Osvaldo Escribano: Il mio nome è Osvaldo Escribano, 
                    e sono impegnato nella biblioteca José Ingenieros, 
                    alla quale mi sono avvicinato negli anni 1958-59; ero attivo 
                    come anarchico per 10 anni  tra il '64 e il '74  
                    nella "Comunidad del Sur" di Montevideo, Uruguay. 
                    Durante quegli anni, che erano molto difficili e turbolenti 
                    in Uruguay, e in tutto il Cono Sud dell'America Latina, partecipammo 
                    ai vari movimenti e alle attività che coinvolgevano 
                    cooperative e sindacati, cercando di organizzare le basi per 
                    un cambiamento sociale profondo. Al mio ritorno in Argentina, 
                    mi rimisi con i compagni della Biblioteca José Ingenieros 
                     dove ci troviamo adesso; qui partecipiamo alla produzione 
                    del periodico A Desalambrar che esce già da 
                    alcuni anni, e allo stesso tempo siamo responsabili di varie 
                    pubblicazioni e libri. Per quanto riguarda altri aspetti, 
                    facciamo anche parte delle varie cooperative; al mio ritorno, 
                    formammo una cooperativa con gli altri compagni del settore 
                    della legatura di libri, dopo di che misi su la cooperativa 
                    "El Faro" ... più tardi, quando "El 
                    Faro" dovette chiudere, molti compagni che appartennero 
                    alla cooperativa vennero sequestrati e scomparvero.
                  Questo in quale anno?
                  Osvaldo Escribano: La cooperativa "El Faro" 
                    funzionò dal '74 al '78. Nel '78 c'era una repressione 
                    estrema; detennero 18 compagni, e 12 di loro sparirono. Alcuni 
                    di loro appartenevano alla nostra cooperativa, El Faro.
                  Di che si occupava la cooperativa?
                  Osvaldo Escribano: Di legatura di libri. Inizialmente 
                    avevamo l'appoggio della casa editrice "Proyección", 
                    una casa editrice anarchica; il gruppo non era specificamente 
                    anarchico, ma, diciamo, la maggior parte di noi erano attivi 
                    nel movimento. Poi, nell'84 fondammo un'altra cooperativa 
                    con un gruppo di persone che erano state nel movimento per 
                    i diritti umani; era di stampa autonoma, e funzionava fino 
                    al 1990. Successivamente, nel periodo di mezzo, con un altro 
                    compagno ci guadagnammo da vivere con pubblicazioni, stampando 
                    edizioni, e allo stesso tempo collaborammo con le riviste 
                    Tupac, A Desalambrar e Desalambrando. 
                    Abbiamo anche una casa editrice che pubblica poesia, che si 
                    chiama "Ediciones El Toque".
                  Antonio, puoi raccontarci un po' della tua storia?
                  Antonio López: Sono Antonio "Cacho" 
                    López. Nacqui il 8 agosto del 1926, qui nella capitale. 
                    Figlio di galiziani.
                  Proprio di Galicia? 
                  Antonio López: Di Galicia. Mio padre era un 
                    anarchico, della FORA [Federazione dei Lavoratori Argentini]; 
                    lo deportarono tre volte in Spagna, nel '34, '36 e '42. Nel 
                    '42, l'ultima volta, Franco era al potere. Gli ci vollero 
                    18 anni e mezzo per ritornare; gli permisero di tornare finalmente 
                    nel 1960. Quando lui tornò, io ero già attivo 
                    come militante, più o meno conosciuto, nel movimento 
                    di protesta; facevo parte della Biblioteca e della FORA. Per 
                    6 mesi ero membro del consiglio federale della FORA, nel '68-'69 
                    ero segretario; successivamente entrai a far parte della Biblioteca. 
                    Lasciai la FORA, continuai alla Biblioteca, ero attivista 
                    alla Biblioteca.
                  E durante gli anni di cui Osvaldo stava parlando prima, 
                    nel '76-'77-'78, quando molte persone scomparvero ... eri 
                    rimasto qua?
