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 Madre nostra, regina dellamore, guerriera 
                  della luce. 
                 
                Gianna Nannini, Un dio che cade.  
                  
                Un racconto collettivo, da una terra 
                  crocevia di popoli, ha infinite voci e toni. I racconti di Palestinesi 
                  e Israeliani dalla durissima realtà di sempre, oggi ancor 
                  più dura, hanno un peso di coro con le sue molte umanità 
                   diverse, plurali  ma alla fine una sola umanità, 
                  ricondotta al singolare dallesacerbarsi del dolore, della 
                  paura, dellisolamento.  
                  Ognuna di queste parole è doppiamente pesante perché 
                  tocca due popoli, due universi, due mortalità, due ragioni, 
                  due culture che non si comprendono o forse due culture che potrebbero 
                  comprendersi solo al disopra dei fanatismi religiosi reciproci. 
                  Negli anni  ormai tanti  delle mie militanze, ho 
                  dovuto guardare molto dolore e ne ho dovuto constatare linutilità 
                  quando non porta più agli abissi dellinterrogarsi 
                   su di sé e sugli altri, su chi siamo e dove andiamo 
                  e sulle possibilità e sui varchi che come specie abbiamo 
                  comprese le responsabilità , ma rimane dolore dolore, 
                  un rincorrersi di serpente che si morde la coda e non trova 
                  più inizio né fine nel dibattersi. Su Le Monde 
                  Diplomatique di aprile, cè un intervento di 
                  Yasser Ased Rabbo, palestinese, e di Yossi Beilin, israeliano, 
                  entrambi figure di una certo peso nei rispettivi apparati e 
                  entrambi consapevoli della necessità di una pace giusta, 
                  del riconoscimento delle sofferenze di entrambi i popoli, della 
                  necessità di nuovi negoziati a partire dall abbandono 
                  di tutte le condizioni preliminari che li impediscono e che 
                  nel passato ne hanno decretato il fallimento anche quando la 
                  pace sembrava ormai cosa fatta.  
                  In quel connubio sempre meno inusuale e che qualcuno ha già 
                  chiamato new global, connubio di alleanze trasversali e internazionali, 
                  Rabbo e Beilin si sono incontrati in Sudafrica con rispettive 
                  delegazioni per continuare il dialogo iniziato a Oslo e per 
                  dire forte che vivere insieme è possibile, che lo fanno 
                  già molti in Israele e Palestina e molti di più 
                  lo vorrebbero se non temessero il discredito fondamentalista. 
                  Nel Sudafrica del postapartheid le due delegazioni si sono incontrate 
                  per fare tesoro dellesperienza che ha portato questo paese 
                  a scavalcare  sebbene con un processo tuttaltro 
                  che indolore  decenni e decenni di odio, portando bianchi 
                  e neri (e devo dire molto più i neri che i bianchi) a 
                  un riconoscimento della necessità che il passato smetta 
                  di pesare sul futuro, non per vederlo dimenticato o rimosso 
                  ma piuttosto per integrarlo, farne esperienza concreta per ogni 
                  vita, ogni vivere e non solo memoria, non solo ricordo di una 
                  perdita, non solo ricordo di un dolore. Scriveva su Diario 
                  n. 13 Marina Morpugno in un articolo dal titolo Il pessottimista, 
                  che pur nel disastro di queste settimane il dialogo e le trattative 
                  nella Coalition for Peace vanno avanti con le due parti che 
                  lavorano fianco a fianco e non hanno mai smesso di cercare e 
                  proporre soluzioni possibili che aiutino anche a discernere 
                  il limite che gli uni e gli altri non dovrebbero mai sorpassare: 
                  uccisioni, distruzioni, attentati, disconoscimento.  
                  
