| La svastica 
                  allo stadio 1 Árpád Weisz, un maestro del 
                  calcio europeo inghiottito nel nulla di Giovanni A. Cerutti 
 
 Una targa lo ricorda allo stadio Meazza 
                  di Milano. È stato l'allenatore che più a lungo 
                  ha guidato l'Inter dopo Herrera, il Trap e Mancini. Ma era ebreo 
                  e con le leggi razziali del '38 perse lavoro e diritti, fino 
                  all'ultima destinazione: Auschwitz. 
                   
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                    | Árpád 
                        Weisz (Solt, 16 aprile 1896-Auschwitz, 31 gennaio 1944)
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 Árpád Weisz era 
                  nato a Solt, un paese che oggi conta circa settemila abitanti 
                  situato a settantatré chilometri da Budapest, il 16 aprile 
                  1896. Il padre, Lazzaro, e la madre, Sofia, facevano parte della 
                  comunità ebraica della cittadina. Cresciuto in un ambiente 
                  culturale sensibile ai fermenti del primo socialismo, dopo aver 
                  conseguito il diploma liceale Árpád si iscrisse 
                  alla facoltà di giurisprudenza dell'Università 
                  di Budapest, ma dovette quasi subito interrompere gli studi 
                  per lo scoppio della prima guerra mondiale. Suddito dell'Impero 
                  austro-ungarico, combatté sul Carso contro l'esercito 
                  italiano, che lo fece prigioniero nel corso dell'offensiva successiva 
                  alla disfatta di Caporetto.
 Weisz arrivò in Italia nella stagione calcistica 1924-25, 
                  ingaggiato dal Padova, che partecipava al campionato di Prima 
                  divisione, equivalente all'odierna serie A. Della sua carriera 
                  precedente si hanno poche notizie. Si sa solo che l'attività 
                  di calciatore correva parallela a un impiego in banca. Nel 1922-23 
                  aveva militato nel Torekves e l'anno seguente nel Makkabi Brno, 
                  insieme a Ferenc Hirzer, il primo straniero ingaggiato dalla 
                  Juventus della famiglia Agnelli. Nel 1924 fece parte della squadra 
                  ungherese che partecipò alle Olimpiadi di Parigi. Ala 
                  sinistra molto tecnica, dotato di uno scatto ficcante, a Padova 
                  disputò solo sei partite, per motivi probabilmente non 
                  legati al rendimento sportivo, considerato che Weisz non prese 
                  nemmeno la residenza in città e che l'anno dopo venne 
                  ingaggiato dall'Inter. Qui, dopo undici partite e tre gol, segnati 
                  nel giro di una settimana, un brutto infortunio pose termine 
                  alla sua carriera di calciatore a neanche trent'anni.
 Prese avvio, invece, la carriera di uno dei più brillanti 
                  allenatori che abbia avuto il calcio europeo, che terminerà 
                  nell'Europa devastata dalla guerra il 31 gennaio del 1944 nel 
                  campo di Auschwitz, senza quasi lasciare tracce. Soltanto la 
                  tenacia - misto di passione sportiva e tensione civile - di 
                  Matteo Marani, attuale direttore del “Guerin Sportivo“, 
                  ha riportato alla luce quella vicenda, che ci conduce in un 
                  viaggio vertiginoso nelle pieghe dell'Europa occupata dai nazisti 
                  e ci consegna un punto di vista inedito e niente affatto rassicurante 
                  sull'Italia delle leggi razziali e sulle successive difficoltà 
                  della società italiana ad affrancarsi dal passato fascista.
 Nel 1926 - l'anno in cui le cronache delle partite cominciano 
                  a essere trasmesse per radio - Weisz iniziò il suo apprendistato 
                  nello staff tecnico dell'Alessandria sotto la guida di Augusto 
                  Rangone, che aveva guidato la Nazionale dal 1922 al 1924 e che 
                  la guiderà ancora nel 1928. Alla fine dell'anno tornò 
                  all'Inter e la stagione successiva gli fu subito affidata la 
                  guida tecnica della prima squadra. Nel 1928 Weisz venne costretto 
                  a diventare Veisz, così come il Genoa a diventare Genova, 
                  il Milan a diventare Milano e l'Internazionale - concetto indigesto 
                  al regime sotto molti punti di vista - a diventare Ambrosiana. 