                  Antonio López: Ero segretario della Biblioteca. 
                    Come segretario, per molti anni ero la persona responsabile; 
                    come responsabile, devo dire che mi cacavo sotto dalla paura. 
                    Facevamo riunioni segrete, facevamo conferenze. Io andavo 
                    in questura, per informare la polizia delle nostre attività 
                     in teoria  in pratica, era per chiedere permesso. 
                    Non mi sentivo mai a mio agio, finché non uscivo non 
                    mi sentivo mai tranquillo, perché qualche volta loro 
                    inventavano qualche stratagemma, tipo chiedere un numero telefonico 
                     qui non c'è mai stato un telefono. All'inizio 
                    c'era un comitato che abbiamo formato con gli altri gruppi, 
                    per aiutare i prigionieri e i perseguitati. E alla fine erano 
                    rimaste solo le persone della Biblioteca, e, grazie all'aiuto 
                    economico di alcuni compagni, potevamo fare uscire alcuni 
                    prigionieri  generalmente loro se ne andarono in Svezia 
                     ed aiutare altri, che venivano perseguitati, a lasciare 
                    il paese. Quelle erano le nostre attività qui.
                    Osvaldo Escribano: Qui alla Biblioteca, nello stesso 
                    periodo, due o tre volte trovammo tutto frugato, erano entrati 
                    ...
                    Antonio López: Sì, non solo, una volta 
                    ...
                    Osvaldo Escribano: ... portarono via il custode.
                    Antonio López: Quel giorno dovevamo avere una 
                    riunione, ma ci avevano avvertito che avevano arrestato dei 
                    compagni, così ci disperdemmo. Quella notte portarono 
                    via il custode, che era solo un ragazzo. Per fortuna, lui 
                    uscì vivo. Dopo un mese e mezzo, più o meno; 
                    io non lo vidi mai più, perché se ne andò.
                    Osvaldo Escribano: Abbiamo ricevuto la notizia che 
                    lui sta a Córdoba.
                  Quando la dittatura finì, migliorò la situazione 
                    della Biblioteca?
                  Osvaldo Escribano: Sì. Certamente migliorò, 
                    non era lo stesso. Mai una dittatura come quella. C'erano 
                    state già altre dittature; la Biblioteca rimase chiusa 
                    durante molti anni, durante il primo periodo di Perón.
                  Se loro avevano il potere di chiuderla, perché 
                    permisero di tenere la Biblioteca aperta?
                  Antonio López: Praticamente non chiusero nessun 
                    locale nostro. Era un modo di controllarci. Ricordo che una 
                    volta c'era una conferenza qui, e c'erano solo poche persone; 
                    e vennero dalla questura e un ragazzo in divisa stava parlando 
                    con me, parlando male del governo, del governo militare; non 
                    potevo, difesi il governo. Sapevo come erano. Volevano farti 
                    cadere in una trappola.
                    Osvaldo Escribano: D'altra parte, in qualche modo riuscivamo 
                    a fare delle altre attività, la gente si riuniva; un 
                    gruppo di noi produceva un periodico, tra il letterario e 
                    il politico, El Riachuelo (Il Torrente), e ci riunivamo 
                    qui. Ad esempio, qualche volta venti persone si incontravano 
                    per preparare quella pubblicazione. In principio era un periodico 
                    letterario, ma mettevamo anche del materiale politico. E più 
                    tardi, aiutando con le azioni delle organizzazioni per i diritti 
                    umani, si facevano delle riunioni qui; aiutammo con tutte 
                    le azioni possibili. Già cominciando dall'81, diciamo, 
                    cominciarono le attività. L'atmosfera era già 
                    cambiata.
                    Antonio López: Specialmente dopo la Guerra delle 
                    Malvine, c'era anche una specie di rottura generazionale, 
                    perché molti giovani compagni scomparvero in quel periodo, 
                    ma poi altri nuovi si sono avvicinati. Gradualmente con il 
                    tempo tutto questo ha avuto il suo effetto. Prima la biblioteca 
                    si trovava nella Calle Santa Fé 408, era in affitto. 
