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                 Una rivincita della politica sulleconomia? 
                  Chi ha giudicato in questi termini la battaglia di Seattle 
                  è saltato alle conclusioni troppo presto. Si é accontentato 
                  di una scorciatoia.  
                  Mai come oggi, dopo un secolo in cui ha fatto di tutto per screditarsi 
                  e rendersi odiosa, sulla politica sembra gravare limperativo 
                  di un compito immane. Lo spettro della catastrofe ecologica, 
                  la sussistenza della biosfera. Davanti ai rischi globali del 
                  presente, lintuizione di Hannah Arendt sul fine autentico della 
                  politica si rivela ineccepibile e al tempo stesso quasi disperata. 
                  Al centro della politica vi è sempre la preoccupazione per 
                  il mondo. Scopo della politica è cambiare o conservare o fondare 
                  un mondo1. 
                  Cambiare, conservare, fondare un mondo. Mission impossibile. 
                  A Seattle, la percezione della necessità di una svolta radicale 
                  è stata confusa con le premesse di una soluzione. Per ritrovare 
                  lazione e la politica nel contesto anonimo della globalizzazione, 
                  si è immaginato un rimedio omeopatico. Davanti a incertezze 
                  e rischi globali, lunica risposta possibile è stata individuata 
                  in una politica globale. Think globally, act globally: 
                  è lo slogan, e il programma, di Vandana Shiva, di Le Monde 
                  diplomatique, della nuova sinistra sociale. La disponibilità 
                  (apparente) di un nuovo soggetto della storia - una società 
                  civile mondiale; uninedita classe generale - ha suggerito 
                  la praticabilità di una risposta politica alle tendenze in senso 
                  stretto irresponsabili delleconomia.  
                  Guru della finanza internazionale, signori del capitalismo, 
                  banchieri, lobbisti, suadenti funzionari di multinazionali e 
                  grandi corporations, analisti di rischio, mediatori daffari, 
                  consulenti: una nuova iper-classe di intoccabili regola la 
                  pulsante energia del mondo globale, semplifica paesaggi culturali 
                  eterogenei e differenze, armonizza realtà incongrue, riluttanti 
                  a lasciarsi rinchiudere nel gergo neutrale delleconomia. Seattle 
                  ha replicato ideologicamente a tutto questo coltivando il sogno 
                  di una democrazia universale, lideale kantiano di un governo 
                  cosmopolita. Divergenze, accenti diversi, non cancellano il 
                  sottofondo di unaspirazione condivisa.  
                  Il cosmopolitismo come risposta politica alla globalizzazione, 
                  un governo mondiale delleconomia come replica al gioco segreto 
                  della finanza, dei poteri forti, del Wto, della Banca Mondiale, 
                  del Fondo Monetario Internazionale. Autonomi tribunali sovranazionali 
                  per dirimere vertenze e conflitti commerciali (Cohn-Bendit, 
                  Bovà, i verdi), partiti politici cosmopoliti (Ulrich Beck) 
                  unOnu delleconomia (Piero Fassino), un ritrovato ruolo dei 
                  parlamenti (Petrella, Le Monde diplomatique), una società 
                  civile mondiale (Ramonet, Dahrendorf, Susan George, ecc.): anche 
                  le proposte più specifiche e parziali reiterano il credo cosmopolita 
                  di una democrazia universale, di un governo mondiale, speculare 
                  allimperialismo della globalizzazione, analogo per dimensioni 
                  ma opposto per scopi, priorità, indirizzi tematici e linee di 
                  azione. Nel disordine presente, e prima della catastrofe futura, 
                  si insiste a chiedere al potere politico una risposta consapevole 
                  alle manovre di altri poteri legittimati esclusivamente dalla 
                  ricchezza, dal codice del denaro, dalla grammatica cieca del 
                  privilegio. La volontà (politica) contro il caso, la lotteria 
                  della nascita, la fortuna. Lunica speranza, - come ha detto 
                  Richard Rorty -, potrebbe stare nella disponibilità delle grandi 
                  potenze a costruire un governo mondiale2. Sulla 
                  stessa lunghezza donda Michael Walzer evoca meccanismi di rigetto 
                  in grado di riaprire le porte alla politica: la democrazia è 
                  a rischio solo perché finora labbiamo sperimentata esclusivamente 
                  a livello locale e nazionale. La mia speranza sta nellanalogia 
                  col Diciannovesimo secolo. Allora la stessa industrializzazione 
                  produsse il rimedio alle sue esagerazioni, nello stesso modo 
                  la globalizzazione potrebbe produrre il rimedio politico per 
                  mitigare i suoi eccessi3.  