                  Ambrosiana che in quella stagione utilizzò una casacca 
                  bianca con una croce rossa al cui centro spiccava un fascio 
                  littorio, rinunciando alla tradizionale maglia nerazzurra. Sono 
                  gli anni in cui bisogna darsi del voi e salutarsi romanamente, 
                  ma gli italiani sono troppo navigati per dare importanza a dettagli 
                  così irrilevanti. E poi, si sa, un conto sono le imposizioni 
                  ufficiali, un conto è il comportamento quotidiano...
 
 
  L'inventore 
                  degli schemi
  Nel 1929-30, dopo un quinto posto nel campionato di esordio 
                  1926-27 e un settimo posto nel campionato 1927-28, l'Inter di 
                  Weisz - che nella stagione 1928-29 aveva compiuto un soggiorno 
                  di studio e aggiornamento in Sud America su cui si hanno notizie 
                  quasi evanescenti - vinse il primo campionato a girone unico 
                  - che da allora viene definito, per l'appunto, “girone 
                  all'italiana“ - nella storia del calcio italiano, disputato 
                  per la prima volta con la denominazione, utilizzata ancora oggi, 
                  di Serie A, a cui allora prendevano parte diciotto squadre. 
                  A partire dalla stagione 1919-20, la prima disputata dopo tre 
                  anni di interruzione a causa della prima guerra mondiale, infatti, 
                  il campionato era stato assegnato alla vincente dello scontro 
                  diretto tra la vincitrice del campionato della Lega sud e quella 
                  del campionato della Lega nord. Nel 1926 il regime fascista 
                  aveva provveduto alla riforma del campionato, la cui formula 
                  era ritenuta incompatibile con il credo nazionalista. Alla guida 
                  della Federazione era stato designato Leandro Arpinati - squadrista 
                  della prima ora e federale di Bologna, successivamente caduto 
                  in disgrazia dopo essersi scontrato con Achille Starace e inviato 
                  per due anni al confino, quindi tenuto costantemente sotto sorveglianza 
                  fino al 25 luglio 1943, per finire ucciso il 22 aprile 1945 
                  probabilmente da partigiani comunisti, anche se non aveva accettato 
                  la proposta di Mussolini di aderire alla Repubblica sociale 
                  - che aveva introdotto la Divisione nazionale, che prevedeva 
                  due gironi interregionali, non più costituiti su base 
                  geografica, e un girone finale tra le prime classificate dei 
                  due gironi, in conseguenza del fatto che la finale con partita 
                  unica era ormai diventata un problema di ordine pubblico di 
                  difficile gestione, per le rivalità sempre più 
                  accese tra le tifoserie avversarie.La vittoria nel campionato 1929-30 vale di per se stessa un 
                  posto nella storia del calcio italiano, posto che invece Weisz 
                  non ha mai occupato. Ma i meriti sportivi di Weisz vanno molto 
                  oltre. In anni in cui gli allenatori dirigono gli allenamenti 
                  in giacca e cravatta al centro del campo, Weisz è il 
                  primo a guidare personalmente i giocatori in pantaloncini e 
                  maglietta e a provare in allenamento i movimenti della squadra, 
                  applicando quelli che molto tempo dopo verranno chiamati schemi. 
