Il mondo in cui siamo 
                    immessi non suggerisce nulla di buono, per lo meno dal punto 
                    di vista di un anarchico. Non solo non suggerisce, soprattutto, 
                    almeno ad uno sguardo immediato di primo acchito, non fa presupporre 
                    nulla che ci faccia respirare con gioia a pieni polmoni, rigenerandoci 
                    come ci piacerebbe con emozioni di speranza. Il clima che 
                    ci sovrasta ci giunge tetro e plumbeo, riproducendo giorno 
                    dopo giorno la vacuità di senso dell’agire quotidiano 
                    che ad ogni latitudine sembra attanagliare le genti. 
                    Nelle relazioni fra gli stati di un mondo sempre più 
                    globalizzato incombe sovrana la logica di guerra, spudoratamente 
                    contraddicendo la snervante declamazione di continue dichiarazioni 
                    di pace. L’habitat naturale in cui tutte le specie viventi 
                    coesistono tra alterne vicende da milioni di anni è 
                    costantemente minacciato dalla nevrotica operosità 
                    della nostra specie, la quale con sconcertante incoscienza 
                    non sembra né essere capace né aver intenzione 
                    di por fine alla devastazione che sta portando avanti da secoli 
                    con superba pervicacia. Siamo tutti sottomessi, nolenti o 
                    volenti, alle regole non scritte di un gioco economico che 
                    s’impone su tutto il globo, il cui scopo è quello 
                    di arricchire fino all’inverosimile i più furbi 
                    e spregiudicati a detrimento di tutti gli altri esseri umani, 
                    dei quali alcuni riescono a cavicchiarsela arrancando mentre 
                    enormi masse di persone sono costrette a sopravvivere in miseria 
                    o a perire di fame. I governi che guidano gli stati, in modi 
                    diversi anche se tutti simili, si arrabattano per mantenere 
                    e gestire questo stato di cose. I potenti di turno dirigono 
                    il tutto, usano il loro potere per annettersi privilegi e 
                    ricchezze, s’impongono con la prepotenza che proviene 
                    loro dal dominio che riescono ad esercitare. Ovunque, in modi 
                    più o meno preponderanti e devastanti, incombono prevaricazioni, 
                    corruzioni, privilegi, diseguaglianze e ingiustizie al limite 
                    dell’umana sopportazione 
                    Una situazione desolante. Chi non la vede così è 
                    perché ha la vista in qualche modo offuscata, magari 
                    senza rendersene conto. O perché è tutto preso 
                    dai propri problemi e interessi. O perché getta uno 
                    sguardo limitato al proprio specifico contesto, o di famiglia 
                    o di campanile o nazionale o di partito o di chiesa. Oppure, 
                    com’è nella maggioranza dei casi, perché 
                    non riesce e non vuole guardare oltre l’ambito di per 
                    sé limitato dello specifico umano, tralasciando per 
                    inconsapevole comodo di visione tutte le miserie, le debolezze, 
                    le meschinerie, gli egoismi e le cattiverie che sono tipiche 
                    della nostra specie, le quali in questa fase della presenza 
                    umana sulla terra hanno acquistato una prevalenza strabordante 
                    rispetto ad altri aspetti di sé, che pure sono presenti. 
                  
                   
 
