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                 Quando si parla di autonomia scolastica 
                  è necessario, per la chiarezza della discussione, evitare 
                  ogni riferimento al concetto di autogoverno. Quest'avvertenza 
                  è necessaria per almeno due ragioni: 
                  1. l'autonomia scolastica realmente esistente o, più 
                  esattamente, in corso di definizione è una forma di rimodellamento 
                  della struttura della scuola pubblico-statale che resta, per 
                  evidenti ragioni, sottoposta al controllo del potere politico; 
                  2. non ritengo immaginabile un settore della società 
                  autogestito nell'ambito di una società mercantile e statale 
                  a meno di dare dello stesso concetto di autogestione una definizione 
                  debole e, a rigore, impropria mentre è pensabile la difesa 
                  attiva e consapevole di spazi di autonomia sociale e culturale. 
                  Posti questi limiti all'oggetto dell'articolo che segue ritengo 
                  opportuno segnalare che l'attuale riflessione sull'autonomia 
                  scolastica, sulle sue caratteristiche e sui suoi effetti immediati 
                  e tendenziali si intreccia, almeno nella mia esperienza, con 
                  quella sul federalismo, per un verso, e con una singolare versione 
                  dell'opposizione fra conservazione e progresso, per l'altro. 
                  Riprenderò più avanti la questione del federalismo. 
                  Vorrei intanto far rilevare come il confronto delle posizioni 
                  sia falsato dalla pretesa dei fautori dell'autonomia scolastica 
                  di essere i portatori dell'innovazione a fronte di un blocco 
                  "conservatore" che difenderebbe la vecchia scuola 
                  burocratica e centralista. Avviene, di conseguenza, che dei 
                  postfascisti dichiarati o dei cattolici ultramontani oltre che, 
                  ovviamente, degli esponenti della sinistra statalista definiscano 
                  chi si oppone o, per essere più esatti, chi critica l'attuale 
                  modello di autonomia scolastica "statalista". È 
                  avvenuto a chi scrive di ricevere un'accusa del genere dal Provveditore 
                  agli Studi di Bergamo nel corso di un dibattito sul tema, appunto, 
                  dell'autonomia solo perché aveva sostenuto che la scuola 
                  che desideriamo non può essere una mera appendice del 
                  sistema delle imprese e dal Provveditore di Torino, nel corso 
                  di una trattativa sindacale, per aver richiesto una precisa 
                  presa di posizione sull'organizzazione del lavoro degli insegnanti. 
                  Va da sé che entrambi i provveditori agli studi non avrebbero 
                  mai nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di rinunciare 
                  al proprio ruolo di controllo sul funzionamento della scuola 
                  ma è interessante notare come l'opposizione conservazione-progresso 
                  sia funzionale ad impedire ogni discussione seria sul merito 
                  delle scelte del governo. Non vi è, in questa sede, lo 
                  spazio per un'analisi dettagliata dell'autonomia scolastica 
                  dal punto di vista giuridico. Ritengo che, ai fini di quanto 
                  ci interessa, basta individuare come si spostino i luoghi della 
                  decisione sia all'interno della struttura della scuola sia nella 
                  relazione fra scuola e società civile. 
                  Normalmente chi pensa all'autonomia scolastica immagina un processo 
                  di spostamento dei luoghi della decisione dall'alto verso il 
                  basso e cioè dal Ministero della Pubblica Istruzione 
                  e dai Provveditorati agli Studi verso il basso e cioè 
                  verso le singole scuole. In realtà la dislocazione in 
                  questione è più complessa e consiste in uno spostamento 
                  di compiti dal Ministero e dai Provveditorati verso le singole 
                  scuole accompagnata, e non si tratta di un dettaglio secondario, 
                  dalla riduzione del peso degli organi collegiali (in primo luogo 
                  il Collegio Docenti) a favore dei Dirigenti Scolastici. Inoltre, 
                  i Provveditorati vengono svuotati di funzioni verso il basso 
                  (i dirigenti scolastici) e verso l'alto (le sovrintendenze scolastiche 
                  regionali). 
                  
                 
                    
