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                 Lattuale modello produttivo concentra 
                  la produzione agricola in pochi soggetti ed in ambiti geografici 
                  limitati. 
                  Gli operatori che gestiscono la produzione agricola hanno un 
                  esclusivo interesse nellaumento del profitto 
                  Per ottenere questo risultato i produttori: 
                  1. aumentano le quantità di produzione per ettaro, aumentando 
                  lartificializzazione dei sistemi produttivi anche inquinando 
                  e mettendo a rischio gli equilibri complessivi e la salute delle 
                  popolazioni; 
                  2. ampliano il mercato delle loro merci, imponendo prodotti 
                  da loro gestiti; 
                  3. sfruttano le comunità rendendole dipendenti dalle loro politiche 
                  aziendali, togliendo lautonomia produttiva e gestionale, costringendo 
                  i lavoratori alla miseria e a rischi per la salute derivanti 
                  dalluso di fitofarmaci e concimi chimici; 
                  4. occupano terreni collettivi naturali eliminando le coperture 
                  forestali e distruggendo le comunità locali; spingono i contadini 
                  alla colonizzazione agricola di nuovi ambiti o ad inurbarsi 
                  (non vi sarebbero i fenomeni di urbanizzazione mondiali se la 
                  vita agricola fosse più decente e quindi meno spadroneggiata 
                  dalle bande degli operatori). 
                  Gli organismi di finanziamento internazionale supportano le 
                  azioni di tali operatori attuando attraverso finanziamenti condizionati 
                  la destrutturazione delle politiche agricole dei paesi e aprendo 
                  così la strada ai grandi produttori. 
                  Il maggiore connubio tra interesse dei grandi produttori e stato 
                  si riscontra negli Stati Uniti che fondano appunto sugli interessi 
                  dei produttori le politiche interne ed esterne, con il controllo 
                  degli organismi internazionali, con il controllo militare dei 
                  territori, e sostenendo la diffusione di un modello che conviene 
                  quasi esclusivamente al loro assetto politico e produttivo. 
                  Questa condizione comporta la destrutturazione delle comunità 
                  locali che: 
                  non controllano più lambiente in cui sono insediati, in quanto 
                  trasformato per consentire le produzioni richieste dagli imprenditori 
                  e dal mercato da essi controllato; dipendono dalla vendita di 
                  un prodotto di cui non gestiscono nè le modalità produttive 
                  nè il mercato; diventano succubi della vendita delle monoproduzioni 
                  avendo abbandonato lagricoltura tradizionale e dunque non avendo 
                  alcuna possibilità di alimentarsi se non con lacquisto degli 
                  alimenti attuato con i ricavi della monocoltura; si alienano 
                  in sistemi produttivi di tipo industriale che sono quelli che 
                  garantiscono la maggiore quantità di prodotto. 
                  Le comunità locali divengono dipendenti, si destrutturano, perdono 
                  lautonomia; lambiente alterato si trasforma, si degrada; le 
                  scelte sociali e ambientali dipendono sempre più dalle scelte 
                  operate dagli imprenditori e dal mercato da essi governato. 
                  
                
                  
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                    La fame nel mondo: 
                      laumento demografico  
                      sostanza del mercato | 
                   