                    Denaro come scopo 
                  Tutta la condizione umana sulla terra ruota attorno al denaro, 
                    come simbolo, come scopo, come causa fondamentale e condizionante. 
                    Siamo ridotti a un punto tale che la massima parte delle scelte 
                    e del fare che contraddistingue le azioni e il modo di esserci 
                    umano deriva incontestabilmente dal bisogno di guadagnare 
                    o di accumulare ricchezze. 
                    Quando ciò che si fa non è dettato dalla spinta 
                    di presunte necessità di benessere economico e agiatezza, 
                    le scelte sono determinate dai bisogni d’imporsi, di 
                    possedere, di comandare, di avere cioè potere sugli 
                    altri e sulle cose. Comunque sia, comunque vogliamo rigirare 
                    la frittata, in entrambi i casi le motivazioni dell’agire 
                    umano alla lunga prevalenti sono strettamente legate a pulsioni 
                    di dominio, cioè a spinte di potere impositivo. 
                    In questo contesto socio-politico-economico, sia avere denaro 
                    e capitali sia avere forza, legittimità e autorevolezza 
                    di comando vuol dire a tutti gli effetti avere potere e contare, 
                    purtroppo sempre a detrimento di e contro tutti gli altri 
                    che ne sono privi e che devono subire chi ce l’ha. 
                    Basta seguire un minimo il dibattito politico di casa nostra, 
                    ci si rende conto che il problema fondamentale e la spinta 
                    conseguente a migliorare attorno a cui ruota il tutto sono 
                    dettati dal bisogno, supposto e diventato assiomatico, di 
                    essere competitivi sui mercati internazionali, dove competitivo 
                    significa riuscire ad essere padroni dei mercati per incamerare 
                    la maggior quantità di profitti. Il beneficio conseguente 
                    al guadagno dei profitti incamerati, quando ci sono, è 
                    esclusivamente a vantaggio dei gestori dei capitali, che sistematicamente 
                    investono finanziariamente speculando su rendite e introiti. 
                    
                    Le ricadute di rimando sull’occupazione (cioè 
                    su tutti coloro che con le loro competenze e il loro sudore 
                    rendono possibili le operazioni degli speculatori), quando 
                    ci sono, sono minime rispetto ai veri benefici finanziari, 
                    che di fatto non possono essere goduti da chi lavora rendendoli 
                    possibili. 
                    Quando in questa situazione sociale si parla di rilancio degli 
                    investimenti e di rilancio economico non si può parlare 
                    che di aumentare il potere economico di chi già lo 
                    possiede, in quanto le condizioni dei normali cittadini per 
                    principio sono nelle mani di chi ha il potere di imporre e 
                    disporre della vita di tutti gli altri. 
                    La bravura di un governo istituzionale si misura proprio sulla 
                    capacità che dimostra nel riuscire a far funzionare 
                    le cose secondo i presupposti suddetti. Ne consegue che da 
                    questo punto di vista non è possibile identificare 
                    differenze sostanziali tra una politica di destra ed una sinistra, 
                    tra una politica di centrodestra ed una di centrosinistra, 
                    dal momento che tutti chiedono il voto e decidono in funzione 
                    di far funzionare al meglio il sistema vigente. Siamo 
                    entrati in una democrazia fluida, asserisce con lucidità 
                    Ilvo Diamanti (1), per indicare 
                    che gli elettori, sempre meno condizionati nelle loro scelte 
                    elettorali da ideologie e differenze di visione, ma sempre 
                    più alla ricerca di chi sa governare bene ciò 
                    che c’è, unico sistema conosciuto che ci viene 
                    concesso, ossessivamente e continuamente contrabbandato come 
                    l’unico possibile, tendono sempre più a votare 
                    per chi sperano che li governerà meglio. La collocazione 
                    politica dei candidati è ormai indifferente. 
                    E giustamente! Che cosa importa, infatti, che siano di destra, 
                    di sinistra o di centro quando, oltre ad esercitarsi nei giochi 
                    di potere che ogni incarico governativo inevitabilmente comporta, 
                    una volta incaricati non faranno altro che tentare di gestire 
                    l’esistente con l’unico scopo di conservarlo e 
                    di renderlo più accattivante, lungi dal metterlo seriamente 
                    in discussione? 
                   