                    Aveva un tipo di persiana che si poteva abbassare; si alzava 
                    quando ci riunivamo ed eravamo in piena vista. Quando venimmo 
                    qui, quando comprammo questa casa, un compagno suggerì 
                    di fare la stessa cosa, cioè di tenere la porta aperta 
                    per le riunioni, ed io stavo discutendo di questo e dissi 
                    di no, meglio avere la porta aperta sempre. Almeno con la 
                    porta sempre aperta potevamo riunirci senza che chiunque che 
                    camminasse per la strada potesse rendersi conto di ciò 
                    che stava succedendo; ecco perché abbiamo un ingresso 
                    così. Era del tutto clandestino durante il periodo 
                    di Perón.
                  In Inghilterra ci sono delle persone  di solito 
                    i 'thatcheristi'  che dicono che è grazie alla 
                    Thatcher che la dittatura sia finita. È un punto di 
                    vista molto conveniente per loro. Cosa ne pensate?
                  Antonio López: Guarda, la guerra delle Malvine 
                    fu provocata da un generale ubriaco, Galtieri; ha ideato quell'impresa 
                    rischiosa, spedendo tutti quei ragazzi alla morte, soldati 
                    disarmati, con le temperature sotto zero che ci sono là 
                    alle Malvine, ed i ragazzi senza cappotti; ma a Galtieri gli 
                    costò il posto.
                    Osvaldo Escribano: Ciò che è importante 
                    tenere presente è che successe esattamente due giorni 
                    dopo una grande manifestazione dei lavoratori, durante la 
                    quale uccisero un operaio. Il 30 marzo ci fu la prima manifestazione 
                    contro la dittatura; venne repressa severamente, e due giorni 
                    dopo le Malvine vennero occupate. La cosa deplorevole è 
                    che alcune delle stesse persone che stavano in piazza contro 
                    la dittatura andarono di nuovo a Plaza de Mayo per applaudire 
                    Galtieri perché aveva occupato le Malvine. Facevamo 
                    grandi litigi su questo con dei compagni, perché Galtieri 
                    finì per convincere molta gente che era un liberatore, 
                    e dei compagni  del MAS (Movimiento al Socialismo)  
                    finirono per dire che Galtieri poteva diventare il leader 
                    della rivoluzione latinoamericana. Noi avevamo delle dispute 
                    in riguardo nel periodico El Riachuelo  che ho citato 
                    prima  dove c'erano dei compagni filotrotzkisti, e c'erano 
                    delle liti serie in questo edificio sulla questione, persino 
                    durante le feste che abbiamo organizzato. Ma siamo sopravvissuti.
                  Bene, gli anni sono passati. Venne Alfonsín, poi 
                    Menem, e ora De La Rúa; Menem è durato 10 anni. 
                    Come descrivereste quei 10 anni?
                  Antonio López: Cambiarono la storia e cambiarono 
                    il paese. Il governo peronista di Perón aveva nazionalizzato 
                    la maggior parte dei servizi pubblici, la ferrovia, tutto, 
                    e questo lo ha privatizzato; lui ha venduto pressoché 
                    tutto, praticamente niente è rimasto.
                  Come poteva lui privatizzare nel nome del Peronismo?
                  Antonio López: Sono le necessità del 
                    momento, e sia Perón che Menem risposero ad interessi 
                    internazionali, non a quelli di questo paese; vale a dire, 
                    quando Perón comprò le ferrovie dagli inglesi, 
                    già a loro non servivano più; stavano perdendo 
                    soldi e gli inglesi avevano un debito molto grande con l'Argentina, 
                    così pagarono con le ferrovie, che già erano 
                    rottami. Quindi c'erano grandi trattative con membri del governo 
                    di Perón. Poi si disse che Perón aveva avuto 
                    un successo notevole, perché comprò le ferrovie 
                    dagli inglesi per nazionalizzarli. Più tardi, quando 
                    era necessario, per ragioni internazionali, a causa del cambiamento 
                    neoliberale in atto a livello mondiale, con tutta la privatizzazione, 
                    le stesse politiche vennero seguite anche qui. L'unica cosa 
                    che facevano era seguire un comportamento internazionale.