                  È il primo, anche, a introdurre carichi di lavoro appositamente 
                  elaborati e a studiare la composizione delle diete. La cura 
                  con cui svolge il suo lavoro lo porta a non trascurare nessun 
                  dettaglio, fino a visionare personalmente gli allenamenti e 
                  le partite dei ragazzi del settore giovanile, i boys, 
                  come si diceva allora con anglismo sgradito al regime. È 
                  in questo modo che scopre un ragazzino di sedici anni, che fa 
                  debuttare in prima squadra l'anno successivo e che nella stagione 
                  dello scudetto vincerà, a neanche vent'anni, la classifica 
                  dei cannonieri: Giuseppe Meazza. Ma Weisz è soprattutto 
                  un innovatore sul piano tattico: esponente di quella che allora 
                  veniva chiamata la scuola danubiana - molto apprezzata in Italia, 
                  tanto che nel campionato del 1935 su sedici allenatori di serie 
                  A, ben sette erano ungheresi, contro i soli cinque italiani 
                  - che sostituiva con passaggi precisi e rasoterra gli avventurosi 
                  rilanci che caratterizzavano il gioco di allora, introduce nel 
                  campionato italiano il famoso sistema, detto comunemente 
                  WM, dalla disposizione dei giocatori in campo. La M identifica 
                  i cinque difensori, la W i cinque attaccanti. Nasce il quadrilatero 
                  di centrocampo, avanzando i due mediani e arretrando le due 
                  mezzeali, il peso del gioco viene redistribuito in modo equo 
                  tra tutti e dieci i giocatori, che hanno compiti sia offensivi 
                  che difensivi, e si vedono i primi terzini che attaccano. Inventato 
                  dal leggendario allenatore dell'Arsenal Herbert Chapman - il 
                  cui busto in bronzo si trova ancora oggi all'ingresso del nuovo 
                  Emirates Stadium, trasferito dal vecchio stadio di Highbury 
                  - è il modulo di gioco che farà grande il Torino, 
                  grazie a un altro ebreo ungherese, Ernest Egri Erbstein, e che 
                  sarà adottato quasi universalmente fino agli anni sessanta, 
                  quando Helenio Herrera si inventerà il libero, arretrando 
                  un mediano.
 Uomo colto e di buone letture, dallo stile brillante, nel 1930 
                  Weisz, insieme al dirigente dell'Inter Aldo Molinari, pubblicò 
                  presso l'editore milanese Alberto Corticelli un manuale intitolato 
                  Il giuoco del calcio, prefato da Vittorio Pozzo, il commissario 
                  tecnico della nazionale italiana che vinse i mondiali del 1934 
                  e del 1938, suo grande ammiratore. Nel manuale - una copia è 
                  conservata presso la Biblioteca braidense, collocazione 23.4.A.0031 
                  - Weisz espone i principi del gioco, le basi tecniche, i ruoli 
                  dei giocatori e i metodi di allenamento, mentre Molinari si 
                  occupa degli aspetti regolamentari.
 
 
  Dopo 
                  l'Inter, il Novara e il Bologna  Dopo un quinto posto nella stagione 1930-31, nel campionato 
                  successivo l'Inter non rinnovò il contratto di Weisz, 
                  che si trasferì al Bari. È iniziato il ciclo della 
                  Juventus di Rosetta e Calligaris, che vincerà cinque 
                  scudetti consecutivi, fondando il mito della signora del calcio 
                  italiano. Ma il nuovo allenatore, Istvan Toth, un altro ungherese, 
                  non riuscì a portare la squadra oltre il sesto posto 
                  e l'anno dopo Weisz venne richiamato dal club milanese, ottenendo 
                  due secondi posti sempre dietro la squadra bianconera, costruita 
                  grazie alla competenza di Carlo Carcano, ma anche alle risorse 
                  finanziarie di Edoardo Agnelli, che gli permettevano di avere 
                  in squadra i migliori campioni in circolazione. L'Inter, invece, 
                  era da tempo in grandi difficoltà economiche, che si 
                  risolsero nel 1932, quando alla presidenza del club arrivò 
                  Ferdinando Pozzani, uomo ben introdotto nel regime e dai molteplici 
                  e redditizi interessi economici, dall'agricoltura al petrolio.Pozzani rappresenta un punto di svolta nel calcio italiano: 
                  è il primo presidente a multare i giocatori e a controllare 
                  la loro vita privata, impedisce ai giornalisti sgraditi di assistere 
                  alle partite casalinghe all'Arena e, soprattutto, interferisce 
                  pesantemente nel lavoro degli allenatori, imponendo loro le 
                  formazioni. In dieci anni di presidenza ne cambierà ben 
                  otto, esonerando persino Castellazzi subito dopo la vittoria 
                  del campionato. Weisz, timido e riservato come lo ricordano 
                  tutti, era però uomo di grande dignità e non poteva 
                  gradire. Ragion per cui alla fine del campionato 1933-34 lasciò 
                  l'Inter prima della scadenza del contratto, pur non avendo nessuna 
                  prospettiva concreta. Ancora oggi con 212 presenze sulla panchina 
                  dell'Inter occupa il quarto posto nella relativa classifica 
                  degli allenatori del club nerazzurro, dietro a Helenio Herrera, 
                  Giovanni Trapattoni e Roberto Mancini.
