  
                
  
				“Perché ci odiano?” 
                (una donna, emergendo dalla nube di polvere 
                  e detriti, a New York, l'11 settembre 2001) 
                  
                Quel giorno le torri gemelle scomparvero per sempre dalla skyline di questa città: mai nessun altro evento storico è stato visto in diretta da così tanti, in tutti il mondo. Centinaia di milioni di testimoni. Ma andare in quei luoghi di persona è cosa diversa dal guardarli in TV. Tra commozione umana e retorica del potere. E quella domanda che deve trovare risposta. 
                 
                  Sono tornato a Ground Zero. 
                  Qualcosa ogni tanto mi spinge verso queste strade a sud di Manhattan, 
                  battute in inverno dal vento gelido, liquefatte d'estate dalla 
                  calura che fa girare la testa e annebbia i pensieri. Non so 
                  cosa sia che mi spinge fin qui, se la voglia di capire o una 
                  sorta di dolore interiore. Non mi è stato mai facile 
                  capire le follie sanguinarie dei miei simili, tantomeno accettarle. 
                  Eppure qualcuno studiò quel piano diabolico nei minimi 
                  dettagli per mesi, forse anni, per colpire i simboli dell'impero, 
                  noncurante delle migliaia di vittime innocenti. 
                  I ricordi di quella giornata sono scritti per sempre nella memoria 
                  collettiva. Vivevo agli antipodi e lo squillo del telefono mi 
                  sorprese nel primo sonno. Senza preamboli, la voce nella cornetta 
                  mi intimò con voce perentoria di accendere il televisore. 
                  Ricordo il turbine di sentimenti che subito mi avvolse: dolore, 
                  angoscia, smarrimento. Dolore: quante migliaia di persone, sorprese 
                  nella quotidianità, stavano bruciando in quella follia? 
                  Smarrimento: la più grande potenza mondiale sorpresa 
                  da un attacco al cuore delle sue istituzioni e nessuno pareva 
                  sapere davvero cosa stesse accadendo, quanti aerei bomba stessero 
                  solcando i cieli, quali dimensioni avrebbe assunto quell'attacco. 
                  Cosa sarebbe accaduto se centrali atomiche e basi missilistiche 
                  nucleari fossero state fra gli obiettivi di quella follia? La 
                  confusione era totale, l'atmosfera terrificante, mentre chi 
                  era per strada guardava impotente uomini e donne che per sfuggire 
                  alle fiamme si gettavano nel baratro verso la morte certa. Angoscia: 
                  quali conseguenze? Che sarebbe accaduto dopo? Gli Stati Uniti 
                  ne sarebbero usciti destabilizzati? Come avrebbero reagito? 
                  La fragilità dell'impero era in mondovisione e, conoscendone 
                  la forza, ciò era francamente terrorizzante. 
                  Quel giorno le torri gemelle scomparvero per sempre dalla skyline 
                  di questa città: mai nessun altro evento storico è 
                  stato visto in diretta da così tanti, in tutti il mondo. 
                  Centinaia di milioni di testimoni. Ma andare in quei luoghi 
                  di persona è cosa diversa dal guardarli in TV. Oggi si 
                  passa da qui per vedere ciò che non esiste più, 
                  scrutare il vuoto creato in mezzo alla foresta di palazzi e 
                  grattacieli. 
                  Quando vengo a Ground Zero cerco di cancellare mentalmente i 
                  turisti che affollano il posto, provo a ignorare i selfie col 
                  vuoto alle spalle. Percorro lentamente il perimetro dei due 
                  crateri, lasciati perché sia più forte il ricordo 
                  di una meraviglia diventata in poche ore mucchio di detriti, 
                  acciaio fuso, polvere infetta e carne umana bruciata. Guardo 
                  l'acqua fuggire nel nulla, nelle due grandi vasche costruite 
                  dove un tempo erano le torri, la guardo scomparire con fragore 
                  nelle voragini, finire nelle viscere della terra, come scomparvero 
                  quel giorno a migliaia. Scorro con gli occhi e con le dita i 
                  nomi di quelle tremila persone qualunque, intagliati nel bronzo. 
                  Guardo le rose, i garofani e le bandierine, portate da amici 
                  e parenti1 perché per 
                  molti è stato questo il luogo della sepoltura e di tanti 
                  non è rimasto neppure tanto. 
                