                  Quello che mi interessa scoprire è come mai molte 
                    persone e molti lavoratori continuano a considerarsi peronisti, 
                    e non vedono questa grande contraddizione, in quanto Perón 
                    era nazionalista e nazionalizzò tutto, mentre Menem, 
                    essendo peronista, ha privatizzato tutto.
                  Osvaldo Escribano: Io credo che il Peronismo ha la 
                    stessa capacità della chiesa, che si è mantenuta 
                    viva durante 2000 anni, e ha avuto la sua grande gerarchia 
                    del Vaticano, con tanti multimiliardari e i preti poveri che 
                    lavorano nei 'barrios'. Il Peronismo è uguale, nel 
                    Peronismo c'è di tutto. Nella decade degli anni '70 
                    c'era il Peronismo di sinistra che stava lottando per un paese 
                    socialista ed il Peronismo dell'estrema destra, che parlò 
                    di "Dio, Patria e Casa" e tutti loro erano peronisti. 
                    E durante il governo di Menem accadeva esattamente la stessa 
                    cosa; erano peronisti sia i menemisti che i "descamisados" 
                    [destra peronista] che stavano contro Perón e contro 
                    il modello. Tutti stanno dentro il "sacco" del Peronismo.
                  Il termine è così ampio da diventare insignificante. 
                    
                  Antonio López: Quello che accade è che 
                    gli operai ricordano  o hanno letto o i loro genitori 
                    hanno detto  che con il primo Peronismo molte leggi 
                    sociali furono create dal governo di Perón; erano generalmente 
                    leggi socialiste che costituivano conquiste per i lavoratori, 
                    e decretarono cose che tutti avevano a cuore, come le ferie 
                    dei lavoratori, gli alberghi amministrati dai vari sindacati, 
                    i servizi sanitari dei sindacati...
                  Le case popolari.
                  Antonio López: Sì, le case popolari 
                    e tutto questo, che ha pressocché cessato di esistere 
                    con Menem, perché il suo governo ha portato via praticamente 
                    tutti i guadagni fatti prima; li ha portati via con la complicità 
                    dei leader della CGT (Confederazione Generale del Lavoro). 
                    Eppure ci sono molti lavoratori che si dicono peronisti.
                  E la CGT, perché sostiene questo modo di comportarsi? 
                    È perché si trova più debole?
                  Osvaldo Escribano: Perché ci sono interessi 
                    economici all'interno delle privatizzazioni stesse; per esempio, 
                    le ferrovie. C'erano delle linee ferroviarie che erano  
                    diciamo  state "acquistate" dai sindacati 
                    ferroviari, ma in realtà dai dirigenti dei sindacati; 
                    in questo momento sono loro i proprietari. E la stessa cosa 
                    sta accadendo con "Luz y Fuerza" (il sindacato dei 
                    lavoratori dell'energia elettrica). Solo l'altro giorno, noi 
                    eravamo ad una riunione a Mar del Plata con membri del sindacato. 
                    C'è un grande problema lì, perché il 
                    sindacato dell'energia elettrica è contro la gente 
                    di Luz y Fuerza, perché si sono trasformati in impresari. 
                    E adesso sono loro quelli che stanno sfruttando i lavoratori 
                    che erano i loro compagni.
                    Antonio López: Il sindacato compra imprese privatizzate 
                    e poi sfrutta i propri affiliati.
