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                  Letture in 
                  nero   
                
                È un periodo nel quale incontro solo amici frustrati, delusi, preoccupati 
                  per lo slittamento a destra degli italiani. Qualcuno insiste 
                  sul refrain della lobotomizzazione mediatica, del peronismo 
                  latente, dell'insulsaggine di una sinistra che in cinque anni 
                  non ha saputo lasciare un segno tangibile della sua presenza 
                  (a parte una guerra ed i soldi alle scuole dei preti): insomma 
                  una resa senza condizioni. 
                  Personalmente non sono rimasto sconvolto dal plebiscito che 
                  Berlusconi ha saputo raccogliere, perché il paese reale 
                  è molto ma molto più reazionario ed arrogante 
                  di quanto i numeri non dicano. 
                  Non possiamo non sapere che i valori di riferimento tra la gente 
                  sono da almeno vent'anni appiattiti sull'antico adagio lombardo 
                  'lavoro-guadagno-pago-pretendo' peculiare trasposizione del 
                  self-made man (che, nella variante italiana vuol dire pressapoco: 
                  'non mi rompete i coglioni'). 
                  Un tempo la cultura cristiano-marxista ci insegnava ad esaltare 
                  i vinti della storia, oggi contano i vincitori senza storia. 
                  Mi sovviene un bel saggio sulla guerra civile di Gianni Oliva 
                  di qualche anno fa intitolato I vinti e i liberati... 
                  forse oggi sarebbe più opportuno chiamarlo i Liberati 
                  dai vinti. 
                  Questo cambio ideologico viene causticamente affrontato da Massimo 
                  Carlotto nel suo ultimo lavoro Arrivederci amore, ciao. 
                  Edizioni e/o, Roma, 2001. Pagg. 215, lire 26.000. Un 
                  bel romanzo (malgrado le grottesche forzature scopiazzate dalla 
                  cronaca di pronta beva), imperniato sulla storia dei nostri 
                  fratelli maggiori: un rivoluzionario incattivito negli anni 
                  settanta che decide senza nessuna ipocrisia pseudo morale di 
                  passare tra i vincenti macinando a turno i suoi vecchi compagni, 
                  gli amici, l'amore; diventando un rapinatore pluriomicida in 
                  combutta con un uomo della DIGOS corrotto, dei criminali di 
                  guerra croati ed i soliti anarchici stupidi. Il tutto per arrivare 
                  all'agognata riabilitazione sociale nel profondo Nord-Est. 
                  Naturalmente ci riuscirà...avevate dei dubbi? Il pieno 
                  pentimento rimane comunque l'ineffabile colonna portante della 
                  nostra cultura controriformista: "La notizia della sentenza 
                  definitiva sul caso Calabresi venne annunciata all'osteria [...]. 
                  La condanna venne accolta con esclamazioni di soddisfazione 
                  e gridolini di gioia di un paio di signore. [...]. Capii cosa 
                  mi stavo giocando. 'Offro io' gridai gioioso, alzando una bottiglia 
                  di prosecco. Cercai tra i clienti gli ex rivoluzionari, e notai 
                  che tutti facevano a gara per dimostrare di avere tagliato i 
                  ponti con il passato. Sorrisi soddisfatto. Ero in buona compagnia." 
                  Se questa è la destra profonda del nostro paese esiste 
                  pur sempre una destra radicale che negli ultimi tempi ha rialzato 
                  la testa, come ricorda Francesco Germinario nel suo saggio Estranei 
                  alla democrazia. BFS, Pisa, 2001. Pagg. 112, lire 
                  20.000. 
                  Un agile studio sui riferimenti ideologici dell'arcipelago neofascista 
                  italiano: orfano delle ali protettive del Movimento Sociale 
                  Italiano che comunque rappresentava la continuità storico-politica 
                  con la Repubblica di Salò e sempre più nazificato 
                  ed egemonizzato dai negazionisti della Shoah e venato 
                  da un pernicioso antisemitismo comune oramai a tutta la destra 
                  radicale italiana ed europea. 
                  Da Julius Evola ad Adriano Romualdi un viaggio nella vergogna 
                  para-culturale al limite della psicopatia, in grado però 
                  di risalire il fango della storia per riproporsi oggi, di fronte 
                  alle sfide della globalizzazione, come cultura antagonista al 
                  'mondialismo' ordito indovinate da chi? Ma naturalmente dal 
                  sionismo cosmopolita distruttore di ogni identità etno-nazionale... 
                  Chi invece è definitivamente passato in giudicato è 
                  Pietro Koch, l'efferato criminale fascista, animatore del Reparto 
                  speciale di polizia che, dal 1943 al 1944 insanguinò 
                  Roma e poi Milano. 
                  Buono è il lavoro di Massimiliano Griner (La Banda 
                  Koch. Bollati Boringhieri, Torino, 2000. Pagg. 432, 
                  lire 58.000) teso a ripercorrere la storia di questa organizzazione 
                  che, a mio avviso, può assurgere a modello interpretativo 
                  delle dinamiche di potere interne alla Repubblica Sociale Italiana. 
                  Uno stato essenzialmente poliarchico, dove ogni apparato repressivo 
                  ha operato con una autonomia impensabile in una normale compagine 
                  statale, spesso addirittura con singole articolazioni in concorrenza 
                  tra loro. 
                  Griner evita le trappole della storiografia resistenziale tradizionale 
                  perché: "l'idea di fondo non è e non vuole 
                  essere la salvaguardia del ricordo di quanto commisero 
                  Pietro Koch e gli uomini del suo Reparto, ma la comprensione 
                  di cosa fecero e del perché lo fecero". Un 
                  tentativo d'indagine che, ripercorrendo la storia dei carnefici 
                  e delle vittime (una distinzione che tuttavia tende, in alcuni 
                  casi, a sfumare) riesce a ricreare lo spessore umano (eroico 
                  o abietto ma comunque umano) necessario ad una visione 'tridimensionale' 
                  di quegli eventi oramai soffocati dal silenzio delle celebrazioni. 
                  