 Trovatosi improvvisamente senza squadra, Weisz accettò 
                  l'offerta del Novara, che militava in serie B. A Novara restò 
                  circa sei mesi, poco più di metà stagione, costruendo 
                  la squadra che conquistò il secondo posto del girone 
                  A, a soli tre punti dal Genova 1893 - che era retrocesso per 
                  la prima volta al termine della stagione precedente dopo aver 
                  dominato i primi quarant'anni del calcio italiano - e che l'anno 
                  successivo conquistò la prima promozione in serie A. 
                  Nel gennaio del 1935, infatti, Weisz venne chiamato a sostituire 
                  Laojos Kovács - un altro ungherese - alla guida del Bologna, 
                  con cui sarebbe entrato definitivamente nella storia del calcio 
                  italiano, ed europeo, proprio mentre gli anni più bui 
                  della storia europea stavano per travolgere lui e la sua famiglia.
 
                   
                    |  |   
                    | Il 
                        Novara nel 1934. Árpád Weiszè il secondo da sinistra
 (Archivio privato Gianfranco Capra)
 |    Solo 
                  un ebreo di nazionalità straniera  Weisz si era sposato con Ilona Rechnitzer, più giovane 
                  di lui di dodici anni, il 24 settembre 1929 a Szombathely, la 
                  città più antica dell'Ungheria, capoluogo della 
                  provincia di Vas, situata al confine con l'Austria. Elena, come 
                  si faceva chiamare Ilona in Italia, e Árpád ebbero 
                  due figli, Roberto, nato a Milano il 7 luglio 1930, e Clara, 
                  nata anch'essa a Milano il 2 ottobre 1934, che decisero di fare 
                  battezzare. La dimensione religiosa gli era indifferente e non 
                  sembra che abbia frequentato le comunità ebraiche delle 
                  città italiane in cui ha vissuto.A Bologna Weisz trovò una squadra in crisi. Affacciatosi 
                  alla ribalta nazionale negli anni Venti, vincitore del campionato 
                  nella stagione 1924-25 e in quella 1928-29, anche il Bologna 
                  stava soffrendo la superiorità della Juventus di Carcano. 
                  Weisz riuscì a rimettere in carreggiata una stagione 
                  iniziata con quattro sconfitte consecutive e a chiudere al sesto 
                  posto. E l'anno successivo sotto la guida di Wiesz, il Bologna 
                  interruppe il dominio juventino, vincendo lo scudetto. Era stato 
                  l'ultimo allenatore a vincere prima del quinquennio bianconero 
                  ed è l'allenatore che pone fine a quel ciclo. L'anno 
                  dopo non solo si ripeté, ma portò il Bologna a 
                  vincere a Parigi il Trofeo dell'Esposizione, una sorta di Champions 
                  League ante litteram. Dopo aver eliminato il Sochaux e i cecoslovacchi 
                  dello Slavia, il Bologna batté in finale i londinesi 
                  del Chelsea per 4 a 1. È il 6 giugno del 1937. Tre giorni 
                  dopo a Bagnoles-de-l'Orne vengono assassinati Carlo e Nello 
                  Rosselli.
 Weisz è all'apice della fama, ora anche internazionale. 