                  Difficoltà estrema 
                   
                 
                Sempre Marina Morpugno in una lettera ai manifestanti propalestinesi 
                  uscita anche su Repubblica indicava con semplicità 
                  la sua difficoltà in quanto di origine ebraica ad aderire 
                  a manifestazioni in cui alcuni personaggi si vestono da kamikaze 
                  e sfilano inneggiando alla distruzione di Israele e bruciando 
                  le bandiere con la stella di Davide. Capirei, aggiungeva, se 
                  si bruciasse al limite la foto di Sharon. Questo per evitare 
                  di vedere solo le ragioni degli uni e non anche quelle degli 
                  altri. In questi giorni, i giorni di Jenin, i giorni della difficoltà 
                  estrema per i pacifisti israeliani, per i renitenti alla leva, 
                  per genitori che girano lEuropa portando con sé 
                  la speranza che la spirale del terrore finisca  da qualunque 
                  direzione provenga  perché in loro vivido è 
                  il ricordo di una figlia o un figlio uccisi da un kamikaze, 
                  un ragazzo o una ragazza a cui non è stato insegnato 
                  a distinguere tra resistenza, anche dura, e atti di violenza 
                  pura, senza senso e insensata come chi in una madrasa o moschea 
                  ha distrutto i loro cuori e le loro menti.  
                  Come ogni stato del mondo anche Israele non è innocente, 
                  ma appunto come ogni altro stato. Come è giusto condannare 
                  la violenza militare che non si ferma davanti a nessuno, così 
                  non possiamo non pensare agli orrori ben nascosti e prontamente 
                  rimossi che i nostri italianissimi soldati hanno commesso in 
                  Somalia  ricordate le foto e la copertina di Panorama, 
                  gli stupri con foto ricordo delle donne somale
  
                  e questo per dire che non sono in sintonia con chi guida una 
                  campagna che nutre dei non troppo nascosti sentimenti antisemiti 
                  o se preferite rinverdisce lo stereotipo dellebreo che 
                  è o solo buono e rivoluzionario o solo cattivo e sionista. 
                  In Israele, e ce ne giunge molte volte testimonianza, si muovono 
                  molte persone con uno spirito di giustizia e equilibrio che 
                  vorrei tanto trovare in altri luoghi del mondo.  
                  Alcuni esempi trovo doveroso menzionarli affinché non 
                  siano solo i nomi dei carnefici o dei kamikaze a tenere banco 
                  e anche perché sono memore che nel retaggio culturale 
                  della migliore Europa la presenza e il pensiero ebraici sono 
                  stati importanti, sono stati elemento di vitalità, innovazione, 
                  scambio e alterità in quanto, critici e oppositori di 
                  regimi, in quanto artisti e pensatori fuori dai canoni e in 
                  quanto socialisti, anarchici, populisti, migranti.  
                  Loro erano di fatto cosmopoliti e proprio per questo invisi 
                  ai vari sovrani: e poi anche a Stalin e accoliti. Molti scoprirono 
                  di essere ebrei solo con le leggi razziali, fino a quel momento 
                  si pensavano come europei e come tali li ho sentiti incontrandoli 
                  negli scritti, nelle testimonianze di vita e di resistenza. 
                  Quindi aggiungo il mio disagio a quello di Marina Morpugno per 
                  dire che i distinguo sono importanti e che non si può 
                  chiedere la distruzione di nessuno, né si può 
                  passar sopra a tante testimonianze che sono da parte di gente 
                  che vive in Israele non tanto e non solo parole, ma la loro 
                  stessa vita, sospesa come è in sospeso quella dei loro 
                  vicini palestinesi e come la loro solcata di ferite profonde. 