                  
                   
                  Un governo mondiale? 
                Un governo mondiale. Quando non è una pia illusione è una minaccia, 
                  rappresenta un incubo. Probabilmente non è neppure unUtopia. 
                  Almeno in termini strategico-militari qualcosa del genere esiste 
                  già, per quanto in forma latente (e un po, mafiosa): labbiamo 
                  visto durante la guerra del golfo, in Kosovo, in qualche modo 
                  anche in Ruanda e in Somalia. Uninternazionale del potere, 
                  la maschera sanguinante del nuovo ordine mondiale. In ogni caso 
                  resta una prospettiva ambigua, imbarazzante.  
                  Dal punto di vista della teoria politica sembra unipotesi troppo 
                  simmetrica al male che vuole contrastare per non suscitare qualche 
                  ragionevole sospetto. Il cosmopolitismo come alternativa alla 
                  globalizzazione, lallargamento su scala mondiale della democrazia. 
                  Lidea di Walzer che la democrazia abbia deluso o funzionato 
                  male perché è stata sperimentata solo a livello locale e nazionale 
                  sembra una curiosa parodia del vecchio paradosso marxista del 
                  socialismo in un solo paese, una riedizione della teoria apologetica 
                  dellaccerchiamento. Recuperando Rousseau semmai si potrebbe 
                  dire che è vero linverso: anche un solo paese (lo stato-nazione) 
                  è troppo grande per realizzare una democrazia, una polis decente, 
                  un livello di partecipazione effettivo e convincente. Adesso 
                  sostengono che la democrazia può diventare mondiale, rigenerasi 
                  in forma cosmopolita, darsi una nuova corteccia spinale (insomma 
                  unanima) tramite Internet, la Rete, la comunicazione simultanea 
                  garantita da computer, autostrade elettroniche e altre analoghe 
                  strutture virtuali. Può essere vero, ma solo nel senso della 
                  ripetizione del presente, di unestensione viziosa dellidentico. 
                   
                  Con molta faccia di bronzo (ma non senza coerenza) cè chi ha 
                  proposto di istituzionalizzare ONG, associazioni del volontariato 
                  e altre espressioni della società civile garantendogli una rappresentanza 
                  fissa al Wto. Daltro canto, i nuovi media si attrezzano per 
                  funzionare su scala globale, per adattarsi al nuovo scenario 
                  di ununica democrazia planetaria. Non è entusiasmante ma per 
                  quanto riguarda gli assetti proprietari il panorama si sta già 
                  semplificando. Il nuovo potere cosmopolita è unipotesi che 
                  già lascia intuire uninquietante mistica trinitaria: un solo 
                  corpo sociale, una sola anima, ununica Rete. 
                  Alla fine basta forse un po, di buon senso e un minimo di sensibilità 
                  libertaria e antiautoriaria. Che il potere di Stati, istituzioni, 
                  regolamenti, gruppi finanziari possa mitigarsi diluendosi nel 
                  corpo mistico di una democrazia cosmopolita è semplicemente 
                  assurdo e incredibile. Tutto lascia pensare che finiremmo per 
                  ritrovarci nella situazione opposta.  
                  Una straordinaria concentrazione di poteri, un sempre più inafferrabile 
                  monopolio della forza legittima, della violenza e del denaro. 