                  Ha vinto tre scudetti con due squadre diverse - impresa che 
                  ancora oggi celebratissimi e strapagati allenatori non sono 
                  riusciti a eguagliare - e battuto in un trofeo internazionale 
                  i maestri inglesi. La stagione 1937-38 vide il Bologna sempre 
                  tra i protagonisti, anche se alla fine arrivò solo un 
                  quinto posto, nell'anno del ritorno dell'Inter. Weisz, in scadenza 
                  di contratto, ricevette un'offerta economica estremamente allettante 
                  dalla Lazio, ma il Bologna rilanciò e riuscì a 
                  trattenere il suo allenatore.
 Ma nell'Italia del 1938 Weisz diventa improvvisamente solo un 
                  ebreo. Anzi, un ebreo di nazionalità straniera. Nell'allucinata 
                  realtà delle leggi razziali non contano doti e talenti, 
                  né conta essersi conquistate con il proprio lavoro stima 
                  e popolarità. Non contano più le esistenze individuali: 
                  si diventa un numero senza importanza, perché altri hanno 
                  deciso così sulla base di incredibili presupposti ammantati 
                  di sinistra scientificità. E tutti si adeguano, senza 
                  avvertire il minimo disagio. Così nessuno fiatò, 
                  nemmeno a Bologna, la città di allora poco più 
                  di trecentomila abitanti che le imprese della squadra di Weisz 
                  avevano reso celebre in tutta Europa. Non fiatò il presidente 
                  del Bologna, Renato Dall'Ara, industriale reggiano ben introdotto 
                  nel regime, cui ancor oggi è dedicato lo stadio di Bologna, 
                  dove pure dal 2009 è stata posta una targa che ricorda 
                  Weisz e la sua famiglia. Non fiatarono i dirigenti, non fiatarono 
                  i suoi giocatori, non fiatarono i tifosi, che lo avevano idolatrato. 
                  Non fiatarono i suoi colleghi allenatori, non fiatarono i giornalisti 
                  che ne avevano magnificato le gesta. E non fiatarono nemmeno 
                  i genitori dei compagni di scuola di suo figlio, quando improvvisamente 
                  non si presentò più a scuola, né fiatarono 
                  i suoi vicini di casa. Il 22 agosto 1938 Árpád 
                  ed Elena, insieme ad altri ottocentomila cittadini stranieri, 
                  vennero registrati nell'elenco degli ebrei stranieri residenti 
                  nel Regno, voluto da Mussolini in persona con una informativa 
                  del 5 agosto. Un elenco così vergognoso, che lo stesso 
                  ministero dell'interno pensò di dover secretare. Un elenco 
                  che durante l'occupazione tedesca permetterà alle SS 
                  di avviare molti ebrei ai campi di sterminio.
 Il 16 ottobre 1938, Weisz prese parte all'ultima partita ufficiale 
                  nel campionato italiano. Dopo un avvio contrastato, due vittorie 
                  e due sconfitte, il Bologna batté in casa proprio la 
                  Lazio 2-0. La settimana successiva il campionato si fermò 
                  per permettere lo svolgimento di una partita della nazionale, 
                  neocampione del mondo per la seconda volta. Nella pausa il Bologna 
                  concordò di disputare una partita amichevole, senza i 
                  nazionali, contro l'Inter, all'Arena. Il 22 ottobre Weisz si 
                  dimise: il 7 settembre il Regio - ah, la monarchia... - decreto 
                  legge n. 1381 stabiliva che gli ebrei stranieri che avevano 
                  fissato la residenza in Italia dopo il 1 gennaio 1919 avevano 
                  sei mesi di tempo per lasciare il paese. Aveva stabilito anche 
                  che veniva «considerato ebreo colui che è nato 
                  da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi 
                  religione diversa da quella ebraica». Dunque chi è 
                  ebreo viene stabilito dai persecutori; si costruisce una categoria 
                  astratta, cui vengono attribuite arbitrariamente caratteristiche 
                  di pericolosità sociale senza alcun rapporto con la realtà, 
                  e si decidono arbitrariamente i criteri di appartenenza alla 
                  categoria. Il 30 ottobre il Bologna vinse 3-1 a Novara, con 
                  in panchina l'allenatore austriaco Felsner, con cui la squadra 
                  felsinea aveva vinto i primi due scudetti, che evidentemente 
                  non si pose troppe questioni. Lazio, Inter, Novara: in pochi 
                  giorni, tornano tutte le squadre che hanno scandito la carriera 
                  di Weisz. Alla fine della stagione il Bologna vincerà 
                  il suo quinto scudetto. Ma Weisz è già lontano 
                  e già dimenticato. “Il Resto del Carlino“ 
                  liquida l'avvicendamento in poche righe, alludendo a ciò 
                  che tutti sanno, ma è meglio non scrivere esplicitamente. 
