| Nota dell’autore
 Scopo di 
                  questa bibliografia è fornire un panorama della produzione 
                  editoriale che negli ultimi anni ha interessato il mondo dell’anarchismo. 
                  Si è considerata sia la bibliografia specifica o prodotta 
                  da case editrici anarchiche, sia quella attinente alle tematiche 
                  generali dell’anarchismo. La selezione proposta non intende 
                  ovviamente essere esaustiva. La scelta è stata quella di segnalare, oltre ai testi 
                  di carattere storico, quelli basati su materiale documentario 
                  non circoscritto, né settoriale o troppo militante. Di 
                  conseguenza sono rimasti fuori i pamphlets propagandistici, 
                  le autoproduzioni a scarsa circolazione e di difficile reperibilità, 
                  i lavori facenti riferimento ad ambiti di intervento escludenti 
                  e non includenti. Tale criterio può, forse, apparire 
                  un limite “ideologico”, ma corrisponde soprattutto 
                  alla coerenza di una scelta metodologica finalizzata a mettere 
                  in relazione l’anarchismo con il maggior numero possibile 
                  di potenziali lettori.
 Quanto ai limiti cronologici, si è preferito attenersi 
                  a criteri non troppo rigidi. La maggior parte dei testi citati 
                  si riferisce all’arco degli anni compresi fra il 1995 
                  e il 2005. Questo non solo per l’attualità dei 
                  testi, ma anche per la loro sostanziale reperibilità. 
                  Si sono inseriti alcuni titoli pubblicati prima del 1995, quando 
                  ritenuti particolarmente importanti e quando dedicati ad argomenti 
                  non altrimenti presenti.
 Qualcosa sicuramente è sfuggito, qualcosa, forse, non 
                  è descritto nel modo più appropriato. Si spera 
                  comunque che questa traccia bibliografica possa rivelarsi un 
                  prezioso strumento di lavoro e un utile contributo alla conoscenza 
                  dell’anarchismo, della sua storia, delle sue storie, del 
                  suo pensiero.
 Che è quanto ci si era proposti.
 Massimo 
                  Ortalli massimo.ortalli@acantho.it
 
  Primo approccio
 Per un primo approccio con la storia del movimento anarchico, 
                  converrà partire dai due volumi di Pier Carlo Masini, 
                   Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta 
                  e Storia degli anarchici italiani nell’epoca 
                  degli attentati (Milano, Rizzoli, 1969 e 1981, 
                  poi più volte ristampati, anche recentemente, dalla stessa 
                  casa editrice), che segnano il coronamento di studi rigorosamente 
                  impostati sul piano scientifico e condotti inoltre con passione 
                  e adesione ideale. I due testi rappresentano, infatti, la prima 
                  tappa di un processo storiografico che ha avuto “l’ardire” 
                  di emanciparsi dagli schemi interpretativi della scuola marxista 
                  e dai relativi inappellabili giudizi, che hanno segnato tradizionalmente 
                  lo studio dei movimenti sociali dell’Italia unitaria. 
                  Pier Carlo Masini
  A questi andrà affiancata la più 
                  recente opera di Renato Zangheri, Storia del socialismo 
                  italiano. I volume: 
                  Dalla Rivoluzione francese ad Andrea Costa; 
                  II volume: Dalle 
                  prime lotte nella Valle padana ai Fasci siciliani 
                  (Torino, Einaudi, 1993 e 1997), con la quale l’autore, 
                  rivalutando il ruolo e l’importanza delle correnti libertarie 
                  nel secondo Ottocento, ha fatto giustizia di un’impostazione 
                  storiografica partigiana che aveva sempre sottovalutato, se 
                  non mistificato, il contributo degli anarchici alla nascita 
                  del socialismo italiano. Nel loro insieme, i tre studi ricostruiscono un quadro pressoché 
                  completo delle origini e del periodo “eroico” dell’anarchismo 
                  di lingua italiana. A margine di questi capisaldi, non per attinenza 
                  scientifica ma per completezza d’informazione, è 
                  possibile segnalare un’altra storia dell’anarchia 
                  di Alessandro Aruffo, Breve storia degli anarchici 
                  italiani. 1870-1970 (Roma, Datanews, 2005). Che 
                  sia breve non c’è il minimo dubbio, visto il numero 
                  delle pagine in relazione alla mole degli avvenimenti presi 
                  in considerazione; che sia anche storia, i dubbi non sono pochi, 
                  considerando i numerosi e spettacolari strafalcioni in cui incorre.
 Va invece salutata con soddisfazione la traduzione italiana 
                  dei quattro monumentali tomi di James Guillaume, L’Internazionale. 
                  Documenti e ricordi 1864-1878, finalmente pubblicati, 
                  dopo un’attesa più che centenaria, per le edizioni 
                  Csl Di Sciullo (Chieti, 2004). Si tratta di una raccolta di 
                  documenti di prima mano, dalle risoluzioni assembleari ai verbali 
                  dei congressi, dai volantini di propaganda ai testi di divulgazione, 
                  che consente di avvicinare il modo di pensare, di esprimersi 
                  e di comunicare dei primi nuclei anarchici e internazionalisti 
                  nel lontano Ottocento.
 Passando dalla teoria all’azione, va segnalato il testo 
                   Movimenti sociali e lotte politiche. Il moto anarchico 
                  del Matese, a cura di Luigi Parente (Milano, Angeli, 
                  2001), che raccoglie gli atti del convegno di studi sul moto 
                  rivoluzionario del Matese, tenutosi a San Lupo nel 1998. Il 
                  volume ripercorre la storia del primo tentativo insurrezionale, 
                  generoso e sfortunato, che agitò il neonato stato italiano 
                  e che ebbe protagonisti Errico Malatesta, Carlo Cafiero e uno 
                  stuolo di entusiasti “banditi” romagnoli e marchigiani.
 Restando ai tempi della Prima Internazionale, un’altra 
                  raccolta, a cura di Giampietro Berti, Socialismo, 
                  anarchismo e sindacalismo rivoluzionario in Veneto tra Otto 
                  e Novecento (Padova, Poligrifo, 2004) raccoglie 
                  le quindici relazioni presentate al convegno omonimo tenutosi, 
                  non a caso, a Monselice, sede di uno dei primi e più 
                  attivi gruppi internazionalisti italiani.
 Sempre di quegli anni, il finire del secolo, scrive Valerio 
                  Bartoloni in I fatti delle Tremiti. Una rivolta 
                  di coatti anarchici nell’Italia umbertina 
                  (Foggia, Bastogi, 1996), ricostruendo le drammatiche fasi dell’uccisione 
                  dell’anarchico Argante Salucci, avvenuta al domicilio 
                  coatto, nel corso di una rivolta innescata dalle disumane condizioni 
                  di detenzione.
 Restando nell’ambito della storia generale dell’anarchismo, 
                  e proseguendo per tappe cronologiche, dopo il citato contributo 
                  di Masini, che si ferma ai primi del Novecento, va ricordato 
                  l’interessante Il sol dell’avvenire. 
                  L’anarchismo in Italia dalle origini alla Prima guerra 
                  mondiale, scritto a quattro mani da Pier Carlo 
                  Masini e Maurizio Antonioli (Pisa, Bfs, 1999), contenente un 
                  saggio sulla Prima Internazionale e altri studi sull’anarchismo 
                  individualista e organizzatore prebellico.
 
 Errico 
                  Malatesta nel carcere milanese di San Vittore (1921)  Un altro studio complessivo è il monumentale 
                  Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano 
                  e internazionale di 
                  Giampietro Berti (Milano, Angeli, 2003), frutto di una ricerca 
                  di anni, che ha il pregio di ricostruire non solo la biografia 
                  di uno dei personaggi più importanti dell’anarchismo 
                  internazionale, ma anche la storia di quel fervido e fecondo 
                  movimento che vide Malatesta fra i suoi protagonisti per più 
                  di sessant’anni. Se quella di Berti è una monografia che potremmo considerare 
                  definitiva su Malatesta e la sua azione rivoluzionaria, desidero 
                  segnalare inoltre, per la prosa accattivante, il vecchio lavoro 
                  di Armando Borghi, Errico Malatesta in 60 anni di 
                  lotte anarchiche, ristampato da Samizdat (Pescara) 
                  nel 1999: un ritratto intenso del periodo “eroico” 
                  dell’anarchismo italiano, vissuto in prima persona.
 Guerra di Classe e Lotta Umana. L’anarchismo 
                  in Italia dal Biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939) 
                  di Gigi Di Lembo (Pisa, Bfs, 2001) rappresenta il primo e più 
                  approfondito studio sulle traversie, raramente interrotte da 
                  qualche momento esaltante, vissute dagli anarchici italiani 
                  dal primo dopoguerra fino alla definitiva vittoria di Francisco 
                  Franco. È la storia del fuoriuscitismo, di anni drammatici 
                  e duri, rischiarati dalla luce della Rivoluzione Spagnola, ma 
                  fatti soprattutto di privazioni, delusioni, dolorose rotture 
                  e difficili ricomposizioni.
 Curiosamente, dopo un lungo silenzio storiografico su questo 
                  periodo, è uscito, a poca distanza, un altro lavoro, 
                   Il movimento anarchico italiano nella lotta contro 
                  il fascismo 1927-1945, di Fabrizio Giulietti (Manduria, 
                  Lacaita, 2004) che riprende in considerazione, sostanzialmente, 
                  le stesse tematiche e gli stessi avvenimenti trattati da Di 
                  Lembo, arrivando però alla fine della Seconda guerra 
                  mondiale. Con un apparato documentario arricchito da un’interessante 
                  appendice, il testo contribuisce a descrivere compiutamente 
                  la fase presa in esame.
 A complemento di questi, l’opuscolo di Giorgio Sacchetti 
                  pubblicato dalla livornese Sempre Avanti nel 1995, Gli 
                  anarchici contro il fascismo, tratta di alcuni 
                  degli aspetti specifici con i quali si misurò l’antifascismo 
                  libertario, ad esempio il campo di concentramento di Renicci 
                  d’Anghiari o la collaborazione con il movimento di Giustizia 
                  e Libertà.
 
 Confinati 
                  anarchici nell’isola di Lipari (1927)  Ma perché non si pensi che il movimento 
                  anarchico sia rimasto immune, soprattutto nell’ambiente 
                  individualista, dal fascino della sirena fascista, conviene 
                  confrontarsi con l’interessante lavoro di Alessandro Luparini, 
                  Anarchici di Mussolini. Dalla sinistra al fascismo 
                  tra rivoluzione e revisionismo (Firenze, M.i.r., 
                  2001) che ripercorre le biografie degli anarchici che, passando 
                  per l’interventismo, scelsero di schierarsi con le camicie 
                  nere. Ma nella sostanza il rapporto dei compagni di allora con 
                  la dittatura fascista fu di ben altro tenore, e lo dimostra 
                  l’abbondante letteratura, anche recente, sui reiterati 
                  tentativi di attentare alla vita di Mussolini per liberare l’Italia 
                  dalla sua soffocante dittatura. Ricordiamo il testo di Riccardo 
                  Lucetti, Gino Lucetti. L’attentato contro 
                  il Duce. 11 settembre 1926 (Carrara, Cooperativa 
                  Tipolitografica, 2000); poi Attentato al Duce 
                  (Bologna, Il Mulino, 2000), con il quale Brunella Dalla Casa 
                  ricostruisce le complesse e intricate vicende del “presunto” 
                  attentato bolognese di Anteo Zamboni; la ristampa del libro 
                  di Giuseppe Fiori, Vita e morte di Michele Schirru. 
                  L’anarchico che pensò di uccidere Mussolini 
                  (Bari, Laterza, 1990); quindi  Il dito dell’anarchico. 
                  Storia dell’uomo che sognò di uccidere Mussolini 
                  di Lorenzo del Boca (Casale Monferrato, Piemme 2000), sulla 
                  figura di Lucetti; e infine il monumentale e documentatissimo 
                  Angelo Sbardellotto, scritto e pubblicato 
                  da Giuseppe Galzerano (Casalvelino, 2003), che ricostruisce 
                  la tragica vicenda dell’anarchico di Mel fucilato per 
                  aver tentato di uccidere il dittatore di Predappio. Sulla prima opposizione anarchica al fascismo, segnalo: di Eros 
                  Francescangeli, Arditi del Popolo. Argo Secondari 
                  (1917-1922) (Roma, Odradek, 2000), di Luigi Balsamini, 
                   Gli arditi del Popolo (Casalvelino, 
                  Galzerano, 2002) e di Marco Rossi, Dall’arditismo 
                  di guerra agli arditi del popolo (Pisa, Bfs, 1997), 
                  tre lavori che hanno portato nuovi e interessanti elementi di 
                  conoscenza sull’arditismo popolare e sui suoi protagonisti, 
                  rompendo il sostanziale silenzio della storiografia ufficiale 
                  su questo movimento di resistenza armata contro le squadracce 
                  agli albori del fascismo, praticato dagli elementi più 
                  combattivi del proletariato, entusiasticamente appoggiato dagli 
                  anarchici, ma che incontrò anche l’ostilità 
                  dei dirigenti dei partiti “dell’estrema”. 
                  Ancora sull’arditismo popolare, il lavoro di Pino Cacucci, 
                  a metà strada fra narrazione e contributo storico, che 
                  rievoca felicemente in Oltretorrente 
                  (Milano, Feltrinelli, 2003) le atmosfere proletarie dell’esaltante 
                  lotta dei borghi parmigiani contro gli squadristi di Italo Balbo.
 E, sempre su Parma, scritto con l’amore che le portava, 
                   Parma libertaria, di Gianni Furlotti, 
                  l’affresco di una bellissima città popolana affollata 
                  di uomini liberi, volume del quale l’autore non ha potuto 
                  purtroppo vedere le stampe, ma che la Bfs di Pisa ha ostinatamente 
                  voluto pubblicare nel 2001 come ultimo omaggio.
 Sulla resistenza opposta dagli anarchici all’azione delle 
                  squadracce, c’è anche l’avvincente L’imboscata. 
                  Foiano della Chiana, 1921: un episodio di guerriglia sociale 
                  (Comune di Foiano, 2000), nel quale Giorgio Sacchetti ricostruisce, 
                  come fosse un romanzo, un’azione di opposizione al fascismo 
                  condotta da un intero paese toscano e coordinata dal locale 
                  gruppo anarchico.
 Passando alla Resistenza e alla guerra di liberazione, per un 
                  quadro completo del ruolo degli anarchici nella lotta contro 
                  il nazifascismo, sarebbe sufficiente la riedizione de La 
                  Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo 
                  (Milano, Zero in condotta, 2005) che raccoglie i saggi di diversi 
                  autori (G. Manfredonia, I. Rossi, M. Rossi, G. Sacchetti, F. 
                  Schirone e C. Venza) sulle vicende “militari” e 
                  politiche che videro impegnati i partigiani libertari, con allegato 
                  un cd contenente fotografie, riproduzioni di documenti della 
                  lotta clandestina, immagini delle lapidi dedicate ai compagni 
                  caduti nella lotta, e alcune canzoni tratte dal repertorio dell’antifascismo 
                  anarchico.
 Come esempio di storia locale, va citato il lavoro di Anna Marsilii, 
                   Il movimento anarchico a Genova (1943-1950) 
                  (Genova, Annexia, 2004) che, grazie a un’accurata ricerca 
                  d’archivio e riprendendo gli studi di Guido Barroero, 
                  riporta alla luce le ricche ma sostanzialmente inedite vicende 
                  del forte movimento comunista-anarchico genovese negli anni 
                  cruciali della Resistenza e della ricostruzione.
 Per venire ad anni più recenti, le editrici di area anarchica 
                  sono impegnate a promuovere lavori sulla storia (fino a poco 
                  fa in gran parte inedita) del movimento anarchico nel secondo 
                  dopoguerra.
 
 Carrara, 
                  agosto 1968 – Congresso internazionale anarchico  Ecco così la nuova edizione del testo 
                  Il ruolo dell’organizzazione anarchica di 
                  Gino Cerrito (Pescara, Samizdat, 1998), già 
                  uscito nel 1973, che affronta i problemi organizzativi con i 
                  quali si è misurato l’anarchismo italiano, dal 
                  piattaformismo all’esperimento neomarxista dei Gaap, fino 
                  alle complesse stesure dei vari Patti associativi della Fai; 
                  la preziosa integrazione delle fonti operata da Giorgio Sacchetti 
                  sul vecchio lavoro di Ugo Fedeli, Congressi e convegni 
                  della Fai. 1944-1995 (sempre per i tipi di Samizdat, 
                  2002), nel quale sono raccolte le mozioni congressuali più 
                  importanti approvate dalla Federazione Anarchica Italiana negli 
                  ultimi decenni; e infine il recentissimo  Anni senza 
                  tregua. La Fai dal 1970 al 1980 (Milano, Zero 
                  in condotta, 2005), col quale due protagonisti palermitani di 
                  quella stagione di lotte, Antonio Cardella e Ludovico Fenech, 
                  scrivono un primo capitolo di quella “storia della Fai” 
                  di cui in molti, ci si perdoni lo spirito di parte, avvertiamo 
                  la mancanza. E, data l’attenzione con la quale è 
                  affrontato il periodo della “rinascita” della Fai 
                  e l’interesse che questa lettura può avere non 
                  solo per i militanti, c’è da augurarsi che questi 
                  volumi segnino l’inizio di una nuova stagione di ricerche. 
                  Visto poi che stiamo parlando degli anni della “contestazione”, 
                  segnalo, soprattutto ai lettori più giovani e curiosi, 
                  due godibilissime opere di Diego Giachetti, Oltre 
                  il sessantotto. Prima, durante e dopo il movimento 
                  e Anni sessanta comincia la danza. Giovani, capelloni, 
                  studenti ed estremisti negli anni della contestazione 
                  (Pisa, Bfs, 1998 e 2002), entrambe capaci di spiegare, anche 
                  emotivamente (soprattutto per chi li ha vissuti) come e quanto 
                  fossero “formidabili” quegli anni, non solo sul 
                  piano politico, ma anche e soprattutto su quello esistenziale 
                  e culturale.
 