                 
                Cifre eloquenti: secondo le stime più accreditate la popolazione 
                  mondiale aumenta di circa 90 milioni di individui ogni anno, 
                  numero che può essere considerato grosso modo equivalente ad 
                  un incremento pari alla popolazione dellItalia e della Spagna 
                  insieme. 
                  Le variabili che intervengono a definire landamento demografico 
                  sono molteplici, tuttavia tra esse alcune permettono una visione 
                  leggibile di una crescita, che sebbene sempre presente nella 
                  storia dellumanità, è nelle sue dimensioni caso assolutamente 
                  nuovo e preoccupante e la cui osservazione è indispensabile 
                  per capire la dinamica di molte circostanze non solo legate 
                  agli ambiti sociali, ma anche economici, politici e ambientali. 
                  È di fatto molto difficile separare il problema della produzione 
                  agricola mondiale dal problema dellalimentazione, problema 
                  che viene appunto utilizzato come stimolo per una sempre maggiore 
                  produttività agricola e per una industrializzazione dei sistemi 
                  di coltivazione. 
                  Il primo luogo è opportuno porre attenzione su questa apparentemente 
                  stretta relazione di necessità evidenziando tutte le mistificazioni 
                  che sono state organizzate sul tema. 
                  Alcuni dei fattori che hanno determinato lesponenziale sviluppo 
                  demografico degli ultimi secoli sono attribuibili allaumento 
                  della speranza di vita media (derivante dalla maggiore diffusione 
                  di medicine e terapie), dalla diminuzione della mortalità infantile, 
                  dallaumento delle risorse alimentari. Tutti questi fattori 
                  sono stati sviluppati e sostenuti dai paesi coloniali e sono 
                  stati imposti ai paesi in via di sviluppo sostituendo forzatamente 
                  al modello sociale esiente un modello da esso lontano e apparentemente 
                  più efficiente. 
                  Questa diffusione di civiltà ha destrutturato il benessere 
                  esistente nelle società locali in ragione di un benessere maggiore, 
                  sostenuto dallimposizione delle armi e dellusura, che ha messo 
                  in condizioni le popolazioni locali di non potere scegliere 
                  ma di dovere necessariamente assoggettarsi ad esso onde evitare 
                  una marginalizzazione ancora superiore a quella in cui erano 
                  costretti a vivere. 
                  Ma il modello imposto, oltre a manifestare una arroganza sconvolgente 
                  nei confronti delle comunità, nascondeva un inganno profondo: 
                  quello dellinteresse commerciale. 
                  E negli ultimi anni lo spettro dellaltruismo che si aggirava 
                  per il mondo ha mostrato quanto fosse limitato: il numero di 
                  persone sotto la soglia della povertà è tragicamente aumentato, 
                  le società sono sempre più scosse da guerre alla cui base vi 
                  è il predominio delle risorse, la corruzione permea gli stati 
                  fittiziamente costruiti su organizzazioni di comunità preesistenti. 
                  Il sud del mondo è sempre più il luogo di prelievo delle risorse, 
                  siano esse ambientali e umane, e nel mondo si muore sempre più 
                  di malattie che in occidente non prevedono nemmeno lospedalizzazione. 
                  Ma principalmente grazie a questo modello non vi è più nessuna 
                  relazione tra territorio delle comunità e comunità stessa e 
                  dunque tra comunità e risorse disponibili, e quindi non vi è 
                  più nessuna forma di gestione nè naturale nè culturale dellincremento 
                  demografico. 
                  Su questo hanno inciso inoltre le religioni che fondano il loro 
                  potere principalmente sul numero degli adepti, e quindi cattolici 
                  e mussulmani stimolano una continua crescita nella ricerca di 
                  una colonizzazione planetaria. 
                  Lenorme aumento di individui produce uno scompenso costante 
                  tra necessità alimentari e risorse disponibili e, sempre nellipocrisia 
                  che sostiene il modello, gli alimenti necessari a sfamare lintera 
                  popolazione mondiale divengono di interesse degli stati ricchi. 
                  Con il costante aumento degli individui il problema alimentare, 
                  nonostante anche la produzione mondiale aumenti costantemente, 
                  è prioritario di anno in anno, in un continuo inseguimento dellaumento 
                  della produzione allaumento del numero degli individui. 
                  A livello internazionale la soluzione al problema della fame 
                  nel mondo viene posta con un criterio riassumibile in una frase: 
                  diamogli da mangiare. 
                  E questo viene dichiarato anche quando sono noti o immaginabili 
                  dei limiti per la produzione stessa, limiti di spazio fisico 
                  per garantire la presenza di un così alto numero di individui, 
                  limiti propri del sistema planetario. 
                  Non solo, a questo si aggiunge un continuo aumento dei consumi 
                  alimentari da parte dei paesi del nord del mondo e della proposizione 
                  di un modello di spreco anche per i ricchi e i benestanti dei 
                  paesi poveri. 
                  Dunque sembrerebbe che il principale problema sia la riduzione 
                  della domanda di alimenti e quindi in primo luogo la riduzione 
                  del numero della popolazione e di una più equa distribuzione 
                  perché il contemporaneo aumento di domanda e offerta non può 
                  essere praticato allinfinito. 
                  Eppure, tra le soluzioni che si prospettano a riguardo non si 
                  fa mai cenno alla necessità di introdurre un drastico sistema 
                  generalizzato di controllo delle nascite, nè di riduzione dei 
                  consumi. 
                  Tutte le soluzioni che si prospettano non pongono in relazione 
                  questi fattori nè si interrogano sul modo di ridurre questa 
                  evidente abnormità anche attraverso luso di una agricoltura 
                  diversa da quella imposta dal modello commerciale, ma al contrario 
                  sembra di rileggere nelle proposte formulate una specie di compiacimento, 
                  come uno sfregarsi le mani prima di tuffarle in un forziere. 
                  In realtà il problema demografico è tuttaltro che un problema 
                  per chi, su questo fenomeno, fonda i propri profitti e sostiene 
                  il proprio privilegio. 
                  Il problema dellalimentazione è dunque di fatto una necessità 
                  del mercato come lo sono i disoccupati per la produzione industriale, 
                  esso rappresenta la domanda di prodotti alimentari, e il mantenimento 
                  di una quota di domanda insoddisfatta è funzionale al sistema 
                  del mercato e garantisce una maggiore controllabilità in termini 
                  sociali e politici delle comunità. 
                  
                
                   
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                       LAgricoltura soddisfa il consumo 
                        ma non lalimentazione.  
                        Non è solo un problema di disponibilità 
                      
