Jean 
                    Bacon
                  Si sente dire in 
                    continuazione: «Come volete che non esista la guerra 
                    fra gli esseri umani? Si trova ovunque in natura». È 
                    vero. Salta agli occhi. Prendete una selce. Le particelle 
                    che la compongono non sono forse in uno stato di perenne e 
                    invisibile agitazione? Non è forse questa la prova 
                    che si dedicano a una guerra senza quartiere? I corpi, ci 
                    dice Newton, mantengono l’equilibrio solo grazie al 
                    gioco di due forze opposte, l’attrazione e la repulsione: 
                    ancora la guerra.
                    Un filosofo ha scritto senza scherzare che questa «lotta 
                    sorda e costante... è una delle forme più significative 
                    e più importanti della guerra, e addirittura, in senso 
                    metafisico, la guerra per eccellenza». Si dice comunemente 
                    che la ruggine attacca il metallo, che il più è 
                    l’opposto del meno, il dritto del rovescio, il concavo 
                    del convesso, e il poeta dichiara che «il giorno sorge 
                    dalla notte come una vittoria». Sempre guerra.
                    Passiamo ai vegetali. Un cespo d’insalata, un fagiolino, 
                    un mazzolino di cerfoglio non hanno, a prima vista, un carattere 
                    eminentemente bellicoso. Ma le inesauribili potenzialità 
                    della lingua vengono in nostro aiuto. La pratolina e la piantaggine, 
                    che stendono sul terreno un collarino protettivo, desiderano 
                    proteggersi dai loro vicini per mezzo di fortificazioni adeguate. 
                    Le conifere sono delle imperialiste che tollerano nei loro 
                    paraggi solamente costellazioni di funghi inoffensivi. L’edera 
                    è un agente della quinta colonna che soffoca chi l’ha 
                    accolta senza sospetti. Le piante carnivore si lanciano sotto 
                    ogni profilo nella guerra offensiva: cattura d’insetti 
                    effettuata con i tentacoli dalla drosera delle paludi, effetto 
                    sorpresa delle mascelle folgoranti della dionea acchiappamosche, 
                    utilizzazione di neurotossine nel caso della nephenta e della 
                    sarracenia.
                    E possiamo, in perfetta buona fede, parlare delle daghe dell’acacia, 
                    delle frecce avvelenate dell’ortica, delle lance dei 
                    cactus, dei pugnali delle rose, delle baionette dell’aloe 
                    e delle spade delle foglie d’agave.
                  
                   
 
                    Gli 
                    umani come gli insetti
                  Passando al regno animale, raggiungiamo il colmo. La guerra 
                    la fa da padrona. Nelle foreste, fra le erbe, nella profondità 
                    delle acque, nei cieli, dappertutto vi sono persecuzioni, 
                    assalti, uccisioni.
                    Dobbiamo però annotare due piccoli particolari.
                    Innanzi tutto, gli animali si uccidono solo fra specie differenti, 
                    e principalmente per nutrirsi. È la cosiddetta catena 
                    alimentare. D’altra parte, noi presenziamo volentieri 
                    a questi banchetti universali, come testimoniano i mucchi 
                    di maiali, agnelli, montoni, conigli, polli, faraone e altre 
                    bestiole a vocazione culinaria, di cui ci rimpinziamo in ore 
                    felici, disposti a essere a nostra volta mangiati da quei 
                    più-piccoli-di-noi di cui abbiamo spesso bisogno per 
                    i compiti più infimi.
                    La guerra interna alle specie esiste solamente presso alcuni 
                    insetti sociali: formiche, api, termiti, ovvero presso esseri 
                    viventi che, come l’essere umano, conoscono il lavoro, 
                    il risparmio e la proprietà.
                    Al di fuori di queste categorie molto ristrette, la guerra 
                    animale sostanzialmente assume la forma del combattimento 
                    individuale per la ricerca delle femmine o la difesa del territorio. 
                    Oltretutto, questi duelli sono spesso più spettacolari 
                    che cruenti. A parte qualche morso alle orecchie o qualche 
                    graffio, si tratta soprattutto di grida, ruggiti, petti gonfiati, 
                    sguardi di sfida, rivolti in primo luogo alle attente spettatrici 
                    che sanno perfettamente che questa messa in scena è 
                    destinata a loro.
