|  Scioperi 
                        dei dipendenti di McDonald’s, Pizza Hut, Arcade, 
                        dei Frog Pubs, Quick, passando per la FNAC e Virgin... 
                        In tutte queste lotte sono intervenuti dei comitati di 
                        sostegno, animati da sconosciuti che non cercano né 
                        di parlare al posto degli scioperanti, né di prendere 
                        il potere.  | 
                    
                  
                  Che cos’è che ha messo insieme i membri 
                    di questi collettivi di solidarietà? 
                  Jeanne: Non è l’appartenenza ad una 
                    stessa “condizione sociale”, penso, anche se molti 
                    di noi hanno un’esperienza diretta del precariato. 
                    Non è l’affinità politica, dato che in 
                    questi collettivi c’è stato di tutto – 
                    nel primo collettivo di appoggio agli scioperanti di McDonald’s, 
                    era quasi una caricatura, si andava dai giovani Chevenementisti 
                    (1) fino ai membri del coordinamento 
                    dei sans-papiers, passando per tutti i gruppi dell’estrema 
                    sinistra più o meno sindacalista, e perfino degli antisindacalisti 
                    veri e propri (bisogna dire però che si era in periodo 
                    pre-elettorale...). 
                    No, quello che ci ha messo insieme è semplicemente 
                    il fatto di essere disponibili e di aver voglia di mobilitarsi. 
                    Ci siamo detti: “Non sappiamo bene da che parte prendere 
                    il problema, ma se c’è gente che si batte, bisogna 
                    dargli una mano”. 
                    Nicolas: La nostra preoccupazione principale è 
                    di modificare, sul campo, rapporti di forza che sono strutturalmente 
                    sfavorevoli ai salariati. La questione che ci ha messi insieme 
                    è: come fare per far vincere gli scioperanti? 
                    Non siamo un sindacato, non ne abbiamo la struttura. E nemmeno 
                    la voglia: non vogliamo creare un’ennesima struttura 
                    burocratica. D’altro canto non siamo lì per durare 
                    oltre la lotta che sosteniamo. 
                    Non abbiamo gli strumenti per la contrattazione o l’accompagnamento 
                    giuridico, anche se ci è successo di dare una mano 
                    anche su questo terreno. 
                    Facciamo delle cose piccole, all’altezza delle nostre 
                    forze, avendo come armi principali la nostra fantasia e una 
                    certa esperienza accumulata in vari anni di attività 
                    militante in senso lato. 
                    Ogni sciopero ha problemi specifici, a cui occorre fornire 
                    risposte appropriate, favorendo, ogni volta che è possibile, 
                    il mutuo appoggio tra le varie lotte in corso. 
                  
 
                     Situazione imputridita 
                    
                  Che vuol dire, in pratica, “modificare i rapporti 
                    di forza?” 
                  Nicolas: Bisogna cercare di capire quali sono i 
                    punti deboli, le faglie dell’impresa. Quando i dipendenti 
                    di McDonald’s Strasbourg-St-Denis sono entrati in sciopero, 
                    si sono ritrovati senza un soldo di fronte ad una multinazionale 
                    che lasciava imputridire la situazione. La prima cosa da fare 
                    era colpire un punto doloroso per McDonald’s: i ristoranti 
                    piazzati sulle grandi arterie frequentate da turisti. Abbiamo 
                    quindi organizzato dei blocchi di ristoranti facendo di tutto 
                    perché fossero visibili, cosa che in più ha 
                    stimolato l’inizio di altri scioperi. Tutti i sabati 
                    ricominciavamo. Non solo questo faceva perdere soldi a McDonald’s, 
                    ma soprattutto metteva in luce le sue pratiche sociali schifose. 
                    Durante lo sciopero di Arcade, abbiamo focalizzato la nostra 
                    attenzione sul gruppo Accor, il subappaltatore, andando a 
                    “visitare” i suoi alberghi per informare i clienti 
                    ed indurli a manifestare la loro solidarietà. E dopo 
                    il licenziamento di Faty, si è trovata una forma d’azione 
                    più conviviale, ma che gli rompe altrettanto le scatole: 
                    si fa un pic-nic tutte le settimane in un hotel diverso. Questo 
                    ci permette di entrare in relazione con i clienti ed i dipendenti 
                    in modo disteso e di portare avanti la nostra inchiesta sui 
                    subappalti delle pulizie, che non abbiamo smesso di denunciare, 
                    e che persiste, checché ne dica la direttrice del personale... 
                    In fondo, si tratta di rendere visibile quello che, in tempi 
                    normali, resta accuratamente nascosto. 
                  Esistono differenze evidenti tra gli scioperanti 
                    e le persone che partecipano a questi collettivi di solidarietà? 
                     