  Piazza 
                  Fontana e dintorni
 Anni formidabili, incrinati irrimediabilmente, però, 
                  dalla stagione delle stragi, prima fra tutte quella di Piazza 
                  Fontana nel 1969. Sono più di trenta i titoli usciti da allora sulla Strage 
                  di Stato, sull’assassinio di Pinelli e sulla detenzione 
                  di Valpreda, ma nonostante questa documentazione, una soluzione 
                  giudiziaria non la si è voluta trovare. (Come meravigliarsi, 
                  del resto?!).
  Giuseppe Pinelli
  Rimando comunque al testo di Luciano Lanza, fondamentale soprattutto 
                  per la chiarezza, Bombe e segreti 
                  (Milano, Elèuthera, 1997), di cui renderei obbligatoria 
                  la lettura nelle scuole; alla apprezzata ristampa del Pinelli. 
                  Una finestra sulla strage (Milano, Saggiatore, 
                  2004), con il quale Camilla Cederna scese, usando tutto il suo 
                  carisma, la sua intelligenza e la sua sensibilità, al 
                  fianco nostro, di Pinelli e della verità; a La 
                  strage, Piazza Fontana, di Maurizio Dianese e 
                  Gianfranco Bettin (Milano, Feltrinelli, 1999); e infine al recente 
                   La strage con i capelli bianchi, 
                  titolo quanto mai significativo del libro di Paolo Barbieri 
                  e Paolo Cucchiarelli (Roma, Editori Riuniti, 2003). Anche se muovendo da prospettive diverse, si coglie in tutti 
                  l’indignazione purtroppo impotente nei confronti dell’impenetrabile 
                  muro di gomma contro il quale le istituzioni hanno fatto rimbalzare 
                  le proprie colpe, insieme alla mole di materiale raccolto sulle 
                  responsabilità dei fascisti e degli apparati dello Stato. 
                  Fino alla recente sentenza della Cassazione, vergognosa, indegna 
                  e infame, che ha messo una definitiva pietra tombale su tutta 
                  la faccenda.
 
 Il 
                  giorno di Serantini – La punizione (1973-1974). Disegno 
                  di Orio Melani  Restando a quegli anni e a quel clima, rimando al bel libro-denuncia 
                  di Fabio Cuzzola Cinque anarchici del Sud 
                  (Cosenza, Città del Sole, 2001) sulla “misteriosa” 
                  e tragica morte di cinque compagni calabresi che nei primi anni 
                  Settanta stavano indagando sulle responsabilità fasciste 
                  nella strage di Piazza Fontana; e al bellissimo, duro e struggente 
                   Il sovversivo (Pisa, Bfs, 2002), 
                  ristampa del capolavoro di Corrado Stajano che ricostruisce 
                  la storia di Franco Serantini, il giovane figlio di nessuno, 
                  massacrato di botte dalla polizia e lasciato morire come un 
                  cane nel carcere Don Bosco di Pisa nel maggio del 1972. (Uno 
                  dei libri più belli che abbia mai letto!). Per restare nel campo delle misure repressive messe in atto 
                  dal potere per reprimere le lotte più radicali di alcuni 
                  settori dell’anarchismo di oggi, è interessante 
                  la ricostruzione fatta da Tobia Imperato, Le scarpe 
                  dei suicidi. Sole Silvano Baleno e gli altri (Torino, 
                  Fenix, 2003), sul drammatico caso di Soledad Rosas ed Edoardo 
                  Massari, impegnati nella lotta contro l’Alta Velocità 
                  e morti suicidi nelle carceri torinesi dove erano stati ingiustamente 
                  ristretti.
 Altrettanto “duro” è Achtung 
                  Banditen! Marco Camenisch e l’ecologismo radicale, 
                  a cura di Piero Tognoli (edizioni NN, 2004), dove si riporta 
                  una lunga intervista all’anarchico svizzero, da lunghi 
                  anni prigioniero, dapprima in Italia poi nel suo paese, dove 
                  “paga” la sua estrema tensione ecologista. Per saperne 
                  di più c’è anche Rassegnazione 
                  e complicità. Il caso Marco Camenisch (senza 
                  autore, Salorino, L’Affranchi, 1992).
 Venendo ai nostri giorni, fa impressione la lettura del libro 
                  scritto a più mani, Organismi genovesamente 
                  modificati. Piccolo dizionario degli orrori (Milano, 
                  Zero in condotta, 2002), un’ampia documentazione, anche 
                  fotografica, della durissima repressione messa in atto da polizia 
                  e carabinieri in occasione della riunione del G8 nella città 
                  della Lanterna, nel luglio 2001.
 Già che siamo in argomento, per una lettura diversa del 
                  cosiddetto movimento no global, segnalo l’interessante 
                  lavoro di Vittorio Giacopini, No global. Tra rivolta 
                  e retorica (Milano, Elèuthera, 2002), una 
                  delle poche voci critiche di sinistra sulle contraddizioni e 
                  i meriti di questo movimento.
 
  Vite di anarchici
 Tornando ai temi più propriamente storici, e in particolare 
                  a quelli sugli anni più lontani, i titoli interessanti 
                  usciti in questi ultimi tempi sono tanti, a testimonianza del 
                  rinnovato interesse per la ricerca non solo da parte di studiosi 
                  di area anarchica, ma anche di storici di altre scuole. Numerose sono, infatti, le biografie e i saggi su momenti specifici 
                  e locali dell’anarchismo.
 Va segnalata in primo luogo un’opera complessiva, forse 
                  la più importante mai uscita sul movimento anarchico 
                  di lingua italiana.
 Intendo parlare dei due volumi del Dizionario Biografico 
                  degli Anarchici Italiani, opera diretta da Maurizio 
                  Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele e Pasquale Juso, curata 
                  e stampata dai compagni della Bfs di Pisa. Usciti nel 2003 e 
                  2004 i due volumi contengono oltre duemila biografie redatte 
                  da circa un centinaio di collaboratori sparsi per l’Italia. 
                  Inutile sottolineare – del resto se ne è ampiamente 
                  parlato in numeri precedenti della rivista – l’importanza 
                  di questa opera, la sola che sia riuscita a ricostruire e raccogliere 
                  le biografie di tutti gli esponenti più significativi 
                  di uno dei movimenti della storia sociale del nostro paese.
 Accostando il Dizionario ai due volumi sulla stampa periodica 
                  curati in anni lontani da Leonardo Bettini, diventa ora possibile 
                  conoscere “le opere e i giorni” della lunga e ininterrotta 
                  esperienza dell’anarchismo di lingua italiana, anche nei 
                  suoi aspetti più particolari e settoriali.
 Di ben altro spessore è il classico Gli Anarchici 
                  di Cesare Lombroso, lo studio con il quale il criminologo ottocentesco 
                  avrebbe voluto ridurre la ricchezza di un intero movimento a 
                  soggetto di uno studio di psicopatologia criminale. Non vedremmo 
                  certo l’opportunità di questa riedizione (Milano, 
                  Claudio Gallone, 1998), se non fosse per l’introduzione 
                  di Francesco Novelli e la testimonianza di Pietro Valpreda.
 Entrando nel merito di lavori più settoriali, riguardanti 
                  momenti particolari, entità geografiche o biografie di 
                  personaggi a vario titolo protagonisti della stagione classica 
                  dell’anarchismo, conviene partire da un’opera tanto 
                  importante quanto poco conosciuta in Italia, il bel Addio 
                  Lugano bella. Gli esuli politici nella Svizzera italiana di 
                  Maurizio Binaghi (Locarno, Dadò Editore, 
                  2002), che già nel titolo della nostra più famosa 
                  canzone riecheggia le vicende luganesi vissute dai numerosi 
                  internazionalisti italiani esuli nell’ospitale Ticino.
 Di personaggi del “mitico” internazionalismo scrive 
                  anche Claudia Bassi Angelini che, nel suo Amore 
                  e anarchia. Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi, due ravennati 
                  nella seconda metà dell’ottocento 
                  (Ravenna, Longo, 2004), ricostruisce le vicende umane e politiche 
                  di questi due romagnoli, coppia nella vita e nell’impegno 
                  sociale intensamente profuso a Firenze al nascere delle prime 
                  sezioni dell’Internazionale. Luigi Campolonghi, nel suo 
                   Amilcare Cipriani. Memorie, antico 
                  testo ristampato da Samizdat (Pescara) nel 2003, racconta la 
                  vita avventurosa di questo che fu, senz’ombra di dubbio, 
                  uno dei sovversivi più emblematici dell’Ottocento, 
                  il riminese legionario, garibaldino, comunardo, internazionalista, 
                  a lungo detenuto per fatti di sangue e di onore “rivoluzionario”.
 Passando alle storie locali, daremo la precedenza a Carrara, 
                  la “capitale” riconosciuta dell’anarchismo 
                  di lingua italiana, sulle cui vicende libertarie non mancano 
                  mai nuovi contributi.
  Alberto Meschi
  Ecco allora l’aggiornata edizione di una vecchia tesi 
                  di laurea di Gian Maria Andrenucci, L’anarchia 
                  a Carrara dall’Unità alla crisi di fine secolo 
                  (Carrara, Società Editrice Apuana, 2005), poi la ristampa 
                  di uno dei tanti lavori di Ugo Fedeli, Anarchismo 
                  a Carrara e nei paesi del marmo (Pisa, Bfs, 1995), 
                  e il lavoro di Massimiliano Giorgi su Alberto Meschi 
                  e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-1915) 
                  con il quale la Cooperativa Tipolitografica di Carrara, nel 
                  1998, ha reso omaggio alla limpida figura del sindacalista fidentino 
                  Meschi, che nella città del marmo seppe dare impulso 
                  e forti forme organizzative al vivacissimo movimento anarchico 
                  locale. Restando a Carrara, ma spostandoci al secondo dopoguerra, fa 
                  piacere vedere la ristampa di un vecchio lavoro di Rosaria Bertolucci, 
                  completamente dedicato alla figura di Ugo Mazzucchelli 
                  (Carrara, Società Editrice Apuana, 2005), senza dubbio, 
                  per la sua lunga e avventurosa esistenza, uno dei personaggi 
                  centrali e più costruttivi del movimento libertario carrarese. 
                  Sempre dalla Toscana, terra dove l’anarchismo non ha mai 
                  mancato di far sentire la sua forte voce, popolare e rivoluzionaria, 
                  provengono il recente lavoro di Giorgio Sacchetti, Presenze 
                  anarchiche nell’aretino dal XIX al XX secolo 
                  (Pescara, Samizdat, 1999), dove spicca la biografia del sindacalista 
                  imolese Attilio Sassi, ancora oggi ricordato dai figli dei minatori 
                  e degli antifascisti di Cavriglia, e l’originale opuscolo 
                  di Alberto Prugnetti, Potassa. Storia di sovversivi 
                  (Roma, Stampa Alternativa, 2003), sospeso fra la ricostruzione 
                  storica e la narrazione romanzata di straordinarie esistenze 
                  ribelli della ribelle Maremma.
 Prima di abbandonare questa regione, segnalo il libro di Lelio 
                  Lagorio, Ribelli e briganti nella Toscana del Novecento. 
                  La rivolta dei fratelli Scarselli e la banda dello Zoppo in 
                  Valdelsa e nel Volterrano (Firenze, Olschki, 2002), 
                  la storia di una famiglia di anarchici portata, per la sua irriducibile 
                  opposizione allo Stato e all’avanzante fascismo, a condurre 
                  una battaglia tanto disperata quanto avventurosa.
 Restando alla storiografia locale, va segnalato La 
                  polveriera d’Italia. Le origini del socialismo anarchico 
                  nel Regno di Napoli (1799-1877), di Giulio De 
                  Martino e Vincenzo Simeoli (Napoli, Liguori 2001), dal quale 
                  escono a tutto tondo le figure di Carlo Pisacane e Mikhail Bakunin, 
                  assieme a quelle dei loro seguaci che dettero vita al primo 
                  nucleo internazionalista italiano.
 Mi piace poi segnalare il prezioso lavoro dei compagni abruzzesi 
                  che curano le edizioni Samizdat di Pescara e Csl Di Sciullo 
                  di Chieti.
 Sono molti i testi dedicati all’Abruzzo, a dimostrazione 
                  che nelle zone “periferiche” dell’anarchismo 
                  non mancarono mai storie e personaggi talmente significativi 
                  da meritare di essere portati alla considerazione storica. Sono 
                  di Edoardo Puglielli Abruzzo rosso e nero 
                  (Chieti, Csl Di Sciullo, 2003), alla riscoperta di importanti 
                  figure di attivisti quali Carlo Tresca, Francesco Ippoliti e 
                  Umberto Postiglione, e Luigi Meta. Vita e scritti 
                  di un libertario abruzzese (Chieti, Csl Di Sciullo, 
                  2004), la biografia, con prefazione di Gaetano Arfè, 
                  di un militante a lungo vissuto in America dove conobbe, tra 
                  gli altri, Salvemini, Cianca e Tarchiani,
 
 Camillo 
                  Di Sciullo Di Fabio Palombo l’esemplare biografia di Camillo 
                  Di Sciullo anarchico e tipografo di Chieti (Pescara, 
                  Samizdat, 1996) continuamente alle prese con la strisciante 
                  repressione umbertina, fra i sequestri delle sue pubblicazioni 
                  e quelli della sua persona, sempre e solo per reati d’opinione, ritenuti evidentemente 
                  molto pericolosi.
 Poi, di Francesca Piccioli, Virgilia D’Andrea, 
                  storia di un’anarchica (Chieti, Csl Di Sciullo, 
                  2002), la più accurata biografia di questa fervente poetessa 
                  e propagandista dell’ideale, morta esule nella lontana 
                  America, ancora in giovane età, dopo un’esistenza 
                  segnata da grandi passioni e sofferenze; di Maria Lucia Calice, 
                   Gli anarchici abruzzesi nel periodo giolittiano 
                  (Pescara, Samizdat, 1999), e infine La presenza 
                  anarchica nell’aquilano, di Silvio Cicolani 
                  (Pescara, Samizdat, 1997).
 