                  Forse un governo mondiale potrebbe affrontare addirittura leventualità 
                  della catastrofe ambientale, lo spettro dellapocalisse ecologica. 
                  La fantascienza ha sempre lavorato su scenari totali di questo 
                  tipo. Una politica iper-totalitaria e ingegneristica come ultima 
                  risorsa davanti alla fine del mondo. Non è da escludere che 
                  la politica potrebbe in questo modo realizzare anche il suo 
                  compito impossibile: conservare il mondo, salvare il mondo. 
                  Ma per chi è convinto che il Mondo non sia una cosa ma lo spazio 
                  che unisce e separa gli uomini, una trama di scambi e relazioni, 
                  unespressione della pluralità umana e della libertà, quella 
                  promessa rappresenta in ultima analisi una minaccia. Salvarsi 
                  abdicando alla libertà, rinunciando allindividualità e perdendo 
                  lanima: non è allettante; non ne vale la pena.  
                  
                   
                  Lincubo del dominio 
                Lingenuità (o la supponenza) filosofica e il prevedibile risvolto 
                  autoritario dellideale cosmopolita di una democrazia mondiale 
                  non sono le sole risposte politiche al fenomeno della globalizzazione. 
                  Forse è lunico vantaggio di una situazione piuttosto critica. 
                  Quando non esistono terreni codificati è inevitabile proporre 
                  continuamente ipotesi, concedersi il lusso di tentativi, prove, 
                  esperimenti. Nonostante tutte le sue pretese teoriche e rivoluzionarie, 
                  il modello della democrazia mondiale si basa in fondo su un 
                  assunto puramente quantitativo. Il superamento lineare dello 
                  stato-nazione in un iper-stato, lestensione planetaria della 
                  società civile.  
                  Unaltra possibilità, lunica che forse vale davvero la pena 
                  di mettere alla prova, consiste nel provare a ripensare lagire, 
                  la sfera pubblica e la politica in termini libertari partendo 
                  dalla critica del potere e dal rifiuto consapevole di qualsiasi 
                  forma di dominio. Continuare a ripetere che il mondo in cui 
                  viviamo è troppo complicato rischia di essere una scusa per 
                  non fare niente. Il male diventa ineffabile e sfuggente, si 
                  diluisce in modo poco chiaro nel mosaico della globalizzazione, 
                  genera rassegnazione e disincanto o sterili gesti di rivolta, 
                  prese di posizioni eclatanti ma consolatorie. Lassunto in qualche 
                  misura anarchico di questo punto di vista radicale sui limiti 
                  e le insufficienze della democrazia individua invece le origini 
                  del male in un fenomeno molto più preciso.  
                  Tutti gli elementi che contribuiscono a definire lo scenario 
                  bloccato del presente (la politica, la società, il capitalismo, 
                  lo stesso rapporto con lambiente) derivano da una stortura 
                  originaria: da rapporti umani troppo segnati dal codice del 
                  potere, inquinati dal sogno del dominio, cristallizzati nel 
                  gergo dellineguaglianza, dellobbedienza e della gerarchia. 
                  Anche il fattore di rischio probabilmente più grave e urgente 
                  del momento (la questione ambientale, la fine della natura) 
                  nasce da sistemi di comando-obbedienza che prima ancora della 
                  nostra relazione col mondo naturale condizionano la stessa sfera 
                  della pluralità, i rapporti degli uomini tra loro. Mentre ha 
                  espresso in modo inconsapevole, come una fotografia scattata 
                  per caso - questo cortocircuito tra paralisi della sfera pubblica, 
                  ecologia, opportunità e pericoli della globalizzazione Seattle 
                  ha quindi confermato lintuizione più seria e impegnativa di 
                  quella che Bookchin definisce ecologia sociale.  
                  La consapevolezza che una vita e una politica diverse e gli 
                  stessi presupposti di un rapporto armonico con la natura sono 
                  di tipo sociale, possono scaturire soltanto dallinstaurazione 
                  di armonici rapporti tra gli esseri umani e prevedono labolizione 
                  della gerarchia in tutte le sue forme (anche psicologiche e 
                  culturali, oltre che sociali), labolizione delle classi, della 
                  proprietà privata e dello stato4. 