                    Se nonostante questo il proliferare dei combattimenti rischiasse 
                    di mettere in pericolo l’esistenza della specie, esistono 
                    – è il secondo punto da mettere in risalto – 
                    dei meccanismi inibitori, una sorta di «dispositivi 
                    di inceppamento, volti a impedire che il consimile subisca 
                    danni». Il combattente che si rende conto che non ha 
                    più alcuna possibilità di vittoria assume una 
                    postura di sottomissione o di calma: presenta al vincitore 
                    le parti più vulnerabili del proprio corpo, ed elimina 
                    tutto ciò che potrebbe essere percepito come provocazione.
                    Il lupo che ammette la propria sconfitta offre al rivale la 
                    gola gonfia per il combattimento, estremamente delicata, oppure 
                    si accuccia sul dorso urinando un poco. Quest’ultimo 
                    gesto, che fra gli esseri umani apparirebbe una rara insolenza, 
                    calma immediatamente il nemico che cessa le ostilità. 
                    Il pesce che domanda grazia, invece di far mostra del proprio 
                    vestito di gala che suscita gelosie, lo nasconde, si fa discreto. 
                    Il gallo sottrae agli sguardi la sua cresta rossa, e il ridente 
                    gabbiano maschera il rosso granata del becco e il bruno scuro 
                    della maschera lasciando intravedere solo il bianco del piumaggio.
                    L’essere umano non è così timido. Nei 
                    confronti sessuali o nelle dispute territoriali, ignora superbamente 
                    i meccanismi inibitori e punta direttamente all’uccisione. 
                    Sembra addirittura che si voltoli con delizia nel sangue dei 
                    propri simili, al punto che la guerra è diventata una 
                    seconda natura, affermandosi come una delle sue più 
                    solide istituzioni. Per convincersene, è sufficiente 
                    gettare un rapido colpo d’occhio ai 4.680 anni della 
                    sua storia.
                    Tutto è cominciato molto in fretta. Quando la terra, 
                    se dobbiamo credere alle Scritture, ospitava in tutto quattro 
                    persone – e dunque non si potevano invocare né 
                    la pressione demografica né le rivalità territoriali 
                    – la guerra scoppia fra due di loro: Caino spezza il 
                    filo dei giorni del suo eccellente e unico fratello Abele. 
                    Preso lo slancio, il movimento non si arresterà più.
                    Gli uomini, o quelli che c’erano al posto loro, si massacrano 
                    dai tempi della preistoria. In teoria, minacciati com’erano 
                    dagli animali selvaggi e alla mercé degli elementi, 
                    avrebbero dovuto guardarsi le spalle; ma non se ne fece nulla. 
                    I resti ossei rinvenuti sono eloquenti: mutilati, spezzati, 
                    arrostiti, rivelano che gli inventori dei primi utensili in 
                    pietra se ne servirono, senza perdere un minuto, per sventrare 
                    i loro simili, e che il fuoco appena domato non venne utilizzato 
                    solamente per far grigliare tranci di bisonte.
                    Quando affrontiamo il periodo storico, i documenti sostituiscono 
                    le ossa. Ma suonano la stessa musica, ed è una fanfara 
                    militare. Drammi, epopee, cronache, memorie raccontano sempre 
                    e solo la stessa storia: quella delle guerre degli esseri 
                    umani contro gli esseri umani. Sono questi i nostri veri punti 
                    di riferimento, «i limiti che segnano le grandi svolte 
                    degli eventi», i cardini attorno ai quali si articolano 
                    le fasi della vita di un popolo.
                    Al di fuori di questi non c’è nulla, o quasi. 
                    Uno storico ha calcolato che, dal 1496 avanti Cristo al 1861 
                    dell’era cristiana, ovvero in 3.358 anni, ci sono stati 
                    3.130 anni di guerra e 277 anni di pace, ovvero tredici anni 
                    di guerra per ogni anno di pace. Lo studio degli ultimi centoquarant’anni 
                    non cambia fondamentalmente queste cifre. Il che è 
                    senz’altro incoraggiante e ci fa ben sperare per l’avvenire. 
                    La guerra, nata con l’uomo, con ogni probabilità 
                    morirà solo con lui. Lasciamo l’ultima parola 
                    a Joseph Prudhomme: «Signore, una parola sola per sconcertarvi. 
                    Ci si è sempre combattuti, ci si combatterà 
                    sempre».