                  Il ruolo del Dirigente 
                Il soggetto sociale che, di conseguenza, assume un peso centrale 
                  nella scuola dell'autonomia è il Dirigente Scolastico. 
                  Dobbiamo domandarci, di conseguenza, in che cosa costui (o costei) 
                  differisca dal buon vecchio preside o direttore didattico e 
                  in che cosa la scuola dell'autonomia (o della dirigenza) venga 
                  modificata dall'irrompere sulla scena di questo soggetto. A 
                  prima vista il Dirigente Scolastico non è altro che il 
                  solito capo di istituto con un gallone in più e, in molte 
                  scuole, tutto sembra andare come prima. In realtà la 
                  dirigenza scolastica comporta: 
                  1. aumenti retributivi che differenziano seccamente il dirigente 
                  dal resto del personale; 
                  2. in tendenza, la definizione di un'area contrattuale diversa 
                  da quella del resto del personale della scuola; 
                  3. un accrescimento di poteri come, ad esempio, quello di scegliersi 
                  il vice preside ed i collaboratori (lo staff); 
                  4. la prospettiva di giocare un ruolo centrale nella scuola 
                  azienda. 
                La dirigenza scolastica non è comprensibile nei suoi 
                  caratteri reali se non si tiene conto: 
                  1. della razionalizzazione della rete scolastica che ha determinato 
                  l'accorpamento delle scuole e l'accrescimento significativo 
                  della loro dimensione media. Questo accrescimento è volto 
                  sia a tagliare l'organico e ad utilizzare in maniera più 
                  "produttiva" il personale che a fare delle singole 
                  scuole delle aziende capaci di operare in maniera "efficace 
                  ed efficiente" (uso il linguaggio dell'amministrazione) 
                  sul mercato della formazione; 
                  2. della costruzione di una vera e propria gerarchia interna 
                  al personale sia docente che amministrativo, tecnico ed ausiliario 
                  con l'individuazione di un certo numero di colleghi ai quali 
                  vengono affidati compiti diversi da quelli tradizionali e concesse 
                  corrispondenti retribuzioni aggiuntive; 
                  3. dell'aumento del peso del salario accessorio rispetto alla 
                  paga base che, nonostante le affermazioni dei media e dei sindacati 
                  di stato, resta mediocre e della conseguente gara per accaparrarselo; 
                  4. della possibilità, per la scuola dell'autonomia, di 
                  utilizzare personale diverso da quello assunto secondo i sistemi 
                  tradizionali (cooperative, lavoratori socialmente utili, lavoratori 
                  interinali, collaboratori a ritenuta di acconto ecc.). 
                  La scuola della dirigenza, insomma, assume i caratteri di una 
                  rete di aziende in concorrenza fra di loro e con una struttura 
                  interna, appunto aziendale. Non a caso i capi di istituto sono 
                  divenuti dirigenti sulla base di corsi tenuti da agenzie confindustriali 
                  che hanno cercato di trasformare un torpido corpo di funzionari 
                  statali, sovente selezionati per appartenenza partitica e sindacale, 
                  in una schiera di manager d'assalto con effetti sovente paradossali. 
                  Per ora, il rapporto fra dirigenti e personale è complicato 
                  e variegato e si differenzia scuola per scuola. Si va dal preside 
                  vecchio modello che cerca di condurre le cose secondo modalità 
                  non traumatiche al demente che pretende di imporsi al di là 
                  di quanto prevede la stessa normativa con l'effetto di creare 
                  tensioni crescenti con tutte le varianti intermedie. 
                  Un secondo aspetto della scuola dell'autonomia che sta creando 
                  conflitti interni al personale e fra personale e dirigenti è 
                  l'introduzione di figure intermedie fra il dirigente ed il personale. 
                  La tradizionale figura dell'insegnante, come è noto, 
                  non aveva un percorso di carriera. Nonostante un'opposizione 
                  della categoria abbastanza chiara e netta, basta pensare allo 
                  sciopero del 17 febbraio 2000 contro il concorso volto a selezionare 
                  un 20% del personale da premiare a scapito di un 80% da lasciare 
                  ai margini, l'amministrazione prosegue sulla via di individuare 
                  personale di serie A e personale di serie B. Fallita l'ipotesi 
                  di un concorso nazionale, si rafforza l'ipotesi di una selezione 
                  di scuola che vedrebbe al centro, come organizzatore della selezione, 
                  il solito dirigente. 
                  Un terzo aspetto di straordinario rilievo, è lo spazio 
                  che si apre ai finanziamenti privati ed alla possibilità 
                  di modellare le singole scuole sulle esigenze del territorio 
                  e del segmento del mercato del lavoro al quale si rivolgono 
                  mediante una modificazione decisa localmente del programma di 
                  studio della singola scuola. 
                  Dopo questa schematica descrizione dei processi di mutazione 
                  dell'organizzazione della scuola in corso di attuazione sono 
                  possibili alcune, provvisorie, valutazioni generali. 
                  In primo luogo, non vi è alcuna cessione di potere da 
                  parte dello stato. Al contrario, il ridurre i compiti di gestione 
                  dell'attività ordinaria dell'amministrazione centrale 
                  a favore delle singole scuole rafforza il controllo statale, 
                  lo rende più vicino ed operativo, lo libera dai vincoli 
                  tipici delle grandi burocrazie. 
                  In secondo luogo, il legare l'attività della scuola alle 
                  "esigenze della società" significa, al di là 
                  dei discorsi fumosi che vanno di moda, rispondere alla pressione 
                  del sistema delle imprese in, almeno, due sensi: 
                  1. aprire un mercato di straordinario interesse per le imprese 
                  (attrezzature informatiche, pacchetti formativi ecc.) realizzando 
                  il sogno dei capitalisti realmente esistenti e cioè l'avere 
                  a disposizione un mercato protetto e garantito dal denaro pubblico; 
                  2. rendere la scuola, che resta formalmente pubblica, un'impresa 
                  soprattutto nel senso che assume la filosofia dell'impresa. 
                  Come questo processo si svilupperà nei prossimi anni 
                  è oggi difficile a dirsi. Peserà molto, ovviamente, 
                  il quadro politico istituzionale, per un verso, e la capacità 
                  di iniziativa del personale della scuola e degli studenti, per 
                  l'altro. Peserà anche, indubbiamente, la forza delle 
                  diverse posizioni sul ruolo della scuola pubblica che si danno 
                  nella società. 
                  Sulla scuola, infatti, si gioca una partita complessa che vede 
                  diversi attori in campo: 
                  - la Confindustria che ha un progetto forte e, per certi versi, 
                  egemone; 
                  - il sindacato istituzionale e, in primo luogo, la CGIL, forte 
                  della recente vittoria alle elezioni delle RSU, che ha un progetto 
                  parzialmente convergente con quello della Confindustria ed è 
                  intenzionato a rafforzare il proprio ruolo di gestore subalterno 
                  della scuola nuovo modello; 
                  - l'Associazione Nazionale Presidi che opera con determinazione 
                  per sviluppare al massimo il potere della dirigenza scolastica 
                  in una dialettica complessa con il sindacato di stato; 
                  - il ceto politico che vede uno scontro interno fra una sinistra 
                  statalista che, nelle sue componenti maggiori, è impegnata 
                  a gestire l'evoluzione in senso neoliberale della formazione 
                  e una destra che cerca di forzare la situazione nella direzione 
                  di una più radicale privatizzazione della formazione. 
                  La destra italiana, come è noto, non è omogenea 
                  sulla questione scuola e il suo programma è la sintesi 
                  fra un approccio mercantile (Forza Italia) ben riassunto dalle 
                  tre I (Imprese, Internet, Inglese) berlusconiane, un approccio 
                  integralista dei cattolici ultramontani che puntano sui finanziamenti 
                  pubblici alle loro scuole, un approccio "federalista" 
                  della Lega che punta alla regionalizzazione della scuola e residui 
                  autoritari dei postfascisti. 
                  La mediazione interna fra le varie ipotesi è possibile 
                  puntando: 
                  - su di una scuola pubblica degradata e ridotta al semplice 
                  addestramento al lavoro nella "nuova economia"; 
                  - su di un settore di "qualità" affidato alla 
                  chiesa ed alle agenzie confindustriali; 
                  - sul controllo diretto del ceto politico sulla scuola attraverso 
                  la devoluzione della scuola alle regioni secondo il modello 
                  svizzero (piccola città, fottuta gente); 
                  - sul regolamento di conti, sognato dalla destra postfascista, 
                  con la tradizione repubblicana presente nella scuola italiana. 
                   