                  Dino Taddei 
                
                  
                  
                  
Handicap e 
                  fantascienza 
                Nel novembre '95 uscì su A un articolo con un titolo 
                  curioso: "Il futuro è un tempo di destra". 
                  Lo leggemmo, ci stupimmo, ne parlammo; poi entrambi (ognuno 
                  per conto suo, come si confà agli anarchici) iniziammo 
                  un percorso d'avvicinamento alla fantascienza. Siamo debitori 
                  dunque all'autore di quell'articolo, Daniele Barbieri, di un 
                  felice incontro e anche per questo segnaliamo un suo saggio 
                   o "sentiero di lettura" come lui suggerisce 
                   altrettanto interessante che esce su una rivista non 
                  a larghissima diffusione, "Hp" edita dal Centro 
                  documentazione handicap (051 6415005, asshp1@iperbole.bologna.it) 
                  e rintracciabile in abbonamento o in un ristretto numero di 
                  librerie. 
                  Titolo Umano è, sottotitolo "Come la fantascienza 
                  racconta l'universo-handicap", la bella impaginazione, 
                  l'attacco insolito (interattivo, per usare una parola alla moda, 
                  ovvero che chiama il lettore a mettersi in gioco) invitano a 
                  proseguire ma
 un dubbio serpeggiava in ambedue i sottoscritti: 
                  davvero servono 57 pagine per questo tema o alla fine il brodo 
                  risulterà, come si dice, allungato? Possibile che a un 
                  tema tutto sommato marginale la science fiction abbia dedicato 
                  tanto spazio? Chiusa la rivista, si può rispondere: sì, 
                  erano necessarie 57 pagine. Anzi dispiace che la parte antologica 
                  sia così ridotta anche perché alcuni fra i testi 
                  citati da Barbieri (Destinazione centauro oppure Nascita 
                  del superuomo per dirne due che sono consigliati anche nella 
                  prefazione di Valerio Evangelisti) sono pressoché introvabili 
                  in libreria.  
                  La bussola che possiamo fornirvi noi è utile solo per 
                  muovere i primi passi, poi toccherà affidarsi al traghettatore-Barbieri. 
                  Anzitutto la questione handicap e fantascienza viene inquadrata 
                  all'interno d'un più generale discorso sulle diversità 
                  (razziali, sessuali, culturali, sociali
.) e sul loro rapporto 
                  con l'immaginario. Poi un'osservazione/premessa che è 
                  utile riportare per esteso: "La non vastissima comunità 
                  che in Italia legge la buona fantascienza sa indicare all'istante 
                  alcuni titoli-chiave sull'Alieno sessuale o razziale; con qualche 
                  riflessione in più potrebbe individuare anche alcuni 
                  Alieni culturali e sociali. Ma esistono differenze che rimandano 
                  alle disabilità, all'handicap? Sì (
.) Perché 
                  molti appassionati di fantascienza faticano a ricordare questi 
                  titoli? Opera qui una doppia censura o rimozione. La prima è 
                  probabilmente numerica. Se esistono meno autori-autrici che 
