Comunità Papa Giovanni XXIII, orgoglioso 
                  di avere fatto il primo viaggio da solo dopo 26 anni di carcere. 
                  Nella Casa Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII 
                  dove faccio volontariato ci sono alcuni bambini disabili e quando 
                  mi occupo di loro penso che questo sia il modo migliore per 
                  continuare a scontare la pena, per rimediare un po' al male 
                  fatto, facendo del bene. I sorrisi di questi bambini fanno emergere 
                  in me il senso di colpa e mi fanno pensare a quanto nella mia 
                  vita sono stato cattivo. Oggi ho fatto una passeggiata a Bevagna 
                  con Paolo, un ragazzo non vedente di 13 anni. L'ho preso per 
                  mano, come facevo una vita fa con i miei figli, e siamo andati 
                  in giro per il piccolo paese. La cosa incredibile è che 
                  ad un certo punto io mi sono perso ed è stato lui che 
                  mi ha indicato la strada per ritornare alla macchina. Paolo 
                  è un ragazzo incredibile, di una intelligenza straordinaria 
                  e anche se non ha la vista, ha tutti gli altri sensi più 
                  sviluppati dei miei. E sto pensando che forse dopo tutti questi 
                  anni trascorsi in carcere sono più cieco io di lui. 
                 Carmelo Musumeci 
                  www.carmelomusumeci.com        
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