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 Un caso di inflazione e collasso semiotico 
  1. Grossomodo, gli etologi concordano sulla funzione evolutiva 
                  del manto maculato di alcuni animali, come il leopardo e il 
                  ghepardo. L'argomentazione può essere riassunta nel modo 
                  seguente: la distanza dalla quale il predatore, quasi “annunciandosi”, 
                  può essere percepito dalle proprie vittime, ovviamente, 
                  non può essere troppo grande – se no, le vittime 
                  fanno in tempo a darsela a gambe, riuscendo a evitare di risultare 
                  tali. Coloritura e disegni del manto dei leopardi e di altri 
                  maculati rispondono a questa strategia. Le macchie del pelo 
                  si confondono in un grigio-marrone uniforme almeno fino a che 
                  l'animale non giunge a una distanza in cui la sua apparizione 
                  improvvisa non getta l'eventuale preda nel panico rendendola 
                  ancora più vulnerabile. Diciamo, allora, che – 
                  a maggior ragione se in condizioni di luce favorevole – 
                  le sue macchie assolvono una funzione di tipo mimetico. Madre 
                  Natura vede e provvede.
 
 2.
 L'aggressività con cui si categorizza l'animale viene 
                  metaforizzata in vari ambiti delle attività umane. Per 
                  la velocità e la precisione predatoria e, da un po' di 
                  tempo in qua, per i comportamenti sessuali. Innazitutto, per 
                  quelli della femmina. In principio sotto forma di pellicce per 
                  poi diffondersi nelle direzioni più diverse. Negli anni 
                  cinquanta del secolo scorso il leopardato caratterizzò 
                  famosi bikini – come quelli di Marilyn Monroe e di Jayne 
                  Mansfield – per poi, diminuendo gradualmente la superficie 
                  di stoffa impiegata, almeno fino a tutti gli anni settanta, 
                  attestarsi su fanciulle perennemente in bilico tra il mondo 
                  dello spettacolo e la riprovazione morale della Buona Società. 
                  Del calco originario il processo di metaforizzazione selezionava 
                  l'aggressività – spostandola dal piano della lotta 
                  per la sopravvivenza al piano della scelta sessuale – 
                  e la velocità e la precisione predatoria spostandole 
                  al piano della giovinezza e dell'autonomia, di quella padronanza 
                  di sé e degli altri che, almeno in una dimensione simbolica, 
                  rovescia i termini canonici del rapporto sessuale tutti tradizionalmente 
                  a vantaggio del maschio. Che la moda della biancheria intima 
                  leopardata (o ghepardata – qui non mi soffermerò 
                  sulla mancata retrattilità degli artigli-unghie o su 
                  altre sottili distinzioni del caso) abbia preso piede in periodi 
                  di ripresa socialmente significativa del pensiero femminile 
                  oppositivo non è, dunque, del tutto casuale. E che questa 
                  stessa moda, rimetaforizzando poi l'aggressività sessuale 
                  femminile e riassegnandogli lo storico ruolo di predatore, abbia 
                  finito con l'investire – e rivestire – anche le 
                  zone genitali del maschio è un altro particolare degno 
                  di nota.
 
  3.
 Una conferma. Rivedevo un film del 1965, Ménage all'italiana 
                  di Franco Indovina, dove si racconta di un italiano imbroglione 
                  che vive di espedienti e, soprattutto, di matrimoni – 
                  ha successo con le donne, cambia identità e si sposa 
                  tutte quelle che incontra fino a che riesce a far perdere tutte 
                  le sue tracce facendosi passare per morto (un personaggio tagliato 
                  e rifinito per Ugo Tognazzi). Bene, una di queste numerose donne 
                  che l'hanno sposato e che, alla conclusione della vicenda, partecipano 
                  a quello che ritengono il suo funerale – la donna più 
                  focosa e aggressiva sul piano sessuale, interpretata da Maria 
                  Grazia Buccella –, indossa una pelliccia di leopardo. 
                  Non insignificante, a mio avviso, è il fatto che il personaggio 
                  attraversi anche una fase di scalata sociale, acquisendo potere 
                  economico e autonomia e, di converso, perdendo la caratteristica 
                  di mero oggetto del desiderio sessuale del maschio, ma, anzi, 
                  acquisendo altresì la facoltà di soggetto attivo 
                  del rapporto sessuale proprio nella misura in cui è tradita 
                  e vilipesa.
 