                    Osvaldo Escribano: E c'erano state esperienze simili 
                    già al tempo di Perón, non so in che anno; era 
                    stata creata la "SEGBA autogestionaria", il servizio 
                    di energia elettrica di Buenos Aires. Fu considerata una impresa 
                    autogestita dai lavoratori. In realtà il presidente 
                    dell' "organismo autogestito", come venne chiamato, 
                    era il segretario del sindacato. Infatti, aveva molto poco 
                    a che vedere con l'autogestione dei lavoratori, perché 
                    i lavoratori si trovavano ancora in esattamente la stessa 
                    situazione di quando l'impresa era capitalista. Mi ricordo 
                    che abbiamo fatto una discussione con dei compagni peruviani, 
                    consulenti del governo di Velasco Albarado, quando vennero 
                    a visitarci. Una legge di proprietà sociale fu emessa 
                    dal governo di Velasco Albarado in Perù; era molto 
                    interessante dal punto di vista libertario, e i compagni vennero 
                    qui e consegnarono un progetto di legge di proprietà 
                    sociale all'organizzazione SEGBA. E poi consegnarono un altro 
                    alla cooperativa El Faro. Abbiamo fatto un dibattito con i 
                    compagni sul tema dell'organizzazione autogestita. Io credo 
                    che il sindacalismo qui era molto avanzato all'interno del 
                    sistema capitalista in America Latina. Quello che voglio dire 
                    con questo è che venne compreso più facilmente 
                    dal sistema, e il sistema era capace di controllarlo molto 
                    più facilmente. Questo processo già cominciò 
                    con Perón, il quale ha dato il via all'idea di far 
                    diventare i sindacati  i quali già appartennero 
                    direttamente al partito di governo  un'appendice del 
                    governo e del partito di governo. Da allora in poi i sindacati 
                    smisero di fare la minima rivendicazione; loro non avevano 
                    più motivo di lottare, perché il governo dava 
                    loro tutto. Quindi si dedicarono ad organizzare i servizi 
                    sociali.
                  E ora, avendo venduto praticamente tutto ad imprese straniere, 
                    i governi continuano a sventolare la bandiera argentina ad 
                    ogni occasione. Che responsabilità ha lo stato adesso? 
                    La salute? Le scuole? La sicurezza? Ho notato durante questa 
                    mia visita, che sono proprio queste le cose che funzionano 
                    peggio in questo momento, e sono le uniche cose rimaste gestite 
                    dallo stato.
                  Osvaldo Escribano: Be', lo stato ha venduto tutto, 
                    ma il debito estero è aumentato, e ancora stiamo pagando 
                    gli interessi su quel debito estero. Si pensava che ciò 
                    che interessasse meno al capitale era che si ripagasse il 
                    debito. Il debito estero era, diciamo, un problema degli anni 
                    '83, '84, quando si cominciava a parlarne tanto - credo che 
                    fosse di circa 20.000 milioni di dollari. Poi un compagno 
                    ha detto che la cosa peggiore che si potesse fare per i capitalisti 
                    sarebbe svendere una parte del paese e rimborsare loro tutti 
                    i soldi: li rovinerebbe, sarebbe la rovina del capitalismo. 
                    Invece, in questo momento tutto è stato venduto e noi 
                    non abbiamo finito di pagare il debito, anzi, è aumentato.
                  Quindi, qual è il futuro di questo stato?
                  Osvaldo Escribano: Controllare le persone che si ribellano 
                    contro questo sistema, perché c'è sempre più 
                    gente esclusa ed il sistema sta promuovendo sempre di più 
                    l'emarginazione e non trova soluzioni. Quindi la funzione 
                    del governo sarà continuare a creare una macchina repressiva 
                    efficace.
                  E dove conduce?
                  Osvaldo Escribano: Non sappiamo. Conosco solo l'ipotesi 
                    che non si sa mai dove stanno andando i popoli; possono sollevarsi 
                    in qualsiasi momento, nelle situazioni peggiori. È 
                    difficile prevedere.
                  
                  Siete ottimisti? In questo momento è difficile 
                    essere ottimisti, con tutta la disoccupazione e la miseria 
                    che c'è - ma vedete la possibilità di 
                    un cambio in meglio?
                  Antonio López: Se uno non pensasse di poter 
                    cambiare le cose, non tirerebbe avanti, dopo così tanti 
                    anni, ma nel prossimo futuro io non vedo nessuna possibilità. 