                  Tra le testimonianze, una delle più dure e belle è 
                  quella di una donna, Nurit Peled-Elhahan che ha perso la figlia 
                  in un attentato di Hamas. Nurit Peled-Elhahan lungi da odiare 
                  si è rimboccata le maniche portando avanti una attività 
                  incessante a favore dei diritti umani, dei diritti dei palestinesi 
                  e della pace. La sua condanna della guerra e delloccupazione 
                  dei territori palestinesi è totale, e lucida è 
                  la sua presa di coscienza che i politici giocano con questo 
                  conflitto sulla pelle di entrambi i popoli. La cito testualmente 
                  da il manifesto: Venerdì è stato 
                  riportato che dei politici di entrambe le parti avevano raggiunto 
                  un accordo a Gerusalemme per permettere la riapertura dei casinò, 
                  da cui dipende la loro sussistenza. Lo hanno fatto senza lintervento 
                  americano, senza commissioni ad alto livello, solo con lassistenza 
                  di legali e uomini daffari che hanno promesso alle parti 
                  ciò che serviva. Questo dimostra che il conflitto non 
                  è tra i leader: quando una questione li riguarda direttamente 
                  (a differenza della morte dei bambini) sono veloci a trovare 
                  la soluzione. Questo rafforza la mia convinzione che tutti noi, 
                  israeliani e palestinesi, siamo vittime dei politici che giocano 
                  dazzardo con la vita dei nostri figli sul tavolo dellonore 
                  e del prestigio. Per loro, i bambini valgono meno che le fiches 
                  della roulette
 Ora sappiamo che i nostri leader sono capaci 
                  di pace quando cè un motivo economico, dobbiamo 
                  chiedere che facciano la pace quando sono in gioco cose di minore 
                  importanza, come la vita dei nostri figli. Finché tutti 
                  i genitori di Israele e della Palestina, non si solleveranno 
                  contro i politici e non gli chiederanno di tenere a freno le 
                  loro voglie di conquista e di spargimenti di sangue, il reame 
                  sotterraneo dei bambini sepolti continuerà.  
                  A ogni costo voglio ricordare in queste pagine altre voci che 
                  si sono alzate con sgomento e coraggio perché il riconoscimento 
                  di tutte le sofferenze porti al ristabilirsi dellequilibrio 
                  tra gente che ha capito che nessuno può vincere annientando 
                  laltro. Tra queste voci cè quella di unaltra 
                  donna, Ruth Hiller  israeliana. Ruth è una delle 
                  fondatrici di New Profile, un movimento in pratica di femministe 
                  a cui partecipano anche giovani e soprattutto obiettori. Lavorano 
                  in modo non gerarchico e puntano su un cambiamento profondo, 
                  a una rimozione della mentalità di guerra, di esercito. 
                  Sognano la convivenza, lo stesso sogno che portò un ex 
                  soldato della guerra dei sei giorni a offrire un fiore giallo 
                  a uno dei primi votanti Palestinesi in un ufficio postale di 
                  Gerusalemme est quando questo si presentò: aggiunse solo 
                  che lo sognava questo gesto, da anni. Fortunatamente anche a 
                  Jenin, a Betlemme e in altri villaggi sono attivi in questi 
                  giorni individui e organizzazioni che aiutano concretamente 
                  e denunciano le violazioni cui assistono. Anche loro sono israeliani, 
                  sono ebrei e lo ripeto perché sia chiara la distinzione 
                  tra chi vuole la guerra in nome di uno stato e di propri interessi 
                  e di chi vuole sicurezza e benessere per tutti e a tutti porta 
                  solidarietà e aiuto.  
                  