                  sanno confrontarsi con questo Alieno, beh dev'essere una questione 
                  meno importante. La seconda è nella testa di chi legge: 
                  spesso è turbato/a ma, con un meccanismo ben noto, preferisce 
                  allontanare da sé (in modo più o meno inconscio) 
                  l'oggetto dell'imbarazzo e la domanda su cosa davvero mi inquieti". 
                  Ed eccoci serviti: noi due, pur non facendo parte a pieno titolo 
                  di quella comunità sopra citata, in effetti abbiamo letto 
                  alcuni testi che Barbieri ha usato per "spiazzarci"... 
                  pure ne avevamo rimosso parte del senso. È sempre utile 
                  che qualcuno ci sbatta in faccia uno specchio mostrandoci che 
                  le favole (e le realtà) parlano sempre di/a noi e non 
                  solo di/a altri. 
                  Qui ci fermiamo perché sarebbe quasi impossibile riassumere 
                  il "sentiero", le sue biforcazioni, tutte le vecchie 
                  e nuove mappe che Umano è raccoglie. Tre veloci 
                  osservazioni invece che possono forse tornar utili tanto a chi 
                  con la fantascienza bazzica quanto a chi poco ne sa. La prima 
                  è che fa piacere trovare in questa "buona letteratura" 
                  il rimando a una scrittrice sicuramente libertaria (Ursula Le 
                  Guin) e ad altri autori/autrici che alla nostra area di pensiero 
                  e prassi si riferiscono (La guerra dei sogni di Marc 
                  Augé e altri testi pubblicati da Elèuthera). La 
                  seconda è che i testi citati da Barbieri possono essere 
                  utili, oltre (va da sé) per il grande gusto che c'è 
                  nel narrare-ascoltare storie, a una intelligente pedagogia, 
                  se di essa nella scuola o fuori qualche traccia è sopravvissuta 
                  a vecchi e nuovi sfracelli di questa "Italia ripetente 
                  / sempre bocciata in storia e sempre promossa in latino". 
                  Dalla seconda osservazione ne deriva una terza, più una 
                  suggestione vaga per ora che un'analisi chiara: se è 
                  possibile aprire spazi di pensiero libero partendo dalla fantascienza, 
                  se è necessario condurre (ricorda Barbieri) una lotta 
                  per evitare che anche l'immaginario sia "tre volte c", 
                  cioè controllato, censurato, colonizzato, allora possiamo 
                  derivarne modi diversi d'interpretare, vivere, sognare e progettare 
                  il presente-futuro? Per rubare la frase a un pedagogista sovversivo 
                  (a noi vicino su molti punti), cioè al troppo presto 
                  in Italia dimenticato Paulo Freire: "Non è il futuro 
                  che ci crea, siamo noi che ci riscattiamo nella lotta per costruirlo". 
                  In quel Brasile che tanto deve a Freire, si leggeva a gennaio 
                  su uno striscione del forum di Porto Alegre, l'ormai famoso 
                  "Un altro mondo è possibile" e più sotto: 
                  "I sogni spaventano chi detiene il potere. Noi siamo uomini 
                  e donne in grado di sognare e organizzare il sogno". 
                