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                La misura che più si caldeggia per la risoluzione del problema 
                  alimentare è apparentemente ovvia e semplice: aumentare la produzione 
                  di cereali. I cereali sono la base prima dellalimentazione, 
                  e per gran parte del terzo mondo costituiscono la fonte pressoché 
                  esclusiva di nutrizione: mais, soia, grano sono la materia di 
                  sopravvivenza per miliardi di persone. 
                  Ma laumento della produzione cerealicola può derivare solo 
                  da due circostanze: laumento della superficie coltivata e lintensificazione 
                  della produttività specifica. 
                  Nel mondo, le risorse di terra coltivabile non sono illimitate: 
                  già nellultimo secolo lutilizzo di terre per la produzione 
                  agricola si è esteso a comprendere la quasi totalità delle aree 
                  disponibili. 
                  In questo momento, inoltre, buona parte delle aree produttive 
                  è oggetto di interesse da parte dellallargamento degli insediamenti 
                  e delle infrastrutture (sono stimati circa 5 milioni gli ettari 
                  ogni anno consumati per urbanizzazione e infrastrutture), e 
                  altre sono soggette a fenomeni erosivi e di perdita dei suoli 
                  fertili che ne precludono lutilizzo per lagricoltura. Altra 
                  parte delle terre disponibili è assegnata al pascolo e allallevamento 
                  animale in genere. 
                  Quindi in realtà non è possibile ipotizzare una grande espansione 
                  delle superfici agricole produttive a meno di interessare con 
                  esse terreni che in qualche forma attualmente possiedono elevati 
                  caratteri di naturalità (foreste, aree umide etc.) anchesse 
                  comunque in forte riduzione proprio per il continuo prelievo 
                  di risorse e luso agricolo. 
                  Alla necessità di reperire sempre nuove superfici produttive 
                  nel corso del tempo si è infatti risposto con misure devastanti, 
                  come, per esempio, il disboscamento di vaste aree di foreste, 
                  il non rispetto dei cicli di riposo del terreno. Oltre ai danni 
                  allambiente queste misure non assicurano affatto un raccolto 
                  soddisfacente: nel primo caso infatti, non si verificano le 
                  potenzialità effettive dei suoli e non si rispetta il periodo 
                  di ristabilizzazione del terreno convertito (periodo che può 
                  arrivare fino a cinquantanni); nel secondo caso, non rispettando 
                  il criterio della rotazione delle colture, si forzano i suoli 
                  con prevedibili collassi in termini anche produttivi. 
                  In realtà il problema delle superfici agricole disponibili non 
                  è correttamente trattato: quella che è sicuramente ridotta nel 
                  pianeta è la presenza di superfici utili allattuale sistema 
                  produttivo ovvero la presenza di superfici utili controllabili 
                  dagli attuali produttori e che garantiscano uguali o superiori 
                  profitti. 
                  Ai produttori di banane non interessa che vi siano dei banani 
                  a conduzione familiare o locale, anche se sfamano un gruppo 
                  di persone, anzi questa disponibilità riduce il mercato potenziale 
                  della stessa azienda produttrice. Il suo interesse è avere superfici 
                  produttive prossime a quelle già controllate o di tali dimensioni 
                  da essere funzionali ai sistemi produttivi e di commercializzazione. 
                  Di fatto, se è vero che si continuano a cercare nuovi terreni 
                  per la coltivazione estensiva, è altrettanto vero che il criterio 
                  dellindustrializzazione nellagricoltura comporta la necessità 
                  di vaste aree da trattare, scartando i piccoli appezzamenti 
                  e i terreni impervi (da sempre ostinatamente coltivati dalluomo) 
                  sui quali non è possibile applicare tecniche di coltivazione 
                  estensiva, tantè che la superficie agri cola utilizzata dagli 
                  anni 50 ad oggi è diminuita. 
                  Questa circostanza produce un fenomeno aberrante e socialmente 
                  devastante: da una parte si assiste allabbandono delle piccole 
                  e medie aree da parte di coltivatori diretti che vanno ad ingrossare 
                  le fila della disoccupazione urbana, dallaltra i nuovi metodi 
                  di coltivazione si inseriscono in modo sconsiderato nellambiente, 
                  producendo guasti naturali e sociali di pesante impatto. 
                  Quindi quando si parla di disponibilità assoluta di superfici 
                  agricole si trattano i grandi numeri come se non potesse sussistere 
                  una distribuzione più equa delle produzione e come se tutti 
                  i sistemi di produzione locale dovessero essere destrutturati 
                  per fare posto alle grandi produzioni. 
                  Partendo sempre dallobiettivo categorico, e mai discusso, dellaumento 
                  della produzione e dalla considerazione della impossibilità 
                  di aumentare significativamente le superfici agricole la ricerca 
                  si è concentrata sulle soluzioni atte ad aumentare la quantità 
                  di prodotto per ettaro. 
                  Laumento delle aree irrigue, lintroduzione massiccia delluso 
                  dei fertilizzanti chimici e dei fitofarmaci ha dagli anni 60 
                  portato ad unimpennata della produzione cerealicola ed in generale 
                  della produttività per ettaro di tutte le colture. 
                  Ma, al momento attuale, dopo un progressivo lieve decremento 
                  di produzione registrato dagli anni 80, si è praticamente giunti 
                  al limite della possibilità di spingere la produzione ai massimi 
                  livelli attraverso i metodi di fertilizzazione artificiali. 
                  Anzi labuso dei concimi dei fitofarmaci e dellirrigazione 
                  ha reso meno produttivi i suoli portando a collasso interi sistemi 
                  agricoli in diverse aree del pianeta. 
                  E proprio partendo dalla falsante considerazione di non esservi 
                  più superfici disponibili si rilancia quella battaglia dellaumento 
                  della produttività che fa di nuovo aumentare i profitti dei 
                  grandi produttori, che crea ulteriori differenze tra le diverse 
                  modalità di fare agricoltura e che, di nuovo, impone un modello 
                  basato sulla sudditanza locale ad un interesse lontano quanto 
                  potente. 
                  Ed è così che oggi, giustificandola con le necessità alimentari 
                  della popolazione mondiale, si prospetta come inderogabile lintroduzione 
                  delle tecniche transgeniche, che consentirebbero un ulteriore 
                  incremento della produzione a parità di superficie coltivata. 
                  Si sostanzia così lipotesi che il problema non sia la quantità 
                  di prodotto ma che sia il sistema di produzione e commercializzazione. 
                  Sovrapproduzione, spreco, consumo e abuso delle merci sono tutti 
                  caratteri funzionali alla ottimizzazione dei profitti, ineliminabili 
                  nellattuale conduzione senza ipotizzare lannullamento o la 
                  drastica riduzione e ridistribuzione degli stessi. 
                  La produzione agricola dovrebbe essere mirata a soddisfare le 
                  necessità e i piaceri delle comunità prima di soddisfare il 
                  profitto delle aziende (lananas è migliore mangiata sui tavoli 
                  delle famiglie europee che nei luoghi di produzione dove le 
                  monocolture, i fitofarmaci, i concimi, lorganizzazione degli 
                  impianti e del lavoro, lo sfruttamento dei lavoranti, le angherie 
                  la rendono piuttosto indigesta). 
                  Di fatto il nodo sostanziale dellagricoltura è che essa deve 
                  avere come obiettivo il benessere e non il consumo del prodotto 
                  e i profitti che ne scaturiscono. 
                  
