Per la maggioranza 
                    governativa di centro-destra questo settembre 2005 sembra 
                    essere stato proprio un settembre nero. Al momento non è 
                    dato sapere se la difficoltà che stanno dimostrando 
                    nel condurre le cose, sia al proprio interno sia rispetto 
                    alla responsabilità di dover governare lo stato, sia 
                    sintomo di una futura debacle alle prossime elezioni politiche 
                    di aprile 2006. Poco importa, tanto meno a noi. 
                    Ciò che invece mi sembra certo è che il loro 
                    continuo incespicare in una miriade di ostacoli che sembrano 
                    non finire mai, dipenda in gran parte dall’effetto psicologico 
                    reattivo che hanno avuto in seguito alla batosta subita alle 
                    ultime regionali. Hanno cioè un’incontenibile 
                    paura, che in più d’un’occasione ha dato 
                    l’idea di trattarsi di vero e proprio timor panico, 
                    di perdere quelle molto prossime future elezioni. 
                    La paura, si sa, rende insicuri e, nolenti, porta a muoversi 
                    in modo disarmonico e scomposto, a volte, se non si sta attenti, 
                    e se si è impauriti è fatica essere attenti, 
                    fino a diventare grotteschi e ridicoli. Così, in questo 
                    settembre appena trascorso, nella CdL abbiamo assistito ad 
                    una rappresentazione drammatica e comica insieme, in gustoso 
                    spirito goldoniano, dove difficilmente era comprensibile se 
                    il clima fosse più da resa dei conti interna o da necessità 
                    di sopravvivenza. Il polo dei centristi di destra, o dei destro-centristi 
                    che dir si voglia, si è trovato sempre più aggrovigliato 
                    in un fuoco di fila di veti incrociati, di proposte fatte 
                    da un gruppo politico e negate dall’altro, diviso all’ultimo 
                    sangue tra “fazisti” ed “antifazisti”, 
                    abbandonato dal ministro tecnico dell’economia Siniscalco, 
                    che a suo tempo aveva sostituito Tremonti sfiduciato da Fini, 
                    il quale è stato subito sostituito dal redivivo Tremonti, 
                    questa volta al contrario della prima fiduciato da Fini, con 
                    la Lega unica partigiana di Fazio, governatore della Banca 
                    d’Italia, e Berlusconi che a malincuore ha dovuto sfiduciare 
                    a parole Fazio alla vigilia del vertice internazionale del 
                    FMI. 
                   
 
                    Rafforzare il re 
                  Soprattutto l’UDC di Casini e Follini, sentendosi forte 
                    perché è l’unica della coalizione che 
                    di volta in volta si è rafforzata nelle ultime tornate 
                    elettorali, sempre disastrose invece per il polo berlusconiano, 
                    in particolare in questo mese ha premuto, lavorato ed ufficialmente 
                    dichiarato con determinazione e convinzione per togliere la 
                    leadership a re Silvio. 
                    A sorpresa, ma neanche tanto, quasi ad imitazione dell’Unione, 
                    ha proposto le primarie anche per il centro-destra, o destro-centrati 
                    che dir si voglia. Grande scompiglio nella casa delle libertà 
                    presunte. In una libera monarchia non si può mettere 
                    in discussione il re, altrimenti si rischia di incrinare la 
                    libertà addotta. Subito i vassalli leghisti, dopo aver 
                    difeso senza remore Fazio, hanno creato un servizio d’ordine 
                    di difesa dei privilegi regali (se perdono il patriarca Silvio 
                    chi si occuperà più di loro?), mentre Fini, 
                    più astuto, al Devolution day di Reggio Calabria, dove 
                    tentavano di spiegare gl’invisibili vantaggi per il 
                    Sud dati dalla devoluzione leghista, ha detto a chiare lettere 
                    che se primarie ci saranno lui si candiderà, udite! 
                    udite!, non per vincere, ma per rafforzare il re. 
                    Anche questa sembra una fotocopia di molti avversari prodiani 
                    alle primarie, quelle vere, del centro-sinistra. Il re a sua 
                    volta ha detto che non ne ha paura, ma bisogna chiarire bene 
                    le regole di svolgimento (il principe dei telegenici non può 
                    rinunciare ad un’occasione in più per organizzare 
                    un’altra investitura in diretta). 
                    All’interno di questo comico bailamme governativo, è 
                    spuntata una proposta di legge sulla quale in particolare 
                    vorremmo soffermarci. 
                    Verso la metà di questo fatidico settembre la maggioranza 
                    di governo, in piena emergenza legge finanziaria, è 
                    partita all’attacco per far approvare dal parlamento 
                    italiano il cambiamento della legge elettorale, ripristinando 
                    il proporzionale che ha caratterizzato l’intero periodo 
                    della cosiddetta prima repubblica, per far decadere il maggioritario 
                    in vigore col quale aveva trionfato alle precedenti elezioni. 
                    Non più collegi uninominali, le cui assegnazioni sono 
                    stabilite in un vero e proprio mercato di accordi e scambi 
                    tra le componenti di ogni coalizione, ma elezione dei deputati 
                    di ogni singola forza politica che raccolga un numero sufficiente 
                    di voti, ridefinendo la distribuzione dei seggi parlamentari 
                    in base alla proporzione dei voti ricevuti. 
                    Appena la macchina ha tentato di mettersi in moto in tal senso 
                    si è subito scatenata la bufera. Prima di tutto perché 
                    gli aggrovigliamenti della maggioranza sono entrati in fibrillazione 
                    portando all’ennesima potenza la sua scompostezza ormai 
                    endemica. 
                    Non si capiva bene chi di loro volesse veramente questo rientro 
                    del proporzionale nei termini inizialmente proposti. Gli unici 
                    sicuri sembravano quattro “sherpa” guidati 
                    dall’ineffabile Calderoli, come li ha definiti 
                    Scalfari su “la Repubblica”. 
                    Per il resto dei destro-polisti si capiva ben poco. Fini non 
                    era d’accordo e, come spesso gli succede da quando ha 
                    scelto di essere nel calderone della CdL, più che altro 
                    si è turato il naso. Follini, che pure è sempre 
                    stato convinto sostenitore del proporzionale, ha minacciato 
                    di uscire dalla coalizione se fosse rimasta quella versione. 
                    Dentro FI c’è stata subito una quasi rivolta 
                    per la paura di molti di loro d’essere spazzati via 
                    dal nuovo meccanismo, al punto che due giorni dopo lo stesso 
                    Berlusconi ha dichiarato che la condivideva solo in parte. 
                    