                  
                  
                  Ritagliare sfere di libertà 
                Sono obbiettivi troppo ambiziosi e drastici, estremistici? 
                  Non è necessario sbilanciarsi, affrettarsi a dare una risposta 
                  definitiva. Lelemento che conta di più non è la meta finale, 
                  limmagine di un futuro alternativo. Il punto essenziale sono 
                  le cose da fare adesso, il qui e ora di una forma di azione 
                  e di presenza capace di scardinare almeno in termini relativi 
                  il codice del potere e i ricatti della gerarchia.  
                  Costruire contro-istituzioni, ritagliare sfere di libertà e 
                  indipendenza in un contesto chiuso, soffocante. Se il tratto 
                  francamente più allarmante della situazione attuale sta nella 
                  trasformazione del capitalismo e delle relazioni di mercato 
                  da una forma economica a un modello latente di società, la questione 
                  davvero allordine del giorno riguarda, da subito, la creazione 
                  di nuove forme di resistenza, listituzione di aree di vita 
                  alternative capaci di contrastare e indebolire limborghesimento 
                  della società a tutti i livelli, la genesi di una sfera pubblica 
                  radicale5, in grado di innescare uninversione di 
                  tendenza, un cambiamento di mentalità e una trasformazione politica 
                  e sociale di più ampio respiro. Il dilemma non riguarda il piano 
                  dei fini ultimi, ma la zona più ambigua del come e del quando, 
                  il terreno costantemente aperto e incerto dei mezzi. Proprio 
                  lurgenza del cambiamento impone discrezione, misura, pragmatismo, 
                  capacità critica, intelligenza.  
                  Che fare, quindi, da dove cominciare? La risposta è in qualche 
                  modo immediata, ma non è così elementare come sembra. Da noi; 
                  dalla forma che diamo alla nostra vita, dal nostro modo costruire 
                  rapporti e relazioni, spazi e occasioni di socialità. Tuttaltro 
                  che una ricetta privata, un percorso iniziatico intimista. In 
                  un mondo in cui la sfera pubblica e la vita privata sono fortemente 
                  condizionate da rapporti gerarchici, convenzioni oppressive, 
                  potere e conformismo, lunico punto di partenza di qualsiasi 
                  tentativo di trasformazione radicale coincide col territorio 
                  stesso dellindividualità, con un modo diverso di essere singoli, 
                  di giudicare e di pensare il mondo. Non siamo autosufficienti, 
                  lautarchia del pensiero e della coscienza sono un mito o unipocrisia 
                  del liberalismo. Possiamo ritrovarci, crescere, diventare quello 
                  che siamo solo tramite gli altri, in una trama di relazioni 
                  libere dal potere, scandite dalla libertà e dalluguaglianza. 
                  Oggi provare a vivere in modo indipendente e autonomo (Herzen) 
                  significa paradossalmente tornare presso la stessa origine dimenticata 
                  del pensiero politico occidentale, nel cuore nascosto della 
                  democrazia. Mentre le grandi risposte collettive della modernità 
                  segnano il passo, lunica forma di innovazione possibile e convincente 
                  ha qualcosa a che fare con il modello classico della polis 
                  inteso non come modello da imitare ma come un seme, o 
                  un germe vitale dellesperienza possibile di unaltra politica 
                  6, libera dallossessione del potere, emancipata 
                  dai ricatti della gerarchia. Un immaginario politico rinnovato 
                  coincide oggi con lesigenza, tutta da sperimentare in termini 
                  concreti, di esperienze nuove di democrazia diretta, di partecipazione 
                  libertaria, di autogestione e di organizzazione spontanea e 
                  dal basso. 