                  Nulla, se non la morte  
                 
                Un altro fattore nefasto ha giocato contro la pace in Medio 
                  Oriente e fa parte degli interessi oscuri (ma non tanto) che 
                  intercorrono tra potenze occidentali e in primis gli USA e paesi 
                  come lArabia Saudita, la Siria e non ultimo lEgitto. 
                  Non hanno mai dato nulla ai palestinesi se non la morte (ricordate 
                  settembre nero, cioè i palestinesi massacrati nellordine 
                  di 30.000 dallallora re di Giordania?); hanno sempre cercato 
                  questi paesi fratelli di allungare i loro tentacoli sulla Palestina 
                  e di allargarsi e quando avrebbero dovuto dare assistenza e 
                  casa e lavoro ai profughi se ne sono guardati bene. Molte sono 
                  le ragioni e probabilmente vista lantidemocraticità 
                  storica dei regimi arabi aveva le sue buone ragioni Jean Genet 
                  nel dire che i palestinesi erano la vera spina nel fianco di 
                  queste autocrazie perché portatori comunque di una certa 
                  democrazia, perché in buona parte studiosi e professionisti 
                  in mestieri allavanguardia come lingegneria, la 
                  medicina, linsegnamento (laico) eccetera. Il partito comunista 
                  palestinese e il partito comunista israeliano erano su posizioni 
                  di apertura e avanguardia già decenni fa chiedendo non 
                  solo un serio processo di pace ma una terra per uno e per laltro 
                  popolo. In Israele è attivo anche un movimento di gay 
                  e lesbiche che si occupa di assistere anche i Palestinesi gay 
                  e non gay e tra i giovani rapper israeliani la lingua per le 
                  canzoni è un miscuglio di ebraico arabo e a volte inglese 
                  e i testi delle canzoni sono espliciti nel mostrare quel qualcosa 
                  che sta cambiando nella società civile israeliana: tutti 
                  parlano di pace, ma nessuno parla di giustizia.  
                  E ancora: Vivo giorno per giorno/ in un paese senza pace/ 
                  tutti affondano dentro il sogno/ precipitano senza vedere la 
                  fine del baratro.  
                  Penso che anche questo serva a sbloccare certi meccanismi psicologici 
                  che perpetuano limmagine di un nemico quando nella realtà 
                  quotidiana si scorgono diversi segnali di fumo che raccontano 
                  di altre voci, anche flebili, anche ingenue ma meno omologate, 
                  meno legate allo status quo anche se non sempre alte  
                  nel senso migliore comè per le voci che si interrogano 
                  e interrogano sulla rivista di cultura e vita ebraica Keshet 
                   o arcobaleno. Devo ancora una volta a Diario questo 
                  incontro e prima di continuare in questo mio migrarmi tra popoli 
                  che amo egualmente e cerco di capire pur con tutti i miei limiti, 
                  strappo via una frase dalla presentazione che Bruno Segre fa 
                  proprio sulla rivista Diario: ripugna al nostro 
                  approccio lammettere lesistenza di conflitti  
                  muro contro muro  tra le civiltà, quasi che esistano 
                  civiltà superiori in grado di trasferire i propri valori 
                  urbi et orbi, e che si sentano perciò autorizzate a impartire 
                  lezioni di vita a tutti coloro che si riconoscono in retaggi 
                  culturali diversi. Quando leggo queste cose ho sempre 
                  in mente un ebreo, Max Brod, che oltre a essere stato il migliore 
                  amico di Kafka era lanima del circolo di Praga a cui la 
                  cultura europea deve tanto e a cui personalmente devo la conoscenza 
                  di figure femminili precorritrici del movimento per la pace 
                  e di quello che accadeva in Europa prima di Hitler.  
                  Il morbo del nazismo ha creato i campi di sterminio e la più 
                  grande operazione  pianificata scientificamente  
                  contro un popolo. Non dimentico gli zingari, gli omosessuali, 
                  i malati mentali, i comunisti e gli altri, ma mi rendo conto 
                  da sempre che lodio antiebraico non aveva e spero non 
                  avrà mai più paragoni. Purtroppo mi trovo anche 
                  nella situazione di ricordare che nel dopoguerra fu un piccolo 
                  editore di sinistra parigino a dare modo a un antisemita viscerale 
                  di pubblicare un libretto dove si negava lo sterminio degli 
                  ebrei e lesistenza dei campi di concentramento e sterminio. 
                   
                  Allora mi sembrò quasi surreale tutto questo, ma il tempo 
                  mi portò a conoscere quanto radicato fosse in Francia 
                  lantisemitismo e da molto prima di Hitler e quanto non 
                  ne fossero immuni uomini e donne di sinistra.  
                  Non ho mai capito il perché di questo e quel che ho capito 
                  non è in questo spazio e in questa sede che racconterò, 
                  non fosse altro che per ragioni di lunghezza. Quello che segnalo 
                  è invece il crescere di violenza in Europa contro sinagoghe 
                  e cimiteri ebraici. A questa violenza aggiungo quella nascosta 
                  o poco raccontata contro le donne e i bambini palestinesi ad 
                  opera dei loro mariti e padri. Secondo lo psichiatra Eyal Sarraj 
                  a Gaza cè una media di abusi sulle donne decisamente 
                  più elevata che nel resto del mondo arabo e lo stesso 
                  più o meno sui bambini. Aggiungendo che la situazione 
                  di abuso è doppia perché devono assistere e subire 
                  alle prevaricazioni perpetrate dai soldati israeliani, ecco 
                  come si comprende che poi molte menti di ragazzi o ragazze trovino 
                  come via di fuga il farsi saltare in aria cercando di uccidere 
                  quante più persone possibile.  
                  