 Virgilia 
                  D’Andrea  Passando alla Romagna, altra terra dalla forte impronta libertaria, 
                  vanno segnalati due lavori di Alessandro Luparini, il primo 
                  sul tentativo rivoluzionario di poco precedente lo scoppio della 
                  Grande guerra, Settimana Rossa e dintorni 
                  (Ravenna, Istituto Storico della Resistenza, 2004), il secondo, 
                  a tratti perfino commovente nel ritrarre splendide e pressoché 
                  sconosciute figure proletarie, Terra di libertà. 
                  Anarchici in provincia di Ravenna (Ravenna, Montanari, 
                  2005), volume ricco, tra l’altro, di un apparato iconografico 
                  in gran parte inedito e molto interessante. Se parliamo della 
                  Settimana rossa, dell’opposizione alla guerra di Libia 
                  e della Romagna, arriviamo al lavoro di Laura Di Marco, Il 
                  soldato che disse no alla guerra. Masetti (Santa 
                  Maria Capua Vetere, Spartaco, 2003), la biografia del muratore 
                  persicetano che per non partire per la Libia sparò al 
                  colonnello mentre concionava i soldati, la cui detenzione e 
                  le lunghe traversie giudiziarie furono da stimolo per i tentativi 
                  insurrezionali nelle Marche e nelle Romagne.   Armando Borghi
 Restando in questa terra sanguigna, segnalo, anche 
                  se uscito da tempo, Armando Borghi e l’Usi 
                  di Maurizio Antonioli (Manduria, Lacaita, 1990), in cui lo studioso 
                  affronta uno dei momenti cruciali dell’esperienza sindacalista 
                  anarchica del primo Novecento, vista attraverso l’instancabile 
                  opera organizzatrice del suo primo segretario. Continuando con le biografie, veniamo alle più importanti. 
                  Tralasciando quella di Berti su Malatesta, già citata, 
                  torniamo ad Antonioli, che nel suo Pietro Gori. 
                  Il cavaliere errante dell’anarchia (Pisa, 
                  Bfs, 1996) disegna un ritratto a tutto tondo (accompagnato da 
                  un’antologia di testi goriani sul Primo Maggio) di quello 
                  che forse è stato il più amato e venerato fra 
                  i poeti dell’ideale, come testimonia del resto la bella 
                  raccolta di poesie a lui dedicate, qui presentata per la prima 
                  volta.
  Pietro Gori
  Ricordo anche la ristampa del breve profilo biografico 
                  di Pietro Gori scritto da Carlo Molaschi 
                  (Pescara, Samizdat, 1999), amico e compagno di lotta dell’elbano. 
                  Di Antonio Gamberi, un poeta meno noto ma interessante come 
                  prototipo del proletario autodidatta, scrivono Franco Bertolucci 
                  e Daniele Ronco nella lunga introduzione al suo Poesie 
                  per un liberato mondo (Pisa, Bfs, 2004). Ancora di Giampietro Berti, Francesco Saverio Merlino 
                  (1856-1930) (Milano, Angeli, 1993), altro corposo 
                  lavoro che ripercorre le tappe della vita e del pensiero di 
                  uno dei più originali e interessanti esponenti dell’anarchismo 
                  prima e del socialismo libertario poi, coetaneo e compagno di 
                  lotta e di polemiche di Errico Malatesta.
 Un’altra bella biografia è quella che Luce Fabbri, 
                  a coronamento di una vita segnata dalla continuità con 
                  l’esperienza paterna, ha scritto su Luigi 
                  Fabbri storia di un uomo libero (Pisa, Bfs, 1996). 
                  Non solo la vita travagliata di questo grande anarchico, continuatore 
                  del pensiero di Malatesta, ma anche le vicende, condivise dall’autrice, 
                  di una irripetibile generazione di militanti tenacemente impegnata 
                  a combattere il fascismo e l’oppressione in nome della 
                  libertà. Particolare è il ritratto che Fabrizio 
                  Montanari traccia in Voci dal Plata. Vita e morte 
                  di Torquato Gobbi (Reggio Emilia, Bertani, 1997), 
                  ricostruendo le drammatiche vicissitudini di questo anarchico 
                  emiliano, morto suicida nel 1936 a Montevideo dove condivideva 
                  l’esilio con l’amico e compagno Luigi Fabbri.
 È un’altra figura “minore” quella riportata 
                  alla luce da Giuseppe Galzerano in Vincenzo Perrone. 
                  Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico salernitano 
                  volontario della libertà in Spagna (Casalvelino, 
                  Galzerano, 1999), che la morte nella battaglia di Monte Pelato 
                  rende emblematica della sorte collettiva di un’intera 
                  generazione di militanti.
  Luigi Bertoni
  Segnalo poi la biografia della nobile figura 
                  di Luigi Bertoni. La coerenza di un anarchico 
                  (Lugano, La Baronata, 1997), con la quale Gianpiero Bottinelli 
                  percorre l’esemplare e ammirevole vita dell’anarchico 
                  ticinese, fondatore e redattore, per oltre mezzo secolo, del 
                  bilingue giornale ginevrino «Il Risveglio – Le Reveil». 
                  Anche questa diventa la monografia di un movimento vivace e 
                  ricco di iniziative antifasciste e antimilitariste quale fu 
                  quello svizzero, di cui fu parte attiva anche un’altra 
                  figura di cui Gianpiero Bottinelli traccia le linee biografiche 
                  nel suo Giovanni Devincenti. Il sogno di un emigrante 
                  (Lugano, La Baronata, 2001).   Camillo Berneri
  Va ricordato poi l’ultimo lavoro su Camillo 
                  Berneri, di Carlo De Maria, Camillo Berneri tra 
                  anarchismo e liberalismo (Milano, Angeli, 2004), 
                  con il quale, in tempi di revisionismo storico imperante, mi 
                  sembra si intenda perseguire lo “strano” disegno 
                  di fare del rivoluzionario Berneri, ucciso anche e soprattutto 
                  per la sua intransigenza rivoluzionaria dai sicari di Stalin 
                  in Spagna, un eroe del pensiero liberale e un affossatore dell’anarchismo 
                  “tradizionale”. (Ma così, a quanto pare, 
                  dev’essere per queste nuove scuole storiografiche!). Nessuna materia di revisionismo storico dovrebbe essere offerta 
                  (ma non si può mai dire!) dalle figure di Giovanni 
                  Passannante e di Gaetano Bresci, 
                  alle quali si è dedicato Giuseppe Galzerano (Casalvelino, 
                  Galzerano, 1997 e 2001). Due monumentali opere nelle quali l’autore 
                  ha passato al setaccio tutto quello che è stato scritto, 
                  all’epoca dei fatti, sui due attentatori all’augusto 
                  re d’Italia Umberto I: il primo mancato, il secondo decisamente 
                  meno. Mentre sul secondo è famoso (troppo) il lavoro 
                  di Arrigo Petacco, L’anarchico che venne dall’America. 
                  Gaetano Bresci (ultima ed. Milano, Oscar Mondadori, 
                  2000), e meno noto il sorprendente saggio di Leone Tolstoj, 
                   Per l’uccisione di Re Umberto 
                  (Chieti, Csl Di Sciullo, 2003), su Passannante non si sa molto, 
                  per cui è apprezzabile la curiosa pièce teatrale 
                  di Ulderico Pesce, L’innaffiatore del cervello 
                  di Passannante (Possidente, Pz, Pianetalibro 2003), 
                  che ha contribuito a riaprire il caso dei resti cerebrali del 
                  povero cuoco lucano, ancora barbaramente conservati sotto formalina 
                  al museo criminale di Roma – come i lettori di “A” 
                  hanno avuto modo di leggere – e dei quali ora si auspica 
                  una “normale” sepoltura nel paese natale.
 
 Il 
                  regicidio di Gaetano Bresci in un dipinto di Flavio Costantini  Di un altro attentatore al re, anch’esso 
                  mancato e quindi meno conosciuto, scrive Luigi Balsamini, Antonio 
                  D’Alba. Storia di un mancato regicida (Chieti, 
                  Di Sciullo, 2004), corredandone la biografia con le ricerche 
                  sugli ambienti romani nei quali ebbe origine l’idea di 
                  sparare al sovrano. Restando nel campo dell’“azione diretta”, 
                  che fra Ottocento e Novecento fu la risposta di non pochi anarchici 
                  alle violenze del potere, è avvincente la lettura delle 
                   Memorie di Jules Bonnot, ristampate 
                  dall’Arkiviu Serra di Guasila nel 2001 e scritte, con 
                  stile pittoresco, da Un Copain, pseudonimo del famoso giornalista 
                  Paolo Valera. Sulle avventure di Bonnot e della sua famosa banda 
                  di “rapinatori in automobile” (pare siano stati 
                  i primi, agli inizi del Novecento, a usare la macchina nel loro 
                  “lavoro”) ricordo il romanzo storico di Pino Cacucci, 
                   In ogni caso nessun rimorso (rist. 
                  Milano, Feltrinelli, 2003), sulle emozionanti vicende e i controversi 
                  sentimenti di questi banditi tragici, votati alla morte.
 Di altri banditi e ribelli irriducibili scrive Massimo Novelli 
                  in Cavalieri del nulla. Renzo Novatore, poeta. Sante 
                  Pollastro, bandito (Casalvelino, Galzerano, 1998), 
                  tracciando le arroventate biografie del poeta ucciso in uno 
                  scontro a fuoco con i carabinieri nel 1922 e del bandito che 
                  scontò trent’anni nelle carceri francesi e italiane.
 Restando ai primi del secolo, ma spostandoci a Milano, dove 
                  particolarmente vivace fu la presenza degli anarchici individualisti 
                  di formazione stirneriana, sono quattro i libri usciti recentemente 
                  su quel periodo e quell’ambiente. Di Francesco Pellegrino, 
                  per i tipi di Derive Approdi di Roma, è uscito nel 2004 
                   Libertà estrema. Le ultime ore dell’anarchico 
                  Bruno Filippi, il giovanissimo attentatore morto 
                  nel 1920, vittima del suo stesso ordigno, mentre cercava di 
                  farlo brillare in un lussuoso locale della Galleria di Milano. 
                  C’è poi il famoso saggio di Vincenzo Mantovani, 
                   Mazurka Blu (rist. Pescara, Samizdat, 
                  2002), un lavoro frutto di lunghe ricerche, che ricostruisce 
                  le disgraziate vicende del disgraziato attentato al Teatro Diana 
                  nella Milano del 1921, e le tremende vicissitudini dei suoi 
                  autori, in particolare di Mariani, Boldrini e Aguggini, che 
                  pagarono la follia del loro gesto con la morte in carcere o 
                  con lunghissime detenzioni.
 
 Leda 
                  Rafanelli  Ma, ricordandoci che non tutto l’anarchismo 
                  milanese si muoveva su queste direttrici, conforta leggere l’originale 
                  e a tratti commovente epistolario Lettere d’amore 
                  e di amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi 
                  e Maria Rossi. Per una lettura dell’anarchismo milanese 
                  (1913-1919) (Pisa, Bfs, 2002), nel quale Mattia 
                  Granata ricostruisce la complessità e l’eterodossia 
                  dei milieu culturali anarchici nella capitale morale 
                  d’Italia. Restando a Leda Rafanelli, l’affascinante 
                  “zingara” dell’anarchia, uno dei più 
                  originali personaggi di quegli anni, il recente libro curato 
                  da Alberto Ciampi, Leda Rafanelli – Carlo 
                  Carrà. Un romanzo (Venezia, Centro Internazionale 
                  Grafica, 2005), propone documenti originali e autografi conservati 
                  presso l’Archivio Chessa-Berneri di Reggio Emilia, sul 
                  fugace amore fra Leda e il giovane simpatizzante anarchico, 
                  e grande pittore, Carlo Carrà.  
 Luigi 
                  Veronelli  Tornando in terra emiliana, segnalo alcune curiosità, 
                  a dimostrazione che spesso la storia, anche la grande storia, 
                  trova fondamento nell’insieme di cose più piccole, 
                  di fatti e momenti segnati dalla più semplice quotidianità. 
                  Sono usciti gli atti del recente convegno Le cucine 
                  del popolo. Atti del convegno di Massenzatico 
                  (Milano, Zero in condotta, 2005), con interventi di Fiamma Chessa, 
                  Alberto Ciampi, Federico Ferretti, Gian Andrea Pautasso, Marco 
                  Rossi, Giorgio Sacchetti e Luigi Veronelli, sulle modalità 
                  e l’inventiva con le quali le culture proletarie, anche 
                  e soprattutto in situazioni di lotta, riuscivano a soddisfare, 
                  gustosamente, le necessità alimentari di tutti i giorni. 
                  Altrettanto interessante il materiale uscito dalle giornate 
                  di studio organizzate dal Csl Pinelli di Milano sulle infiltrazioni 
                  e le provocazioni poliziesche nei confronti degli anarchici. 
                  I contributi di Cesare Bermani, Giampietro Berti, Piero Brunello, 
                  Mimmo Franzinelli, Aldo Giannuli, Lorenzo Pezzica, Claudio Venza, 
                  raccolti in Voci di compagni. Schede di questura 
                  (Milano, Csl, 2002), rappresentano una sorta di istruttivo manuale 
                  sui sistemi di controllo dell’universo sovversivo che 
                  ancora può insegnarci molte cose.
 Di argomento simile, il saggio di Giorgio Sacchetti, Sovversivi 
                  agli atti (Ragusa, La Fiaccola, 2002), che ricostruisce 
                  la storia della schedatura politica, nella fattispecie quella 
                  utilizzata fino ai giorni nostri nei confronti dei militanti 
                  libertari. Un lavoro che illustra, anche con divertente ironia, 
                  le pratiche demenziali e grottesche messe in atto dal potere 
                  statale per “controllare”, in Italia come dovunque, 
                  il movimento anarchico e gli altri movimenti sovversivi.
 Terminiamo la parte storica con le biografie di tre personaggi 
                  che hanno contribuito a mantenere vivo e vitale il movimento 
                  anarchico in questo secondo dopoguerra. Tre militanti nati agli 
                  albori del Novecento che hanno dato un forte senso alla loro 
                  attività non solo durante la Rivoluzione spagnola e la 
                  lotta al fascismo, ma anche, con uguale intensità, negli 
                  anni della crisi del movimento che non si incancrenì 
                  irrimediabilmente anche grazie al loro impegno e alla loro presenza.
 Costantino Cavalleri ha scritto, con affetto quasi filiale, 
                  il profilo del sardo Tomaso Serra, L’anarchico 
                  di Barrali (Guasila, Arkiviu Serra, 1992), esule 
                  antifascista, combattente in Spagna e nella Resistenza francese 
                  e, nel dopoguerra, animatore della Comunità di Barrali, 
                  nella sua Sardegna, un vero e proprio esempio di autogestione 
                  realizzata.
 Scheda 
                  segnaletica di Alfonso Failla  Paolo Finzi ha ricostruito la vita di un Insuscettibile 
                  di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986) 
                  (Ragusa, La Fiaccola, 1993), riportando nelle sue pagine non 
                  solo le esperienze di lotta di un genuino ribelle, di un uomo 
                  libero che pagò la voglia di libertà per sé 
                  e per gli altri subendo incessantemente la repressione statale 
                  (Failla è l’antifascista che ha passato il periodo 
                  più lungo al confino), ma anche i tratti umani che abbiamo 
                  potuto apprezzare quando abbiamo fatto nostre le sue idee.  
 Umberto 
                  Marzocchi  E, per finire, la recentissima monografia Senza 
                  frontiere. Pensiero e azione dell’anarchico Umberto Marzocchi 
                  (1900-1986) (Milano, Zero in condotta, 2005) il 
                  libro con cui Giorgio Sacchetti, a lungo suo affezionato collaboratore 
                  negli impegni internazionali, ricostruisce la vita eccezionale 
                  di un militante “come tanti”, che fino alla fine 
                  seppe trasmettere il suo prezioso, a volte determinante contributo, 
                  per affrontare e superare le travagliate vicende del nostro 
                  movimento. Tre libri insostituibili per comprendere appieno non solo la 
                  storia, ma anche e soprattutto l’anima dell’anarchismo 
                  di lingua italiana.
 
  Fucina di idee
 La bibliografia sul pensiero anarchico, ovvero sulla storia 
                  delle idee, deve riferirsi in primo luogo ai primi pensatori, 
                  i cosiddetti “classici”, coloro che dettero sostanza 
                  e struttura al pensiero ribelle, antiautoritario e antistatale 
                  che ha poi preso il nome di anarchismo. Innanzitutto William Godwin, il grande pensatore radicale inglese, 
                  da molti considerato il pioniere dell’anarchismo. Elèuthera 
                  ha riproposto opportunamente, nel 1997, alcuni dei suoi testi 
                  più sintomatici, raccolti sotto il titolo L’eutanasia 
                  dello Stato, arricchiti da un interessante profilo 
                  biografico.
 
 Pierre-Joseph 
                  Proudhon in un celebre quadro di Gustave Courbet  Di Pierre-Joseph Proudhon, colui che può essere ritenuto 
                  l’antesignano, segnaliamo Che cos’è 
                  la proprietà. Ricerche sul principio del diritto e del 
                  governo (Milano, Zero in condotta, 2000), il famoso 
                  lavoro con la famosa domanda, la cui semplice risposta, «la 
                  proprietà è un furto», avrebbe determinato 
                  e formato la coscienza egualitaria e solidaristica di tutti 
                  i movimenti sociali della sinistra. Sempre del pensatore francese, 
                  nel 2001 è uscito per Elèuthera, Critica 
                  della proprietà e dello Stato, 
                  una corposa raccolta di saggi curata da Giampietro Berti, che 
                  dimostrano l’importanza che il pensatore di Besançon 
                  avrebbe avuto per il pensiero socialista, nonostante le sue 
                  non poche contraddizioni. Passando a Mikhail Bakunin, è doveroso iniziare con il 
                  famosissimo Stato e Anarchia (Milano, 
                  Feltrinelli, 2000) se non altro perché, mi si passi la 
                  notazione personale, fu il primo libro che, nei lontani anni 
                  Sessanta, contribuì alla mia formazione libertaria. Sempre 
                  di Bakunin, va segnalata una ricca miscellanea curata da Luca 
                  Michelini, Là dove c’è lo stato 
                  non c’è libertà (Verona, Demetra, 
                  1996), che raccoglie testi da tutte le sue opere più 
                  importanti, e Considerazioni filosofiche sul fantasma 
                  divino, il mondo reale e l’uomo (Lugano, 
                  La Baronata, 2000), un’altra selezione di brevi testi 
                  e saggi, particolarmente utile per comprendere la personalità 
                  e la ricchezza filosofica del rivoluzionario russo, e inoltre 
                   Tre conferenze sull’anarchia, 
                  pronunciate a Saint Imier nel 1871, introdotte da Anselm Jappe 
                  e uscite per Il Manifesto nel 1996, non a caso nella collana 
                  “I grandi discorsi”.
 
                  
                    | 
 Mikhail 
                        Bakunin visto da Xavier Poiret |   Infine, La libertà degli uguali, 
                  a cura di Giampietro Berti (Milano, Elèuthera, 2000), 
                  dove vengono riproposti e commentati numerosi saggi estratti 
                  da alcune delle opere più importanti e significative 
                  del pensatore russo, tra le quali Dio e lo Stato, 
                   Catechismo del Rivoluzionario e Stato 
                  e Anarchia. Di e su Bakunin segnalo l’edizione 
                  finalmente disponibile del lavoro di Arthur Lehning, Bakunin 
                  e gli altri. Ritratti contemporanei di un rivoluzionario 
                  (Milano, Zero in condotta, 2002) che raccoglie lettere, testimonianze, 
                  notizie biografiche e curiose tranche de vie del vecchio Michele, 
                  raccontate dai grandi personaggi dell’Ottocento che incrociarono 
                  la sua strada: per citarne alcuni, Herzen, Bielinskij, Turgenev, 
                  Engels, Sand, Wagner, Marx, Reclus; mentre, su Bakunin, il suo 
                  pensiero e la sua azione, va ricordato il libro di Roberto Giulianelli, 
                   Bakunin e la rivoluzione anarchica 
                  (Casalvelino, Galzerano, 1998). A dimostrazione, infine, dell’interesse che il rivoluzionario 
                  russo suscita ancora, e non solo fra i militanti, il ponderoso 
                   L’etica (Torino, Ananke, 2003): 
                  una raccolta di scritti prefati, commentati e chiosati con attenzione 
                  e competenza da Carlo Genova.
 
 Piotr 
                  Kropotkin  Dopo Bakunin, Piotr Kropotkin, il principe russo che, grazie 
                  anche alla solida formazione scientifica, cercò di dare 
                  sistematicità alle teorie anarchiche. Due i testi, relativamente 
                  recenti, stampati in questi anni: il primo è il noto 
                   Ai Giovani, una sorta di accorata 
                  invettiva e incitamento morale, del quale la Fiaccola di Ragusa, 
                  nel 1997, ha ristampato l’ennesima edizione italiana. 
                  Sempre dello stesso anno, ma per i tipi di Stampa Alternativa 
                  di Roma, è uscito un altro dei suoi piccoli capolavori, 
                   Morale anarchica, un testo quanto 
                  mai sedimentato fra i compagni anarchici, presso i quali non 
                  ha mai mancato di far sentire i suoi effetti benefici. Dell’anno 
                  successivo, per Elèuthera, Scienza e anarchia, 
                  anche questa un’antologia curata da Giampietro Berti, 
                  che evidenzia quanto il pensiero scientifico fortemente deterministico 
                  del nostro ne influenzasse – a volte troppo, stando a 
                  Malatesta – le teorie politiche e sociali.
 