                  Figurarsi se vale la pena spendere qualche riflessione. Addirittura 
                  solo una la riga che gli dedica il “Calcio Illustrato“, 
                  dopo aver annunciato l'arrivo di Felsner: «Quanto a Veisz, 
                  sembra che lascerà l'Italia a fine anno». E dire 
                  che al settimanale milanese Weisz aveva collaborato a più 
                  riprese, con articoli di tecnica e di tattica di grande profondità, 
                  frequentandone assiduamente la redazione durante il soggiorno 
                  a Milano.
 
 
  Vessazioni 
                  sempre più umilianti  Weisz e la sua famiglia lasciarono l'Italia il 10 gennaio 
                  del 1939 per sistemarsi a Parigi. Qui Weisz cercò di 
                  trovare un ingaggio, contando sulla sua fama e sulle sue conoscenze. 
                  Riuscì ad accasarsi in Olanda, a Dordrecht, città 
                  in cui arrivò ai primi di aprile, grazie a Karel Lotsy, 
                  dirigente del Dordrechtschte football club. Il calcio olandese 
                  era totalmente dilettantistico - il primo calciatore professionista 
                  sarà il giovane Johan Cruijff a metà degli anni 
                  sessanta - e la squadra di Dordrecht, una città di poco 
                  più di cinquantamila abitanti situata al confine con 
                  la Germania, lottava costantemente per evitare la retrocessione; 
                  ma per Weisz l'offerta rappresentava l'unica possibilità 
                  di dare una sistemazione alla sua famiglia. Lotsy, che nel dopoguerra 
                  allenerà la nazionale olandese, era un profondo conoscitore 
                  del calcio internazionale e, saputo dei problemi di Weisz, si 
                  impegnò a fondo per riuscire a portarlo in Olanda, con 
                  l'obiettivo principale di migliorare il livello del calcio olandese 
                  in generale, più che quello della sua squadra in particolare. 
                  Weisz arrivò a stagione in corso e riuscì a salvare 
                  il Dordrecht dalla retrocessione, vincendo lo spareggio contro 
                  l'Uvv Utrecht. E l'anno dopo ottenne un quinto posto nel girone 
                  vinto dal Feyenoord, battuto clamorosamente in casa. E lo stesso 
                  risultato ottenne la stagione successiva. Si tratta del miglior 
                  risultato nella storia del club, che oggi milita in seconda 
                  divisione, ottenuto con una squadra di ragazzini, studenti e 
                  lavoratori.Ma la storia stava precipitando. L'Europa degli anni trenta 
                  era diventata progressivamente un luogo inospitale per gli ebrei; 
                  il clima di esasperato nazionalismo che attraversava le società 
                  europee aveva portato alla luce con una violenza inaudita diffidenze 
                  e discriminazioni secolari. Ma dal marzo del 1938 cominciò 
                  a diventare l'Europa dell'occupazione tedesca. Prima l'annessione 
                  della Cecoslovacchia, garantita dall'effimero patto di Monaco, 
                  quindi l'Anschluss, l'annessione dell'Austria. Poi il 1 settembre 
                  del 1939 l'invasione della Polonia segnò l'inizio dell'offensiva 
                  tedesca e, dopo gli otto mesi della drôle de guerre, 
                  vennero attaccate prima la Danimarca e la Norvegia, quindi la 
                  Francia, passando per il neutrale Belgio, il neutrale Lussemburgo 
                  e la neutrale Olanda. È il 10 maggio del 1940. Il 14 
                  l'Olanda si arrende. Hitler decide di gestire l'occupazione 
                  attraverso un governo olandese, ma questa sottile intercapedine 
                  non ha alcuna forza, e forse volontà, per mutare il corso 
                  delle cose. Il regime di occupazione, infatti, non solo piega 
                  la società olandese alle esigenze dello sforzo bellico 
                  tedesco, ma dà priorità assoluta alla persecuzione 
                  razziale. Weisz sta terminando il suo secondo campionato con 
                  il Dordrecht. Nella prima parte del suo soggiorno olandese non 
                  può non aver avvertito l'inesorabile avanzare della minaccia 
                  nazista; quelli che l'hanno conosciuto, ritrovati e interpellati 
                  da Marani quasi settant'anni dopo, sono concordi nel dire che 
                  Weisz usciva di rado e cercava di non farsi fotografare. E nel 
                  dire che quando si accennava all'Italia diventava subito cupo. 