                  
                  Così mi domando... 
                   
                 
                Lanno scorso ho vissuto diversi mesi in Africa in un 
                  ambiente sociale musulmano. Ho toccato con mano alcune realtà 
                  come la povertà, le discriminazioni (nascoste ma vive) 
                  di casta o meglio etnia e quelle sulle donne. Da lì un 
                  interrogarmi più a fondo anche sulle ragioni di tanti 
                  e tante amici/amiche la cui attenzione alle discriminazioni 
                  pare non lì porti mai a domandarsi quale sia il grado 
                  di sopportazione dellinimmaginabile violenza che donne 
                  e bambini subiscono in società tribali a forte se non 
                  unica impronta religiosa. Pochi immaginano che si arriva addirittura 
                  al punto di non lasciare entrare le donne in una moschea dallo 
                  stesso ingresso degli uomini; infatti entrano solo dal retro 
                  e un muro le separa da mariti e figli e devono inoltre pregare 
                  completamente coperte (si vedono solo gli occhi) e non possono 
                  entrare in una moschea se hanno le mestruazioni perché 
                  impure. Non continuo, ma devo aggiungere che ne ho viste un 
                  po troppe di queste cose e peggio. Parlando con una conoscente, 
                  dopo aver raccontato di una scrittrice turca rapita, torturata 
                  e annegata da, un gruppo fondamentalista ottenni in risposta 
                  che non potevamo sapere cosera veramente successo e perché; 
                  risposta più o meno invariabile dei convertiti.  
                  Così mi domando che fine faremmo se ci trovassimo a far 
                  fronte a uno stato fondamentalista religioso, e se le lezioni 
                  che lIran e lAfghanistan e lAlgeria nonché 
                  il Sudan dove i musulmani usano ancora praticare la tratta degli 
                  schiavi, se queste lezioni dicevo non ci serviranno mai e non 
                  porteranno mai tanti ragazzi e ragazze libertari e sinceramente 
                  democratici a un livello di compassione più profondo 
                  che lo sfilare vestiti da kamikaze, che sbandierare le kefiah 
                  ma invariabilmente non avere una parola o un gesto per i meno 
                  difesi sulla terra, per le più offese sulla terra e offese 
                  sempre in un nome di dio che nessuno pare conoscere.  
                  Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare 
                  le sue speranze. Questa frase di Max Horkheimer e Theodor 
                  Adorno coglie un dato importante. Quello che si è voluto 
                  realizzare muore se si fossilizza perché può vivere 
                  solo ciò che non smette mai di cercarsi e realizzarsi 
                  e quindi a maggior ragione vale per le società, per quellumanità 
                  sperduta che siamo. Non trovo scusanti a nessuna violenza e 
                  pur cercando sempre una maggiore comprensione non posso non 
                  notare che si fanno troppi sconti in tema di rispetto dei diritti 
                  di tutti alla vita e allinviolabilità e tanto più 
                  sono gli sconti tanto più è la confusione anche 
                  interiore che si crea.  
                  Quando la prossima volta qualcuno guiderà una manifestazione 
                  di emigranti in occasione della fine del Ramadan e le file degli 
                  uomini si inginocchieranno a pregare, provate a mettervi vicino 
                  a loro se siete donne e vedrete subito come la tolleranza diventa 
                  intolleranza e i diritti, diritti di una parte sola. Lo dico 
                  con tranquillità  la tranquillità di chi 
                  ha vissuto questo perché ama porre e porsi sfide che 
                  facciano cadere le maschere e le pie illusioni. Non vorrei venisse 
                  preso come un rimprovero, ma come un invito ad andare oltre 
                  la falsità di apparenze.  
                  Torno ai palestinesi e agli ebrei con una lettera aperta pubblicata 
                  dal quotidiano Liberazione: lettera aperta di un 
                  ebreo marrano a firma di Pier Francesco Negrotto che con 
                  un punto di vista molto umano e partecipato e prendendo le difese 
                  dei palestinesi cita un passo del Talmud che dice:  Dio 
                  prende sempre la parte del perseguitato. Se un giusto perseguita 
                  un altro giusto, Dio si mette dalla parte del perseguitato; 
                  se un cattivo perseguita un giusto, Dio si pone dalla parte 
                  del perseguitato; se un cattivo perseguita un altro cattivo, 
                  Dio si mette dalla parte del perseguitato; e persino se un giusto 
                  perseguita un cattivo, Dio si mette dalla parte del perseguitato. 
                 
