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                 Fa notare Piero Chiara (in Sali e 
                  tabacchi, 1989) che la traduzione del  Benito Cereno 
                  di Herman Melville eseguita da Cesare Pavese nel 1940 è più 
                  poetica di quella eseguita da Ruggero Bianchi nel 1971. Chiara 
                  fa lesempio dellincipit, ma si sbaglia di grosso. Lì, la poesia 
                  non centra: Pavese fa dire a Melville che il capitano Amasa 
                  Delano era comandante di un grosso legno da foche e da carico 
                  e che gettò lancora nel porto di Santa Maria, ma Bianchi 
                  fa anche dire a Melville qualcosina in più  cioè che il bastimento 
                  portava un carico di valore. Per questa dimenticanza non cascherà 
                  il mondo, ma, indubbiamente, fra le due traduzioni cè una differenza 
                  sostanziale. 
                  Nel film La seconda guerra civile americana di Joe Dante 
                  (1997), un consigliere del Presidente degli Stati Uniti, capisce 
                  roma per toma: un giornalista, infatti, gli rivela che lindomani 
                  mattina, il governatore dellIdhao, annuncerà la successione 
                  (cioè che lascerà il proprio posto), ma lui capisce secessione 
                  (dagli Stati Uniti). Da ciò una guerra. Per raccontare di queste 
                  cose ci vuole meno fantasia di quel che sembri a prima vista. 
                  I nostri destini sono più spesso legati a questioni di minutaglia 
                  linguistica di quel che crediamo. Nel tradurre, poi, essendo 
                  consapevoli dellinamovibile difficoltà di principio  perché 
                  è vero che possiamo contare su operazioni mentali comuni, ma 
                  è anche vero che i parlanti lingue diverse contano su patrimoni 
                  lessicali diversi e che ciascuno assegna sfumature di significato 
                  in rapporto alla storia propria -, la massima cautela è moralmente 
                  dobbligo. 
                  Da un recente libro del militare inglese Rupert Clark, With 
                  Alex at the war, viene fuori una versione nuova di un episodio 
                  molto discusso relativo alla seconda guerra mondiale  versione 
                  che si basa interamente su un problema di traduzione. Comè 
                  noto, il 15 febbraio 1944 gli angloamericani bombardarono labbazia 
                  di Montecassino facendo peggio di quanto fossero riusciti a 
                  fare i longobardi (nel VI secolo, non molto tempo dopo la sua 
                  costruzione) e i saraceni (IX secolo). Ci lasciarono la pelle 
                  250 civili. Ora, secondo Clark, il fatto avvenne a causa di 
                  una cattiva traduzione inglese di un messaggio carpito ai tedeschi. 
                  Il messaggio diceva che nel monastero cera labate (abt), 
                  ma la traduzione diceva che nel monastero cera un battaglione 
                  (abteilung). Da lì, la decisione di bombardare. 
                  Probabilmente non è vero  probabilmente qualcuno ha voluto 
                  fare il furbo prima, durante e dopo -, ma il caso è ugualmente 
                  significativo. Del linguaggio ci serviamo così spesso che raramente 
                  prestiamo attenzione a come funziona. Già il capirsi fra chi 
                  parla stessa lingua è un risultato non scontato, figuriamoci 
                  fra chi parla lingue diverse  a maggior ragione se uno dei 
                  parlanti deve parlare in modo da essere compreso soltanto in 
                  una stretta cerchia di conniventi, come, per lappunto, in guerra. 
                  P.s.: Allepoca del bombardamento di Montecassino, tra Vaticano 
                  e tedeschi valeva laccordo di considerare i luoghi sacri inviolabili. 
                  Primo fra tutti, ovviamente, il Vaticano. Come racconta Enzo 
                  Forcella in La resistenza in convento (1999), fra Eisenhower 
                  e Badoglio, a Malta, ebbe luogo un drammatico colloquio da cui, 
                  cartina topografica alla mano, emergeva la serena disponibilità 
                  delle forze alleate a bombardare tutte le basiliche romane  
                  in quanto situate in territorio estero -, Vaticano ovviamente 
                  escluso. Fatto sta che, sapendola lunga, dal 12 settembre 1943, 
                  molti intellettuali bussano alle porte salvifiche del Vaticano 
                  per sfuggire agli occupanti tedeschi. Fra questi, Ivanoe Bonomi, 
                  presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, Alcide De 
                  Gasperi, leader della Democrazia Cristiana, Pietro Nenni e Giuseppe 
                  Saragat, in rappresentanza del Partito Socialista, Giangiacomo 
                  Feltrinelli, leditore, e perfino Raniero Panzieri, il direttore 
                  di Quaderni Rossi, e tanti altri in attesa di riprendersi 
                  il potere che spettava loro. Tutti comprensibilmente in cerca 
                  di un ricovero sicuro dove passare la nottata e tutti convinti 
                  che nessun errore di traduzione avrebbe mai potuto minacciarli. 
                  
                  Felice Accame 
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