                    Questo ragionamento è geniale. È stato invocato 
                    da tutti coloro che si sono adattati benissimo alle ingiustizie 
                    e alle sofferenze, soprattutto quando sono toccate agli altri, 
                    da tutti i rassegnati, i fatalisti, i disfattisti, che hanno 
                    trovato naturale che la peste devastasse periodicamente le 
                    popolazioni, che due terzi dei bambini morisse in tenera età, 
                    o che migliaia di esseri umani fossero venduti come bestiame. 
                    Monsieur Prudhomme è il loro portavoce. Rappresenta 
                    la Francia profonda, quella dei benpensanti e della maggioranza 
                    silenziosa. Ha sicuramente ragione. Ha il buon senso dalla 
                    sua. La guerra è eterna.
                    Ecco perché è utile conoscere meglio le cause 
                    di un fenomeno tanto fondamentale, studiarne accuratamente 
                    le leggi, scoprirne e apprezzarne le molteplici conseguenze: 
                    è quello che cercheremo di fare nelle pagine seguenti.
                  
                  Tintoretto. 
                    Caino e Abele
                   
 
                    Dai 
                    muscoli alla legge
                  L’uomo primitivo, avendo scoperto che i suoi bicipiti 
                    sono più grossi di quelli della sua compagna, ne approfitta 
                    per terrorizzare lei e i suoi bambini. Non appena percepisce 
                    una resistenza alla sua volontà, la colpisce: vengono 
                    così poste le basi del diritto familiare. Su questo 
                    principio si fonderanno gli altri diritti che reggeranno la 
                    tribù e poi la nazione: semplici ramificazioni del 
                    diritto fondamentale, quello dei muscoli.
                    Lo stesso si dica per il diritto internazionale. Quando scoppia 
                    un conflitto fra due Stati, è necessaria la forza per 
                    sedarlo. Discussioni, negoziati, compromessi non conducono 
                    a nulla. Solo la guerra consente di testare, alla fiamma della 
                    battaglia, il valore delle nazioni. Si tratta dell’unico 
                    giudizio legale che non tiene conto di alcun precedente, legittimità 
                    o privilegio.
                    Questo tribunale inesorabile è la forma più 
                    elevata di giustizia, perché non ammette alcuna possibilità 
                    di bustarelle, mercanteggiamenti o pressioni. «È 
                    una giurisdizione incorruttibile, senza magistrati, senza 
                    testimoni, senza giuria, senza uditorio, nella quale gli arresti 
                    sono senza appello».
                    La guerra, giudizio della forza, ha reso il suo verdetto: 
                    designando il vincitore, ha indicato dove si trova il diritto. 
                    Nessuna contestazione è più possibile. È 
                    stata fornita una risposta chiara. I ribelli di ieri, che 
                    nel corso delle ostilità erano divenuti il governo 
                    in esilio, quindi il governo provvisorio, sono diventati oggi 
                    il governo legittimo. Se avessero perso, sarebbero stati fucilati.
                    Ma hanno vinto: perché erano dalla parte giusta, quella 
                    del più forte, che è contemporaneamente la parte 
                    migliore. Il giudizio della guerra ha infatti questo aspetto 
                    ammirevole: concede la vittoria ai Paesi che ne sono più 
                    degni. Trionfa proprio chi doveva trionfare. «Come l’essere 
                    più perfetto esce vincitore dalle lotte individuali, 
                    così la nazione più perfetta esce vincitrice 
                    dalle lotte internazionali». Qualcuno farà allora 
                    notare che tale modello di virtù è opportunamente 
                    munito di armi efficaci: è vero.
                    Ma godiamoci il ragionamento dei filosofi: queste armi sono 
                    state concepite dagli ingegneri di quella nazione, realizzate 
                    dai suoi tecnici e dai suoi operai, e sono dunque il frutto 
                    del genio della nazione. E quand’anche fosse stato necessario 
                    acquistarle all’estero, la moneta con cui sono state 
                    pagate è il risultato della ricchezza nazionale, ovvero 
                    ancora una volta del genio di coloro che possiedono il petrolio, 
                    l’uranio, lo stagno.
                    Al contrario, il vinto è sempre colui che merita di 
                    esserlo, anche nel caso di un attacco a tradimento, o quando 
                    soccombe di fronte alla coalizione di parecchi Stati ambiziosi 
                    e senza scrupoli.