                  Ma ora incominciano uno dopo l'altro gli odiosi provvedimenti 
                  amministrativi che restringeranno inesorabilmente gli spazi 
                  di vita dei sempre meno cittadini ebrei, stranieri o olandesi 
                  a questo punto non fa più differenza, fino all'annientamento. 
                  Il campionato 1940-41, pur, come abbiamo visto, brillante sotto 
                  l'aspetto sportivo, è scandito da vessazioni sempre più 
                  umilianti, fino, dal maggio del 1942, alla stella gialla da 
                  portare sulla giacca, fino a poter uscire di casa soltanto tra 
                  le due e le cinque del pomeriggio.
 
 
  Le tracce 
                  perse  Finché il 29 settembre del 1941 dal Commissariato di 
                  polizia arriva una comunicazione ai dirigenti del Dordrecht, 
                  che ricorda che in forza delle disposizioni vigenti dal 15 settembre 
                  1941 sul «pubblico comportamento degli ebrei, ad Árpád 
                  Weisz, allenatore della vostra associazione, è proibito 
                  di trovarsi su un terreno dove sono organizzate partite accessibili 
                  per il pubblico». Poi il consiglio-minaccia «di 
                  non assumere o tenere nel servizio della Vostra associazione 
                  degli ebrei, perché nelle circostanze attuali potrebbe 
                  avere conseguenze molto dannose per la Vostra associazione».Da questo punto in avanti le tracce della famiglia Weisz incominciano 
                  a perdersi a poco a poco, fino a diventare evanescenti. È 
                  stato Matteo Marani a trovare i documenti che ci permettono 
                  di fissare i passaggi che hanno condotto i Weisz ad Auschwitz. 
                  Ma senza avere più alcuna possibilità di disegnare 
                  i contorni della loro vicenda umana. Vite inghiottite nel nulla 
                  senza lasciare un segno, come milioni di altre. La famiglia 
                  Weisz venne arrestata la mattina del 2 agosto 1942 dalla Gestapo. 
                  Il documento è ancora oggi conservato nell'archivio della 
                  città di Dordrecht. Non sappiamo cosa è successo 
                  in quel lungo ultimo anno. È quasi certo che siano stati 
                  i dirigenti della squadra del Dordrecht, benestanti, ma non 
                  ricchi, a provvedere alle necessità economiche sopravvenute. 
                  I compensi degli allenatori di allora, infatti, non sono nemmeno 
                  lontanamente paragonabili a quelli degli allenatori di oggi 
                  e in ogni caso, qualora Weisz fosse stato in grado con i suoi 
                  guadagni di costruirsi un comunque piccolo patrimonio, non ne 
                  avrebbe potuto disporre, poiché una direttiva del governo 
                  olandese aveva provveduto a congelare i patrimoni dei cittadini 
                  considerati ebrei. In queste condizioni non era possibile neanche 
                  pensare di uscire dall'Olanda per trovare rifugio. E dove, poi. 