                   
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                    |   New 
                        York (USA), 9/11 Memorial - Amici e parenti mettono un 
                         
                        fiore o una bandierina vicino ai nomi dei propri cari 
                        morti  
                        negli attentetati dell'11 settembre 2001  | 
                   
                  
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                Il dolore e lo smarrimento di quei giorni 
                È raro che i newyorchesi vengano da queste parti e di 
                  parlare di quei giorni non hanno voglia. “Troppo vicino 
                  nel tempo, troppo doloroso”, mi ha detto uno. “Non 
                  riesco a parlarne con distacco”, mi ha confessato un altro. 
                  Sembrano quei soldati che, al ritorno dal fronte o dalla prigionia, 
                  sono incapaci di trovare le parole per esprimere l'orrore che 
                  hanno vissuto. Così l'undici settembre è rimasto 
                  sospeso, come un macigno, in bilico sul cuore della città. 
                  “Vogliono colpire la nostra quotidianità”, 
                  disse in quei giorni il sindaco Guliani, “per mostrare 
                  che non ci hanno piegato dobbiamo tornare al più presto 
                  alla normalità”. E la gente è tornata a 
                  vivere, non si è lasciata intimorire. Nei primi giorni 
                  era diverso: scendevano in strada con la faccia smarrita, andavano 
                  verso il vuoto delle torri crollate, portavano fiori, parlavano 
                  con gli sconosciuti, si confortavano a vicenda, come se il lutto 
                  avesse colpito tutti, indistintamente. David Stern, pittore 
                  tedesco trapiantato a New York, ha reso quel clima umano in 
                  maniera formidabile nei Gatherings,2 
                  cinque tele donate alla città e oggi esposte nel memoriale. 
                  Nelle sue pennellate si ritrovano, con grande intensità 
                  ma senza retorica, il dolore e lo smarrimento di quei giorni, 
                  lo sbigottimento raccolto nelle parole di quella donna sconosciuta 
                  che, emergendo dalla nuvola di polvere, si è voltata 
                  a guardare le torri agonizzanti e ha chiesto a se stessa e a 
                  tutti: “Perché ci odiano”? 
                  Intorno al vuoto di Ground Zero lo spazio oggi è saturo 
                  di nuovi edifici: la vita di questa metropoli sembra misurarsi 
                  nei suoi cantieri, negli squarci nell'asfalto, nelle costruzioni 
                  abbattute e subito rimpiazzate da nuove, più alte e più 
                  ardite. Cielo e nuvole si riflettono sul vetro magnifico del 
                  New World Trade Tower, ormai chiamata “Freedom Tower”, 
                  la torre sorta nei pressi di quelle cadute, rilucente sotto 
                  il sole, messa lì come un monito o come una rassicurazione, 
                  a dimostrare che la potenza americana è risorta dalle 
                  ceneri. In fila per entrare nel moderno sacrario, si resta abbagliati 
                  passandole accanto. Poi si viene come inghiottiti dall'austera 
                  semioscurità del memoriale. 
                