                  
                  Gianni Quartana e Danilo 
                  Tavernari 
                 
                  
                
                Quegli anni formidabili. 
                  Anche al Sud. 
                Capita, a volte, che proprio dall'esterno dell'ambiente anarchico 
                  ci giungano inaspettate testimonianze di come la storia del 
                  nostro movimento si sia intersecata, indissolubilmente, con 
                  quella di un paese tormentato e difficile come l'Italia. Oggi 
                  è un giovane giornalista reggino, Fabio Cuzzola, obiettore 
                  di coscienza, attivo esponente dello scoutismo cattolico che 
                  è riuscito a ricostruire con una dedizione commossa una 
                  delle vicende più tragiche e misconosciute della storia 
                  recente dell'anarchismo (Fabio Cuzzola, Cinque anarchici 
                  del sud. Una storia negata, 2001, Città del Sole 
                  Edizioni, pagg. 126, 12.000 lire, Via Ravagnese Superiore 
                  60, 89067 Ravagnese, meserv@libero.it). 
                  Proponendosi di far riemergere una cronaca altrimenti destinata 
                  ad essere dimenticata, l'autore ha anche voluto raccontare i 
                  momenti della breve vita e della drammatica morte di cinque 
                  compagni, dei cinque anarchici che nei "lontanissimi" 
                  anni settanta furono fra le vittime di una ragion di stato criminale, 
                  che contrastava con stragi efferate e micidiali attentati il 
                  procedere di una stagione di lotte, e di sogni, ormai irripetibile. 
                  Grazie al suo paziente lavoro di ricerca di documenti ignorati 
                  o sepolti, Cuzzola è riuscito a rendere drammaticamente 
                  decifrabile una vicenda dai contorni enigmatici, e al tempo 
                  stesso a restituire la specificità di vite vissute che 
                  furono, nella loro dimensione collettiva, il tratto di un'intera 
                  generazione di ribelli. 
                  La sera del 26 settembre 1970 cinque giovani anarchici, Gianni 
                  Aricò, Angelo Casile e Franco Scordo di Reggio Calabria, 
                  Luigi Lo Celso di Cosenza ed Annalise Borth, la giovanissima 
                  moglie tedesca di Aricò, trovano la morte in un drammatico 
                  incidente nel tratto autostradale fra Ferentino ed Anagni, alle 
                  porte di Roma. Come risulterà dalle indagini della polizia, 
                  l'incidente è causato dall'improvvisa manovra di un camion 
                  che taglia la strada alla Mini Minor dei compagni in corsia 
                  di sorpasso, manovra che nella sua dinamica non riesce a trovare 
                  alcuna logica spiegazione. Nonostante le evidenti stranezze 
                  e incongruenze subito rilevate dalla Stradale e la drammaticità 
                  di un incidente che vede morire sul colpo ben quattro persone 
                  ("Muki" Borth morirà in un ospedale romano 
                  dopo venti giorni di coma profondo), le indagini vengono prontamente 
                  insabbiate per poi essere archiviate nella comoda casella della 
                  tragica fatalità. Il camion è guidato da due dipendenti 
                  del principe nero Junio Valerio Borghese, il fascista al centro 
                  di tutte le trame nere di quegli anni. 
                  Qualche mese prima, il 22 luglio dello stesso anno, nei pressi 
                  della stazione di Gioia Tauro, la Freccia del Sud deraglia causando 
                  sei morti e più di un centinaio di feriti. Anche in questo 
                  caso le indagini arrivano a una rapida conclusione: il disastro 
                  è avvenuto a causa della colposa negligenza dei macchinisti 
                  del treno. È da poco più di una settimana che 
                  nella vicina Reggio Calabria è scoppiata la rivolta, 
                  ampiamente strumentalizzata dai settori più reazionari 
                  della società, che rivendica il ruolo di Reggio come 
                  capoluogo. Saranno mesi contrassegnati da continue violenze 
                  di piazza, che vedono tutte le componenti del neofascismo italiano 
                  impegnate a soffiare sul fuoco di questa improvvisa jacquerie, 