                    La pietra dello scandalo iniziale era l’introduzione 
                    dello sbarramento del 4% per tutti, tale che alle prossime 
                    elezioni buona parte dei piccoli partiti dell’Unione 
                    prodiana, come l’UDEUR, il PdCI, i socialisti, gli stessi 
                    verdi, avrebbero rischiato di non esistere in parlamento perché 
                    non sarebbero stati in grado di raggiungere singolarmente 
                    il quorum prescritto. 
                    Ma, abituato ai forcing finali, nell’ultima 
                    settimana settembrina il Polo delle libertà (negate!), 
                    ha finalmente trovato l’accordo interno con una proporzionale 
                    di sbarramenti: sbarramento del 2% per i partiti delle coalizioni, 
                    del 4% per chi sta fuori dai poli, del 10% per ogni coalizione 
                    (si vuole evitare che si possa formare un terzo polo), con 
                    aggiunta di un premio di maggioranza, così che chi 
                    vince acquista uno strapotere e può decidere a suo 
                    piacimento, fottendosene del confronto democratico. Inoltre 
                    si voterà su liste di stretta osservanza dei partiti 
                    in lizza, evitando la trappola delle preferenze che potrebbe 
                    sfuggire al controllo centrale. Insomma, invece di rispettare 
                    il senso del proporzionale, che vorrebbe che gli eletti siano 
                    in proporzione ai voti espressi, si usa il proporzionale per 
                    creare un reticolato che rinchiuda le proporzioni all’interno 
                    del recinto di controllo di chi conquista la maggioranza. 
                    Neanche con quest’ultimo accordo è finita l’abituale 
                    bagarre. Follini vorrebbe le preferenze per una maggiore autonomia 
                    e se l’è presa con Casini perché, lui 
                    assente, ha concordato una cosa simile. 
                    L’intero centrosinistra davanti alla prima versione 
                    ha gridato a gran voce allo scandalo: «Non si cambiano 
                    le regole mentre si sta giocando!», «L’ultima 
                    legge ad personam», «È una vera vigliaccata 
                    contro il centrosinistra», «È l’ennesima 
                    legge-truffa!». Prodi alla testa dell’Unione con 
                    gran cipiglio ha solennemente accusato: «Cambiare la 
                    legge elettorale a poco più di sei mesi dal voto è 
                    una cosa indegna!». Senza esitazione l’intera 
                    opposizione fin da subito ha annunciato le barricate parlamentari, 
                    decisa a fare un compatto e determinato ostruzionismo e, anche 
                    con la versione definitiva, i centro-sinistri sono ancora 
                    più convinti delle barricate: ci rimetterebbero comunque 
                    in assegnazione di seggi e, ancor più grave, Prodi 
                    si trova costretto a presentarsi nella lista di un partito 
                    che al momento non ha. 
                    Mentre sto scrivendo, a fine settembre, la dirigenza dell’Unione 
                    ha annunciato una mobilitazione popolare ed ha chiesto le 
                    dimissioni del presidente della Camera Casini perché 
                    non è stato imparziale. 
                    Ciò che sorprende veramente in tutta questa spirale 
                    di parole impazzite è l’ostentazione di sorpresa 
                    scandalizzata da parte dell’attuale opposizione parlamentare. 
                    Al di là dei casini e degli scontri interni, infatti, 
                    sono anni che nel centrodestra in più occasioni si 
                    dichiara di voler cambiare la legge. 
                    Lo stesso rampante Berlusconi, soprattutto da quando i veri 
                    sondaggi che lo informano gli suggeriscono un progressivo 
                    costante declino, aveva più volte dichiarato di volerla 
                    cambiare, ovviamente, come s’è visto, non per 
                    rispettare le proporzioni di voto, ma per ingabbiarle. Lo 
                    stesso Follini, capo dell’UDC e alleato scomodo della 
                    CdL, sono mesi che insiste sull’adesione ideologica 
                    al proporzionale, argomento da lui usato soprattutto per combattere 
                    il premierato berlusconiano e per contrapporsi agli avversari 
                    interni della Lega. 
                  