 
                    Accanimento terapeutico 
                  Nel dibattito estenuante ed avvilente che se ne ha attraverso 
                    il costante bombardamento mediatico si elude così sistematicamente 
                    il problema principale e fondamentale: se cioè hanno 
                    veramente senso i tentativi di accanimento terapeutico per 
                    la conservazione del sistema economico e politico che ci sovrasta. 
                    È significativo in proposito che tutte le forze politiche, 
                    in una maniera o nell’altra, in modo destrorso o sinistrorso, 
                    si propongano come riformatrici e nessuna tenti più 
                    di farsi accreditare come conservatrice. 
                    Ciò che difendono pervicacemente è ormai unanimemente 
                    considerato inadatto a risolvere efficacemente i problemi 
                    delle comunità e delle relazioni tra comunità, 
                    per cui tutti si pongono il problema di riformarlo, nell’illusione, 
                    aggiungo io, di renderlo operativamente più capace 
                    di assolvere i compiti cui si propaganda sia chiamato. Ma 
                    tutti al contempo eludono il problema di fondo: che è 
                    ormai sotto gli occhi di chiunque, di chi sa e vuol guardare 
                    con disincanto e senza essere offuscato, che c’è 
                    un’incapacità insita ed endemica del sistema 
                    in sé di poter risolvere in modo adeguato i problemi 
                    prodotti da lui stesso, proprio per la sostanza di cui è 
                    fatto e di cui si nutre. 
                    Ora ci rendiamo perfettamente conto che la conservazione e 
                    il mantenimento del sistema vigente hanno senso a tutti gli 
                    effetti per le classi dirigenti (manager d’industria, 
                    vertici dell’imprenditoria, gestori dei media, speculatori 
                    finanziari, dirigenze politiche e sindacali, capi di governo, 
                    comandi militari, gerarchie religiose, ecc.), uniche a trarne 
                    benefici più o meno grandi a seconda del grado di comando 
                    che occupano. È per questo che sono alla costante ricerca 
                    di seguito e organizzano una continua e insistente opera d’induzione, 
                    oggi soprattutto mediatica, per garantirsi quel consenso che 
                    è vitale e indispensabile per il proseguimento del 
                    loro status sociale di privilegio. 
                    La massa dei cittadini è invece esclusa dai veri benefici. 
                    È considerata ed usata come massa di manovra: per incrementare 
                    gli utili attraverso il consumo di mercato, per fabbricare 
                    il consenso ed essere forza d’urto col voto per le leadership 
                    al comando. A rigor di logica questa massa avrebbe tutto l’interesse 
                    ad un cambiamento radicale, mentre, attraverso l’incessante 
                    induzione mediatica e il ricatto del bisogno di sopravvivenza, 
                    i detentori del potere riescono a tenerla sotto il tallone. 
                    
                    Il sistema che ci sovrasta, che subiamo nelle sue efferatezze, 
                    nelle sue ingiustizie e nelle sue continue crudeltà, 
                    al di là di ogni evidenza in realtà si regge 
                    sulla finzione e in buona parte su non sensi. Si autogiustifica 
                    con una finzione teorica, una mastodontica balla che ne sta 
                    a monte: le note mani invisibili smithiane. 
                    Secondo Smith l’agire per l’interesse individualistico 
                    comporterebbe di per sé una ricaduta positiva sul e 
                    per il bene comune: se tendo ad arricchirmi e per farlo produco 
                    ricchezza e prodotti, dal momento che posso farlo usufruendo 
                    del lavoro e del consumo di tanti, il mio agire non può 
                    che avere una ricaduta positiva sull’intera società, 
                    che di conseguenza ne goderà aumentando il benessere 
                    di tutti. 
                    Un tale assunto alla prova dei fatti non si è dimostrato 
                    altro che una colossale balla. Non solo l’arricchimento 
                    personale non rappresenta un fattore di dilatazione ed espansione 
                    del benessere collettivo, ma al contrario si è dimostrato 
                    un fattore di impedimento dello stesso, oltre ad essere una 
                    delle cause fondamentali dell’impoverimento progressivo 
                    di chi vive del solo proprio salario e dell’immiserimento 
                    endemico di almeno due terzi dell’umanità esistente. 
                    
                    La spinta personale ad arricchirsi attraverso lo sfruttamento 
                    di altri esseri umani, fondamento del capitalismo imperante, 
                    e la trasformazione di ogni prodotto ed ogni cosa in merci, 
                    fondamento del mercato capitalista, hanno determinato una 
                    prevalenza quasi assoluta dell’egoismo individuale dei 
                    più forti e spregiudicati a detrimento della solidarietà 
                    sociale, determinando in parallelo l’annichilimento 
                    e lo schiacciamento dei più elementari diritti umani 
                    di tutti coloro, genti e popoli, che o non hanno voglia o 
                    non sono in grado di diventare imprenditori di successo e 
                    di far parte delle lobbies dei potenti. 
                   