                
                   
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                       Il monopolio dellagricoltura 
                        e il peso del mondo industrializzato 
                      
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                Le aziende degli Stati Uniti controllano il 40% del mercato 
                  mondiale dei cereali, molto di più di quanto non facciano i 
                  paesi arabi con il petrolio. 
                  Per queste macro-aziende il problema demografico si tramuta 
                  non solo in un proficuo affare, ma anche in un terreno favorevole 
                  alla legittimazione di pratiche aberranti ai danni degli uomini, 
                  della società, della natura.  
                  Quella in atto è una massiccia concentrazione della produzione 
                  agricola in immense piantagioni, che consentono luso esteso 
                  di tecniche e materiali, per una superproduzione condotta da 
                  alcune aziende divenute di fatto i gestori della alimentazione 
                  mondiale. 
                  Questo monopolio alimentare fa sì che queste stesse mega-aziende 
                  abbiano un notevolissimo potere di contrattazione con gli Stati 
                  e i governi, ai quali possono imporre anche luso di tecniche 
                  non giustificate e fortemente nocive per lambiente e per le 
                  società. 
                  Lintroduzione della transgenetica nellagricoltura che, come 
                  si è visto, è totalmente ingiustificata dalla necessità di alimentare 
                  la popolazione, è invece ulteriore consolidamento del sistema 
                  agricolo esistente e di rafforzamento dei monopoli. 
                  Essa comporta, oltre ad oggettivi problemi di tipo biologico, 
                  la possibilità per una azienda di detenere lesclusiva sulla 
                  produzione di un determinato tipo di coltivazione, possedendo 
                  essa il brevetto dei semi. Molti nuovi cultivar sono frutto 
                  di semi che producono piante sterili, di cui non si può utilizzare 
                  il seme per la piantagione successiva. Questa circostanza rende 
                  completamente dipendenti dallacquisto di sementi vincolate 
                  al brevetto, e che quindi possono avere un prezzo esclusivamente 
                  deciso dai possessori del brevetto medesimo. 
                  È evidente quindi come la preoccupazione di aumentare la produzione 
                  agricola per sfamare il mondo mostri la sua vera faccia: il 
                  problema alimentare si è tramutato in un immenso affare. 
                  In realtà i criteri di superspecializzione dellindustria agricola 
                  messi in atto implicano che le forme agricole tradizionali, 
                  praticate e praticabili dalle popolazioni locali, siano del 
                  tutto inadeguate a competere con questi elefantiaci concorrenti; 
                  il risultato è labbandono delle campagne da parte dei piccoli 
                  e medi produttori e la concentrazione della popolazione nelle 
                  aree urbane. 
                  Inoltre questa pratica rende fatalmente dipendenti interi territori 
                  e i paesi più deboli dalle importazioni: dipendenza economica 
                  che si tramuta in dipendenza politica e crea danni incalcolabili 
                  sul tessuto sociale e naturale di un paese. 
                  Il già potente nord del mondo utilizza organismi internazionali, 
                  quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, 
                  per supportare i propri fini di ristrutturazione di economie 
                  nazionali. Attraverso di essi pongono condizioni radicali alle 
                  scelte dei paesi che contraggono accordi di prestito o convenzioni 
                  commerciali tutti tendenti alla riduzione delle autonomie attraverso 
                  un controllo politico e sociale richiesto per assicurare il 
                  buon adempimento degli interventi. 
                  Ma la richiesta smisurata di cereali non è tutta attribuibile 
                  alla necessità di provvedere a sfamare la popolazione mondiale: 
                  una consistente fetta di questa produzione (circa un terzo) 
                  viene assorbita dallalimentazione per il bestiame, in modo 
                  particolare per lallevamento di bovini, suini, pollame. Se 
                  però per un americano medio la richiesta è di 800 kg di cereali 
                  lanno, tanti ne richiede la sua alimentazione basata principalmente 
                  sul consumo di carni e derivati del latte, per un indiano la 
                  richiesta è di 200 kg di cereali, quasi esclusivamente consumati 
                  direttamente. Si valuta che una giusta quantità, calcolata su 
                  una dieta equilibrata di tipo mediterraneo, sarebbe di 400 kg 
                  di cereali a persona.  
                  Questa macroscopica condizione di disparità di consumi fa apparire 
                  chiaro come il problema alimentare sia anche un problema di 
                  distribuzione della ricchezza: se si producessero, per esempio, 
                  2 miliardi di tonnellate di cereali lanno, questi basterebbero 
                  a sfamare un mondo ipotetico fatto di 2,5 miliardi di americani, 
                  oppure di 10 miliardi di indiani. 
                  È evidente quindi come, sulle esigenze alimentari, pesino i 
                  modelli di vita praticati nella società occidentale, modelli 
                  che però non vengono mai messi in discussione quando si tratta 
                  di trovare soluzioni al problema della fame nel mondo. 
                  