 Elisée 
                  Reclus  Per restare ai grandi, Natura e società. 
                  Scritti di geografia sovversiva è l’unico 
                  testo di Elisée Reclus uscito in questi anni (ma siamo 
                  in attesa delle celebrazioni del centenario), e ne va dato atto 
                  ad Elèuthera che, nel 1999, ha riproposto alcuni scritti 
                  (tra i quali il bellissimo A mio fratello contadino) 
                  del grande geografo, rivoluzionario e protagonista della Comune 
                  parigina. Non di Stirner, ma su Stirner, La città 
                  degli unici. Individualismo, nichilismo, anomia 
                  (Torino, Giappichelli, 2001) di Enrico Ferri, apprezzato studioso 
                  di questo eretico filosofo hegeliano, che analizza l’influenza 
                  dell’individualismo stirneriano sull’anarchismo 
                  del primo Novecento, anche in rapporto con i suoi critici e 
                  con le altre correnti filosofiche individualiste. L’elaborazione teorica non fu opera solo di pensatori 
                  stranieri; anche in Italia fu notevole il contributo dato alla 
                  sistematizzazione dell’anarchismo, nella ricerca del necessario 
                  incontro fra teoria e pratica.
 In questo senso è doveroso citare l’ennesima edizione 
                  de Il compendio del Capitale di Carlo 
                  Cafiero (Roma, Editori Riuniti, 1996), una sorta di bibbia volutamente 
                  divulgativa, apprezzata per la semplicità espositiva 
                  anche da Marx, e strumento indispensabile di approfondimento 
                  teorico per intere generazioni di militanti dell’Otto 
                  e Novecento.
 Pietro Gori, il poeta dell’anarchia, di cui un tempo erano 
                  assai diffusi opuscoli e raccolte, oggi non gode della stessa 
                  fortuna editoriale. Se il suo anarchismo, intriso di idealismo 
                  e poesia, può sembrare superato, resta pur sempre molto 
                  efficace nella denuncia dei mali sociali e nella proposta di 
                  soluzioni coerentemente libertarie, come si evince anche da 
                   Addio Lugano Bella. Scritti scelti 
                  (Milano, M&B Publishing, 1996).
 Veniamo ora a Malatesta, certamente la figura più importante 
                  per la vita e la storia dell’anarchismo italiano: come 
                  dimostrano, del resto, le numerose edizioni dei suoi scritti 
                  che continuano a vedere la luce. Andando in ordine cronologico, 
                  partiamo dai classici Anarchia e Il 
                  nostro Programma, ristampati da La Fiaccola di 
                  Ragusa nel 1993 e da Datanews di Roma nel 1997. Si tratta, come 
                  si sa, di due capisaldi del pensiero organizzativo anarchico, 
                  soprattutto il secondo, tuttora a base dei principi della Federazione 
                  Anarchica Italiana. Nel 1999, per i tipi di Elèuthera 
                  e la cura di Giampietro Berti, è uscita l’antologia 
                   Il buon senso della rivoluzione, 
                  una raccolta commentata degli scritti degli ultimi anni, i più 
                  maturi.
 Segue la ristampa di L’autodifesa davanti 
                  alle Assise di Milano e altri scritti (Roma, Datanews, 
                  2002), vibrante arringa trasformatasi, come sovente accadeva, 
                  in un possente atto d’accusa contro i guasti della società 
                  borghese, pronunciata davanti ai giudici milanesi nel 1921, 
                  periodo in cui Malatesta era detenuto con Borghi e Quaglino.
 Piero Brunello e Pietro di Paola hanno curato Autobiografia 
                  mai scritta. Ricordi (1853-1932) (Santa Maria 
                  Capua Vetere, Spartaco, 2003), un’insieme di brani impostato 
                  in maniera originale – vi figurano infatti solo quelli 
                  caratterizzati da accenni autobiografici – che diventa 
                  così quella sorta di autobiografia che Malatesta, nonostante 
                  i solleciti, non scrisse mai. Segnaliamo inoltre ancora una 
                  collazione, Bakunin e altri scritti 
                  (Roma, Datanews, 2004) e, per le edizioni Le nubi, In 
                  vista di un avvenire che potrebbe diventare realtà 
                  (Roma, 2004) dove, come dice il titolo, la concretezza e la 
                  solidità del pensiero malatestiano si evidenziano non 
                  solo sul piano della critica all’autoritarismo e allo 
                  statalismo, ma anche su quello delle proposte operative, capaci 
                  di trasformare dalle radici le basi della società. Da 
                  ricordare infine Individuo, società, anarchia: 
                  la scelta del volontarismo etico (Roma, Edizioni 
                  e/o, 1998), un’altra raccolta di scritti tutti centrati, 
                  come ha voluto il curatore Giampietro Berti, su uno dei momenti 
                  centrali della riflessione malatestiana.
  Luigi Fabbri
  Se Malatesta fu il maestro, Luigi Fabbri fu l’allievo 
                  che seppe onorare, con lucida coerenza, le lezioni del “padre”. 
                  Opportunamente le edizioni Zero in condotta hanno riproposto 
                  due suoi scritti, entrambi particolarmente interessanti e attuali 
                  anche ai giorni nostri. Il primo è L’anarchismo, 
                  la libertà, la rivoluzione (Milano, 1997), 
                  il secondo è Le influenze borghesi sull’anarchismo. 
                  Saggi sulla violenza (Milano, 1998), che raccoglie 
                  per la prima volta i quattro articoli usciti nei primi anni 
                  del Novecento su «Il Pensiero», nei quali Fabbri 
                  attaccava con dura intransigenza i germi dell’individualismo 
                  amoralista e borghese e di quel cosiddetto “ravacholismo” 
                  che inquinava non pochi ambienti libertari, soprattutto milanesi, 
                  allontanandoli dall’obiettivo della Rivoluzione sociale. 
                  Per finire con i classici, Camillo Berneri, l’antifascista 
                  più espulso d’Europa, “l’anarchico 
                  sui generis”, l’uomo d’azione, il combattente 
                  contro il fascismo in Italia e in Spagna, ma anche l’acuto, 
                  sorprendente ed eterodosso intellettuale. Qui ricordo la raccolta 
                   Umanesimo e anarchismo (Roma, Edizioni 
                  e/o, 1996) e un’altra interessante antologia, utile per 
                  comprendere il non conformismo che Berneri sapeva mettere in 
                  tutte le sue riflessioni, Anarchia e società 
                  aperta, a cura di Pietro Adamo (Milano, M&B 
                  Publishing, 2001).
 
  Antologie e studi complessivi
 Venendo alle antologie e agli studi dedicati a vari autori, 
                  segnalo la scorrevole e utile miscellanea Aforismi 
                  dell’anarchia (Verona, Demetra, 2002), suddivisa 
                  per argomenti da Emanuele Del Medico e Andrea Dilemmi, che raccoglie 
                  brevi frasi, brani e citazioni dei più noti pensatori 
                  per una lettura immediata e fruibile. Di tutt’altro spessore i due volumi di Giampietro Berti, 
                   Un’idea esagerata di libertà. Introduzione 
                  al pensiero anarchico (Milano, Elèuthera, 
                  1994) e Il pensiero anarchico dal Settecento al 
                  Novecento (Manduria, Lacaita, 1998). Si tratta, 
                  in questo caso, di lavori di approfondimento e di analisi sulle 
                  idee, le riflessioni filosofiche e le proposte operative elaborate 
                  in quasi due secoli dai maggiori pensatori dell’anarchismo, 
                  dai precursori fino agli epigoni. Comunque, per lo stile piacevole 
                  e per il grande interesse degli argomenti, libri destinati non 
                  solo agli specialisti.
 Di lettura più agevole, ma altrettanto formativa, l’ottimo 
                  lavoro di Angel J. Cappelletti, L’Idea anarchica. 
                  Dalle origini ai giorni nostri (rist. Milano, 
                  Zero in condotta, 2003), nel quale, affrontando il pensiero 
                  di Godwin, Proudhon, Bakunin, Kropotkin, Stirner e Malatesta, 
                  si dà conto della evoluzione dell’idea libertaria, 
                  della sua complessità e capacità di adattarsi 
                  al mutare delle condizioni sociali, senza perdere la coerenza 
                  delle istanze antiautoritarie.
 Allo stesso contesto appartiene la ristampa di L’anarchismo 
                  attraverso i secoli (Pescara, Samizdat, 1996), 
                  il vecchio e introvabile capolavoro di Max Nettlau, “l’Erodoto 
                  dell’anarchia”, che probabilmente rappresenta il 
                  primo tentativo di dare sistematicità agli studi sull’anarchismo. 
                  Un’altra fortunata e istruttiva antologia sull’anarchismo, 
                  che rende molto efficacemente la ricchezza della storia e del 
                  pensiero anarchico, è il classico di Daniel Guerin, L’anarchismo 
                  dalla dottrina all’azione, che ebbe grande 
                  fortuna editoriale negli anni Sessanta ed è stato opportunamente 
                  ristampato (Pescara, Samizdat, 1998).
 Molto utile anche Il Pensiero anarchico. Alle radici 
                  della libertà, curato da Filippo Pani e 
                  Salvo Vaccaro (Verona, Demetra, 1997), che ripercorre tutte 
                  le tappe attraverso le quali si sono sviluppati il pensiero 
                  e il movimento anarchico, analizzate per tematiche e descritte, 
                  il che non guasta, in modo scorrevole.
 Di tutt’altro carattere e anche di minore spessore, comunque 
                  utile, l’antologia del pensiero libertario conservatore 
                  di matrice anglosassone, Anarchici senza bombe, 
                  curata da Alberto Mingardi e Guglielmo Piombini (Roma, Stampa 
                  Alternativa, 2001). Al di là del titolo un po’ 
                  stupido e superficiale, l’opuscolo consente di dare un 
                  rapido sguardo alle “strane” ed eterodosse teorie 
                  di Rothbard e company, che si richiamano costantemente all’anarchia 
                  ma con le quali, nonostante le strumentali intenzioni dei loro 
                  sostenitori, l’anarchismo classico e... classista ha ben 
                  poco a che spartire.
 Sulle contraddizioni del “libertarismo di destra” 
                  anglosassone e sulla confusione interessata fra liberismo e 
                  libertarismo creata dagli assertori del libero mercato, interviene 
                  opportunamente Luigi Corvaglia con Psicopatologia 
                  della libertà. Lineamenti di una psicologia anarchica 
                  del sociale (Pescara, Samizdat, 2000), una “proposta 
                  di lettura trasversale e alternativa dei concetti di libertà 
                  e di dominio”.
  Diverse angolature
 Come ogni altro complesso di idee che si proponga di cogliere 
                  e analizzare tutti gli aspetti della vita sociale, anche l’anarchismo, 
                  nelle sue differenti manifestazioni, si è proposto come 
                  sistema particolare e organico di analisi e di proposte. Ispirandosi all’anarchismo e alla sua attitudine a sviscerare 
                  le tematiche sociali muovendo da differenti spunti di analisi, 
                  non sono pochi gli studi e i contributi critici, più 
                  o meno militanti, che si propongono di affrontare da diverse 
                  angolature l’interpretazione dei fenomeni sociali e offrire 
                  soluzione al problema dell’autorità e della libertà.
 In questa sezione si cercherà in tal senso di passare 
                  in rassegna il “vecchio” e il “nuovo” 
                  stampato in questi anni.
 
 Luce 
                  Fabbri  Molto interessante, innanzitutto, l’antologia degli 
                  scritti di Luce Fabbri, figlia di Luigi, morta da pochi anni 
                  dopo una vita passata in esilio in Uruguay, Una 
                  strada concreta verso l’utopia. Itinerario anarchico di 
                  fine millennio, che Samizdat ha dedicato alla 
                  acuta e intelligente saggista (Pescara, 1998). Si tratta, in 
                  gran parte, di articoli tratti da «Opcion Libertaria» 
                  – il periodico da lei fondato e che ancora esce nella 
                  capitale uruguayana – nei quali spicca la sua sorprendente 
                  capacità di riflettere sul nuovo e di cogliere implicazioni 
                  libertarie anche in fenomeni sociali apparentemente lontani. 
                  Un’altra analisi sulle dinamiche che interagiscono soprattutto 
                  con il mondo del lavoro e i suoi rapporti sociali, è 
                  l’opuscolo di Cosimo Scarinzi, L’enigma 
                  della transizione. Conflitto sociale e progetto sovversivo 
                  (Milano, Zero in condotta, 2000), una raccolta di articoli usciti 
                  su «Umanità Nova», mai banali e sempre stimolanti, 
                  sulle teorie che vanno nella direzione della trasformazione 
                  radicale dell’esistente. Scendendo in Sicilia, si segnala la pubblicazione del Programma 
                  per l’intervento politico e sociale stilato 
                  dalla Federazione Anarchica Siciliana (Ragusa, La Fiaccola, 
                  2004). Si tratta delle analisi sulla “fase” compiute 
                  recentemente dai compagni siciliani e opportunamente assemblate 
                  in un testo organico e maneggevole.
 Un’altra raccolta di articoli, che comprende i corsivi 
                  feroci e irriverenti a firma di Sciruccazzu, è I 
                  Corsivi di Sicilia Libertaria (Ragusa, La Fiaccola, 
                  2004), puntuali nel denunciare ogni mese, sul giornale che esce 
                  con regolarità da circa trent’anni, le malversazioni 
                  del sistema di potere siciliano. Fermandoci in Sicilia, segnalo 
                  il meritato omaggio che La Fiaccola, nel 1999, ha dedicato a 
                  uno dei suoi padri fondatori, Franco Leggio, raccogliendo in 
                   Avanti avanti con la fiaccola nel pugno e con la 
                  scure i caustici e incendiari “fuoritesto” 
                  degli innumerevoli opuscoletti da lui stampati negli anni Sessanta.
  Luigi Galleani
  Restando alle raccolte di articoli, ricordo il classico Faccia 
                  a faccia col nemico di Luigi Galleani, la cui 
                  prima edizione risale al 1914 e che è stato recentemente 
                  riproposto da Galzerano (Casalvelino, 2002). I lettori meno 
                  giovani ne conoscono lo stile declamatorio e ridondante, ma 
                  efficace nella virulenza contro il “nemico” e nell’esaltazione, 
                  a volte acritica, di quanti hanno dato vita e pensiero all’ideale 
                  anarchico. Di tutti i lavori di Luigi Galleani, questo resta 
                  forse la testimonianza più chiara, anche se un po’ 
                  datata, di come egli intendesse e interpretasse l’anarchismo. 
                  Di tutt’altro segno, come stile e approccio alla realtà 
                  sociale, il testo di Salvo Vaccaro, Cruciverba. 
                  Lessico per i libertari del XXI secolo (Milano, 
                  Zero in condotta, 2001), una sorta di lemmario ragionato con 
                  il quale l’apprezzato studioso di filosofia della politica 
                  affronta con acume le “voci” che esprimono i concetti 
                  cruciali da cui “muovere verso una genealogia del pensare 
                  libertario contemporaneo”. Sempre di Vaccaro, vanno segnalati 
                  altri due testi, il primo Anarchia e progettualità. 
                  Per l’autogoverno extra-istituzionale (Milano, 
                  Zero in condotta, 1996), nel quale le proposte autogestionarie 
                  sono pensate non come una realizzazione futura, ma come strumenti 
                  d’azione sociale, per vivere e trasformare l’immediato; 
                  il secondo, Anarchismo e modernità 
                  (Pisa, Bfs, 2004) rappresenta una complessa e approfondita sistematizzazione 
                  del rapporto fra il pensiero anarchico, tradizionale e innovativo 
                  al tempo stesso, e le sfide poste dal continuo mutare dei rapporti 
                  e delle dinamiche sociali. Sempre nel campo della filosofia 
                  politica si colloca il lavoro curato da Franco Riccio, Spazi 
                  eccentrici. Mappe del molteplice sociale (Pisa, 
                  Bfs, 2003) che raccoglie, tra gli altri, i saggi di Cardella, 
                  Castoriadis, Lucido e Riccio stesso.
 Sulla modernità del pensiero anarchico e sulla sua ininterrotta 
                  capacità di interpretare e intervenire nel presente, 
                  ricordo il testo dell’irlandese Séan M. Sheehan, 
                   Ripartire dall’anarchia. Attualità 
                  delle idee e delle pratiche libertarie (Milano, 
                  Elèuthera, 2004), una sorta di viaggio d’esplorazione 
                  che, partendo da Seattle, scopre le sensibilità libertarie 
                  che percorrono l’oggi senza soluzioni di continuità.
 
 Colin 
                  Ward  Sempre Elèuthera, nel 1996, ha ripubblicato un altro 
                  classico dell’anarchismo moderno, La pratica 
                  della libertà. Anarchia come organizzazione, 
                  di Colin Ward (la prima edizione risale al 1973), nel quale 
                  lo scrittore inglese, giocando sul paradosso, interpreta l’anarchia 
                  come efficace organizzazione sociale non solo sul piano ipotetico 
                  ma, anche e soprattutto, su quello fattuale. Per venire a uno 
                  dei nomi più conosciuti del pensiero libertario, segnalo 
                  il testo di Noam Chomsky forse più attinente con questa 
                  bibliografia, Anarchia e libertà 
                  (Roma, Datanews, 2003). In questa raccolta di saggi e interviste, 
                  il filo conduttore è l’analisi di quanto sia preminente 
                  il tema della libertà all’interno del pensiero 
                  e del movimento anarchico e come tale preminenza faccia dire 
                  a questo “guru” mondiale del pensiero radicale, 
                  di essere e sentirsi anarchico. Sempre di Chomsky, Alla corte di Re Artù 
                  e Illusioni necessarie (Milano, Elèuthera, 
                  2002 e 2003), altri due testi di questo “inguaribile guastafeste 
                  dell’intellighenzia americana”, critico sempre spiazzante 
                  dei luoghi comuni del potere.
 Infine, di Vittorio Giacopini, La comunità 
                  che non c’è. Paul Goodman, idee per i movimenti 
                  (Trento, Nonluoghilibere, 2003), sul pensiero di una delle più 
                  significative figure intellettuali del Nord America, già 
                  riferimento per i movimenti giovanili degli anni Sessanta.
 