                  dove le giuste istanze di un proletariato meridionale sempre 
                  più emarginato si saldano con le finalità eversive 
                  di ampi settori dello stato. 
                  È all'interno di questi due drammi che si svolge la storia 
                  dei nostri compagni. Infatti Aricò, Casile e Scordo, 
                  assidui militanti del gruppo anarchico reggino, subito dopo 
                  il deragliamento si attivano in un'attività di controinformazione 
                   come si usava definire allora il lavoro di indagine sulle 
                  verità nascoste dal potere  che li porta ben presto 
                  a raccogliere prove consistenti sulla diretta responsabilità 
                  nell'incidente del neofascismo locale. Che quindi non è 
                  più un incidente, ma uno dei numerosi attentati di marca 
                  stragista che stanno insanguinando l'intero paese. Ed è 
                  per portare queste prove, che non verranno mai più ritrovate, 
                  che partono per Roma, dove hanno appuntamento con i compagni 
                  di "Umanità Nova" e con l'avvocato De Giovanni. 
                  Un appuntamento al quale non riusciranno mai ad arrivare. 
                  Sono anni eccezionali quelli, e formidabili, come li ha definiti, 
                  non credo a torto, uno dei più celebrati protagonisti 
                  dell'epoca. Sono anni tremendi e meravigliosi, anni nei quali 
                  un movimento di massa torna a dare l'assalto al cielo portando 
                  dentro di sé i possibili germi della liberazione collettiva, 
                  anni nei quali lo scontro sociale assume sempre più i 
                  caratteri di una vera e propria guerra di classe. Ma sono anche 
                  gli anni delle stragi e delle trame di stato, gli anni in cui 
                  il potere, inferocito e incarognito dall'attacco di un movimento 
                  di massa che nelle fabbriche, nelle campagne e nelle scuole 
                  ne mette in discussione i postulati, reagisce con gli strumenti 
                  del terrore e dell'omicidio pur di salvaguardare la propria 
                  esistenza. Sordide trame di stato manovrate dai servizi segreti, 
                  generali vigliacchi e felloni affiancati da una massa di manovra 
                  fascista che è riduttivo definire come semplice manovalanza: 
                  questi sono gli strumenti con i quali un potere assediato cerca 
                  di contrastare la gioiosa vitalità di un'intera generazione. 
                  Ed è di quegli anni, di quei sogni e di quelle lotte, 
                  non solo della tragica morte dei cinque giovani, che ci parla 
                  questo libro. Per chi ha vissuto quel periodo è chiaro 
                  come l'autore allora non fosse ancora nato e come tutte le fonti 
                  a cui ha attinto siano documenti d'archivio o testimonianze 
                  e racconti indiretti. Eppure il suo bisogno di comprendere, 
                  per ricostruirlo, l'ambiente nel quale si muovevano i nostri 
                  protagonisti, è riuscito a concretizzarsi in un affresco 
                  di rara sensibilità. Pur nelle inesattezze che qua e 
                  là affiorano, soprattutto quando vengono affrontate alcune 
                  specificità del movimento anarchico  ininfluenti 
                  del resto rispetto al quadro complessivo con cui viene descritta 
                  la quotidianità di quegli anni  penso che il merito 
                  maggiore dell'opera di Cuzzola sia quello di essere riuscito 
                  a illustrare come, finanche l'attività di un gruppetto 
                  di giovanissimi anarchici di una città tutto sommato 
                  periferica, potesse interagire con i maggiori avvenimenti nazionali, 
                  inserendosi perfettamente all'interno di un insieme di fatti 
                  ed azioni che riguardavano il destino dell'intero paese. Del 
                  resto questa capacità di comunicazione, che oggi può 
                  sembrare impossibile, era allora patrimonio di un'intera generazione 
                  di giovani, anarchici, marxisti, capelloni, beatniks, contestatori, 
                  comunisti, operai massa, cinesi e quant'altro che, partendo 
                  dalle capitali del nord industriale per arrivare alle più 