                  
                
                   
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                       Conclusioni 
                      
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                Da quanto detto risulta chiaro quanto la produzione agricola 
                  non serva ad alimentare ma a fare commercio. 
                  Il disinteresse verso i problemi sociali connessi alla produzione 
                  e il concentrarsi solo sui termini quantitativi dei prodotti 
                  sono la chiara testimonianza di come largomento dellagricoltura 
                  e della nutrizione sia trattato in termini funzionali allaumento 
                  del mercato delle merci. 
                  Il commercio del prodotto agricolo impone i tipi delle colture, 
                  i luoghi in cui produrre e definisce gli ambiti di commercio: 
                  il commerciante sceglie di acquisire le merci nei luoghi dove 
                  ottiene il maggiore profitto indipendentemente dagli effetti 
                  ambientali e sociali che il realizzarsi del suo profitto comporta. 
                  Lo scenario che si sta configurando tende al continuo avvicinamento 
                  della produzione agricola a quella industriale. 
                  Ad una riduzione complessiva del numero dei cultivar corrisponde 
                  una riduzione della sostanziale diversità di tipi di alimenti 
                  presenti sul mercato: ad esempio lenorme incremento di tipi 
                  di merendine non corrisponde ad una reale diversità in quanto 
                  esse hanno le stesse componenti, cereali e creme. 
                  La questione del controllo della qualità dei processi produttivi 
                  e dei prodotti può ulteriormente contribuire alla riduzione 
                  del numero dei produttori; le specifiche tecniche di qualità 
                  dei prodotti sia a livello igienico sanitario, sia dei processi 
                  sono fatte a misura delle grandi aziende e difficilmente attuabili 
                  da quel diffuso artigianato che in passato attuava la trasformazione 
                  dei raccolti. 
                  Queste misure, adeguatamente pilotate dalle grandi aziende, 
                  possono ridurre significativamente la concorrenza imponendo 
                  limiti alla produzione tali da porre in difficoltà la piccola 
                  produzione. 
                  In sintesi, in uno scenario incredibile quanto probabile, si 
                  può ipotizzare che si verifichi sempre una maggiore concentrazione 
                  delle produzioni e un sempre maggior controllo del mercato degli 
                  alimenti; è possibile che il coltivatore diretto possa essere 
                  limitato nelle sue attività in quanto esse non corrispondono 
                  alle specifiche di qualità della produzione e delle merci definite 
                  a misura delle grandi aziende, tanto che lautoproduzione e 
                  distribuzione diretta diventi perseguibile legalmente o impraticabile 
                  oggetivamente. 
                  Il fenomeno perverso dellindustrializzazione dellagricoltura 
                  ha comportato e comporta unaltra conseguenza di pesante riscontro 
                  sociale: la disoccupazione di grandi masse di coltivatori che 
                  si sono trovate estromesse dai nuovi criteri produttivi. Per 
                  rendersi conto della situazione basta pensare che nel 1850, 
                  negli Stati Uniti, il 60% della popolazione attiva era impiegata 
                  in agricoltura: oggi, nello stesso paese, meno del 2,7% della 
                  forza lavoro è direttamente occupata nel settore agricolo. A 
                  fronte di questo si è creata una sacca di disoccupazione che 
                  ha comportato, ai giorni nostri, circa 9 milioni di persone 
                  che vivono al di sotto della soglia di povertà nelle aree rurali 
                  depresse. Evidentemente qualcuno ha pagato e paga ancora il 
                  prezzo di quella tecnologia agraria che ha reso gli Stati Uniti 
                  una potenza del settore, perché è evidente, da quanto detto 
                  finora, che se così pesa in America, molto più drasticamente 
                  risulta micidiale per quei paesi che hanno ancora lagricoltura 
                  come strumento principe di produzione di ricchezza. 
                  Infine una delle maggiori alterazioni che la nostra contemporaneità 
                  sta vivendo è la perdita della conoscenza dei sistemi di produzione. 
                  Fino a non molto tempo fa anche nelle società sviluppate gran 
                  parte della popolazione era collegata alla agricoltura. I discorsi 
                  delle persone erano quasi tutti incentrati su elementi che avevano 
                  a che vedere con lagricoltura e con le condizioni che ne determinavano 
                  la produttività. Era un sistema di comunicazione, attraverso 
                  cui si costituiva la comunicazione e il contatto tra le persone, 
                  ma era anche un mezzo di informazione e conoscenza: la comunità 
                  continuava ad affinare la propria cultura e a definire sistemi 
                  che maggiormente si adattassero ai propri caratteri e ai caratteri 
                  dellambiente. 
                  Oggi i discorsi più diffusi attengono allo sport, alla telefonia 
                  mobile, agli autoveicoli, etc.: la conoscenza scambiata afferisce 
                  il funzionamento di un oggetto che non produce, e che non si 
                  controlla nè nella sua fase di fabbricazione, nè di manutenzione 
                  ma solo, e parzialmente, di uso. Gli utilizzatori infatti non 
                  posseggono alcuna cognizione di come realmente funzioni loggetto, 
                  nè di come sia gestito nè tantomeno di come si ripari. 
                  Di fatto la comunicazione è fatta su passatempi mentre la organizzazione 
                  del lavoro e la gestione delle produzioni è ignorata e totalmente 
                  delegata ad altri. 
                  Ma proprio relativamente al tema dellagricoltura si assiste 
                  ad una riduzione della conoscenza: attualmente lagricoltore 
                  possiede una conoscenza degli effetti della chimica o delluso 
                  dei macchinari ma non possiede una coscienza del sistema. Egli 
                  di fatto sempre più ignora lagricoltura e la sua complessità 
                  sociale e ambientale, ignora come essa interagisca con le componenti 
                  naturali, come i cicli naturali e il leggero modificarsi delle 
                  stagioni possa influire sul sistema. Egli utilizza strumentazioni 
                  che sovrastano la conoscenza della morfologia, dei vantaggi 
                  del posizionamento dei siti, dellimportanza del susseguirsi 
                  delle colture, del variare delle stagioni. 
                  Egli conosce gli strumenti produttivi, forse, ma non conosce 
                  il contesto in cui essi si applicano, nè gli effetti e dunque 
                  non li controlla ma anche in questo caso li consuma. 
                   