                  
                  Lodio, cioè limpotenza 
                   
                 
                Se al posto della parola Dio mettiamo la parola coscienza o 
                  cuore o quel che volete si potrebbe provare ad applicare in 
                  ogni occasione queste parole fino a che diventino vita su questa 
                  terra, la vita possibile per tutti, tutte. Quindi se a Jenin 
                  sono palestinese, se nella diaspora sono ebrea, se in Algeria 
                  sono una ribelle, se nel Pakistan sono una bambina-bambino schiavi 
                  della mafia dei tappeti, dei palloni di calcio, delle varie 
                  Nike, Adidas, Reebok, a Beit Jalla e a Betlemme sono anche tutti 
                  gli ammazzati dalle bande mafiose che riscuotono i tributi a 
                  nome dei movimenti palestinesi e sono anche le ragazze che hanno 
                  violentato e quelli che  vero o falso ma senza processo 
                  e senza difesa alcuna  trascinano attaccati a un fuoristrada 
                  di lusso perché considerati collaborazionisti; sono anche 
                  loro e rammento la lezione di Antigone che, contro la città 
                  e il re seppellisce i morti  perché a tutti la 
                  pietas è dovuta  e nessuno andrebbe lasciato marcire 
                  per strada e neanche sepolto con le ruspe dai soldati; sia chiaro 
                  che è la lezione più dura che dovremo imparare 
                  quella di saper essere ovunque gli altri; ovunque e non solo 
                  da qualche parte o per qualcuno. Non credo nellodio perché 
                  non è che impotenza; lodio ha sempre bisogno di 
                  micce e di scuse per sopravvivere mentre la libertà e 
                  la giustizia non sono state uccise in 5000 anni nemmeno da tutti 
                  gli eserciti del mondo e lo stesso è per lamore 
                   che forse non sappiamo dire cosa sia  perché 
                  forse è come respirare: troppo semplice per spiegarlo. 
                  Chiudo questo intervento con la voce di un uomo, Martin Buber, 
                  che nel 58 chiese a Ben Gurion quello che la gente di 
                  senno chiede oggi a Sharon e cioè il riconoscimento a 
                  tutti gli effetti della nazione palestinese e di tutti i loro 
                  diritti. In Il cammino delluomo Buber racconta 
                  di un comandante che interpella un prigioniero e intuendone 
                  le qualità umane chiede: Come bisogna interpretare 
                  che Dio onnisciente dica ad Abramo: dove sei? Risponde 
                  il prigioniero ...in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: 
                  Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati 
                  ne sono gia trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato 
                  nel tuo mondo? Dio dice per esempio: ecco sono già 46 
                  anni che sei in vita. Dove ti trovi? Mi fermo qui; è 
                  un racconto troppo bello per interpretarlo e ognuno deve farlo 
                  solo per sé ponendosi le stesse domande e se trova la 
                  risposta me la manda.  
                  
                  Nadia Augustoni 
                  
                Note:  
                  Lepigrafe allinizio è da una canzone di Gianna 
                  Nannini. Al posto di un Dio maschio troppo debole per porre 
                  fine agli scempi ecco entrare in scena la madre nostra. Per 
                  i fondamentalisti di ogni fede forse non cè peggior 
                  provocazione. E più bella aggiungo.  
                  Le fonti che ho usato per il testo sono tratte da: Diario, 
                  Liberazione, il manifesto, Le Monde diplomatique, 
                  e da una serie di libri tra cui Lulivo e le pietre 
                  di Ugo Tramballi; Il circolo di Praga di Max Brod; Il 
                  cammino delluomo di Martin Buber e inoltre altri libri 
                  che mi hanno accompagnato nel percorso degli anni.  
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