                   
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                    |   Il manifesto con le immagini dei 343 pompieri 
                  morti nel crollo delle torri gemelle, collocato all'ingresso 
                  di una delle tante caserme dei vigili del fuoco di Manhattan  | 
                   
                 
                 L'edificio non è imponente, visto da fuori sembra modesto, 
                  ma dentro c'è un viaggio ad attenderti. Il memoriale 
                  è un ventre che sembra volerti digerire e che ti lascia 
                  col fiato sospeso e il passo incerto; è un sacrario moderno, 
                  interattivo, emozionante; è una lenta discesa nelle viscere 
                  della terra, fin dove un tempo si ancoravano i pilastri di fondazione 
                  delle torri abbattute, fino alle paratie che imbrigliarono le 
                  acque del fiume per impedirgli di insidiare le torri. Ti ritrovi 
                  qui tra ferri contorti, pilastri divelti, motori rugginosi, 
                  camion dei vigili del fuoco schiacciati e oggetti della vita 
                  di tutti i giorni ritrovati fra le macerie. Le immagini sono 
                  forti e il cuore si rabbuia. 
                  Nel cuore del museo c'è una stanza, più sacra 
                  delle altre, dove non è lecito parlare ad alta voce o 
                  scattare fotografie. Alle pareti, ordinate in lunghe file, le 
                  foto delle 2996 vittime, ritratti di un'umanità normale 
                  e inconsapevole cancellata quel giorno. 
                  Immerso fra quei volti la mente mi torna a uno dei primi giorni 
                  in terra americana quando, vagabondando per Manhattan per carpirne 
                  la geografia umana, mi capitò di passare davanti a una 
                  delle tante caserme dei vigili del fuoco. Rimasi allora turbato 
                  da un quadro appeso accanto all'ingresso, un po' sbiadito dal 
                  tempo. Erano le foto dei 343 firemen morti tra le fiamme 
                  e l'acciaio fuso delle torri gemelle, lasciando indietro case 
                  con vedove e orfani. Facce semplici, di tutti i colori, forse 
                  ritagliate da foto ricordo e quadretti familiari; eroi per davvero, 
                  che entrarono nell'inferno da cui la gente cercava di fuggire, 
                  salvando molte vite e rimettendoci la loro. Tragedia nella tragedia. 
                  Mi colpì che così tanti vigili del fuoco fossero 
                  morti in un giorno solo. 
                
                   
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                    |   Sorto nei pressi del sito delle torri abbattute, 
                  l'One World Trade Center, inaugurato il 30 giugno 2016 e ribattezzato 
                  “Freedom Tower”, è alto 1776 piedi (541 metri), 
                  per ricordare l'anno in cui è stata firmata la dichiarazione 
                  di indipendenza americana  | 
                   
                  
                Le vittime siamo noi stessi 
                Non c'è da stupirsi se quando vengo qui poi la tristezza 
                  non mi lascia per molte ore, per giorni interi. Mi sveglio di 
                  notte con l'immagine di quei volti: una cosa è ascoltare 
                  le notizie alla televisione, altra cosa è guardare in 
                  faccia, uno ad uno, tutti coloro che quel giorno morirono. 
                  I volti delle vittime si dovrebbero poter vedere sempre, non 
                  nell'orribile deformità della morte che li ha colti ma 
                  così, nella banalità delle loro vite, tanto uguali 
                  alle nostre. Che si tratti di New York, Parigi, Madrid, Baghdad, 
                  Kabul, Damasco, Hiroshima o del Kosovo. Vittime delle bombe 
                  di Al Queda, dei missili italiani, delle pallottole siriane, 
                  o dei razzi americani e russi: se potessimo ogni volta guardare 
                  in faccia il frutto dei nostri sforzi di annientamento, vedere 
                  che le vittime siamo noi stessi, forse perderemmo un po' della 
                  nostra ansia di distruzione e della nostra fede nel potere delle 
                  armi e delle strategie militari. Forse no. Alla fine ogni nazione 
                  celebra solo i “propri” morti, gli altri non contano. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   New York (USA), 9/11 Memorial – Dopo il crollo delle 
                  torri gemelle la città si è riempita di avvisi 
                  di amici e parenti alla disperata ricerca dei dispersi  | 
                   