                    Ora che abbiamo avuto il cambio di governo, è tutto 
                    uguale, anzi peggio.
                  Perché la classe politica è sempre la stessa 
                    gente, vero?
                  Antonio López: Loro cambiano le marionette, 
                    ma l'essenza della cosa non cambia. L'unico che avrebbe potuto 
                    cambiare qualcosa era Alfonsin, e loro lo hanno fregato. 
                    Osvaldo Escribano: Che Alfonsinista! Vedi quanto lo 
                    ama! Bene, io credo che è difficile essere ottimisti 
                    al momento, dal nostro punto di vista, perché non c'è 
                    realmente una grande consapevolezza da parte della gente.
                  Neanche nei giovani?
                  Osvaldo Escribano: No, io credo che il sistema sia 
                    riuscito moltissimo a inglobare i valori della gente, e questo 
                    è molto difficile da controbattere. Però, diciamo 
                    che è un compito al quale possiamo lavorare, alzando 
                    la nostra voce nei vari luoghi; tentiamo di farlo. Un paio 
                    di anni fa il giornale Página 12 fece un servizio 
                    su alcuni di noi; ricevemmo molte lettere, alle quali rispondemmo, 
                    e come conseguenza vennero formati dei gruppi. Era un fenomeno 
                    interessante, soprattutto perché la gente ha scoperto 
                    che ci sono anarchici in giro; stavo commentando questo con 
                    dei compagni durante un seminario che abbiamo dato all'università 
                    di Mar del Plata, parlando dell'anarchismo, e la gente lo 
                    vede come qualcosa di attuale e non semplicemente come un 
                    fatto storico, come l'anarchismo viene visto in molti casi. 
                    Qui in Argentina l'anarchismo ha una storia ricca e lunga, 
                    e questo non si può negare; vale a dire, nessuno storico 
                    può negare gli anarchici. Invece, loro non negano, 
                    ma dicono che gli anarchici "erano" brave persone, 
                    persone eccellenti, "erano" questo o quell'altro 
                    ... Ma quando gli studenti e i membri del sindacato scoprirono 
                    che c'erano anarchici  e nemmeno tanto vecchi!  
                    rimasero veramente sorpresi.
                  Mi stavi dicendo prima che c'è molto interesse 
                    verso l'anarchismo in questo momento nelle province dell'Argentina, 
                    e che credi che il punto di partenza per un cambiamento potesse 
                    venire dalle province e non dalla capitale. 
                  Osvaldo Escribano: La maggior parte delle azioni si 
                    fanno nelle province, azioni molto radicalizzate. Ovvero, 
                    i blocchi stradali che si sono fatti sia in Jujuy, nel nord, 
                    che in Neuquén, nel sud. Esiste un'espressione che 
                    noi usiamo; ora i gruppi si stanno chiamando "autoconvocati". 
                    Ci sono molti "docenti autoconvocati", "residenti 
                    autoconvocati"; è un termine che viene usato moltissimo, 
                    e l'organizzazione degli "autoconvocati" è 
                    di tipo orizzontale, non gerarchica. È il nostro genere 
                    di approccio.
                    Antonio López: Un paio di anni fa mi hanno chiamato 
                    a una radio FM, e televisione, per parlare della "Settimana 
                    Tragica" del 1919 [il momento rivoluzionario in Argentina, 
                    che fu represso severamente], e qualcuno mi vide in televisione. 
                    Era un vicino di casa, della farmacia dietro l'angolo, dove 
                    vado abitualmente; così poi il farmacista mi domandò: 
                    "cos'è tutto questo sull'anarchismo? Perché 
                    io non sapevo che c'erano anarchici". Certo che non vado 
                    in giro raccontando alla gente che sono anarchico. Dipende 
                    dove mi trovo; vado dal farmacista per le medicine, non per 
                    parlare dell'anarchismo. Lui si sorprese che ci sono anarchici, 
                    perché pensava che eravamo una cosa del passato.