                  Uniche mete sicure per sfuggire alla persecuzione nazista erano 
                  le Americhe. In quel 1942 l'Europa era completamente schiacciata 
                  sotto il tallone nazista; l'Inghilterra sembrava dover capitolare 
                  da un momento all'altro e sulle possibilità della Svizzera 
                  di far valere la propria neutralità non scommetteva nessuno.
 Qualche giorno dopo, i Weisz vennero trasferiti nel campo di 
                  Westerbork, nel nord dell'Olanda, lo stesso da cui passò 
                  Anna Frank. Lo sappiamo perché nel museo costruito per 
                  custodire la memoria del campo sono conservati i registri con 
                  i nomi di coloro che vennero avviati nei campi di sterminio: 
                  107.000 ebrei, 245 sinti e qualche decina di partigiani. Il 
                  treno con i Weisz partì venerdì 2 ottobre. Elena, 
                  Roberto e Clara vennero avviati alla camera a gas il 5 ottobre, 
                  appena scesi dal treno, come risulta dal Kalendarium di Auschwitz, 
                  la cronologia degli avvenimenti del campo redatta da Danuta 
                  Czech, utilizzando i documenti dell'amministrazione del campo 
                  che sono giunti fino a noi. Clara aveva compiuto otto anni da 
                  tre giorni, Roberto aveva dodici anni, Elena avrebbe compiuto 
                  34 anni due giorni dopo. Di Árpád non c'è 
                  traccia. La sua morte è datata 31 gennaio 1944. L'ipotesi 
                  più probabile è che abbia fatto parte dei trecento 
                  uomini fatti scendere a Cosel - come risulta sempre dal Kalendarium 
                  - per essere avviati nei campi di lavoro in Alta Slesia. In 
                  quel 1942, infatti, Weisz è un uomo di quarantasei anni 
                  ancora nel pieno delle forze, anche se da un anno non può 
                  quasi uscire di casa, figurarsi frequentare i campi di allenamento. 
                  Dunque, prima di essere annientato, può servire allo 
                  sforzo bellico del Reich. Ma non sappiamo proprio come sia arrivato 
                  a quel gennaio del 1944. Anzi non sappiamo proprio cosa dire. 
                  Possiamo solo chinare il capo e cercare di non sfuggire a ciò 
                  che è stato. Anche se a Clara, Roberto, Elena e Árpád 
                  non potrà servire più a niente.
   Giovanni A. Cerutti  
 Per saperne di più
                  La storia di Árpád 
                  Weisz e della sua famiglia è stata raccontata da Matteo 
                  Marani in Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Árpád 
                  Weisz, allenatore ebreo, Aliberti editore, Reggio Emilia 
                  2007, nuova edizione 2012.La ricostruzione della vicenda di Weisz è basata interamente 
                  sul racconto di Marani. Pur non avendo utilizzato regole e convenzioni 
                  disciplinari della storiografia sull'uso delle fonti, circostanze 
                  e fatti narrati sono sostenuti da documenti e da testimonianze 
                  chiaramente indicate e quindi facilmente individuabili e verificabili.
 La traduzione italiana del Kalendarium curato da Danuta Czech 
                  è stata pubblicata nel 2007 dall'editore Mimesis con 
                  il titolo Kalendarium. Gli avvenimenti nel campo di concentramento 
                  di Auschwitz 1939-1945.
   
                 
                   
                    |  
                         Giovanni 
                          Antonio Cerutti
 (Borgomanero 
                          - 1962), direttore scientifico dell'Istituto storico 
                          della Resistenza e della società contemporanea 
                          nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola “P. Fornara“, 
                          è anche cultore della materia presso la cattedra 
                          di Scienza politica del professor Luciano Fasano facoltà 
                          di Scienze politiche dell'Università statale 
                          di Milano.
                          Ha scritto 
                          saggi e libri di argomento storico e anche musicale 
                          (occupandosi tra gli altri di Fabrizio De André 
                          e Bob Dylan).  |  |