  Né stato né chiesa
 Prendiamo ora in considerazione le materie più specifiche 
                  che hanno caratterizzato la riflessione e l’azione militante 
                  degli anarchici. Forse anche per una certa predisposizione personale, partirò 
                  dalle tematiche antireligiose e anticlericali, e dal rapporto 
                  conflittuale che il movimento anarchico ha sempre intrattenuto 
                  con le strutture chiesastiche e le sovrastrutture religiose. 
                  Come si vedrà, le edizioni siciliane de La Fiaccola si 
                  dimostrano particolarmente interessate a mantenere attuale la 
                  “lotta alla superstizione religiosa”.
 Lo dimostra la ristampa del vecchio e fortunatissimo testo di 
                  Nicola Simon Viaggio umoristico attraverso i dogmi 
                  e le religioni (Ragusa, 1996). È l’ennesima 
                  edizione di questo feroce e irriverente pamphlet francese dell’Ottocento, 
                  con il quale, in pieno positivismo e materialismo, si mettevano 
                  in ridicolo le credenze e le assurdità comuni a tutte 
                  le religioni. Di Walter Siri, le edizioni Sempre Avanti hanno 
                  pubblicato Senza dio senza padroni 
                  (Livorno, 1997), chiara ed efficace la prosa del compagno bolognese, 
                  fra gli animatori dei meeting anticlericali svoltisi recentemente 
                  in varie località italiane e attento critico dell’invadenza 
                  clericale e dei rapporti di potere fra capitale e Chiesa.
 Di Mimmo Franzinelli, studioso quotato in campo nazionale, Il 
                  clero del duce, il duce del clero. Il consenso ecclesiastico 
                  nelle lettere a Mussolini (1922-1945) (Ragusa, 
                  La Fiaccola, 1998), una interessante, sorprendente e a tratti 
                  divertente antologia della “corrispondenza”, sempre 
                  rispettosa e spesso affettuosa fra le gerarchie ecclesiastiche 
                  e il duce del fascismo, che da ateo, mangiapreti e anticlericale 
                  quale era, si trasformò, opportunisticamente, nell’ossequioso 
                  sacerdote del privilegiato rapporto fra Chiesa e potere.
 Sempre La Fiaccola, nel 1999, ha edito La Santa 
                  Inquisizione, di Maurizio Marchetti, dove l’autore, 
                  senza giri di parole, compila un’ordinata cronologia dei 
                  misfatti compiuti nei secoli da questa “santa” istituzione. 
                  “Reverendo, giù le mani!”. Clero e reati 
                  sessuali negli anni 30 e negli anni 90 è 
                  il titolo di un volume senza indicazione di autore, forse un 
                  po’ greve nel taglio e per certi aspetti datato, che resta 
                  comunque interessante nel testimoniare la continua benevolenza 
                  del potere verso i “crimini” sessuali sacerdotali, 
                  sia durante il fascismo sia in piena legalità repubblicana 
                  (Ragusa, La Fiaccola, 2000).
 
 La 
                  piovra vaticana vista da Giuseppe Scalarini  Del libro di Vittorio Giorgini, Le religioni plagiano 
                  (Ragusa, La Fiaccola, 2002) si può dire che l’apoditticità 
                  del titolo non ha bisogno di commenti. Originale è la 
                  riproposta di due testi di uno dei massimi poeti dell’Ottocento, 
                  l’inglese Percy B. Shelley, La necessità 
                  dell’ateismo. La mascherata dell’anarchia 
                  (Salorino, L’Affranchi, 2004), talmente radicali, nei 
                  loro contenuti rivoluzionari, da essere costati all’autore 
                  l’espulsione da Oxford, alla faccia della libertà 
                  d’espressione. Di tutt’altro taglio La 
                  piovra vaticana di Pippo Gurrieri (Ragusa, La 
                  Fiaccola, 2004). Editore da un trentennio del combattivo «Sicilia 
                  Libertaria» e da sempre propagandista efficace e convincente, 
                  l’autore non si è mai sottratto all’impegno, 
                  sia come militante sia come editore, di tenere accesa la “fiaccola” 
                  del pensiero libero e libertario contro i tentacoli onnipresenti 
                  della “piovra vaticana”. Per finire, lo studio quanto mai interessante e istruttivo di 
                  Emanuele Del Medico, All’estrema destra del 
                  padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale 
                  (Ragusa, La Fiaccola, 2004), un inquietante documento sulle 
                  connessioni, non solo ideologiche ma anche operative, tra il 
                  tradizionalismo cattolico e la destra radicale. Connessioni 
                  che si manifestano nella affermazione di valori che non tengono 
                  conto delle mutazioni culturali delle nostre società, 
                  ma anzi le rifiutano.
 
  Contro le camicie nere
 L’antifascismo è stato senz’altro uno degli 
                  aspetti più significativi e caratterizzanti, in certi 
                  momenti addirittura centrale, nell’azione e nella riflessione 
                  dell’anarchismo. In particolare in questo periodo, quando sembra affermarsi quel 
                  sottofenomeno definito “revisionismo storico”, che 
                  si propone di rivalutare il fascismo, per lo meno in molti dei 
                  suoi aspetti, è opportuno insistere con testi che facciano 
                  chiarezza sull’abissale distanza che separa il fascismo 
                  dalla pratica della libertà; e anche da parte nostra 
                  si contribuisce ad arginare questa tendenza alla rivalutazione 
                  della dittatura.
 Ecco dunque un classico di Camillo Berneri, Mussolini, 
                  psicologia di un dittatore (Pescara, Samizdat, 
                  2001). Impegnata a rimettere in circolazione gli introvabili 
                  classici anarchici, l’editrice abruzzese ha reso accessibile 
                  lo studio con il quale Berneri, documenti alla mano, diede conto 
                  della pochezza morale di Mussolini – il più grande 
                  statista del secolo, come ha avuto a dire Fini – surrogata 
                  solamente dalle sue grandi e volgari doti istrioniche e demagogiche. 
                  Sullo stesso piano, Mussolini, la maschera del dittatore, 
                  di Pier Carlo Masini (Pisa, Bfs, 1999), praticamente l’ultima 
                  fatica dell’autore. Riprendendo e completando il precedente 
                  lavoro di Berneri, ancora una volta Masini ha colto i tratti 
                  essenziali del suo oggetto di studio, smascherando e irridendo 
                  i tratti più paradossali e truffaldini di colui che arrivò 
                  a credersi il naturale erede di Giulio Cesare.
 Venendo a tempi recenti, e ai nuovi fascisti, va segnalato il 
                  libro di Alain Bihr, L’avvenire di un passato, 
                  l’estrema destra in Europa (Pisa, Bfs, 1997), 
                  nel quale si analizzano le molteplici forme in cui si manifesta 
                  il risorgere delle organizzazioni della destra europea, dal 
                  Front National di Le Pen ai numerosi movimenti xenofobi e sessuofobi. 
                  Di taglio simile il testo di Marco Rossi I fantasmi 
                  di Weimar, Origini e maschere della destra rivoluzionaria 
                  (Milano, Zero in condotta, 2001). Un lavoro di indagine e denuncia 
                  in cui l’autore, attento ed esperto studioso del fenomeno 
                  neofascista, mostra la varietà, a volte solo apparentemente 
                  contraddittoria, con cui si presenta e si manifesta il pensiero 
                  autoritario e oppressivo che chiamiamo comunemente fascismo.
 Marco Coglitore e Claudia Cernigoi, ne La memoria 
                  tradita. L’estrema destra da Salò a Forza Nuova 
                  (Milano, Zero in condotta 2002), compiono un lungo viaggio attraverso 
                  gli epigoni del più violento estremismo neofascista, 
                  fra coloro che in questi sessant’anni di repubblica hanno 
                  contribuito a rappresentare, con allarmante continuità, 
                  settori non secondari, ma a volte addirittura determinanti, 
                  della cultura reazionaria e tradizionalista italiana. A cura 
                  dell’Archivio Antifascista, è uscito Forza 
                  Nuova. I ragazzi venuti da Salò (Milano, 
                  Zero in condotta, 2003), un utile dossier di controinformazione 
                  sulla più aggressiva delle attuali formazioni della destra, 
                  frutto dell’ormai decennale attività di un gruppo 
                  di compagni dediti a studiare il fenomeno neofascista in Italia 
                  in tutte le sue forme.
 
  Signornò!
 E veniamo ora all’antimilitarismo, un altro dei temi 
                  forti, sul quale non è mai mancato l’originale 
                  contributo dell’anarchismo. Il primo testo da cui partire 
                  è Di fronte alla guerra. L’obiezione 
                  presentata al Tribunale militare di Losanna nel 1940 
                  di Lucien Tronchet (Lugano, La Baronata, 1996), sul rifiuto 
                  di due antimilitaristi svizzeri di indossare la divisa; oltre 
                  ad essere condannati a parecchi mesi di prigione, essi furono 
                  trattati da vigliacchi e traditori, proprio quando il loro gesto, 
                  in piena guerra, mostrava un grande coraggio civile.  
  Restando nell’ambito della difficile arte dell’obiezione 
                  al servizio militare, l’Archiviu-Bibrioteka Tomaso Serra 
                  di Guasila ha pubblicato, nel 1997, L’obiezione 
                  di coscienza anarchica in Italia di Piero Ferrua. 
                  È il primo volume (siamo in attesa del secondo) dedicato 
                  alle complesse vicende dell’obiezione, dagli anni pionieristici 
                  dopo la guerra, fino agli anni Novanta. L’autore fu protagonista 
                  di una delle prime dichiarazioni di rifiuto, e pertanto questa 
                  è una storia-cronaca descritta dall’interno: un 
                  documento che mostra come i giovani anarchici siano stati i 
                  precursori di un atto che avrebbe visto una “esplosione 
                  demografica” solo nei politicizzatissimi anni Settanta. 
                  A cura della Assemblea Antimilitarista e Antiautoritaria, è 
                  uscito l’opuscolo Per un futuro senza eserciti 
                  (s.l. [ma: Carrara], A.A.A., 2004). Si tratta del lavoro collettivo 
                  di una rete di gruppi e individui attivi sul territorio nella 
                  critica radicale ad ogni forma di autoritarismo, che si propone 
                  come utile strumento di analisi e di lavoro per una sana pratica 
                  antimilitarista. Antimilitarismo è anche guerra alla 
                  guerra, ed è quanto propone Peter Schrembs, nel suo La 
                  pace possibile (Lugano, La Baronata, 2004). L’autore, 
                  sull’onda dell’invasione americana in Irak, riflette 
                  sulle possibilità di dare sistematicità alle potenzialità 
                  offerte dall’antimilitarismo e dall’antiautoritarismo 
                  propri del pensiero anarchico.
 Tornando indietro nel tempo, segnalo la prima edizione italiana 
                  del libro straordinario di Ernst Friedrich, Guerra 
                  alla guerra. 1914-1918. Scene di orrore quotidiano 
                  (Milano, Mondadori, 2004), un testo che rappresenta uno dei 
                  più impressionanti e agghiaccianti manifesti antimilitaristi, 
                  come volle che fosse, nel lontano 1924, il suo autore, un ex 
                  soldato anarchico testimone, suo malgrado, degli orrori della 
                  Grande guerra. Le numerose foto che mostrano morti e orribili 
                  mutilazioni sono di una tale crudezza da denunciare gli orrori 
                  della guerra e del militarismo più di qualsiasi parola.
 
 Maria 
                  Luisa Berneri  Termino l’argomento antimilitarista citando, di Marie 
                  Louise Berneri e Vera Brittain, Il seme del Caos. 
                  Scritti sui bombardamenti di massa (1939-1945) 
                  (Santa Maria Capua Vetere, Spartaco, 2004). Nella Londra martoriata 
                  dalle V-2 tedesche si levò la voce ostinatamente antimilitarista 
                  e nonviolenta di queste due donne dai percorsi differenti ma 
                  che, dalle pagine di «War Commentary» e di innumerevoli 
                  opuscoli, trovarono una profonda assonanza nella denuncia, politica 
                  e morale, della bestialità bellica che stava distruggendo 
                  l’Europa.  
  Astensionismo e federalismo
 Astensionismo e federalismo sono temi quanto mai cari agli 
                  anarchici, ma il fatto che siano ormai profondamente sedimentati 
                  nel loro sentire spiega come mai in questi anni la nostra editoria 
                  se ne sia curata poco. Sull’astensionismo segnalo, di Massimo Varengo, Astensione. 
                  Arma rivoluzionaria contro governo e parlamento 
                  (Livorno, Sempre Avanti, 1994). L’autore, consapevole 
                  dell’importanza ricoperta dalla pratica astensionista, 
                  affronta, con competenza “militante”, aspetti e 
                  conseguenze del rifiuto della delega, integrando il suo saggio 
                  con una ricca appendice documentaria. Sul federalismo segnalo 
                  una sorta di piccolo manuale ad opera di Gigi Di Lembo, Il 
                  federalismo libertario e anarchico in Italia dal Risorgimento 
                  alla Seconda guerra mondiale (Livorno, Sempre 
                  Avanti, 1994).
 
  Per chi non avesse ancora chiara la differenza abissale che 
                  intercorre fra il federalismo escludente di bassa lega e quello 
                  ugualitario e solidale dell’anarchismo, figlio di Cattaneo 
                  e Pisacane, questa lettura si rende davvero indispensabile. 
                  Restando in tema di federalismo e Lega Nord, segnalo, di Maria 
                  Matteo, Marco Rossi e Cosimo Scarinzi, Le armi della 
                  Lega. Razzismo, xenofobia e populismo in Val Padana 
                  (Livorno, Sempre Avanti, 1998). Uscito quasi un decennio fa, 
                  il testo conserva ancora la sua attualità per la chiarezza 
                  e l’efficacia con cui denuncia l’estremismo razzista 
                  dei “padani”, sostanziale puntello di quel potere 
                  statale che questi beceri individui affermano, invece, di voler 
                  combattere.  
  Sindacalismo rivoluzionario
 E veniamo ora al sindacalismo, al mondo del lavoro e alla necessità 
                  di costruire un’organizzazione orizzontale e non verticistica 
                  con i lavoratori più coscienti. Il movimento anarchico 
                  ha sempre marciato a fianco degli sfruttati, nella consapevolezza 
                  che l’eliminazione dello sfruttamento è premessa 
                  indispensabile e necessaria per realizzare una società 
                  liberata. Ecco allora il significativo Il sindacalismo 
                  autogestionario. L’Usi dalle origini ad oggi, 
                  di Gianfranco Careri (Roma, Unione Sindacale Italiana, 1991), 
                  che ricostruisce la storia dell’Unione Sindacale Italiana, 
                  il sindacato anarchico autogestito che ha vissuto, soprattutto 
                  nel primo dopoguerra, una stagione di grandi lotte, consensi 
                  e successi. L’autore, per anni segretario generale di 
                  questo sindacato, ma anche militante di base, offre una rara 
                  testimonianza specifica su una delle organizzazioni più 
                  interessanti del panorama libertario. Di Maurizio Antonioli, 
                  il più competente storico dei movimenti sindacali, va 
                  ricordato Azione diretta e organizzazione operaia. 
                  Sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell’Ottocento 
                  e il fascismo (Manduria, Lacaita, 1990), dove 
                  si affrontano gli intensi e continui rapporti intercorsi fra 
                  avanguardie sindacali e movimento anarchico, a smentita del 
                  vieto luogo comune sull’individualismo e sul presunto 
                  disinteresse degli anarchici per la lotta di classe e sindacale. 
                 