 
                    Presunta supremazia 
                  La logica liberista dominante, forgiatasi nell’autoconvinzione 
                    della propria presunta supremazia universalistica, è 
                    riuscita a globalizzare il mercato coi suoi potenti tentacoli 
                    finanziari, economici, politici, culturali e bellici e, forte 
                    nella convinzione delle proprie micidiali armi, si sta illudendo 
                    di aver piegato i destini e le volontà del mondo. 
                    Con la sua capacità d’induzione è riuscita 
                    ad imporre un immaginario economico fondato sull’impresa 
                    personalistica, sul mito del progresso, sul dominio delle 
                    persone e della natura, sul culto della razionalità 
                    pragmatica, sulla voglia di accaparramento individualistico 
                    delle finanze e delle risorse, sul perseguimento a tutti costi 
                    di potere e dell’aumento di potere. A tutti gli effetti 
                    ha creato una mostruosità, che si nutre famelica e 
                    vorace di disparità, ingiustizie e prevaricazioni, 
                    con la precisa volontà di inglobarci e condurci all’impotenza. 
                    Di rimando sentiamo perciò sempre di più il 
                    bisogno di destrutturare quest’immaginario dominante, 
                    di decolonizzarlo liberando le potenzialità e le capacità 
                    del più ampio immaginario umano per sperimentare e, 
                    sperimentando, creare altri tipi di economia e di rapporti 
                    sociali e politici. 
                    Noi che non facciamo parte di nessuna élite di nessun 
                    potere ci sentiamo a disagio e ci sta aumentando il bisogno, 
                    più o meno consapevole, di arrestare e bloccare questa 
                    invenzione mostruosa che ha messo in moto le componenti peggiori 
                    della specie e che sembra inarrestabile. 
                    Il nostro disagio trova conforto ed è confermato nelle 
                    sue ragioni dalla consapevolezza che il capitalismo in auge 
                    è in sé insensato perché, ormai ne abbiamo 
                    la conferma scientifica, non è sostenibile. Propugna, 
                    auspica e si fonda, infatti, sull’uso incondizionato 
                    e spropositato delle risorse naturali, senza preoccuparsi 
                    dell’inarrestabile depauperamento delle stesse fino 
                    al loro esaurimento. 
                    Dovendo realizzare un costante aumento di profitti e di accumulazione 
                    finanziaria per dominare i mercati, per questa sua ineludibile 
                    ragion d’essere non può e non vuole minimamente 
                    preoccuparsi dello sfascio ambientale che provoca mettendo 
                    in crisi gli equilibri naturali. 
                    Con sempre maggiore preoccupazione gli scienziati, i climatologi, 
                    i geologi, i naturalisti denunciano che, se non verrà 
                    arrestata questa folle e sconsiderata corsa all’accaparramento 
                    delle risorse naturali e se non verrà bloccata l’immissione 
                    di veleni nella biosfera, non è lontano il tempo in 
                    cui il danno sarà irreversibile e sarà per sempre 
                    messa in discussione la presenza di tutte le forme di vita 
                    sulla terra. 
                    Il 20% della popolazione mondiale consuma attualmente circa 
                    l’80% delle risorse disponibili. Se malauguratamente 
                    il capitalismo dovesse mantenere le sue promesse di consumo 
                    elargito a tutti, se quindi tutti dovessero consumare quanto 
                    consuma l’attuale 20%, come sarebbe loro diritto, questo 
                    pianeta sarebbe del tutto insufficiente. 
                    Ci vorrebbero almeno quattro pianeti, forse sei. È 
                    per questo che si conservano grandi sacche di povertà 
                    e miseria e si rinuncia a rendere floride grandi aree di mercato, 
                    che pure dal punto di vista del profitto sarebbero appetibili. 
                    
                    È intuitivo il non senso che sopra denunciavo. Il sistema 
                    che ci sovrasta è incompatibile con la disponibilità 
                    delle risorse, con la quantità della popolazione, con 
                    gli equilibri ecologici ambientali. Essendo incompatibile 
                    è basato su fondamenti che alla lunga non possono reggere 
                    e, se continua la linea di tendenza attuale che oggi appare 
                    inarrestabile, non può che naufragare. Naufragando, 
                    non può che condurci al disastro. 
                    C’è un aspetto che generalmente vien poco considerato 
                    se non addirittura eluso, ma che riveste un’importanza 
                    di non poco conto: avendo bisogno d’imporsi, il sistema 
                    capitalista si regge su sistemi politici impositivi, o chiaramente 
                    totalitari o dittatoriali, od anche democratici, che però, 
                    per conservare l’esistente, includono progressivamente 
                    pratiche sempre meno democratiche e liberticide. 
                    C’è di fatto insomma una coincidenza ricorrente 
                    tra il bisogno impositivo a monte del sistema capitalista 
                    e la gestione politica autoritaria che lo accompagna e lo 
                    garantisce. L’uno è salvaguardia, tutela e conseguenza 
                    dell’altro e viceversa. Se si vuole il cambiamento dell’uno 
                    bisogna occuparsi di conseguenza anche del cambiamento dell’altro. 
                    