                   
 
                    L’etica di “lor signori” 
                  Non trovo affatto sorprendente che, dati questi presupposti, 
                    in seguito alla recente batosta delle regionali, presi dallo 
                    spauracchio delle prossime elezioni politiche, qualcuno di 
                    loro abbia provato a mettere in campo una strategia in grado 
                    di limitare i probabili danni, se non addirittura a ribaltare 
                    un ormai quasi sicuro risultato. 
                    Tutta la classe politica professionista, di destra di sinistra 
                    di centro non ha importanza, non ha forse accettato da sempre 
                    l’uso spregiudicato delle regole a disposizione per 
                    condurre a proprio favore le battaglie che si combattono? 
                    Da quando l’etica è il metro di misura per giudicare 
                    la giustezza delle scelte di lor signori? A memoria, posso 
                    solo dire che è sempre stata invocata solo da chi di 
                    loro ci stava rimettendo, mentre, sempre loro, ogni volta 
                    che si sono trovati in vantaggio, con buona capacità 
                    sofistica sono sempre stati capaci di dimostrare l’apparente 
                    giustezza delle proprie scelte. 
                    Non esistono i puri nel palazzo e bisogna essere ciechi per 
                    non accorgersene. Non è forse il machiavellismo una 
                    sicura via maestra riconosciuta e coccolata? Per favore, lasciamo 
                    dunque perdere l’ipocrisia e la verginità di 
                    facciata. 
                    Povera tirannica democrazia rappresentativa, quali danni sei 
                    capace di combinare? Perché il punto è proprio 
                    questo: al di là delle nefandezze e dei comici conflitti 
                    interni alla classe dirigente, è la struttura stessa, 
                    l’ordinamento procedurale, definitorio e sanzionatorio 
                    su cui si fonda il sistema di governo a comprendere e legittimare 
                    queste scelte e questi comportamenti istituzionali. 
                    Ammettiamo per un attimo, senza tener conto di ciò 
                    che effettivamente sta accadendo, che l’attuale Polo 
                    di maggioranza non si trovasse nelle secche di una situazione 
                    da cui fa fatica ad emergere. 
                    Che fosse invece solidale e compatto al suo interno, potendo 
                    quindi esercitare senza farsi del male la propria legittima 
                    capacità di governare secondo le regole in auge. Senza 
                    intoppi e senza remore farebbe approvare in modo del tutto 
                    legittimo una qualsiasi legge rispondente ai bisogni ed agli 
                    interessi più confacenti a sé. Non è 
                    forse prevista dalla carta costituzionale e dagli attuali 
                    regolamenti legislativi una simile eventualità? Chi 
                    l’ha detto che non si cambiano le regole quando si è 
                    in corsa? Non si cambiano se c’è una regola che 
                    lo sancisce espressamente. Per quanto ci risulta una tale 
                    regola non è mai stata legiferata, tanto è vero 
                    che la legge maggioritaria vigente fu approvata a suo tempo 
                    a fine legislatura. Poi, a rigor di logica, non è neppure 
                    ufficialmente in vigore la campagna elettorale, quindi non 
                    si è ufficialmente in corsa. 
                    Con ciò non voglio dire che la destra al governo fa, 
                    o meglio farebbe, bene a fare ciò che fa o vorrebbe 
                    fare. 
                    Voglio invece dire che gli argomenti sono pretestuosi per 
                    entrambi i contendenti e rispondono soltanto a ragioni di 
                    propaganda di parte, dal momento che tutto avviene perfettamente 
                    dentro i confini legislativi che entrambi riconoscono. Se 
                    dunque c’è scandalo non è nei fatti cui 
                    assistiamo, ma nella cosa in sé, nel sistema su cui 
                    si sorregge l’esercizio del governo parlamentare. 
                    È la democrazia rappresentativa in quanto tale ad essere 
                    uno scandalo in sé, dal momento che ha fatto letteralmente 
                    a pezzi ogni serio principio di rappresentanza reale, smembrandolo 
                    a un punto tale che non ne esiste più nemmeno l’ombra. 
                    Lor signori che si trovano lassù, di qualunque parte 
                    siano, pur essendo stati regolarmente eletti, non rappresentano 
                    ormai che sé stessi, di conseguenza, i propri interessi. 
                    