 4.
 Con o senza aiuti chimici, si protrae la durata della sessualità. 
                  Nei primi anni novanta assistetti alla graduale e irreversibile 
                  leopardizzazione di una coinquilina ormai un po' più 
                  in là nell'età di quanto non fossero le coraggiose 
                  che l'avevano preceduta negli anni precedenti. Dalla mantellina 
                  alla gonna, dalla blusa agli stivali o alla punta delle scarpe 
                  il manifesto prometteva chissà che nell'occultato. Il 
                  marito sembrava gradire e questo andare d'amore e d'accordo 
                  pubblicamente non poteva non esser posto in rapporto alla scelta 
                  estrema nel codice vestimentario di lei. Era come se, nel leopardare 
                  un segmento di sé protraesse la vivacità del proprio 
                  sesso, spostando di qualche intervallo temporale l'asticella 
                  impietosa della menopausa.
 Nell'osservare l'entrare e l'uscire dall'androne di questa mia 
                  coinquilina, allora, venivo messo sull'avviso di quanto – 
                  di socialmente significativo – stava accadendo: leopardati 
                  erano diventati tutti i capi di vestiario, dai tailleurs ai 
                  pantaloni (allora, aderenti, molto aderenti), leopardate le 
                  coperte dei letti e perfino i cuscini dei divani – forse 
                  anche gli ombrelli. Si trattava di un'evidente epidemia che, 
                  anche sotto forma di ibridazione – con il jeans, con lane 
                  e cotoni, perfino con le trasparenti pizzosità destinate 
                  all'intimo più intimo, non risparmiava niente alla femmina 
                  in cerca di avvenenza.
 
 5.
 Tutt'oggi colgo residui del fenomeno. Nella vetrina di un negozio 
                  di accessori per animali – una di quelle boutique che 
                  celebrano a modo loro “l'altra faccia della crisi” 
                  ovvero l'evviva osceno agli sprechi –, grazie all'acume 
                  indagatorio di mia moglie sono riuscito a individuare un cashimirino 
                  per cani dal bordo leopardato. Mentre nella vetrina di un sexy 
                  shop, un manichino femminile esibisce un paio di “mini-tanga” 
                  (mi sembra di trovare le stesse difficoltà che incontra 
                  un fisico quantistico nel nominare i propri oggetti di studio: 
                  quando si va nell'infinitamente piccolo, il linguaggio ordinario, 
                  come è noto, non sorregge più) costituiti da alcuni 
                  millimetri di velo a coronamento di un triangolino isoscele 
                  di cinque centimetri di leopardato. Il che, peraltro, mi conferma 
                  quanto il fenomeno occupi ancora una sua nicchia fra le varie 
                  mercanzie dell'immaginario sessuale. E qui arrivo alla testimonianza 
                  più tragica.
 
 6.
 
  Con 
                  la noia dell'antropologo che capita per l'ennesima volta nella 
                  stessa isola di falsi indigeni, seguivo sere or sono Affari 
                  tuoi, gioco a premi sempre più vetusto della Rai 
                  e, nel caso specifico, seguivo le avventure di una fanciulla 
                  in incerta ricerca di facili fortune. Fu soltanto a metà 
                  trasmissione che il conduttore decise di tirar su il morale 
                  vieppiù discendente della medesima sorprendendola (si 
                  fa per dire) con l'inaspettata (si fa per dire) presenza al 
                  suo fianco dell'amata nonna. Bene. Forse non si sarà 
                  sorpresa la fanciulla in questione – che, presumibilmente, 
                  la sapeva lunga sull'avvento della nonna –, ma, in compenso, 
                  mi sono sorpreso io. Perché la vecchietta – nonna 
                  davvero, all'antica, niente a che vedere con le nonne moderne 
                  ancora nel fiore delle proprie forme – indossava una sorta 
                  di chemisier abbondantemente leopardato. Segni di sesso levigati 
                  dal tempo: cose che solo l'archeologo sa ormai decifrare. 
 7.
 Le prime domande sono ovvie: quanto tempo è occorso per 
                  la leopardizzazione della nonna? Quali fenomeni hanno favorito 
                  un processo parallelo di desessualizzazione del leopardato fino 
                  a favorirne l'uso nella cosidetta terza età? Quali sono 
                  stati i costi sociali di questo processo? Dobbiamo leggere ciò 
                  come un progresso – come qualcosa di buono per il nostro 
                  futuro – o come una sciagura ormai irreversibile? Ci si 
                  accorge facilmente del fatto che, per dar loro risposte convincenti, 
                  si renderebbe necessaria la stesura di un saggio intero e, dunque, 
                  al momento, soprassiedo.
 
 8.
 Non soprassiedo, invece, dal far notare un particolare. Allora: 
                  dapprima, nel cosiddetto mondo naturale, la leopardizzazione 
                  è un segno mimetico. Poi, divenuto artefatto umano è 
                  tutt'altro: è una segnalazione piuttosto imperiosa, dalle 
                  capacità attrattive cospicue, assume il significato di 
                  invito sessuale, sembra promettere scorciatoie vantaggiose lungo 
                  il percorso del corteggiamento. Tuttavia, in un processo inflattivo 
                  – un processo che neppure risparmia le categorie più 
                  deboli sia nel mercato del sesso che nel mercato tout court 
                  –, lo stesso segno rischia di riqualificarsi come mimetico. 
                  Paradossalmente, come se indossandolo e “dicendolo” 
                  pubblicamente ci si rifugiasse nella pace dei sensi – 
                  allorché la funzione predatoria è irrimediabilmente 
                  perduta.
  Felice Accame
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