                    La sconfitta è la stigmate della corruzione, della 
                    pigrizia, dell’immoralità. La Germania fa la 
                    guerra alla piccola Danimarca e naturalmente la schiaccia: 
                    il che significa che i danesi sono inferiori ai tedeschi per 
                    intelligenza, coraggio, lealtà, sapienza.
                    Bisogna dunque ammettere che il Caso non ha alcun ruolo nella 
                    guerra? Ciò sarebbe contrario agli insegnamenti del 
                    grande Clausewitz, che gli attribuisce un posto importante 
                    nello svolgimento dei combattimenti. Ma cos’è 
                    in fondo il Caso, se non la Provvidenza, la Fortuna? E, come 
                    si sa, la Fortuna sorride agli audaci, cioè ai forti.
                    Se l’umanità è stata costretta a ricorrere 
                    ad un mezzo tanto radicale come la guerra per risolvere i 
                    conflitti non è stato senza aver prima tentato numerose 
                    soluzioni alternative.
                    Alcuni hanno immaginato di sostituire alla guerra una competizione 
                    sportiva, nella quale i belligeranti si farebbero rappresentare 
                    da campioni. Il procedimento non è nuovo, è 
                    stato utilizzato a più riprese in passato – l’esempio 
                    più celebre è quello degli Orazi e dei Curiazi.
                    Tuttavia, questo comporta serie difficoltà. In guerra, 
                    in effetti, i pochi regolamenti in vigore possono essere agevolmente 
                    violati, poiché non vi sono giudici né sanzioni.
                    Viceversa è ben difficile ipotizzare una gara nella 
                    quale i giocatori non tengano in alcuna considerazione i fischi 
                    dell’arbitro e facciano di testa loro ignorando sistematicamente 
                    i rigori, le punizioni, i falli laterali, i fuorigioco.
                    Oltretutto, potrebbe sembrare insolito che una squadra metta 
                    in campo il triplo o il quadruplo dei giocatori dell’altra: 
                    il suo capitano, se risultasse vincitore, rischierebbe di 
                    farsi fischiare dalla folla. Nulla di tutto ciò in 
                    un conflitto militare. Il generale che si arrangia in modo 
                    da avere più carne da cannone, più aerei, più 
                    bombe del suo avversario, che si batte tre contro uno e che, 
                    come è ovvio, incassa la vittoria, viene portato in 
                    trionfo. Nessuno grida all’infamia. In guerra, il disonore 
                    non esiste, se non per i vinti.
                    Un’altra alternativa alla guerra è stata ricercata 
                    nell’elaborazione di piani di pace. Sarebbe troppo lungo 
                    passarli in rassegna, sono numerosissimi. La loro lettura 
                    lascia d’altra parte un’angosciosa impressione: 
                    sembra che tutti gli esaltati, i sognatori, i costruttori 
                    di castelli di sabbia abbiano sfogato qui i loro fantasmi 
                    in un inaudito coacervo di assurdità e infantilismo.
                    Il più bel fiore di questa corona è senza dubbio 
                    il Patto Kellogg. Stop alla guerra! La guerra è fuorilegge! 
                    Un po’ come dire: stop ai cicloni! I terremoti sono 
                    fuorilegge!
                  
                   
 
                    “L’aggressore 
                    è sempre l’altro”
                  Bisogna riconoscere che definire l’aggressione è 
                    un compito arduo. Le divergenze d’opinione sono molteplici.[...].
                    Bisogna allora disperare, come fanno in molti, ormai convinti 
                    che è umanamente impossibile definire una nozione di 
                    questo tipo?
                    Noi non lo crediamo. Al contrario, alla luce di quanto detto, 
                    crediamo in tutta modestia di aver trovato una definizione 
                    che aggira gli ostacoli appena evocati e risponde a tutte 
                    le obiezioni. In effetti, essa è abbastanza semplice 
                    per essere universalmente compresa, ha il merito della brevità, 
                    è assai generale ma concreta, è totalmente esaustiva 
                    e rende inutili i sottili distinguo inglobandoli.
                    Questa definizione, che ci permettiamo di proporre agli organismi 
                    internazionali affinché divenga il principio fondante 
                    della diplomazia contemporanea, è la seguente: «L’aggressore 
                    è sempre l’altro». Ne deriva che ciascuno 
                    degli avversari si trova sistematicamente in stato di legittima 
                    difesa e che dunque il suo buon diritto non può essere 
                    contestato. Possiamo allora tirarne la logica conseguenza 
                    affermando che «la guerra è sempre giusta dalle 
                    due parti». [...].