                  Adriano Paolella 
                  e Zelinda Carloni 
                  
                 Alcuni riferimenti 
                  bibliografici 
                Fonte dei dati 
                  Renner M. (Worldwatch Institute), State of the War. I dati 
                  economici e ambientali del fenomeno guerra nel mondo, Edizioni 
                  Ambiente, Milano, 1999 
                  Brown L.R., Renner M., Halweil B., Vital Signs 99. I trend 
                  ambientali e sociali che disegnano il nostro futuro, Edizioni 
                  Ambiente, Milano, 1999. 
                  UNDP, Rapporto 1998 su Lo sviluppo umano. I consumi ineguali, 
                  Rosemberg & Sellier, Torino, 1998 
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                  ISEDI, Torino, 1997 
                  The Economist, Il mondo in cifre 1999, Internazionale, 
                  Roma, 1999 
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                  Ambiente, come supplemento di Avvenimenti, Roma 1999 
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                  La frontiera biotecnologica, Ed. Il sole 24 ore, Milano, 
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                  Gruppo Abele, Torino, 1998 
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                  Rifkin J., La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano, 
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                  1992 
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                  ambiente ed economia, Franco Muzzio Editore, Padova, 1995 
                 
                  
                
                   
                    |  
                         
                         Nel 1950 la popolazione mondiale 
                        era di 2.556 milioni di persone con un incremento annuale 
                        di 38 milioni; nel 1998 la popolazione mondiale era di 
                        5.190 (3,3 miliardi in più in 38 anni) con un incremento 
                        annuale di 78 milioni di persone. La progressione demografica 
                        più consistente si registra il Africa e in alcuni paesi 
                        del sud e sud-est asiatico, la più bassa nei paesi del 
                        nord del mondo. In Africa il numero medio di figli per 
                        donna è di 6,3, a fronte di un livello di mortalità infantile 
                        del 10%; negli Stati Uniti ogni donna ha, in media, 1,9 
                        figli, a fronte di una mortalità infantile del 1% (Brown 
                        L.R. et al. 1999). 
                         
                        12 erano i conflitti armati nel 1950, 31 sono stati quelli 
                        del 1998; tra il 1989 e il 1997 sono scoppiati 103 conflitti 
                        armati; nel 1998 i rifugiati assistiti dallONU erano 
                        22,4 milioni; il numero  
                        di morti per guerra dopo la seconda guerra mondiale è 
                        superiore a quello delle vittime di quel conflitto; tra 
                        il 1984 e il 1995 sono stati venduti ai paesi in via 
                        di sviluppo circa 15.000 carri armati, 34.000 pezzi di 
                        artiglieria, 27.000 veicoli blindati, 1.000 navi da guerra 
                        e sommergibili, 4.200 aerei da combattimento, 3.000 elicotteri, 
                        48.000 missili, milioni di armi di piccolo calibro (Renner, 
                        1999) 
                         
                        Quasi un miliardo di persone nel pianeta è malnutrito; 
                        circa 828 milioni di persone soffre la fame ogni giorno; 
                        circa 600 milioni di persone (soprattutto in nord-America 
                        e in Europa) sono sovranutrite e sovrappeso (Brown L.R. 
                        et al. 1999). 
                        
                        Circa settanta paesi hanno più del 10% della popolazione 
                        sotto il livello di povertà (meno di un dollaro al giorno)(UNDP, 
                        1998). 
                         
                        Larea coltivata a cereali nel 1950 era di 587 milioni 
                        di ettari, nel 1998 di 687 milioni di ettari, nel 1981 
                        aveva raggiunto il massimo dellespansione con 732 milioni 
                        di ettari (Brown L.R. et al. 1997).. 
                        
                        Larea mondiale irrigata nel 1961 era di 139 milioni di 
                        ettari, nel 1996 di 263 milioni di ettari (Brown L.R. 
                        et al. 1999). 
                        
                        La produzione di cereali era nel 1950 di 631 milioni di 
                        tonnellate, nel 1990 di 1780 milioni di tonnellate con 
                        una crescita dal 1950 al 1990 del 182%. Dal 1990 al 1996 
                        la crescita è stata del 3%; questa è una ragione della 
                        ricerca sugli OGM (Brown L.R. et al. 1997). 
                        
                        Nel 1950 limpiego di fertilizzanti è stato di 14 milioni 
                        di tonnellate, nel 1989 è stato di 146 milioni di tonnellate; 
                        nel 1996 di circa 120 milioni di tonnellate (Brown L.R. 
                        et al. 1997). 
                        
                        Continua a crescere il numero delle specie resistenti 
                        ai pesticidi; attualmente circa 1.000 tra i maggiori flagelli 
                        per lagricoltura (comprendenti grosso modo 550 fra insetti 
                        e piccoli parassiti, 230 agenti infettivi e 230 erbe infestanti) 
                        sono immuni ai pesticidi. È questa unaltra ragione delle 
                        ricerche sugli OGM (Brown L.R. et al. 1999). 
                        