                  Jeanne: All’inizio c’è ovviamente 
                    una differenza di esperienze. Dopo vari anni di sostegno agli 
                    scioperi, si finisce per avere un’idea più precisa 
                    di quello che si può fare. Tuttavia, anche noi, in 
                    uno sciopero, abbiamo tutto da scoprire. Quando si è 
                    cominciato a dare una mano alle donne delle pulizie scioperanti 
                    di Arcade, io non sapevo assolutamente niente delle loro condizioni 
                    di lavoro né del funzionamento delle imprese di pulizia: 
                    sono loro che ci hanno insegnato. In compenso loro parlavano 
                    male il francese e conoscevano poco le regole essenziali della 
                    società francese; in questo senso noi abbiamo più 
                    strumenti di loro per muoverci nella società. 
                  Nicolas: Sulla questione del funzionamento e dell’organizzazione, 
                    tutto si fa insieme. I salariati impegnati nel conflitto ed 
                    il collettivo di solidarietà si trovano intorno allo 
                    stesso tavolo, con riunioni settimanali. Il modo di funzionamento 
                    è chiaro: si discute insieme sulla base delle informazioni 
                    che arrivano, e a partire da qui, si decide insieme cosa fare 
                    e lo si fa insieme. In compenso, sono gli scioperanti che 
                    decidono gli obiettivi dello sciopero e in quale momento vogliono 
                    chiudere, in funzione degli elementi della contrattazione 
                    che contano di più per loro. Si fa di tutto perché 
                    conservino il controllo del loro movimento, anche in rapporto 
                    ai loro sindacati ed ai loro avvocati. 
                  Si può immaginare che questi “collettivi 
                    di solidarietà” siano stati accusati di tutte 
                    le nefandezze possibili: manipolatori, riformisti, ideologi, 
                    ecc. 
                  Jeanne: Non troppo. Siamo stati soprattutto ignorati. 
                    Ma è vero che alcuni di quelli che si pretendono radicali 
                    ci rimproverano di fare del “sindacalismo”. Non 
                    lasciare le briciole alla fine dei nostri pic-nic per non 
                    dare più lavoro alle donne delle pulizie, è 
                    probabilmente troppo sindacale e non abbastanza radicale... 
                  
                  Nicolas: Il collettivo non è Zorro. Dà 
                    una mano a gente che è già entrata in lotta, 
                    che ha già preso le proprie decisioni. Dà una 
                    piccola spinta a quello che già esiste. Non si tratta 
                    di far partire un movimento. Non ci si trova in un rapporto 
                    del tipo “siamo quelli che sanno tutto e vi diamo la 
                    ricetta”. Se qualcuno prende delle iniziative, gli diamo 
                    una mano. Se delle persone ci aspettano per prendere delle 
                    iniziative, non se ne parla nemmeno. È una questione 
                    di principio. 
                  In pratica, fate un collegamento con la memoria e 
                    la storia del movimento operaio? 
                  Jeanne: La cultura militante non è senza 
                    importanza, ovviamente, per quello che ci spinge ad andare 
                    avanti. Molti di noi hanno probabilmente l’impressione 
                    di riallacciarsi alla tradizione libertaria delle origini. 
                    Ma si tratta soprattutto di scoprire delle forme di azione 
                    adeguate per batterci nel mondo di oggi. Saper cogliere l’occasione 
                    anche, e reagire rapidamente. Tuttavia quello che facciamo 
                    è molto semplice e resta alla portata di tutti, presuppone 
                    soprattutto motivazione e ostinazione. 
                  
                   
 
                    Azione sul campo e azione giuridica 
                  Quali sono i rapporti fra i collettivi di solidarietà 
                    con avvocati e sindacati? 
                  Nicolas: Non abbiamo mai cercato di mettere gli 
                    scioperanti contro i loro avvocati o contro i loro sindacati, 
                    malgrado l’idea che possiamo avere della burocrazia 
                    sindacale ed a volte anche della sua corruzione. Cerchiamo 
                    di essere pragmatici e la nostra linea di condotta è 
                    di fare tutto il possibile per aiutare gli scioperanti a vincere. 
                    È vero che, dato che privilegiamo l’azione sul 
                    campo, ci siamo trovati in disaccordo con la strategia del 
                    sindacato e dei suoi avvocati, che di solito tendono a privilegiare 
                    l’azione giuridica. Abbiamo allora tentato di spiegare 
                    il nostro punto di vista agli scioperanti, ma in fin dei conti 
                    sono sempre loro a decidere. Lo sciopero delle dipendenti 
                    di Arcade, per esempio, si è chiuso con un accordo 
                    confidenziale tra gli avvocati del sindacato e quelli del 
                    padrone. Ma le scioperanti erano spossate, era un anno che 
                    durava lo sciopero, e loro lo hanno accettato. 
                  Voi vi occupate soprattutto del problema del lavoro? 
                    