 Roma, 
                  10-13 marzo 1922 – Il 4° congresso dell’Unione 
                  Sindacale Italiana  Le edizioni Zero in Condotta hanno poi pubblicato i vecchi 
                  ma sempre interessanti articoli che Alibrando Giovannetti scriveva 
                  sul giornale americano «Il Proletario» negli anni 
                  Venti. Il sindacalismo rivoluzionario in Italia. 
                  L’azione diretta, le lotte e le conquiste proletarie 
                  (Milano, 2004) offre la puntigliosa ricostruzione degli avvenimenti 
                  legati alla “rivoluzione mancata” del primo dopoguerra, 
                  consentendo una riflessione quanto mai attuale sulle strategie 
                  di lotta dei movimenti sindacali e rivoluzionari.  
  Una scelta ecologista
 Anche nel campo ecologista e dello sviluppo urbano sostenibile, 
                  non mancano interessanti contributi, stimolati soprattutto dalla 
                  linea editoriale scelta da Elèuthera. Attenta a queste tematiche, l’editrice ha creato una vera 
                  e propria collana saggistica, con caratteristiche di alta qualità 
                  scientifica e di facile fruibilità, anche per i non addetti 
                  ai lavori. Innanzitutto va segnalata la seconda edizione di 
                  uno dei “testi sacri” di Murray Bookchin, Democrazia 
                  diretta. Idee per un municipalismo libertario 
                  (Milano, Elèuthera, 2000), ispiratore di quel concetto 
                  di cittadinanza, intesa come “partecipazione attiva e 
                  diretta dei cittadini alla politica”, che ha stimolato 
                  la riflessione e l’azione del movimento anarchico in questi 
                  ultimi anni.
  Murray Bookchin
  Di Franco Bunçuga sono le Conversazioni 
                  con Giancarlo De Carlo. Architettura e libertà 
                  (Milano, Elèuthera, 2000), la penetrante testimonianza 
                  lasciataci dal grande urbanista da poco scomparso, attento intellettuale 
                  libertario vicino al movimento nel secondo dopoguerra, che ha 
                  sempre improntato il suo lavoro alla realizzazione di progetti 
                  di forte impegno sociale. Colin Ward, in Acqua e 
                  comunità. Crisi idrica e responsabilità sociale 
                  (Milano, Elèuthera, 2003), affronta uno fra i problemi 
                  più drammatici del prossimo futuro, quello della conclamata 
                  scarsità delle risorse idriche. Drammatico per le politiche 
                  di rapina e di sconsiderato sfruttamento praticate ovunque dai 
                  poteri che condizionano i destini del mondo, il problema potrebbe 
                  trovare risposte razionali e praticabili nelle semplici soluzioni 
                  prospettate dallo studioso anglosassone.   Giancarlo 
                  De Carlo
  Sempre a testimonianza dell’attenzione con la quale 
                  Elèuthera segue queste tematiche, è stato pubblicato, 
                  nel 2003,  La città imprevista. Il dissenso 
                  nell’uso dello spazio urbano, di Paolo Cottino, 
                  un giovane esperto di pianificazione del territorio, che contribuisce, 
                  con questo tassello, all’illustrazione di un’ipotesi 
                  di migliore vivibilità quotidiana non utopistica ma realizzabile 
                  e supportata da esempi concreti. Della stessa casa editrice, 
                   Progettare per abitare (Milano, 2003), 
                  di Adriano Paolella, al quale si deve inoltre Abitare 
                  i luoghi (Pisa, Bfs, 2004).  
  Pedagogia libertaria
 “Lasciate che i bambini vengano a me” disse chi 
                  era consapevole del valore dell’educazione nella formazione 
                  delle coscienze degli adulti. Anche per bilanciare e contrastare 
                  gli strumenti educativi autoritari e coercitivi del potere, 
                  gli anarchici hanno posto particolare attenzione al problema 
                  educativo, cercando strade che portassero alla formazione di 
                  coscienze libere e consapevoli. Della grande ricchezza e varietà delle esperienze pedagogiche 
                  promosse dagli anarchici, e dell’importanza che è 
                  sempre stata attribuita all’insegnamento, inteso come 
                  formazione libera e libertaria del fanciullo, tratta Francesco 
                  Codello nel suo recente La buona educazione. Esperienze 
                  libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill 
                  (Milano, Angeli, 2005): un ricco e documentato studio sulle 
                  esperienze educative che hanno visto all’opera pensatori 
                  e maestri libertari e che mostra i tentativi, a volte falliti 
                  ma sempre generosi e intelligenti, di sottrarre l’educazione 
                  dei giovani alla chiesa e allo Stato.
 
 Francisco 
                  Ferrer  Dell’esperienza forse più famosa, anche per la 
                  drammatica sorte del suo promotore, tratta Giuliana Iurlano 
                  in Da Barcellona a Stelton. Ferrer e il Movimento 
                  delle Scuole Moderne in Spagna e negli Stati Uniti 
                  (Milano, M&B, 2000), un importante studio su Francisco Ferrer, 
                  sulla formulazione della sua teoria e della sua pratica pedagogica, 
                  profondamente innovativa rispetto ai tempi e caratterizzata 
                  da fortissime tensioni razionaliste e libertarie. Talmente libertarie 
                  da causare la morte per fucilazione del suo protagonista – 
                  fortemente voluta dai preti – nella Spagna del 1911. Di un altro grande pedagogista libertario scrive Sabrina Pulvirenti 
                  in Paul Robin (Catania, Coop. Univ. 
                  Editrice Catanese di Magistero, 1999), un testo interessante 
                  non solo perché ricostruisce l’esistenza di un 
                  personaggio centrale nell’esperienza pedagogica libertaria, 
                  ma anche perché è l’unico pubblicato in 
                  Italia su questo personaggio vissuto a cavallo fra Ottocento 
                  e Novecento, molto noto e apprezzato in Francia.
 Elèuthera ha ricordato Lamberto Borghi, il più 
                  grande pedagogista italiano, pubblicando nel 2000 La 
                  città e la scuola, un’antologia di 
                  testi fondamentali usciti sulla rivista «Scuola e città» 
                  dai primi anni ’50 fino agli anni ’90, curata da 
                  Goffredo Fofi, a cui si deve anche la prefazione.
 Va poi segnalato, di Rino Ermini, Per una pedagogia 
                  libertaria (Livorno, Sempre Avanti, 1998), un 
                  breve studio sulla possibilità di dare un senso libertario 
                  e di trasformazione radicale all’insegnamento, una proposta 
                  e un’ipotesi indirizzate al sensibile e attento mondo 
                  degli insegnanti e un invito a infondere contenuti rivoluzionari 
                  anche dietro l’apparenza della normalità. Infine, 
                  di Filippo Trasatti, Lessico minimo di pedagogia 
                  libertaria (Milano, Elèuthera, 2004), nel 
                  quale l’autore offre una prospettiva di lettura delle 
                  idee-forza dell’educazione libertaria per come si sono 
                  espresse negli anni. Passando dalla teoria alla pratica, va 
                  segnalato Gli anarchici di Clivio e la Scuola moderna 
                  razionalista, a cura di Amerigo Sassi (Varese, 
                  Macchione, 1998), testo che ripercorre, anche con l’aiuto 
                  di numerose fotografie, la storia di una delle più originali 
                  esperienze pedagogiche messe in atto agli inizi del Novecento 
                  dagli anarchici: in questo caso, significativamente, nel bianco 
                  Varesotto.
 
  Per una critica radicale
 Veniamo, ora, alla critica radicale della società e 
                  alla prospettiva di una trasformazione profonda, in grado di 
                  coniugare le tensioni utopistiche del pensiero libertario con 
                  prospettive oggettivamente praticabili. Curata da Salvo Vaccaro 
                  nel 1999, Elèuthera propone Il pianeta unico. 
                  Processi di globalizzazione, una raccolta di testi 
                  sul processo di globalizzazione apparentemente inarrestabile, 
                  rispetto al quale, però, gli autori contrappongono l’idea 
                  che questo sia ancora in divenire e che, pertanto, sia possibile 
                  creare spazi alternativi e liberati. Sempre in contrapposizione 
                  all’idea che “questo” progresso sia ineluttabile, 
                  interviene più volte John Zerzan, sia con Ammazzare 
                  il tempo, sia con Futuro primitivo 
                  (Torino, Nautilus, 1995 e 2001). Si tratta di due testi esemplari 
                  di questo originale teorico del primitivismo, molto seguito 
                  negli Usa, che prospetta una società “altra”, 
                  nella quale sia abolito lo scambio a favore del dono e del gioco, 
                  dove sia possibile emanciparsi dalla tecnocrazia, e dove la 
                  liberazione dallo sfruttamento coincida con l’esaltazione 
                  della creatività degli individui. Sotto lo pseudonimo 
                  di Odoteo e Crisso, è stato pubblicato Barbari. 
                  L’insorgenza disordinata (Pont St. Martin, 
                  NN, 2002). Gli autori, critici delle argomentazioni pseudo-rivoluzionarie 
                  oggi a là page e attenti alle loro implicazioni, 
                  propongono questo efficace e irriverente ribaltamento libertario 
                  dell’ultimo best seller di Toni Negri, Impero, 
                  rilevando la sottile ambiguità del teorico della “moltitudine” 
                  e l’altrettanto sottile esaltazione del capitalismo e 
                  del suo ruolo. Per finire citiamo, di David Goodway, Conversazioni 
                  con Colin Ward. Lo sguardo anarchico (Milano, 
                  Elèuthera, 2003), una sorta di libro-intervista nel quale 
                  l’autore, docente di storia sociale all’università 
                  di Leeds, evidenzia nell’anarchismo anglosassone di Colin 
                  Ward, insegnante, pubblicista e filosofo, la peculiare espressione 
                  dell’anarchismo pragmatico di un osservatore attento a 
                  cogliere “il seme dell’anarchia reale” nelle 
                  cose che vengono fatte e nel modo in cui vengono fatte.
 
  Sebben che siamo donne
 Termino questo excursus sulle tematiche dell’anarchismo 
                  segnalando i testi usciti in quest’ultimo decennio, dedicati 
                  ad approfondire la conoscenza del ruolo femminile nel movimento 
                  libertario, sia come presenza militante sia come apporto di 
                  idee.  
 Emma 
                  Goldman  Due sono le biografie al femminile uscite in questi anni. 
                  La prima è di Emma Goldman, Vivendo la mia 
                  vita, di cui Zero in condotta ha pubblicato, nel 
                  1993, il quarto e ultimo volume (dopo i tre usciti per La Salamandra 
                  negli anni Settanta). Da questa straordinaria autobiografia 
                  dell’anarchica russo-americana di origine ebrea esce un 
                  quadro suggestivo, non solo delle vicende dell’autrice, 
                  ma anche degli avvenimenti più importanti della prima 
                  metà del Novecento dei quali “red Emma” fu 
                  protagonista. Rudolf Rocker è autore di Zensl 
                  Elfinger Mühsam. Una libertaria in lotta contro i totalitarismi 
                  (Ragusa, La Fiaccola, 2002), in cui narra la drammatica parabola 
                  di vita di questa limpida militante libertaria, compagna di 
                  Erich Mühsam ucciso in un lager nazista, e lei stessa drammaticamente 
                  passata per i gulag sovietici, a dimostrazione di quanto sia 
                  stata irriducibile l’etica anarchica rispetto ai totalitarismi 
                  che insanguinarono il secolo passato. Spartaco ha poi pubblicato, 
                  di Mary Wollstonecraft,  Tempo di rivoluzioni. Sui 
                  diritti degli uomini e delle donne (Santa Maria 
                  Capua Vetere, 2004), con una bella introduzione della Goldman 
                  sul pensiero di questa antesignana del femminismo, moglie di 
                  William Godwin e vissuta ai tempi della Rivoluzione francese. 
                 
 Il 
                  calvario dell’anarchico ebreo tedesco Erich Mühsam 
                  in un disegno di George Grosz  Di tutt’altro tenore, ma sempre legato alle tematiche 
                  femminili, è il testo di Chiara Gazzola e Laura Siddi, 
                   Il desiderio, il controllo e l’eresia. Approcci 
                  critici alla bioetica (Ragusa, La Fiaccola, 2003). 
                  Scritto a quattro mani, ma frutto di un ricco dibattito tutto 
                  fra donne, svoltosi al 18° meeting anticlericale, il saggio 
                  offre un’inedita e interessante possibilità di 
                  confronto con quanto il pensiero anarchico può dire su 
                  problemi quali la bioetica, la fecondazione assistita e la sperimentazione 
                  dei farmaci su donne e bambini.  
  Al cinema
 Se, come visto, non sono poche le opere relative agli aspetti 
                  politici e militanti dell’anarchismo, altrettante sono 
                  quelle che fanno riferimento alle frequenti e felici “contaminazioni” 
                  con il mondo della cultura. E non c’è alcun ambito 
                  artistico che non registri lavori interessanti e innovativi. 
                  Iniziando dal cinema, da segnalare sono soprattutto i lavori 
                  di Pino Bertelli, critico anticonformista dal forte afflato 
                  libertario. Luis Buñuel il fascino discreto 
                  dell’anarchia (Pisa, BFS, 1996) traccia 
                  un profilo della vita e dell’opera di questo grande regista 
                  spagnolo, tanto surrealista sul piano dell’estetica quanto 
                  sovversivo su quello dell’impegno politico; Cinema 
                  e anarchia. Nell’età della falsificazione e del 
                  conformismo sociale (1992-1998) (Ragusa, La Fiaccola, 
                  1998) raccoglie una serie di scritti e recensioni apparsi su 
                  varie testate; e infine Glauber Rocha. Cinema in 
                  utopia. Dall’estetica della fame all’estetica della 
                  libertà (Ragusa, La Fiaccola, 2002) è 
                  un interessante lavoro sul regista brasiliano e sulla grande 
                  tradizione “innovativa” del Cinema Novo del paese 
                  sudamericano. Da citare, infine, Il cinema libera 
                  la testa. Elogio della ribellione nella macchina/cinema, 
                  di Fratel Luther Blissett (Ragusa, La Fiaccola, 2004). Arricchito 
                  dalla prefazione di Guy Debord e dall’introduzione di 
                  Raoul Vaneigem, è un trattato sulla ribellione libertaria 
                  nella storia del cinema, con particolare attenzione alle opere 
                  di Vigo, Buñuel, Rocha, Truffaut e Pasolini.
 
  Arti figurative
 Nel campo delle arti figurative, ricordo lo studio di Eva Civolani, 
                   La sovversione estetica. Arte e pensiero libertario 
                  tra Ottocento e Novecento (Milano, Elèuthera, 
                  2000), dove sono messi in luce i numerosi e felici momenti di 
                  contatto tra le correnti artistiche più sovversive, dal 
                  dadaismo al simbolismo, dal futurismo al surrealismo, e la “forma 
                  più estrema di sovversione sociale”, l’anarchismo. 
                  Curato sempre da Eva Civolani e da Antonietta Gabellini è 
                  Mio caro Lucien. Lettere al figlio su arte e anarchia 
                  di Camille Pissarro (Milano, Elèuthera, 
                  1998), che raccoglie la copiosa corrispondenza intercorsa fra 
                  il grande pittore impressionista e il figlio, ricca di riferimenti 
                  non solo ai problemi legati all’estetica pittorica, ma 
                  anche ai grandi temi politici e sociali a cui partecipò 
                  Pissarro, come dimostra la collaborazione a numerose pubblicazioni 
                  libertarie e la splendida raccolta di disegni Turpitudes 
                  Sociales.
 Ricco di spunti è Baj Bakunin, Ascona. Atti 
                  del convegno 1996 (Lugano, La Baronata, 2000), 
                  testo che raccoglie gli atti di un convegno interessante e per 
                  tutti i gusti, che si tenne in Svizzera in occasione dell’inaugurazione 
                  dello “smonumento” a Bakunin, e si svolse nel solco 
                  della migliore tradizione patafisica di cui il pittore milanese 
                  era maestro.
 
 Cacacazzo, 
                  personaggio realizzato da Enrico Baj  Ancora di Baj e Paul Virilio, Discorso sull’orrore 
                  dell’arte (Milano, Elèuthera, 2002), 
                  stimolante confronto e dialogo fra l’artista e l’urbanista 
                  francese, che vede i due interrogarsi reciprocamente sulla percezione 
                  dell’arte e dei luoghi che la ospitano e la espongono. 
                  Nel 2000, per le edizioni del Centro Internazionale della Grafica 
                  di Venezia, è apparso un curioso opuscolo di Alberto 
                  Ciampi, Forma e forme. I colori dell’anarchia 
                  nelle pubblicazioni periodiche, dove l’autore, 
                  indagando sulle forme artistiche coniugate all’anarchia, 
                  analizza l’uso del colore, e i suoi significati non detti, 
                  nelle pubblicazioni anarchiche. Per finire con le arti figurative in senso lato, veniamo a un 
                  testo più propriamente militante, quello curato da Massimiliano 
                  Giorgi, Gli anarchici non archiviano 
                  (Carrara, Germinal, 2002). Si tratta del catalogo dei manifesti 
                  conservati presso il Circolo Culturale Anarchico di Carrara, 
                  molti dei quali stampati dalla Cooperativa Tipolitografica ed 
                  esposti nella mostra tenutasi nella città del marmo. 
                  Una cavalcata sorprendente e stimolante lungo trent’anni 
                  di comunicazione “gridata” dai muri italiani, che 
                  consente di cogliere con immediatezza i modi e i settori d’intervento 
                  degli anarchici.
 
  A teatro
 In campo teatrale, cominciamo con Dal cabaret alle 
                  barricate (Milano, Elèuthera, 1999), una 
                  antologia dei feroci testi satirici di Erich Mühsam, il 
                  geniale intellettuale ebreo tedesco impegnato nella lotta contro 
                  il totalitarismo nazista, torturato e ucciso in uno dei primi 
                  campi di concentramento tedeschi nei quali Hitler rinchiuse 
                  i suoi oppositori politici. Un testo sorprendente e coinvolgente, 
                  capace di attrarre il lettore per il suo irriverente anticonformismo. 
                 