                  Ma c'è la comprensione di quello che vuol dire 
                    veramente, chiamarsi anarchico? Come ideologia? In Inghilterra, 
                    per esempio, la parola non viene capita bene.
                  Osvaldo Escribano: Qui neanche, ma esiste. I significati 
                    comuni dell'anarchia e del disordine vengono confusi; d'altra 
                    parte, almeno le persone più politicizzate, quelle 
                    che hanno delle idee sulla politica e sulle altre cose, stanno 
                    cominciando a domandarsi qualche cosa sull'anarchismo come 
                    movimento politico. Per esempio, alcuni anni fa nel mio quartiere, 
                    facevamo un'azione contro un impianto di coke che avevano 
                    portato qui dall'Olanda ed installato nel Bacino Sud; noi 
                    eravamo molto attivi nel quartiere, e alcuni del comitato 
                    avevano un'idea del mio punto di vista. Alle riunioni loro 
                    non mi definivano mai politicamente: davo le mie opinioni 
                    e delineavo come ci dovevamo organizzare; davo la mia opinione 
                    senza dire che questo è anarchismo. Diciamo che la 
                    gente non lo rifiuta.
                  Mi interessa sapere come si vedono qui i conflitti in 
                    altre parti del mondo. Ad esempio, la guerra della Nato contro 
                    la Jugoslavia sul Kosovo. Come venne vissuta in Argentina? 
                    Stando lontani dagli avvenimenti.
                  Osvaldo Escribano: Facemmo manifestazioni, pubblicammo 
                    anche dichiarazioni contro la guerra, sia personalmente che 
                    da parte della Biblioteca. Organizzammo delle attività 
                    contro la guerra.
                  ... perché mi sembra di ricordare che Menem era 
                    interessato a partecipare in qualche maniera.
                  Osvaldo Escribano: Menem avrebbe fatto qualsiasi cosa 
                    per leccare il culo agli yankies, agli Stati Uniti. Lui  
                    come De La Rúa  vuole essere nel "primo 
                    mondo".
                  Un'ultima domanda: secondo i media, la lotta nuova in 
                    Inghilterra è da parte dei consumatori, contro i prodotti 
                    modificati geneticamente, ad esempio. Sembrerebbe che il modo 
                    più facile di mobilitare le persone nel nord dell'Europa 
                    sia attraverso il consumismo. L'Argentina è anche un 
                    paese di consumatori? È questo il suo futuro?
                  Antonio López: Ci sono consumatori e ci sono 
                    altri che non hanno niente per consumare.
                  Quindi, questo modello del consumatore può funzionare 
                    qui, o è destinato a fallire?
                  Antonio López: Io credo che funziona, da un 
                    punto di vista funziona. Quello che verrà fuori, non 
                    lo so. Loro ci costringono ad adottare il consumismo, lo diffondono. 
                    Ma c'è ancora tanta gente che non ha nulla per mangiare.
                    Osvaldo Escribano: Il trenta per cento della popolazione 
                    si trova sotto la linea della povertà. Tantissime persone. 
                    Tredici milioni di persone. Ma l'aspetto serio della questione 
                    è che quei tredici milioni di persone ancora credono 
                    di poter essere consumatori. Come stavamo dicendo prima, i 
                    valori del sistema hanno vinto. Io credo, per lo meno, che 
                    la nostra lotta  più che essere in difesa del 
                    consumatore, come accade in Europa  dev'essere contro 
                    il consumismo. E dimostrando che non possiamo continuare a 
                    consumare in questo modo. Perché se continuiamo a consumare, 
                    finiremo consumando il pianeta.
                  E come si fa a dimostrarlo? Andando a parlare con la gente 
                    per la strada?
                  Osvaldo Escribano: Non abbiamo molte altre possibilità; 
                    diffondere la comunicazione dove possiamo. Dove la gente ascolta, 
                    diffondere la comunicazione, e fare quello che possiamo.
                  
 
                    Leslie Ray
                  