                 
                 Nell'atrio del memoriale un negozio vende souvenir che ricordano 
                  la tragedia; gli incassi vanno alla fondazione che gestisce 
                  la struttura: tipico pragmatismo americano. Circondato da penne, 
                  adesivi, cappellini e memorabilia sfoglio un grosso libro fotografico: 
                  le immagini del disastro, le torri che crollano, la gente in 
                  fuga ricoperta di polvere velenosa. Facce incredule, sgomente: 
                  sono probabilmente i fermo immagine che si potrebbero cogliere 
                  ad ogni bombardamento, ad ogni esplosione, ma normalmente quelle 
                  istantanee mancano, raramente un evento catastrofico è 
                  stato così ben documentato, fotografato, ripreso. Rimetto 
                  il libro sullo scaffale, ma immagini e suoni mi perseguitano: 
                  su una parete buia appaiono e scompaiono gli avvisi disperati 
                  di chi, in quei giorni, chiedeva notizie dei dispersi. Su un 
                  altro muro scorrono le frasi concitate di commiato alle famiglie, 
                  registrate dai cellulari. Un video mostra gli impiegati che 
                  si gettano nel vuoto. Sull'unico pilastro rimasto in piedi le 
                  foto di alcuni, appiccicate dai parenti col nastro adesivo, 
                  rimaste lì da allora. Un filmato proiettato contro una 
                  parete ripropone ossessivamente il momento in cui cede la torre 
                  sud. Due passi più avanti un filmato analogo ed è 
                  il momento in cui crolla la torre nord, con la sua enorme antenna. 
                  Osama Bin Laden in persona, proiettato su un muro, spiega, con 
                  voce pacata e sottotitoli, perché tutti gli americani 
                  sono suoi nemici. 
                  Scendendo ancora più in profondità si arriva a 
                  un'imponente parete di mattonelle colorate, incollate in file 
                  ordinate, come piccoli loculi. Al centro campeggia una scritta: 
                  “Che nessun giorno possa cancellarvi dalla memoria del 
                  tempo”.3 Dietro riposano 
                  i resti mai identificati di oltre mille cancellati quel giorno. 
                  Resto col fiato sospeso. 
                  Ma qualcosa non funziona, qualcosa non torna. Dentro questo 
                  tempio laico sembra che le lancette del tempo siano rimaste 
                  ferme al momento in cui gli aerei hanno impattato le torri. 
                  Manca la riflessione. Tanti anni dopo, mancano ancora le risposte. 
                  Riemergendo nella lobby si sale all'auditorium. Qui ogni mezz'ora 
                  viene proiettato un filmato già vecchio di alcuni anni. 
                  Si entra in punta di piedi, ci si siede composti e silenziosi, 
                  quasi si dovesse partecipare a una cerimonia religiosa. L'atmosfera 
                  è grave, ci si aspetta di assistere a testimonianze di 
                  parenti delle vittime, o degli scampati. Sullo schermo si alternano 
                  invece George W. Bush, Condoleeza Rice e Tony Blair, unici esseri 
                  viventi chiamati a testimoniare; proprio loro, leader terribili 
                  che hanno lasciato dietro di sé una scia sanguinosa di 
                  lutti e distruzioni. Mi sento deluso, defraudato. Mi sembra 
                  improvvisamente che questo magnifico memoriale sia un'occasione 
                  mancata. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   New 
                        York (USA), 9/11 Memorial – La parete dietro cui 
                        riposano i resti non identificati di oltre mille vittime 
                        degli attentati  | 
                   
                 
                
                
                   
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                        York (USA), 9/11 Memorial – L'unico pilastro rimasto 
                        in piedi dopo il crollo delle torri. Ancora oggi vi restano 
                        attaccati gli avvisi di chi era alla ricerca dei dispersi  | 
                   