                        12,7 milioni di tonnellate, ovvero l1% della produzione 
                        di granaglie, viene perso ogni anno a causa dellimpoverimento 
                        del suolo e dei danni derivati dallinquinamento (fonte 
                        FAO 1998). 
                        
                        Nel 1998 larea agricola mondiale dedicata ai raccolti 
                        transgenici è di 28 milioni di ettari, quasi il triplo 
                        dellanno precedente(Brown L.R. et al. 1999). 
                        
                        La quantità delle superfici interessate dal degrado dei 
                        suoli è in costante aumento: negli anni novanta sono stati 
                        riconosciute le seguenti quantità di superficie con suoli 
                        degradati (in milioni di ettari): America del Nord 158, 
                        Europa 219, America Latina 243, Africa 494, Asia 747 (UNDP,1998). 
                        
                        Negli anni ottanta sono stati consumati più di 15 milioni 
                        di ettari di foresta (America latina 7,4, Africa 4,1) 
                        (UNDP,1998). 
                       
                      Gli 
                        Stati Uniti, tra grano e granaglie, producono 329.700.000 
                        tonnellate e consumano 242.000.000 tonnellate, hanno così 
                        una differenza esportabile di 87.700.000 tonnellate di 
                        cereali (quantità superiore al consumo annuale dellintera 
                        Unione Europea a 15 stati). Questa è una condizione unica 
                        nel pianeta che influenza significativamente lautonomia 
                        dei paesi e le politiche alimentari planetarie. La Cina, 
                        ad esempio,che è uno dei maggiori produttori di cereali, 
                        produce 252.200.000 tonnellate annue di granaglie ma ne 
                        utilizza per consumi interni 245.000.000 avendo così una 
                        disponibilità di esportazione quasi nulla, 7.200.000 tonnellate, 
                        senza considerare la necessità di creare delle scorte 
                        (The Economist, 1999). 
                        Gli Stati Uniti, nonostante siano tra i tre maggiori produttori 
                        mondiali di cereali, carne e ortaggi e quarti nella produzione 
                        di frutta non hanno che meno del 4% della popolazione 
                        addetta allagricoltura (con meno del quattro per cento 
                        della popolazione di un solo paese si produce quasi il 
                        30% della produzione agricola e zootecnica mondiale) (The 
                        Economist, 1999). 
                        Nel modello attuato e spesso imposto lincidenza dellagricoltura 
                        sul PIL è bassissima: 2% negli Stati Uniti, mentre molto 
                        significativo è il PIL connesso alla trasformazione dei 
                        prodotti alimentari e alla sua commercializzazione. 
                        
                       
                        IL DANNO CULTURALE DELLA SPECIALIZZAZIONE 
                        E CONCENTRAZIONE DELLA PRODUZIONE AGRICOLA 
                      L'agricoltura, 
                        come qualunque altra attività produttiva umana prima dell'industrializzazione, 
                        era non solo loggettivazione di un lavoro relativo al 
                        soddisfacimento dei bisogni primari, ma anche, e non di 
                        meno, un'attività culturale. 
                        La memoria dellarte agricola, tramandata di generazione 
                        in generazione, è stata per millenni ricchezza e patrimonio 
                        del genere umano, dalla quale è scaturita unimmensa ricchezza 
                        di conoscenza e di osservazione del mondo. L'osservazione 
                        del movimento degli astri può aver avuto origine o incremento 
                        dall'importanza che questi elementi avevano sulla fertilità 
                        della terra; la chimica, la biologia, la botanica, e in 
                        generale, tutte le scienze che hanno come oggetto la terra 
                        e i suoi frutti, possono aver avuto impulso dalla necessità 
                        di conoscere le caratteristiche della natura agricola. 
                        L'agricoltura, in sintesi, è stata per l'uomo non solo 
                        fonte di alimentazione, ma di conoscenza. La memoria storica 
                        della pratica agricola ha rappresentato per centinaia 
                        di anni un serbatoio di cultura e di ricchezza. 
                        Di fronte a queste osservazioni appare evidente come l'applicazione 
                        alla realtà agricola di criteri simili a quelli che hanno 
                        condotto la rivoluzione industriale non può che depauperare 
                        l'umanità intera non solo del diritto inalienabile alla 
                        terra (e quindi al suo uso) ma anche del patrimonio culturale 
                        che questo possesso e questuso sottendono. 
                        La concentrazione della produzione agricola, l'uso di 
                        tecniche di coltivazione con elementi di forzatura biologica, 
                        l'introduzione dei brevetti per la pratica della coltivazione 
                        transgenica, la drastica riduzione della manodopera, e, 
                        comunque, l'utilizzo di una manodopera che compie parziali 
                        operazioni dell'intero processo, fa sì che l'attività 
                        agricola perda completamente quei connotati storici che 
                        l'hanno fatta essere motore propulsore di costruzione 
                        dell'identità umana. 
                        
                       
                        IPOTESI PERSEGUIBILI 
                      È 
                        indispensabile sottrarre il mondo di sotto questo taglione, 
                        contrastando in modo netto la politica alimentare proposta/imposta 
                        dal criterio monopolistico occidentale. Questo è possibile 
                        se si considera come inalienabile il diritto alla terra, 
                        e quindi alla gestione diretta delle risorse del suolo 
                        da parte di chi su quelle terre vive. 
                       