                  piccole realtà dell'enorme provincia italiana, riscrivevano 
                  le regole di una società ingessata e paralizzata da trent'anni 
                  di dominio clericale e conservatore. Tutto il paese era un'immensa 
                  periferia che circondava il nord industriale e i centri del 
                  potere, un'immensa periferia che apportava, con la vivacità 
                  e la freschezza tipiche delle periferie, il proprio contributo 
                  essenziale nell'attacco al cielo partito dalle grandi metropoli. 
                  Ma quelli sono anche gli anni del terrorismo nero, delle stragi 
                  di stato, dei servizi deviati e delle mene di un potere arroccato 
                  su posizioni di pura reazione. Un potere che, con la complicità 
                  di uno schieramento politico di cui i fascisti sono solo la 
                  punta, cerca a tutti i costi di bloccare gli assalti cui è 
                  sottoposto. E proprio Reggio Calabria, la città di Aricò, 
                  Casile e Scordo, diventa il principale laboratorio dell'eversione. 
                  È una rivolta popolare che scandisce con i suoi tempi 
                  e le sue vergogne l'intera estate del 1970 e che vede gli anarchici 
                  e gli extraparlamentari del luogo cercare di sottrarre alle 
                  sirene del fascismo la rabbia di una città tradita ed 
                  espropriata. 
                  Le pagine di Cuzzola raccontano quanto fosse dura la vita quotidiana 
                  di questi compagni in un ambiente così inquinato, e come 
                  fosse coraggioso il loro modo di vivere, di provocare, di contestare 
                  le convenzioni e lottare in una città già difficile 
                  di suo e ora in preda ai furori di una rivolta egemonizzata 
                  dagli scherani di Ciccio Franco. Ma le loro conquiste personali, 
                  le loro rotture con l'ambiente, le loro scoperte, i viaggi, 
                  le amicizie profonde, la rimozione di un vissuto soffocante 
                  e conservatore, li avevano portati su una strada dalla quale 
                  era impensabile fare dietro-front. E che hanno percorso, per 
                  dirla con le belle parole della prefazione di Tonino Perna, 
                  con la determinazione "di chi, malgrado le minacce, le 
                  intimidazioni, è andato avanti, senza paura, perché 
                  credeva nel valore supremo del solo tribunale esistente: la 
                  propria coscienza. Di chi credeva che la coerenza non sia solo 
                  una virtù, ma la prova del fuoco della validità, 
                  concretezza e serietà di un ideale". 
                  Ho sentito da poco Placido La Torre di Messina, il compagno 
                  avvocato che tante volte si trovò ad assistere gratuitamente 
                  i giovani meridionali, anarchici ma non solo, che regolarmente 
                  cadevano sotto le grinfie della "legge". Conobbe e 
                  frequentò a lungo i giovani reggini, e ancora oggi dopo 
                  tanti anni si commuove al ricordo di quelle giovani vite così 
                  prematuramente perse. Anche lui, con calore e affetto immutato 
                  mi ha ricordato il loro entusiasmo, la loro voglia di lottare 
                  contro tutte le ingiustizie, la loro determinazione nel far 
                  coincidere l'impegno politico con le convinzioni morali. Sono 
                  passati più di trent'anni da quella notte in autostrada, 
                  ma il loro ricordo  grazie soprattutto a questo libro 
                   non sbiadirà più. 
                  
                  Massimo Ortalli 
                  
                  
                  
                  
                  
                P.S. Alcuni anni fa, nel 1993, nel corso di un processo in 
                  Calabria, un pentito di mafia ha raccontato che il deragliamento 
                  della Freccia del Sud non fu un incidente ma un attentato commesso 
                  da affiliati della 'ndrangheta e commissionato dal "Comitato 
                  d'azione per il Capoluogo". In seguito a queste dichiarazioni, 
                  suffragate da numerosi riscontri, oggi è in corso un 
                  processo a Reggio Calabria. 
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