                    Per illustrare la nostra idea abbiamo raccolto le dichiarazioni 
                    di moltissimi capi di Stato e capi militari di tutte le risme 
                    e ne abbiamo tratto un discorso coerente, una sorta di prototipo 
                    universale dell’«appello alle armi». Il 
                    fatto che non sussistano contraddizioni interne prova che 
                    gli avversari, avanzando i medesimi argomenti, riconoscono 
                    implicitamente che la guerra è giusta contemporaneamente 
                    dalle due parti.
                  Discorso tipo cui si ricorre all’inizio delle ostilità 
                    (composto esclusivamente con brani tratti dai più grandi 
                    condottieri, generali, capi di stato, da Napoleone a Hitler, 
                    da Stalin a Churchill, da Guglielmo II a Charles De Gaulle).
                  L’ora della battaglia è suonata. Inviamo alle 
                    nostre forze marittime, aeree e terrestri, che ai loro posti 
                    di combattimento sono pronte a entrare in azione, un messaggio 
                    fraterno. Che ciascuno accetti il proprio sacrificio, che 
                    ciascuno serva il proprio rango secondo i propri mezzi: arriverà 
                    per tutti il proprio momento, anche il più debole avrà 
                    la sua parte di gloria.
                    La popolazione civile compia anch’essa il proprio dovere 
                    per intero. Fermezza d’animo, disciplina, speranza, 
                    ecco cosa la anima dal profondo. La nazione affronta il pericolo 
                    a testa alta, con la coscienza limpida. Fedele all’antica 
                    divisa, essa è irreprensibile. Essa non ha paura.
                    Quale consolazione è per noi oggi poter ricordare tutti 
                    gli sforzi compiuti a favore della pace! Siamo coinvolti in 
                    una guerra che non abbiamo voluto. Abbiamo fatto e detto tutto 
                    il possibile per evitarla. Questa guerra ci è stata 
                    imposta.
                    Non v’è alcun dubbio: siamo dalla parte del diritto. 
                    Siamo entrati in guerra per aiutare la giustizia a trionfare. 
                    Oggi noi dobbiamo combattere per l’esistenza stessa 
                    del nostro popolo, per la sua vita, per la sua indipendenza. 
                    I nostri soldati in questo momento proteggono tutto ciò 
                    che possediamo.
                    Combattono per la difesa della nazione, dell’arte e 
                    dello spirito, per la salvaguardia della nostra integrità 
                    territoriale e del nostro onore nazionale. Sì, noi 
                    combattiamo per l’integrità e l’onore del 
                    nostro Paese!
                    Mai le ragioni per combattere sono state tanto evidenti quanto 
                    ora. Sentiamo di batterci non solo per la salvaguardia, per 
                    la libertà e l’indipendenza della nostra patria, 
                    ma anche per tutti gli uomini, sia quelli della nostra generazione, 
                    sia quelli di tutte le generazioni a venire. La nostra causa 
                    è la causa della giustizia, della prosperità, 
                    del progresso e della pace per l’intera comunità 
                    umana.
                    Abbiamo la fortuna di combattere affinché regni, un 
                    giorno, la pace nel mondo, una pace giusta e durevole. Il 
                    nostro obiettivo fondamentale è lavorare per un mondo 
                    equo e pacifico, per una lunga pace futura.
                    Siamo calmi e risoluti. Non dubitiamo un solo istante della 
                    nostra vittoria. Essa sarà la ricompensa della nostra 
                    forza morale e della nostra perseveranza. La sconfitta definitiva 
                    del nemico è il solo obiettivo verso il quale devono 
                    convergere tutte le nostre energie. Il dovere, è la 
                    guerra; l’avvenire, è la vittoria.
                    Confidiamo nell’Onnipotente e nell’Eterno. Dio 
                    è con noi, con la nostra giusta causa. Che Egli benedica 
                    le nostre armate! Che Egli ci protegga e diriga il successo 
                    delle nostre armi! Che Egli conceda ai nostri soldati la forza 
                    di compiere con perseveranza e valore ciò che sarà 
                    necessario per conservare la nostra libertà! Dobbiamo 
                    essere uniti, dobbiamo essere intrepidi, dobbiamo essere inflessibili, 
                    possiamo vincere, dobbiamo vincere e vinceremo.