                  
                L'11 settembre pretesto per una guerra 
                Nel filmato Bush, cowboy texano, parla con fare spavaldo a 
                  un gruppo di lavoratori che stanno rimuovendo le macerie. Un 
                  sorriso sornione gli si forma negli occhi mentre annuncia: “Chi 
                  ha fatto questo sentirà presto la nostra voce”. 
                  Promessa mantenuta, la vendetta indiscriminata ha prevalso sulla 
                  ricerca di giustizia. 
                  Secondo alcuni studiosi gli attacchi dell'undici settembre diedero 
                  all'amministrazione Bush il pretesto per una guerra che aveva 
                  preparato da tempo. Non so se sia vero, sta di fatto che il 
                  presidente annunciò la guerra al terrorismo, ordinò 
                  il bombardamento dell'Afghanistan e da allora non vi è 
                  stata tregua. 
                
                   
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                    |   Uno 
                        dei camion dei vigili del fuoco sepolti dal crollo delle 
                        torri gemelle, esposto nel 9/11 Memorial  | 
                   
                  
                
                   
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                        York (USA), 9/11 Memorial – Visitatori davanti alla  
                        foto di Manhattan avvolta dal fumo l'11 settembre 2001  | 
                   
                 
                 Neta Crowford, docente di scienze politiche presso la Brown 
                  Univesity del Rhode Island, coordina il progetto ”Costs 
                  of war”4, cui partecipa 
                  un gruppo di studiosi di varie discipline. Dati alla mano, la 
                  Crowford sostiene che la guerra al terrore ha provocato almeno 
                  150.000 morti, 50 volte il numero dei caduti dell'undici settembre. 
                  Poi ci sono feriti, disabili, sfollati e profughi. Forse nessuna 
                  di queste vittime aveva avuto a che fare con gli attacchi del 
                  settembre 2001. 
                  Durante i bombardamenti in Afghanistan il New York Times pubblicava, 
                  giorno dopo giorno, foto e biografie dei morti dell'undici settembre 
                  associando così, nella mente dei lettori, la guerra in 
                  corso agli eventi di pochi mesi prima. Nessuna foto di civili 
                  afghani morti nelle esplosioni dei missili americani venne pubblicata. 
                  Nessuna immagine di quei caduti appare oggi nel memoriale, dove 
                  il tempo è congelato. 
                  Recentemente ho appreso che i giapponesi non chiamano il luogo 
                  delle torri gemelle Ground Zero. Non possono farlo, perché 
                  ground zero, in realtà, è il luogo fisico al centro 
                  di un'esplosione nucleare: Hiroshima e Nagasaki hanno avuto 
                  il loro ground zero nel '45. Il paragone fra gli eventi del 
                  World Trade Center, per quanto dolorosi, e l'annientamento in 
                  pochi istanti di due intere città e di centinaia di migliaia 
                  di persone, non è immaginabile per i giapponesi. Mi chiedo 
                  come abbiano potuto proprio loro, che avevano sganciato la morte 
                  nucleare sul Giappone, chiamare ground zero il loro piccolo 
                  lutto nazionale. 
                  Uscendo dal tempo pietrificato mi sono meravigliato del sole. 
                  Mi ha assalito il solito frastuono cittadino che, la dentro, 
                  è come dimenticato. Mi sono ritrovato nella città 
                  pulsante che vive e non ha voglia di ripensare a quel giorno 
                  ed è stato come il risveglio da un sogno. 
                  Mentre il vagone della metro mi sballottava verso casa mi sono 
                  tornate alla mente quella donna coperta di polvere e le sue 
                  parole: “Perché ci odiano”? Centinaia di 
                  migliaia di morti e l'America ancora non è stata capace 
                  di darsi una risposta. 
                 Santo Barezini 
                 Sul prossimo numero Santo Barezini prosegue la riflessione sulle Torri 
                  Gemelle, analizzando le diverse reazioni politiche.
  
                   
                  1. I parenti delle vittime, nel giorno del compleanno, lasciano 
                  un fiore vicino al nome dei propri cari. 
                  2. “I raduni”. 
                  3. No day shall erase you from the memory of time. 
                  4. watson.brown.edu/costofwar.  |