                  La forza della destra sta nel consenso di settori della piccola 
                  e media impresa e del lavoro autonomo "antistatalista" 
                  e nel fatto che la sinistra le ha, parzialmente, spianato la 
                  strada. La debolezza sta nella mediocrità degli uomini 
                  e dei programmi. 
                  
                 
                    
                  Far circolare le esperienze 
                In un quadro del genere, ritengo che dovremmo porre l'accento 
                  su alcune linee di iniziativa e di resistenza: 
                  o il rifiuto dei lavoratori della scuola di subire il degrado 
                  del loro lavoro. Questo rifiuto prende oggi forme ambigue, a 
                  volte corporative e nostalgiche, ma coglie una questione essenziale: 
                  la scuola mercantile, poco importa se gestita dalla destra o 
                  dalla sinistra, significa la fine di una tradizione educativa 
                  di qualità; 
                  - la scuola repubblicana va criticata e superata nella direzione 
                  di una scuola effettivamente pubblica nel senso di gratuita, 
                  aperta alle diverse culture, tale da andare contro l'attuale 
                  stratificazione sociale, caratterizzata da forme, anche limitate 
                  e parziali ma effettive, di autogoverno dei soggetti interessati; 
                  - la libertà di insegnamento, di ricerca, di sperimentazione 
                  implicano lo scontro sia con la burocrazia ministeriale che 
                  con il sistema delle imprese. Non vi è libertà 
                  senza conflitto e senza affermazione degli interessi di parte 
                  che sul terreno della formazione si scontrano; 
                  - un punto di vista libertario sulla formazione deve tenere 
                  assieme una forte tensione alla sperimentazione didattica e 
                  la capacità di criticare sia teoricamente che praticamente 
                  la struttura istituzionale della scuola; 
                  - la qualità della formazione è, in primo luogo, 
                  nostro interesse. Una scuola supermercato è funzionale 
                  solo al riprodursi delle attuali gerarchie sociali. Vi è 
                  un patrimonio prezioso di esperienze da valorizzare in questo 
                  senso; 
                  - ci piaccia o meno, nella scuola della dirigenza, dovremo affrontare 
                  un potere diffuso assai più pervasivo rispetto alla tradizionale 
                  burocrazia ministeriale. Sarebbe importante far circolare le 
                  esperienze e le riflessioni che si svilupperanno nel prossimo 
                  periodo. 
                  
                  Cosimo Scarinzi 
                  
                  
                  
                  
                  
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