                    Logica vorrebbe che sia urgente un cambiamento alle radici 
                    del sistema di cose presente. E non può essere una 
                    modifica di facciata o una semplice riforma dell’esistente 
                    che, pur modificandolo anche in profondità, non intacchi 
                    però i gangli vitali che lo sorreggono. Il cambiamento 
                    deve realmente essere alle radici, nel senso e nelle strutture, 
                    proprio perché per diventare sostenibili è diventato 
                    indispensabile modificare l’immaginario economico e 
                    gestionale che regola le relazioni tra noi stessi e l’ambiente 
                    che ci ospita. 
                   
 
                    Nessun processo di accumulazione 
                  Guardiamo gli ecosistemi. Il loro equilibrio interno è 
                    perfettamente funzionale al mantenimento dell’assetto 
                    omeostatico dei differenti organismi e di quello geostatico, 
                    indispensabili per garantire la continuità della molteplicità 
                    e della ricchezza biologiche e dello stesso ecosistema. Non 
                    vi sono stratificazioni gerarchiche. 
                    Il rapporto tra le diverse componenti è paritario ed 
                    ognuna di esse prende la quantità di energia che serve 
                    al suo sostentamento senza determinare imposizioni di sorta. 
                    Non vi sono processi di accumulazione oltre l’indispensabile 
                    dovuti a volontà di speculazione. Questo equilibrio 
                    ha permesso la continuazione in efficienza delle specie viventi 
                    per milioni di anni. È bastato che noi umani ci sentissimo 
                    padroni del tutto, capaci d’intervenire con la nostra 
                    voracità allo scopo di modificare gli assetti, per 
                    innestare un processo di deterioramento che rompe gli equilibri 
                    e mette in serio pericolo la nostra stessa condizione e quella 
                    di tutta la superficie terrestre. 
                    Non dico che doppiamo copiare dagli ecosistemi, la qual cosa 
                    non avrebbe senso perché le dinamiche naturali non 
                    sono riproducibili come fotocopie, ma che dovremmo comprenderne 
                    appieno il senso e farne tesoro per riproporlo al nostro interno 
                    e nella qualità delle relazioni tra noi stessi e il 
                    resto del mondo. 
                    Dovremmo così porci nell’ottica di gestire le 
                    società col presupposto della reciprocità e 
                    di un’autentica valorizzazione delle diversità 
                    su un piano di rapporti paritari, come appunto avviene negli 
                    ecosistemi. Ma dovremmo anche smettere di porci con egoistico 
                    spirito di depredazione nei confronti del contesto ambientale 
                    di cui siamo parte integrante. 
                    Su questi piani di riflessione gli anarchici hanno molto da 
                    dire e da proporre. Dovrebbero solo essere ascoltati e considerati 
                    molto di più di quello che si è fatto finora, 
                    senza continuare a ritenerli esclusivamente dei potenziali 
                    produttori di caos (in realtà mi sembra che se ci sono 
                    dei produttori di caos per eccellenza siano proprio i sistemi 
                    autoritari in politica e capitalisti in economia). 
                    Dal canto nostro noi anarchici, proprio per riuscire ad essere 
                    considerati ed ascoltati, dovremmo sforzarci di cominciare 
                    a mettere in pratica il più possibile i nostri metodi 
                    e le nostre proposte, fiduciosi di poter diventare un polo 
                    di attrazione capace di dilatarsi all’insieme sociale, 
                    smettendo di attendere la fatale alba del sol dell’avvenire, 
                    che fra l’altro viene progressivamente distrutta da 
                    coloro che contestiamo e vorremmo detronizzare.