                    Il mandato che ricevono dagli elettori, più che un 
                    mandato in senso stretto è una designazione, una vera 
                    e propria investitura di potere. Come si fa a non capire che 
                    si elegge chi deve decidere indipendentemente da ciò 
                    che deciderà, perché poi, una volta elettili, 
                    gli elettori non hanno nessuna effettiva e concreta possibilità 
                    di intervenire e controllare ciò che fanno. Non a caso 
                    difficilmente mantengono le promesse che fanno in campagna 
                    elettorale per estorcere il consenso. Per legge non sono tenuti 
                    a farlo. 
                  
                   
 
                    Lizza tra leader 
                  In particolare dopo la svolta schumpeteriana, che, con lo 
                    scopo di governare la complessità delle attuali società, 
                    ha trasformato la democrazia in una lizza tra leader, accollando 
                    alla politica il principio economico della concorrenza tipica 
                    del mercato capitalista, tutto il gioco politico ha assunto 
                    il senso dell’assicurarsi il consenso dei voti con qualsiasi 
                    mezzo a disposizione solo per esercitare il comando nell’espletamento 
                    della funzione di governo. Schumpeter è stato davvero 
                    preveggente, perché ha offerto ai politici professionisti 
                    la teorizzazione di un leaderismo direttivo in grado di cancellare 
                    ogni residuo di partecipazione e di rappresentanza. 
                    Ed oggi tutti ne usufruiscono a piene mani, auspicando, teorizzando 
                    ed agendo per incentrare sui leader ogni attenzione, al fine 
                    di portarli al comando attraverso le consultazioni elettorali. 
                    In un certo senso è una militarizzazione del dibattito 
                    politico: ammesso che l’abbia mai avuta, il parlamento 
                    ha perso la funzione dichiarata di luogo di confronto tra 
                    pari eletti, per diventare campo di battaglia tra eserciti 
                    che lottano ognuno per il trionfo del proprio generale (dando 
                    per scontato che ogni generale riesca a farsi seguire). 
                    La situazione strutturale sopra descritta per sommi capi mette 
                    in evidenza, da una parte che il sistema non funziona, dall’altra 
                    che la radicalità della critica anarchica coglie perfettamente 
                    nel segno. Questi signori, tutti indipendentemente dagli schieramenti 
                    di appartenenza, sopra ogni altra cosa vogliono il raggiungimento 
                    della governabilità. In altre parole vogliono poter 
                    decidere senza aver intoppi di nessun tipo, potremmo dire 
                    secondo una logica decisionale tipica dei manager industriali 
                    e finanziari. 
                    Per questo, se in qualche modo vigono forme autenticamente 
                    democratiche, capaci cioè di dar spazio reale alle 
                    istanze di base dal basso, si sentono disturbati e sabotati. 
                    Così studiano continuamente il modo di annullare e 
                    nullificare ogni partecipazione popolare. 
                    Così il sistema non funziona, perché, mentre 
                    dichiara di riconoscersi nel principio di restituire il potere 
                    al popolo, al contrario agisce continuamente per toglierglielo. 
                    Non a caso ogni democrazia rappresentativa in vigore nel mondo 
                    trova sempre più difficile governare e riesce sempre 
                    meno a risolvere i problemi procurati dal sistema nefando 
                    cui essa garantisce continuità. 
                    A riprova: perché lor signori non fanno la cosa minima, 
                    quasi ovvia? Perché non chiedono a chi deve votarli 
                    che cosa, chi e come vorrebbero votare? Non risolverebbe nessun 
                    problema, perché nelle società attuali il consenso 
                    è telediretto e mediaticamente indirizzato, ma perlomeno 
                    farebbero qualcosa di coerente rispetto ai presupposti di 
                    fondo della democrazia. Forse non lo fanno perché hanno 
                    paura di sorprese sgradite. Come possono rappresentare gli 
                    elettori se li temono?