 Judith 
                  Malina  Venendo ai nostri giorni, ricordo, di Cristina Valenti, Intervista 
                  con Judith Malina. L’arte, l’anarchia, il Living 
                  Theatre (Milano, Elèuthera, 1995) la lunga 
                  e intensa conversazione fra la studiosa di teatro e una delle 
                  massime icone del teatro rivoluzionario del Novecento. Attraverso 
                  il dialogo fra le due donne, appassionato e ricco di momenti 
                  emozionanti, si ricompone la storia di una delle più 
                  importanti avventure artistiche e intellettuali del Novecento, 
                  quella del Living Theatre, sempre a cavallo fra la provocazione 
                  artistica e il forte impegno sociale e non violento. Non su, ma di Judith Malina, Love and politics 
                  (Roma, Stampa Alternativa, 1998), un Millelire curato da Cristina 
                  Valenti che raccoglie alcune delle più belle poesie della 
                  fondatrice, con Julian Beck, del mitico Living Theatre, tenacemente 
                  ispirate al progetto di costruzione della Bella Rivoluzione 
                  Anarchica Non Violenta. Sul Living Theatre, da segnalare Quattro 
                  spettacoli del Living Theatre (Lecce, Manni, 2000), 
                  un testo bilingue che raccoglie gli ultimi lavori del regista 
                  e drammaturgo Hanon Reznikov, tra cui Il Metodo Zero 
                  e Anarchia.
  Julian Beck
  Si parla ancora di Living Theatre, ma anche di Gori, Brecht 
                  e Peter Brook, in Maschera e rivoluzione. Visioni 
                  di un teatro di ricerca, a cura di Fernando Mastropasqua 
                  (Pisa, Bfs, 1999), testo che ospita i saggi di vari studiosi 
                  interessati alle numerose esperienze “rivoluzionarie” 
                  espresse in campo teatrale.  
  Musica e canti
 Dal teatro alla musica, quella popolare e militante delle canzoni 
                  di lotta, e quella dei colti e sofisticati cantautori dalla 
                  impronta libertaria. Iniziamo con Il canto anarchico 
                  in Italia nell’ottocento e nel novecento 
                  di Santo Catanuto e Franco Schirone (Milano, Zero in condotta, 
                  2001), frutto della tenace e lunga ricerca condotta dai due 
                  compagni della Federazione Anarchica Milanese, che vede raccolti, 
                  per la prima volta e in modo pressoché completo, tutti 
                  i testi e quasi tutte le partiture delle canzoni, delle strofe, 
                  dei brani musicali della tradizione anarchica e libertaria, 
                  dalle origini ottocentesche fino a oggi. Ogni pezzo è 
                  opportunamente accompagnato da un apparato documentario, mentre 
                  l’introduzione illustra metodi e finalità della 
                  ricerca. Praticamente in sedicesimo, rispetto al precedente, 
                  è il Nuovo canzoniere dei ribelli 
                  di Donato Landini (Livorno, Sempre avanti, 1996), un’antologia 
                  ragionata, anche dal punto di vista musicale, di alcuni dei 
                  testi più famosi della tradizione libertaria. Nel cuore della bestia. Storie personali nel mondo 
                  della musica bastarda (Milano, Zero in condotta, 
                  1996) è opera di un artista, Stefano Giaccone, e di un 
                  conoscitore della “musica bastarda” senza uguali, 
                  Marco Pandin, ai quali si deve un’intelligente raccolta 
                  dei materiali prodotti dal variegato e affollatissimo universo 
                  delle autoproduzioni, sempre vicino, per tematiche e comportamenti, 
                  a quello libertario.
 
 Fabrizio 
                  De André  Dicevamo dei cantanti autori dalla spiccata sensibilità 
                  libertaria. Su Fabrizio De André segnalo, in questa bibliografia, 
                  solo De André e Napoli. Storia d’amore 
                  e d’anarchia di Federico Vacalebre (Milano, 
                  Sperling & Kupfer, 2002) e Gli occhi della memoria 
                  di Romano Giuffrida (Milano, Elèuthera, 2002) perché, 
                  fra i tanti titoli usciti dopo la sua morte, evidenziano più 
                  di altri l’impronta fortemente libera e libertaria dell’ispirazione 
                  artistica del cantautore. Di Mauro Macario sono i saggi dedicati 
                  a Leo Ferrè, l’arte della rivolta 
                  (Milano, Selene, 2003), un piacevole testo in cui si colgono 
                  l’amore e l’ammirazione per il grande poeta e chansonnier 
                  anarchico che ha composto alcune delle nostre canzoni-poesie 
                  più belle di questi decenni, e Il cantore 
                  dell’immaginario (Milano, Elèuthera 
                  2000), che vede raccolte alcune delle sue opere più significative. 
                 
 Leo 
                  Ferré (a sinistra) e George Brassens 
  Letteratura
 Veniamo ora all’ambito letterario, il più frequentato 
                  dagli autori che hanno trovato nelle storie degli anarchici 
                  e dell’anarchia un’evidente fonte d’ispirazione. 
                  Sono parecchi i testi da segnalare, per cui la cosa migliore 
                  è procedere in ordine cronologico. Iniziamo con Luigi Regoli anarchico 
                  di Angelo Toninelli (Firenze, Shakespeare and Company, 1995), 
                  un romanzo molto bello, ambientato nella Maremma selvaggia e 
                  nell’industrializzata Piombino agli inizi del ’900, 
                  in cui emergono i caratteri degli spiriti ribelli e sognatori 
                  del secolo scorso. Una storia d’amore e di lotta contro 
                  i fascisti che vede impegnato un intero paese, temprato nelle 
                  lotte di fabbrica delle acciaierie piombinesi, giunto all’anarchia 
                  sulle “alate” parole di Pietro Gori, deciso a conservare 
                  la sua anima proletaria e libertaria senza cedere alla violenza 
                  e alla reazione.
 Trattando di anarchismo e letteratura, centrale è l’opera 
                  di Paco Ignatio Taibo II, che in Rivoluzionario 
                  di passaggio (Milano, Tropea, 1996) tratteggia 
                  la straordinaria figura di un irriducibile rivoluzionario spagnolo 
                  che, nel Messico degli anni ’20, incarna, con il rifiuto 
                  di normalizzare la propria vita, l’essenza di quello spirito 
                  libero e ribelle caro a tanti compagni di ieri e di oggi.
 Restando in Sud America, ricordo Un caffè 
                  molto dolce di Maria Luisa Magagnali (Torino, 
                  Bollati Boringhieri, 1996), che rievoca le vicende di Severino 
                  Di Giovanni, uno dei personaggi più controversi dell’anarchismo 
                  argentino. La sua vita avventurosa, fatta di azioni quasi sempre 
                  ai limiti o fuori della legalità e finita tragicamente, 
                  è anche quella di un anarchico a tutto tondo, che dette 
                  tutto di sé per la causa, vivendo anche un’appassionata 
                  storia d’amore con una giovanissima compagna.
 Il francese Michel Ragon è autore de La memoria 
                  dei vinti (Milano, I nostri, 1997), un complesso 
                  romanzo che ripercorre la storia dell’anarchismo, dalla 
                  Banda Bonnot alla guerra di Spagna, da Kronstadt al Sessantotto, 
                  mescolando personaggi reali e figure di fantasia, e costruendo 
                  tanto il ritratto di un’epoca quanto un’intensa 
                  storia sentimentale.
 Restiamo in Francia con Il grido del popolo 
                  di Jean Vautrin (Milano, Frassinelli, 2001). Premio Goncourt, 
                  Legion d’Onore, giallista di fama, Vautrin, al suo primo 
                  romanzo tradotto in italiano, ci porta ai tempi della gloriosa 
                  Comune del 1871, con una trama avvincente a mezza via tra le 
                  forti tinte del feuilleton ottocentesco e la denuncia sociale 
                  delle miserie del proletariato insorto.
  Pino Cacucci
  Poi ci sono i Ribelli! 
                  di Pino Cacucci (Milano, Feltrinelli, 2001): Sacco e Vanzetti, 
                  Secondari, Marius Jacob, Sabaté e tante altre figure 
                  quasi leggendarie accomunate dall’inesauribile amore per 
                  una vita libera e ribelle. Tornando in patria, esclameremo, con Toni Iero, Forza, 
                  Italia! 2001-2005 una nazione alla deriva in un mondo in tempesta 
                  (Milano, Zero in condotta, 2002). Un racconto avvincente, composto 
                  nel solco della migliore tradizione della fantapolitica libertaria, 
                  con la prefigurazione delle future scadenze sociali, economiche 
                  e politiche che ci attendono – ma speriamo di no – 
                  nei prossimi anni. Un altro romanzo curioso, a tratti onirico 
                  e surreale, è Zero maggio a Palermo 
                  di Fulvio Abbate (Milano, Baldini & Castoldi, 2003). L’autore 
                  torna alle sue esperienze giovanili, vissute dentro i movimenti 
                  della Palermo sessantottesca, una città attraversata 
                  da pulsioni libertarie e da sette metafisici Salvatori anarchici, 
                  una città magica e affascinante nella quale tutto appare 
                  finalmente possibile.
 Il secondo romanzo di ispirazione anarchica di Angelo Toninelli, 
                  scrittore decisamente innamorato dell’anarchia e delle 
                  sue coinvolgenti storie, è Un sogno d’amore 
                  (Pisa, Ets, 2003). In una popolana Firenze ottocentesca si incontra 
                  una folla di personaggi, storici e di fantasia, impegnati nella 
                  costruzione dell’Internazionale e convinti assertori della 
                  necessità di un’organizzazione sociale che crei 
                  le premesse dell’emancipazione. Il racconto delle tribolazioni, 
                  ma anche degli entusiasmi dei primi militanti proletari.
 Di tutt’altro tenore, ma non meno avvincente, Itala 
                  scola. I delitti di una scuola azienda (Milano, 
                  Zero in condotta, 2004), un vero e proprio thriller di Dario 
                  Molino, insegnante e militante del sindacalismo di base. Un 
                  racconto dove gli elementi tipici del noir si mescolano, con 
                  feroce ironia, ai problemi pressanti che affondano, giorno dopo 
                  giorno, una scuola sempre meno scuola e sempre più azienda. 
                   Il dolore perfetto (Milano, Mondadori, 
                  2004), che è valso a Ugo Riccarelli il Premio Strega 
                  2004, è un bellissimo romanzo che narra la saga struggente 
                  ed eroica di una famiglia e di un’intera generazione di 
                  anarchici, trascorsa fra la poesia del padule maremmano. Nella 
                  drammaticità di vite sconvolte dalla violenza del potere, 
                  solo la solidarietà fra emarginati riesce a lenire e 
                  a rendere superabili le dolorose difficoltà della vita.
 Di Franco Bernini è uscito La prima volta 
                  (Torino, Einaudi, 2005), curioso ma non straordinario romanzo 
                  ambientato nel 1898, nel quale si intrecciano rocambolescamente 
                  le vicende del primo campionato di calcio, quelle dei moti milanesi 
                  soppressi nel sangue da Bava Beccaris e le mene attentatrici 
                  di improbabili anarchici idealisti e di cinici anarchici ancora 
                  più inverosimili.
 
 Gianna Manzini  Saluto anche con piacere la ristampa del Ritratto 
                  in piedi di Gianna Manzini (Pistoia, Libreria 
                  dell’Orso, 2005). Era, infatti, ormai introvabile questo 
                  libro – senz’altro una delle più belle opere 
                  letterarie dedicate a figure anarchiche – nel quale la 
                  famosa scrittrice tratteggia la splendida ed amata figura del 
                  padre, anarchico pistoiese, amico di Gori e Malatesta, che mai 
                  si piegò di fronte alle avversità famigliari e 
                  politiche. Termino questa “rassegna letteraria” con l’ultimo 
                  nato, Lo zio anarchico di Pier Francesco 
                  Gasparetto (Reggio Emilia, Aliberti, 2005). Ancora una volta 
                  storie di anarchici e attentatori, in trasferta dalla provincia 
                  piemontese a Paterson, New Jersey. A un primo sguardo, questo 
                  libro sembra avere come unico pregio la bella riproduzione in 
                  copertina di un quadro di Costantini.
 
  I situazionisti
 Termino la sezione culturale con una serie di testi che, pur 
                  non interessando il mondo delle arti in senso stretto, testimoniano 
                  però una corrente intellettuale che affrontò, 
                  in modo originale e felicemente provocatorio, le tematiche legate 
                  alla critica culturale. Intendo parlare del situazionismo. Partiamo, doverosamente, da L’amara vittoria 
                  del situazionismo. Per una storia critica dell’Internationale 
                  Situationniste 1957-1972, di Gianfranco Marelli 
                  (Pisa, Bfs, 1996), un testo ormai indispensabile per comprendere 
                  quanto vicine, ma anche quanto distanti siano state le strade 
                  percorse, negli stessi anni, da situazionisti e anarchici. In 
                  questo saggio, senza dubbio il più importante in Italia, 
                  Marelli ricostruisce il percorso teorico dei situazionisti che 
                  aveva l’obiettivo di reinventare la rivoluzione e liberare 
                  la vita quotidiana dalla passività alienante della società 
                  dello spettacolo. Sempre di Marelli, L’ultima 
                  Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica 
                  (Torino, Bollati Boringhieri, 2000), un altro studio sulla peculiarità 
                  del situazionismo, l’ultima internazionale del secondo 
                  millennio, in bilico fra il recupero agiografico della sua critica 
                  radicale e dei suoi “profeti”, e la capacità 
                  di allestire un habitat per “l’illimitato dispiegamento 
                  delle nuove passioni”. Sullo stesso argomento è 
                  uscito Breve storia dell’Internazionale Situazionista 
                  (Torino, Nautilus, 1999), a cura della Nottingham Psychogeographical 
                  Unit, col corredo di rare immagini fotografiche.
 Molto interessante è anche Potlach, Bollettino 
                  dell’Internazionale lettrista 1954-57, che 
                  la piccola e vivace editrice torinese Nautilus, in sintonia 
                  con la sua linea editoriale, ha stampato nel 1999. È 
                  l’unica edizione italiana degli introvabili documenti 
                  di questa Internazionale, il movimento francese d’avanguardia 
                  capostipite della “editoria selvaggia”, che si proponeva 
                  di operare la difficile riunificazione della creazione culturale 
                  d’avanguardia con la critica rivoluzionaria della società.
 Per finire, altri tre testi esemplari pubblicati da Nautilus, 
                   Urla in favore di Sade (Torino, 2000), 
                  di Guy Debord, uno dei fondatori e padri nobili del situazionismo; 
                   Avviso agli studenti (Torino, 1996), 
                  dell’altro “mostro sacro” Raul Vaneigem; e 
                  infine La rivoluzione dell’arte moderna e 
                  l’arte moderna della rivoluzione (Torino, 
                  1996), antico e illuminante documento del 1967 proveniente dalla 
                  Sezione inglese dell’Internazionale Situazionista.
 
  Spagna ’36
 A conclusione di questa traccia bibliografica gettiamo uno 
                  sguardo oltre le frontiere e occupiamoci dell’anarchismo 
                  degli altri paesi. Naturalmente l’attenzione sarà 
                  concentrata soprattutto sulle due grandi esperienze rivoluzionarie 
                  del Novecento, nelle quali gli anarchici ebbero una parte importantissima: 
                  la libertaria rivoluzione spagnola e la rivoluzione, un po’ 
                  meno libertaria, che sfociò nella fondazione della prima 
                  repubblica sovietica. Per l’affetto che ci lega, partiamo dalla Spagna, seguendo 
                  in questo caso l’ordine cronologico delle pubblicazioni 
                  segnalate.
 Zero in condotta ha pubblicato Chi c’era racconta. 
                  La Rivoluzione Libertaria nella Spagna del 1936 
                  (Milano, 1995), le intense testimonianze in presa diretta di 
                  una ventina di militanti spagnoli che dettero vita alla rivoluzione 
                  comunista libertaria. Parole che valgono quanto e più 
                  di una ricostruzione saggistica, ricordi partecipi di un’esperienza 
                  esaltante e, temiamo, irripetibile. Sempre Zero in condotta 
                  ha curato, con altre quattro editrici internazionali, Durruti 
                  1896-1936 (Milano, 1996), una bella edizione fotografica 
                  commentata in cinque lingue, che permette di cogliere, grazie 
                  alla ricca iconografia, tutti i momenti della “eroica” 
                  e avventurosa vita di Durruti, ucciso mentre difendeva, con 
                  i suoi miliziani, le conquiste rivoluzionarie del proletariato 
                  in armi in terra di Spagna. Di Carlos Semprun Maura, Libertad! 
                  Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna (Milano, 
                  Elèuthera, 1996). È la seconda edizione (dopo 
                  quella milanese dell’Antistato del 1976) di questo studio 
                  critico sui problemi interni alle forze rivoluzionarie e al 
                  movimento anarchico, nati dalle difficoltà e dalle contraddizioni 
                  che caratterizzarono i primi mesi della rivoluzione, là 
                  dove prese forma il comunismo libertario della Cnt.
  Buenaventura Durruti
  A seguire, di Abel Paz, Spagna 1936, 
                  un anarchico nella rivoluzione (Manduria, Lacaita, 
                  1998). In questa autobiografia Abel Paz (nom de plume 
                  di Diego Camacho), giovanissimo combattente rivoluzionario sulle 
                  barricate di Barcellona, ripercorre con grande partecipazione 
                  le vicende esaltanti e le tragedie immani che segnarono quella 
                  che può essere considerata l’esperienza senza ritorno 
                  del ventesimo secolo. Sempre di Abel Paz, Durruti 
                  e la rivoluzione spagnola (Pisa-Ragusa-Milano, 
                  Bfs, Fiaccola, Zero in condotta, 1999-2000, 2 voll.). Da questa 
                  biografia, frutto di una documentazione imponente e scritta 
                  con l’immediatezza del testimone, emerge la figura di 
                  uno dei personaggi non solo più importanti e significativi, 
                  ma anche più amati dell’anarchismo internazionale. 
                  Si parla di anarchici, di quelli reclusi ma ancora vitali nelle 
                  carceri franchiste, nel romanzo di Manuel Rivas, Il 
                  lapis del falegname (Milano, Feltrinelli, 2000). 
                  Una storia struggente, una delle tante che in questi anni hanno 
                  ispirato i narratori spagnoli alla scoperta delle vergogne di 
                  un passato volutamente nascosto dai miserabili aguzzini di un 
                  popolo straordinario.
 