                        È indispensabile che si modifichi il criterio produttivo 
                        basato sulla quantità e lo si sostituisca con la coltivazione 
                        di qualità direttamente gestita. Utilizzare i reali terreni 
                        disponibili (e non quelli sottratti agli ambiti naturali) 
                        con le tecniche, le produzioni e le quantità appropriate 
                        al loro uso, riappropriandosi delle tecniche agricole 
                        direttamente gestibili dai coltivatori. Questo obiettivo 
                        è ovviamente destinato a scontrarsi con gli enormi interessi 
                        in campo, ma qualunque altra soluzione che prescinda da 
                        questo appare un palliativo che consentirebbe unulteriore 
                        concentrazione della produzione e della distribuzione 
                        nelle mani di pochi. 
                       
                        Nonostante questo sussistono alcune condizioni che possono 
                        rendere plausibile un cambiamento di rotta, facilitato 
                        dalla presenza dei seguenti caratteri: 
                        
                        La presenza capillare, di un numero ancora elevato di 
                        piccole, medie aziende e la connessione in sede locale 
                        dellagricoltura con le abitudini alimentari e, in genere, 
                        con la domanda locale 
                          
                        La presenza di azioni che tendono a favorire un recupero 
                        di sistemi produttivi integrati e la consapevolezza abbastanza 
                        diffusa tra la popolazione del nord del mondo della potenzialità 
                        di inquinamento, e di corrispondente rischio per la salute 
                        umana, che labuso di fitofarmaci e concimi produce 
                          
                        La presenza di una, ancora strisciante, reazione alle 
                        forme alimentari imposte dal mercato e quindi dei sistemi 
                        produttivi da cui derivano e conseguentemente la tendenza 
                        di una nicchia di mercato a recuperare la qualità dei 
                        prodotti a fronte della quantità 
                         
                      È 
                        evidente che i problemi sono di ordine diverso se osservati 
                        a scala nazionale piuttosto che a scala mondiale, e le 
                        misure che possono essere intraprese per i paesi del nord 
                        del mondo dovrebbero essere integrate da misure adottate 
                        globalmente. 
                        Per permettere una effettiva modificazione dellassetto 
                        agricolo e rendere possibile una inversione di tendenza 
                        a livello globale del pianeta e di comunità locali è necessario: 
                        1. interrompere luso di superficie agricola utilizzata 
                        per insediamenti e infrastrutture così da rendere possibile 
                        la conservazione di superfici produttive qualificate nelle 
                        aree di pianura prossime agli insediamenti; 
                        2. ridurre le superfici irrigue; riportando la 
                        produzione agricola ad adattarsi alle condizioni specifiche 
                        dei luoghi. La riduzione della quantità di acqua porta 
                        alla necessità di abbandonare colture esogene rispondenti 
                        a mercati globali e dunque gestite da soggetti estranei 
                        alla comunità; 
                        3. ridurre la mobilità delle merce riorganizzando 
                        la produzione agricola in ambiti territoriali semi autonomi; 
                        si ridurrebbe linquinamento prodotto dal trasporto delle 
                        merci e si ridurrebbe la concentrazione della produzione 
                        in aree specifiche e quindi il loro controllo da parte 
                        di soggetti numericamente limitati;  
                         4. promuovere la produzione di qualita superando 
                        la considerazione quantitativa-commerciale del prodotto; 
                        5. annullare il consumo dei fitofarmaci e dei concimi 
                        chimici (già un abbattimento del 20-30% metterebbe in 
                        difficoltà i produttori industrializzati);  
                         6. facilitare il mantenimento di aziende di piccola, 
                        media dimensione attraverso la riorganizzazione dei circuiti 
                        distributivi e commerciali locali (commercio equo e solidale, 
                        circuiti alternativi di produzione e consumo, etc.); 
                         7. non permettere la produzione transgenica e 
                        la sua commercializzazione; 
                        8. sostenere le comunità agricole; 
                        9. aumentare il numero degli addetti nellagricoltura 
                        ripristinando alcune pratiche manuali; etc. 
                       
                        Per ottenere questi obiettivi si può agire sulle amministrazioni 
                        che possono regolamentare già allinterno del quadro normativo 
                        esistente il settore. Vi è la possibilità, a parità di 
                        assetto sociale, di indirizzare un percorso a minor danno 
                        sociale e ambientale; in questo senso vanno le attività 
                        delle numerose associazioni di agricoltori, ambientali 
                        e sociali che richiedono un modello maggiormente sostenibile. 
                        Ma vi è un grande spazio per lazione diretta da parte 
                        di tutte le comunità e degli individui a diversi livelli 
                        di impegno e di coinvolgimento. 
                        Da unazione minima, quale quella di non mangiare prodotti 
                        fuori stagione, di non mangiare prodotti esotici di importazione 
                        (solitamente controllati dalle grandi imprese), di partecipare 
                        ai boicottaggi sulle singole merci (dallananas alle banane), 
                        di utilizzare le merci che sono prodotte da comunità autogestite 
                        e le merci che sono distribuite direttamente da comunità 
                        (in subordine privilegiare le merci distribuite anche 
                        da grandi catene che hanno però preso impegni di qualità 
                        complessiva dei prodotti), di non consumare prodotti transgenici, 
                        di ridurre lalimentazione con carni; passando allorganizzazione 
                        dei contatti diretti con produttori di alimenti fino alle 
                        attività di maggiore impegno quale la costituzione di 
                        insediamenti alimentarmente autonomi e allimpegno diretto 
                        nella produzione del proprio cibo. 
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