                  
                   
                  La proposta di Bookchin 
                La stessa esigenza di tracciare la linea, come diceva Goodman, 
                  e di separarsi da un mondo sociale colonizzato dal potere e 
                  narcotizzato dal conformismo implica, paradossalmente, una ridefinizione 
                  della vita pubblica, la necessità di una politica radicale 
                  in un contesto in cui politica e democrazia sono diventate parole 
                  vuote, eufemismi, imbrogli. Molto di quello che oggi chiamiamo 
                  politica - ha scritto Murray Bookchin argomentando il punto 
                  di vista del municipalismo libertario- è solo potere dello 
                  stato, ma il termine politica, secondo la sua etimologia greca, 
                  si riferiva una volta ad unarena pubblica di cittadini consapevoli, 
                  che si sentivano competenti a gestire direttamente le proprie 
                  comunità, le loro poleis7.  
                  Democrazia diretta, municipalismo libertario, lapertura 
                  di aree di vita alternative per bilanciare limborghesimento 
                  della società: parole dordine che sembrano inattuali, disperatamente 
                  fuorigioco nellepoca della globalizzazione planetaria. Forse 
                  si tratta solo di un effetto ottico, di una specie di strabismo 
                  molto convenzionale, poco acuto. 
                  Proprio quando si fanno i conti con la globalizzazione si dovrebbe 
                  riconoscere piuttosto il carattere illusorio delle risposte 
                  troppo ambiziose - la politica globale, la democrazia cosmopolita 
                  (act globally) - o il tratto ipocrita e rassegnato della 
                  strada opposta, think globally, act locally. Senza essere 
                  costretti a scegliere per forza tra due alternative obbligate 
                  e speculari conviene piuttosto lavorare direttamente su modelli 
                  di socialità, schemi di vita, ipotesi di liberazione legati 
                  direttamente al piano inclinato dellesistenza quotidiana, ma 
                  già carichi di una valenza politica decisiva. Una rilettura 
                  municipalista del tema della polis; una democrazia radicale, 
                  una democrazia che si prende sul serio. La scommessa fondamentale 
                  è immaginare adesso rapporti e relazioni capaci di ridefinire 
                  simultaneamente uno stile dellíindividualità e i modelli concreti 
                  di socialità, la sfera pubblica. Senza smarrirsi nel sogno roussoiano 
                  di uníimpossibile volontà generale capace di riassorbire al 
                  suo interno tutte le volontà particolari e le differenze, il 
                  tema della democrazia diretta e il progetto municipalista costruiscono 
                  un modello alternativo che mentre dichiara la sua intransigente 
                  secessione dalla società insiste sulla definizione di nuclei 
                  quasi-politici basati sullazione di minoranze concrete, consapevoli. 
                  Un modo -lunico realistico - per tornare alle radici 
                  stesse della democrazia, per provare a sperimentare le sue promesse 
                  mancate, diluite e sciupate in unidea di politica già declinata 
                  in modo reazionario secondo il codice del potere e lossessione 
                  della gerarchia. 
                  
                   
                  Zone politiche spontanee 
                Quando Bookchin definisce il municipalismo una bomba ad orologeria 
                  pensa - mi sembra - precisamente allimportanza di un tentativo 
                  spericolato che non pretende di diventare un modello egemone, 
                  un paradigma assoluto, universale. Il punto chiave è che esperimenti 
                  di questa natura sono stati tentati, hanno una storia, non nascono 
                  nel cielo delle idee, nellhard discount di utopie scadute e 
                  a buon mercato: dai levellers della Londra del diciassettesimo 
                  secolo agli anarco-sindacalisti di Barcellona in questo secolo, 
                  lattività radicale è stata sempre alimentata da forti vincoli 
                  comunitari, da una sfera pubblica garantita da strade, piazze, 
                  caffè8. In fondo la stessa intuizione che spingeva 
                  Hannah Arendt a rivalutare lesperienza autenticamente rivoluzionaria 
                  dei consigli senza lasciarsi bloccare in modo preventivo dalla 
                  paura delle cose mai vedute, dei pensieri mai pensati, dalle 
                  istituzioni mai tentate9.  