 Manifesto 
                  degli anarchici catalani, realizzato da Carles Fontseré 
                  (1936)  Ancora di Abel Paz, Le 30 ore di 
                  Barcellona. Immagini della rivoluzione (Carrara, 
                  Cooperativa Tipolitografica, 2002). Impreziosito dalle famose 
                  tavole disegnate da Sim durante le giornate di luglio, e finalmente 
                  pubblicate in Italia, il libro si concentra sulla descrizione 
                  delle prime, determinanti ore della rivoluzione spagnola, quando, 
                  grazie alla resistenza operaia al sollevamento dei militari, 
                  si decisero le strategie e i rapporti di forza che avrebbero 
                  caratterizzato la lotta al franchismo. Per chi ama i fumetti, segnalo la bella storia a strisce di 
                  Alfonso Font, Negras tormentas e altre storie 
                  (Milano, ReM, 2002), dove il disegnatore spagnolo ricostruisce 
                  vividamente una Barcellona rivoluzionaria e anarcosindacalista, 
                  epicentro di avvincenti avventure.
 Apprezzabile la ristampa dell’introvabile Mussolini 
                  alla conquista delle Baleari (Casalvelino, Galzerano, 
                  2002), il famoso testo con il quale Berneri affrontava, nel 
                  fuoco della rivoluzione, le responsabilità del fascismo 
                  italiano a sostegno del sollevamento dei militari felloni guidati 
                  da Franco. Di un altro grande protagonista dell’anarchismo 
                  spagnolo scrive Fulvio Abbate ne Il ministro anarchico 
                  (Milano, Baldini & Castoldi, 2004). Restando a metà 
                  strada fra narrazione romanzata e ricostruzione storica, lo 
                  scrittore palermitano abbozza la biografia di uno dei più 
                  affascinanti e controversi protagonisti della rivoluzione, Juan 
                  García Oliver, ministro anarchico della giustizia, già 
                  idolo della Barcellona proletaria, poi esule in Nord Europa 
                  e in Messico dove continuerà a vivere nel ricordo della 
                  travolgente esperienza del 1936.
 
 Manifesto 
                  dell’organizzazione femminile anarchica Mujeres Libres, 
                  realizzato da José Maria Gallo (1936)  Di un’altra esperienza eccezionale, fra 
                  le tante vissute dal movimento iberico, scrive Martha Ackelsberg 
                  nel suo Mujeres Libres. L’attualità 
                  della lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola 
                  (Milano, Zero in condotta, 2005), ricostruendo, con un accurato 
                  studio delle fonti, le gloriose vicende di un’organizzazione 
                  tutta femminile, operaia, emancipatrice e impegnata nel progresso 
                  della condizione della donna, tanto più importante in 
                  Spagna dove gli atavici retaggi feudali e maschilisti erano 
                  ancora dominanti. Seguono due testi dedicati agli anni successivi al 1936-39: 
                  gli anni della feroce repressione franchista e degli ultimi, 
                  tragici tentativi di anarchici irriducibili, decisi a combattere 
                  il fascismo armi alla mano. Di Massimiliano Ilari è uscito 
                   La giustizia di Franco. La repressione franchista 
                  ed il movimento libertario spagnolo 1939-1951 
                  (Chieti, Csl Di Sciullo, 2005), che descrive la resistenza “sconosciuta” 
                  degli epigoni dell’imponente movimento anarchico spagnolo 
                  e la barbara repressione con la quale il regime colpì 
                  il suo nemico più irriducibile. L’autore, giovane 
                  militante della Fai, propone anche un’inedita cronologia 
                  comparata di grande interesse.
 La Fiaccola di Ragusa, sempre nel 2005, riedita il famoso Sabatè, 
                  la guerriglia urbana in Spagna (1945-1960), di 
                  Antonio Tellez. Il 1939 non segna la fine della resistenza anarchica 
                  alla dittatura: già dai primi mesi del nuovo regime guerriglieri 
                  anarchici cercano di mantenere viva la lotta. Quanto mai opportuna 
                  è dunque la ristampa di questo drammatico testo, che 
                  narra la tragica storia di una generazione di giovani militanti 
                  caduti nella lotta contro il carnicero falangista.
 Chiudo questo lungo capitolo con una curiosità di autore 
                  anonimo, La cuoca di Durruti. La cucina spagnola 
                  al tempo della “guerra civile”. Ricette e ricordi 
                  (Roma, Derive Approdi, 2002). Con la prefazione di Luigi Veronelli, 
                  questo originale e avvincente frammento di diario, un po’ 
                  narrazione e un po’ cronaca storica, mescola i ricordi 
                  rivoluzionari della giovane miliziana Nadine, ricchi di personaggi 
                  e grandi avvenimenti, con le sue allettanti ricette culinarie 
                  realizzate, è il caso di dirlo, nel fuoco di uno dei 
                  più grandi e gloriosi incendi del Novecento.
 
  Russia e Ucraina
 Veniamo ora all’altra grande rivoluzione che segnò 
                  l’inizio del secolo breve, quella “realizzata” 
                  e non sconfitta dalle forze della reazione e del capitalismo, 
                  la rivoluzione russa, ricca di contraddizioni e di duri insegnamenti 
                  per gli entusiasti rivoluzionari, bolscevichi, anarchici, menscevichi, 
                  che vi presero parte. È soprattutto della soffocante burocrazia e della repressione 
                  che ne seguì e che affossò il sogno della palingenesi 
                  sociale, che trattano i libri che citerò.
  Nestor Makhno
  Piotr Arscinov, ucraino, fu uno dei tanti anarchici 
                  che combatterono le truppe bianche della reazione, con in cuore 
                  il sogno di una nuova società di liberi ed uguali. Nella 
                  sua ormai classica  Storia del movimento makhnovista, 
                  ristampata da Samizdat (Pescara, 1999), ma uscita a caldo nella 
                  Parigi del 1924, ci sono tutti gli elementi per capire la capitale 
                  importanza che ebbe l’anarchismo nei primi anni, soprattutto 
                  nella fertile Ucraina controllata dalle truppe dell’anarchico 
                  Makhno, e la degenerazione che i semi dell’autoritarismo 
                  bolscevico avrebbero innestato nella nuova società. Anche l’anarcosindacalista Gregori P. Maximoff, con il 
                  suo Gli anarcosindacalisti nella rivoluzione russa 
                  (Pescara, Samizdat, 1997), porta un prezioso contributo alla 
                  ricostruzione del ruolo, importante e misconosciuto, che l’anarchismo 
                  ebbe nei processi rivoluzionari della Russia.
 Ed è proprio la specificità dell’agire anarchico, 
                  inconciliabile con il centralismo burocratico marxista leninista, 
                  che fa capire perché i libertari furono tra i primi a 
                  cadere sotto i colpi della spietata repressione di Lenin e Stalin.
 Un altro lavoro sui contrastati rapporti all’interno delle 
                  forze rivoluzionarie è Marxismo e anarchismo 
                  nella rivoluzione russa, di Arthur Lehning, nella 
                  nuova edizione di Samizdat (Pescara, 1999). Si tratta di uno 
                  dei grandi classici della letteratura anarchica, nel quale lo 
                  studioso olandese affonda le mani nella tragica diatriba che 
                  vide opporsi, da un lato, il pragmatismo totalitario di Lenin 
                  e, dall’altro, l’afflato libertario e rivoluzionario 
                  che gli anarchici russi, nonostante la repressione, contrapposero 
                  alla degenerazione burocratica e alla dittatura del proletariato.
 Infine, molto interessante per la prospettiva da cui muove, 
                  è il libro di Santi Fedele, Una breve illusione. 
                  Gli anarchici italiani e la Russia sovietica 1917-1939 
                  (Milano, Angeli, 1996). Come si sa, le sirene della rivoluzione 
                  russa cantarono a lungo fra i movimenti sovversivi europei, 
                  e anche gli anarchici non furono sordi. Questo documentato e 
                  illuminante saggio ricostruisce il progressivo alienarsi delle 
                  simpatie che i libertari italiani avevano manifestato, se non 
                  per i bolscevichi, certamente per la loro rivoluzione.
 Una breve illusione, appunto, presto sommersa dalla consapevolezza 
                  con cui si colsero gli aspetti degenerativi della rivoluzione 
                  burocratica e della dittatura proletaria.
  Altrove nel mondo
 Esaurite le due grandi esperienze rivoluzionarie, prendiamo 
                  ora in considerazione i non molti libri dedicati ad altri paesi. 
                  Restando in Europa, un bel testo che tratta di argomenti poco 
                  conosciuti è quello di Martine Lina Riesenfeld e altri 
                  autori, Piegarsi vuol dire mentire. La resistenza 
                  libertaria al nazismo nella Ruhr e in Renania (1933-1945) 
                  (Milano, Zero in condotta, 2005), che viene a smentire il consolidato 
                  luogo comune sulla mancata resistenza del proletariato tedesco 
                  all’avvento del nazismo, dimostrando come, fra le fila 
                  del movimento sindacalista libertario, l’opposizione alla 
                  barbarie hitleriana non venne mai meno. Sulla ex Jugoslavia e i drammi che l’hanno dilaniata negli 
                  anni Novanta, ricordo l’opuscolo Jugoslavia 
                  una guerra per il potere (Livorno, Sempre Avanti, 
                  1996), nel quale Claudio Venza mostra con chiarezza le cause 
                  e gli effetti di una delle maggiori tragedie della fine del 
                  secondo millennio: la guerra fratricida fra i popoli slavi condotta 
                  in nome di diversità etniche e religiose, evocate cinicamente 
                  per occultare la sete di potere delle varie cricche post-titoiste.
 
 Marina 
                  Padovese Estremamente interessante, anche per la particolare prospettiva 
                  di analisi, Donne contro la guerra. Interventi e 
                  testimonianze dalla ex Jugoslavia, curato dalla 
                  non dimenticata Marina Padovese e da Salvo Vaccaro (Palermo, 
                  La Zisa, 1996). Pier Francesco Zarcone è autore di Portogallo 
                  anarchico e ribelle (Pescara, Samizdat, 2004), 
                  che ripercorre l’esperienza dell’anarchismo portoghese, 
                  senza dubbio meno significativa di quella dei cugini spagnoli, 
                  ma non per questo priva di episodi e figure interessanti. Rimaniamo in Europa, per parlare di quei cittadini del mondo 
                  che furono gli ebrei fino alla nascita dello Stato di Israele, 
                  e segnaliamo l’interessante Nati altrove. 
                  Il movimento anarchico ebraico tra Mosca e New York di 
                  Furio Biagini (Pisa, Bfs, 1998), che ricostruisce la storia 
                  di un movimento tanto importante quanto poco conosciuto, quello 
                  degli ebrei di lingua yiddish che partirono dai villaggi della 
                  Russia per sfuggire ai pogrom, trasportando in Inghilterra e 
                  negli Stati Uniti le loro esperienze comunaliste e autogestionarie, 
                  nelle quali il tradizionale messianismo era sostituito dall’utopismo 
                  rivoluzionario.
 Sempre sull’importanza della presenza ebraica nell’anarchismo 
                  internazionale, Amedeo Bertolo ha curato L’anarchico 
                  e l’ebreo. Storia di un incontro (Milano, 
                  Elèuthera, 2001), gli atti del convegno tenutosi a Venezia 
                  nel maggio 2000, nel corso del quale gli epigoni di questo movimento 
                  senza frontiere hanno confrontato, forse per la prima volta, 
                  le loro eccezionali esperienze.
 Cambiando continente, sbarchiamo nelle due Americhe; nella prima, 
                  che pare destinata a essere a lungo l’epicentro politico-economico 
                  e sbirresco del mondo, e nella seconda che ancora manifesta, 
                  con i colori degli indios messicani, la voglia di un cambiamento 
                  definitivo nei rapporti che regolano la vita dei popoli.
 Sugli Stati Uniti e il loro ruolo negli equilibri internazionali, 
                  si è scritto e si continua a scrivere con dovizia, e 
                  spesso gli occhiali delle superstiti ideologie impediscono di 
                  cogliere con esattezza le dinamiche in atto. Non è il 
                  caso del libro di Stefano Capello, Oltre il giardino. 
                  Guerra infinita ed egemonia americana (Milano, 
                  Zero in condotta, 2003) nel quale l’autore, con un’analisi 
                  dal taglio decisamente libertario e scevro da condizionamenti, 
                  analizza le tendenze in atto nella geopolitica mondiale, evitando 
                  di cadere nelle trappole della propaganda e mettendo in risalto 
                  le oggettive convergenze fra i poteri internazionali in conflitto, 
                  per fare sì che il dominio nordamericano sull’economia 
                  non venga minimamente messo in discussione.
 Passando la frontiera di El Paso, sbarchiamo in Messico, dove 
                  la comunità chiapaneca, con la sua pratica antimperialista, 
                  continua a destare l’interesse degli spiriti liberi in 
                  tutto il mondo.
 Come primo approccio, non si può prescindere dal prezioso 
                   Documenti e comunicati del Chiapas insorto. 1 gennaio 
                  1994-29 settembre 1995 (Pisa, Bfs, 1996-1997, 
                  2 voll.), che raccoglie i documenti dell’Ejercito Zapatista 
                  de Liberacion Nacional. Uno strumento indispensabile, anche 
                  per la mole documentaria, per cogliere di prima mano la ricchezza 
                  teorica e la imprevedibile tattica sovversiva degli indios del 
                  Chiapas. Sempre sul Chiapas, ma anche su altre insorgenze indie, 
                  due libri scritti da uno dei maggiori esperti del continente 
                  latinoamericano, il giornalista uruguayano Raul Zibechi. Il 
                  primo, Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista 
                  in Chiapas (Milano, Elèuthera, 1998), dove 
                  la peculiarità libertaria del movimento zapatista si 
                  mostra in tutta la sua inimitabile originalità, e il 
                  secondo, Zapatisti e sem terra. Movimenti sociali 
                  ed insorgenza indigena (Milano, Zero in condotta, 
                  2001), in cui si afferma che la cultura india, la cultura degli 
                  oppressi, può emergere come strumento di riscatto e di 
                  liberazione per chi non è più rassegnato ad essere 
                  l’ultimo degli ultimi.
 Infine, di Jerome Baschet, La scintilla zapatista. 
                  Insurrezione india e resistenza planetaria (Milano, 
                  Elèuthera, 2003), una storia e una cronologia dello zapatismo 
                  che, con chiarezza e senza demagogia, spazza via il fuorviante 
                  folclore “militante” che avvolge l’Ezln. Venendo 
                  a Cuba, un altro dei nodi politici e sociali di questi anni, 
                  segnaliamo Cuba libertaria. Storia dell’anarchismo 
                  cubano (Milano, Zero in condotta, 2003), di Frank 
                  Fernandez, militante storico e redattore della rivista «Guangara 
                  Libertaria», edita dal movimento libertario cubano in 
                  esilio.
 Un movimento che, soprattutto negli anni Venti e Trenta ma anche 
                  in seguito, ha vissuto momenti di grande splendore e che ha 
                  visto i suoi militanti dapprima combattere al fianco di Castro 
                  e Guevara contro la dittatura di Batista, poi prendere la via 
                  dell’esilio per continuare a lottare per la libertà.
 Termino questo lungo viaggio nell’editoria libertaria 
                  sbarcando in Africa, nell’auspicio che questa ultima segnalazione 
                  sia presagio di nuove avventure anarchiche in terre ancora inesplorate 
                  dagli eredi di Bakunin e Malatesta. Merito dunque alla milanese 
                  Zero in condotta per aver pubblicato, nel 2002, Africa 
                  ribelle, Società senza stato. Le prospettive libertarie, 
                  di Sam Mbah e I. E. Igariwey, militanti della Awareness League 
                  nigeriana aderente all’Ait, che illustrano gli sconosciuti 
                  e sorprendenti elementi libertari e comunalisti presenti nelle 
                  società tradizionali africane, ancora vitali nonostante 
                  gli effetti del colonialismo, gli esperimenti dei socialismi 
                  di stato, le drammatiche conseguenze delle lotte di liberazione 
                  nazionale e dei conflitti tribali.
       Questo 
                  dossier 
                  esce come supplemento del n. 311 (ottobre 2005) della rivista 
                  mensile anarchica “A”; direttrice responsabile: 
                  Fausta Bizzozzero; registrazione al tribunale di Milano n.72 
                  in data 24.2.1971; stampa e legatoria: Officina 
                  Grafica – Milano; progetto grafico e impaginazione: 
                  Erre & Pi – Milano.  “A” 
                  esce regolarmente 9 volte l’anno dal febbraio 1971. Non 
                  esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre. È in vendita 
                  per abbonamento, in numerose librerie e presso centri sociali, 
                  circoli anarchici, botteghe, ecc.. Se ne vuoi una copia/saggio, 
                  chiedicela. Siamo alla ricerca di nuovi diffusori.  Per qualsiasi 
                  informazione, compresa la lista completa dei nostri 
                  “prodotti” (dossier “Gli anarchici contro 
                  il fascismo”, letture di Bakunin, Kropotkin, Malatesta 
                  e Proudhon, volantoni della serie anti-globalizzazione, poster 
                  di Malatesta 1921, i nostri dossier, cd e dvd di /su Fabrizio 
                  De André, dossier su Franco Serantini, lista di oltre 
                  cento cd, mc, ecc. della ‘Musica per “A”’, 
                  ecc.) contattaci. Se ci fai avere per fax, email o in segreteria 
                  telefonica il tuo indirizzo completo, ti spediamo a 
                  casa tutte le informazioni necessarie per poter ordinare 
                  quello che vuoi.  Una copia di “A” 
                  costa € 3,00, l’abbonamento annuo 
                  € 30,00, quello estero € 40,00, l’abbonamento 
                  sostenitore da € 100,00 in su.  Editrice 
                  Acas. post. 17120, I – 20170 Milano
 telefono (+39) 02 28 96 627
 fax (+39) 02 28 00 12 71
 email arivista@tin.it
 sito web arivista.org
 conto corrente postale 12 55 22 04
 conto corrente bancario n. 107397
 presso Banca Popolare Etica, filiale di Milano
 (abi 05018, cab. 01600).
 Per effettuare un bonifico, le banche richiedono spesso le coordinate:
 quelle nazionali (BBAN) sono H 05018 01600 00000107397
 e quelle internazionali (IBAN) sono IT10 H050 1801 6000 0000 
                  0107 397.
 |