                  Nicolas: È la relazione salariale che è 
                    la relazione fondamentale in questa società. In questi 
                    ultimi anni si tende troppo a dimenticarlo, a beneficio di 
                    grandi raduni anti o “alter-mondisti”, che partoriscono 
                    dei movimenti “fuori-terra”, senza radici nella 
                    vita quotidiana degli sfruttati. 
                  Jeanne: Il lavoro è il nodo in cui ti confronti 
                    con il vero potere, con quelli che ti tengono per la collottola. 
                    E malgrado tutto è un “legame” sociale. 
                    Aiutare gli scioperanti a battersi contro lo sfruttamento 
                    nella loro ditta, è indirettamente un modo di battersi 
                    contro il proprio sfruttamento. In quel che facciamo, si tratta 
                    di mutuo appoggio, non di compassione. La lotta dei sans-papiers 
                    avrebbe per esempio tutto da guadagnare a prendersela con 
                    i padroni negrieri; secondo me questo gli permetterebbe di 
                    costruire un’unità più larga intorno ad 
                    essa e le darebbe dei mezzi di pressione che attualmente non 
                    possiede. 
                   
 
                    Praticare l’azione 
                    diretta 
                  A che cosa potreste paragonare l’attività 
                    di questi collettivi di solidarietà? 
                  Jeanne: Se si devono cercare delle somiglianze, 
                    penso che si possa guardare verso gli Stati Uniti. Là 
                    ci sono varie esperienze di intervento della “società 
                    civile” in appoggio alle lotte contro lo sfruttamento 
                    del lavoro, anche se la cultura politica ed i metodi non sono 
                    gli stessi. In Florida, per esempio, dei raccoglitori di pomodori, 
                    sud-americani, che lavorano in condizioni spaventose e per 
                    salari miserabili, hanno ottenuto dopo tre anni di lotta che 
                    la multinazionale Taco Bell, il principale subappaltatore, 
                    paghi un po’ di più i suoi pomodori e che l’aumento 
                    si rifletta sui salari. Questo grazie ad una larga campagna 
                    di boicottaggio organizzata da una “coalition” 
                    in cui si trovavano tanto le chiese protestanti che l’estrema 
                    sinistra. Ci sono anche altri raggruppamenti che hanno giocato 
                    un ruolo importante al momento del grande sciopero delle pulizie 
                    di Los Angeles (i “janitors” di cui parla Ken 
                    Loach nel film Bread and roses), che in seguito si è 
                    esteso a New York ed a Boston. I loro metodi sono perfettamente 
                    collaudati: invitano un sacco di gente ad entrare nella loro 
                    rete e ad impegnarsi per essere disponibili al momento opportuno. 
                    La sinistra di Boston si è mobilitata in questo modo 
                    per bloccare le strade e fare dei picchetti di solidarietà 
                    con lo sciopero, in un momento politicamente cruciale per 
                    il comune. Ed ha pagato. Credo che questi metodi siano destinati 
                    a prendere consistenza... 
                  Nicolas: È una forma di americanizzazione 
                    di cui si parla poco … 
                  Jeanne: Ma è vero che questi metodi sono 
                    a volte ambigui. A Boston l’iniziativa non è 
                    venuta dagli stessi scioperanti ma dal sindacato, che aveva 
                    messo a punto questa strategia: i membri della rete di solidarietà 
                    non conoscono gli scioperanti e non hanno modo di incontrarli. 
                    È un problema reale. 
                  Nicolas: Su un piano storico, se c’è 
                    un’esperienza a cui ci si può rifare, è 
                    probabilmente quella degli Industrial Workers of the World 
                    (IWW). All’inizio del XX secolo i membri degli IWW si 
                    spostavano attraverso gli Stati Uniti, incitando gli operai, 
                    senza distinzione di razza, sesso, religione o nazionalità 
                    d’origine, a praticare l’azione diretta. Cioè 
                    a condurre degli scioperi decisi e controllati dai lavoratori 
                    direttamente interessati, cosa che definivano “democrazia 
                    operaia”. Potevano mobilitare migliaia di persone in 
                    un posto ed in un momento preciso, e questo dava loro una 
                    forza incommensurabile rispetto al loro numero reale. Gli 
                    IWW facevano dei giornali in diciotto lingue (noi, con i nostri 
                    modesti mezzi, abbiamo fatto dei volantini in quattro, cinque, 
                    sei lingue). Ai loro tempi, sono stati capaci di contrastare 
                    la strategia dei padroni e dello stato che consisteva nel 
                    giocare sulla divisione tra le diverse nazionalità. 
                    Si sono appoggiati su degli elementi di appartenenza nazionale 
                    per servirsene come fattore di coesione nella lotta. Hanno 
                    mostrato che era possibile trasformare un fattore di debolezza 
                    in elemento di forza. È una questione che oggi rimane 
                    centrale, allo stato attuale dei rapporti di forza. 
                  Contatti (in italiano, inglese e ovviamente francese): fatysolidarite@hotmail.com. 
                  
                   
                Titolo originale: “Solidarité sans 
                  larmes ni curès”, CQFD (“Ce qu’il Faut 
                  Dire, Détruire, Développer…”), n° 
                  25, luglio-agosto 2005.