                  Costruire zone politiche spontanee senza lasciarsi ricattare 
                  dal realismo scientifico dei rivoluzionari di professione, dallossessione 
                  della presa del potere, dallala protettiva e prevaricante 
                  dei partiti10. Il nodo centrale sono la pluralità 
                  di forme di socialità a valenza politica, la spontaneità di 
                  un agire pubblico basato, come avrebbe detto Arthur Rimbaud, 
                  sullesigenza di cambiare vita. Una sfera pubblica radicale 
                  che nasce e si esprime by streets, square and cafes, un esercizio 
                  di democrazia sempre legato a una sorprendente pluralità di 
                  situazioni, esperienze, occasioni diverse di socialità. Senza 
                  cercare di riesumare il mito arcaico della polis, il 
                  modello aureo e ambivalente dellAtene di Pericle, municipalismo 
                  libertario, rete e consigli, rappresentano forse lunico cuneo 
                  per scardinare la politica, erodere i vincoli soffocanti della 
                  società di massa, rivitalizzare in modo radicale una democrazia 
                  bloccata nella pigrizia infinita di una ripetizione e di un 
                  imbroglio. Il progetto di una democrazia rigenerata passa attraverso 
                  la costruzione di un intreccio complesso di esempi diversi, 
                  postulando come meta finale non tanto una discutibile, spaventosa 
                  unanimità, ma il modello aperto e libertario di una comune 
                  delle comuni capace di trasformarsi progressivamente in una 
                  nuova sfera pubblica e di dar vita ad unidea di cittadinanza 
                  e di sistemi economici municipalizzati da contrapporre al crescente 
                  potere dello stato-nazione e delle grandi imprese economiche 
                  multinazionali e centralizzate (Bookchin). 
                  
                   
                  Strade bloccate senza uscita 
                  La terra - ha scritto Hannah Arendt in Vita Activa 
                  - è la quintessenza della condizione umana, e la natura terrestre, 
                  per quanto ne sappiamo, è lunica nelluniverso che possa provvedere 
                  gli esseri umani di un habitat in cui muoversi e respirare senza 
                  sforzo e senza sacrificio11. La rilevanza storica 
                  e limportanza reale di Seattle dipendono credo dallintuizione 
                  ancora allo stato embrionale della fragilità di questo rapporto 
                  con la natura e dalla paura taciuta ma sempre crescente per 
                  la possibile fine di questo equilibrio stentato e provvisorio 
                  tra noi uomini e la terra, la natura, il Mondo. Se nellimmagine 
                  della fine del mondo cè sempre una componente di maniera, 
                  per una volta bisogna riconoscere che anche gli incubi peggiori 
                  e più inquietanti della fantascienza non è soltanto il sintomo 
                  patologico di un immaginario estenuato o paranoico. Luomo è 
                  davvero antiquato (Anders), in qualche modo, e la forma stessa 
                  con cui ha scelto di sopprimersi può molto probabilmente essere 
                  nuovamente chiamata col suo vecchio nome. Il culto mistico e 
                  acritico della tecnica, lideologia suicida dello sviluppo dipendono 
                  davvero da un sistema economico che si è esteso sino a coprire 
                  tutte le dimensioni della nostra esistenza privata e collettiva. 
                  Se anni fa ci si sentiva un po, ridicoli soltanto a nominarlo, 
                  oggi possiamo accusare apertamente, con una nuova legittimità, 
                  questo sistema totale e deprimente: il mondo dei consumi, il 
                  capitalismo. Anche se forse è davvero troppo tardi bisogna provare 
                  a rompere, in qualche modo e da qualche parte, il pigro imperialismo 
                  di un principio di realtà irreale, soffocante.  
                  Cercare di costruire spazi diversi, inventare zone alternative, 
                  restituire un senso alla politica come cura e gestione degli 
                  affari umani, provare a riprendere il mano il nostro destino. 
                  In una situazione disperata, qualsiasi tentativo serio e fantasioso 
                  in questa direzione rappresenta già un piccolo punto di vantaggio, 
                  anche perché lultima chance per provare a cambiare le cose. 
                  Una sfida terribilmente seria, niente ci garantisce che possa 
                  funzionare. Ma va da sè che è almeno il caso di giudicare le 
                  cose in modo limpido e di sbarazzarsi di modelli vecchi e di 
                  riflessi condizionati impresentabili, troppo schematicamente 
                  politici, inutilmente eccessivi, compiaciuti. Lestremismo 
                  auto-gratificante di chi ha visto nella battaglia di Seattle 
                  la garanzia di una svolta, laurora di una nuova rivolta planetaria 
                  o il nuovo inizio di una politica globale è senzaltro una 
                  spia che il pensiero politico e sociale della sinistra su questo 
                  sono ancora inadeguati, spaventosamente in ritardo, subalterni 
                  per pigrizia, fretta o ideologia a formule vuote e a slogan 
                  inutilizzabili. Una nuova politica radicale può nascere soltanto 
                  da sforzi isolati, rifiuti senza concessioni, consapevoli tentativi 
                  di secessione da un clima culturale, dalla grammatica dei consumi, 
                  dalla presenza invadente o dal simulacro dello Stato.  
                  Lidea di una società civile mondiale, di una democrazia cosmopolita, 
                  sono lennesimo tributo che la sinistra rischia di pagare al 
                  mito della presa del potere, alla sua vecchia ossessione per 
                  la politica-politica, al culto e allidolatria delle maggioranze. 
                  Sono strade bloccate, senza uscita. Partire dalla rivolta di 
                  minoranze convinte e motivate, costruire altre sfere di socialità, 
                  esercitare una critica esistenziale e concreta dei consumi e 
                  provare a ragionare, in modo pragmatico, libertario, anarchico, 
                  in termini di municipalismo, self-help, democrazia diretta, 
                  sono forse le uniche strade ancora praticabili per provare a 
                  tirarsi fuori dalle sabbie mobili e dalla palude stagnante del 
                  presente. Non dobbiamo farci troppe illusioni. Il successo di 
                  questa scelta non è sicuro nè molto probabile. Ma questa volta 
                  la posta in gioco è veramente troppo importante per consentire 
                  indugi, cautele tattiche, progetti a lunga scadenza o astute, 
                  disincantate strategie. La domanda estrema di James Ballard, 
                  il futuro ha ancora un futuro? - resta aperta. Non so se avremo 
                  il tempo di scoprirlo. 
                  
                  Vittorio Giacopini 
                 
                   1. H. Arendt, Che cosè la politica?, 
                    ed. di Comunità, 1995, p. 152 
                    2. Richard Rorty, Dobbiamo ancora mettere in pratica i 
                    principi della rivoluzione francese, in La stampa, 7-1-2000, 
                    p. 18.  
                    3. Michael Walzer, La globalizzazione rilancerà uguaglianza 
                    e umanitarismo, in La stampa, 7-1-2000, p. 18 
                    4. Per una società ecologica, p. 205.  
                    5. p. 1 
                    6. cfr. Cornelius Castoriadis, La polis greca e la creazione 
                    della democrazia, in 5. Lenigma del soggetto, 
                    Dedalo 1998, p.183 sgg. 
                    7. Murray Bookchin, Radical politics,. Cit. p. 8. Cfr. 
                    anche Democrazia diretta, Eleuthera 1993, pp. 23-39. 
                    8. Radical politicsv, p. 8 
                    9. H. Arendt, On Revolution, p. 298.  
                    10. Cit. Arendt, p. 304 
                    11. Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani 1989 p. 2 
                 
                  
                
                     
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                         Cercare 
                          di costruire  
                          spazi diversi, inventare  
                          zone alternative,  
                          restituire un senso alla  
                          politica come cura e  
                          gestione degli affari 
                          umani, provare  
                          a riprendere in mano  
                          il nostro destino. 
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