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                  proposito di cgt, cnt, ecc...
 La pubblicazione all'intervista al segretario spagnolo della 
                  CGT "A"259 e quella successiva della lettera di Gianfranco Careri 
                  "A"260 mi stimolano ad alcune riflessioni e a ripercorrere alcune 
                  tappe significative di vicende dell'anarcosindacalismo.Nel Congresso Straordi-nariodell'AIT(Associazione Internazionale 
                  dei Lavoratori) del 1937, nel 6° punto dell'ordine del giorno 
                  si lasciava alla CNT la responsabilità di continuare l'esperienza 
                  in corso ci si riferiva alla sua collaborazione governativa 
                  che aveva significato un enorme trauma per il Movimento Libertario 
                  sopportato appena davanti alla realtà della guerra, però con 
                  una critica vigorosa espressa in vari giornali.
 Terminata la guerra, una parte considerevole del Movimento Libertario 
                  ritenne decaduti i compromessi politici con i partiti del Fronte 
                  Popolare fatti durante la guerra, ritenendo si dovessero recuperare 
                  i tradizionali principi antistatali, mentre l'altra fazione 
                  considerava ancora validi i compromessi politici fino a che 
                  il franchismo non fosse caduto.
 Si venne così ad una situazione di crisi all'interno della CNT 
                  e nel novembre del 1945 si produsse una rottura al suo interno. 
                  Infatti si era costituito in Messico il governo Repubblicano 
                  in esilio di José Giral y Peréire e il Comitato Nazionale della 
                  CNT di Spagna aveva eletto due ministri; la CNT in esilio si 
                  sentì scavalcata esigette un approfondito dibattito sulla questione 
                  che però nei fatti il CN delle CNT di Spagna negò.
 Nel VII Congresso dell'AIT nel 1951, si presentò la discussione 
                  "sulla CNT spagnola" che si era presentata con due delegazioni 
                  distinte, ognuna delle quali restò ferma sulle proprie posizioni.
 All' VIII Congresso dell'AIT per la Spagna furono presenti la 
                  CNT in esilio e la CNT di Spagna. Oltre a ciò che riguardava 
                  la questione spagnola uno dei punti interessanti di questo congresso 
                  è rappresentato dalla discussione del punto n° 11 che trattava 
                  principi e tattica dell'ATI, che come ha attivamente espresso 
                  Abel Paz (Al pie del muro, hacer editorial, Barcellona, 
                  pag. 369) si rivelò essere il tallone d'Achille del Congresso.
 La collaborazione che la CNT aveva avuto con il governo, e che 
                  era il 4° punto di discussione, ciò premeva soprattutto alla 
                  SAC svedese e all'Olanda. La questione spagnola perdeva importanza 
                  rispetto alle posizioni personali di Helmut Rudiger della SAC 
                  e dell'osservatore Alberto de Jong dell'organizzazione simpatizzante 
                  olandese OVB, fautori di una riforma degli Statuti dell'AIT 
                  che avrebbe permesso alle sezioni dell'AIT un rapporto di collaborazione 
                  con i municipi e il Ministero del lavoro nei rispettivi paesi.
 Durante i lavori del Congresso i delegati della SAC avevano 
                  distribuito ai convenuti copie della nuova Dichiarazione di 
                  Principi votata nel 1952.
 La situazione svedese era delicata anche perché la situazione 
                  svedese era diversa da quella spagnola.
 Rudiger della SAC disse che la sua delegazione non era stata 
                  autorizzata ad esprimersi per la richiesta di una modifica per 
                  gli statuti dell'ATI e che però voleva sottolineare il fatto 
                  che lo sviluppo storico di ogni paese che aderisce all'AIT non 
                  era identico, per cui desiderava far conoscere la Dichiarazione 
                  di Principi del sindacato cui apparteneva.
 La tendenza era verso la socialdemocrazia. Seguì un animoso 
                  dibattito, tutte le sezioni, eccettuata quella olandese, rifiutarono 
                  tale dichiarazione e rettificarono principi e tattiche dell'ATI. 
                  La SAC contava 20.000 iscritti, era stata fondata nel 1910, 
                  aveva avuto un passato glorioso e nel suo periodo migliore aveva 
                  raggiunto 37.000 aderenti, pubblicava un quotidiano Arbetaren 
                  e un mensile Fuego era stata solidale con il popolo spagnolo 
                  contro il regime franchista: a partire dagli anni cinquanta 
                  inizierà progressivamente ad allontanarsi dall'AIT seguendo 
                  una via riformista, adotterà posizioni di compromesso ed in 
                  contrasto con i metodi degli anarcosindacalisti degli altri 
                  paesi adotterà una posizione revisionista espressa nel proprio 
                  metodo: "attitudine che consiste nell'ammettere delle tappe 
                  e delle soluzioni parziali, la tendenza ad accettare il compromesso 
                  per poter addentrare alla realtà e non essere tenuti ai margini 
                  degli avvenimenti, e poiché essendo questa solamente la "pratica" 
                  non può portare nessun danno ai "principi"". (Le Syndacalisme 
                  Libertaire et le Weltfare state l'experience suedoise, Evert 
                  Ardossou, Parigi ed. l'Union des Syndacalistes, prefazione di 
                  Helmut Rudiger).
 La tendenza che si era già manifestata ai tempi dell'VIII Congresso 
                  dell'AIT riguardante il punto n° 11 su principi e tattica veniva 
                  eluso e superato dalla posizione assunta dalla SAC?
 Naturalmente no.
 La scissione della CNT ad opera di quella che sarà la CGT spagnola 
                  che tenta di essere accreditata, come anarcosindacalista come 
                  ha espresso chiaramente nella sua lettera Gianfranco Careri 
                  pone anche l'evidenza del tentativo di una nuova internazionale 
                  di sindacati europei che ancora una volta contraddicendo la 
                  politica con i principi vogliono presentarsi come anarcosindacalisti.
 Dovrebbe forse l'ATI rinunciare ai propri principi?
  Pino Cavagnaro (Genova)
    Pastiglie 
                  e opuscoli
  Giovani, sbarbati, incoscienti, o forse solo sventati, troppo 
                  fiduciosi nelle prorpie risorse fisiche..., morti ammazzati 
                  dalla nuova droga; dalle pastigliette colorate che hanno la 
                  faccia innocua come le caramelle per l'alito che quegli stessi 
                  ragazzi si mangiavano prima di baciare la fidanzata di turno. 
                  Quelle pastiglie che sono anni che girano tra feste più o meno 
                  legali, discoteche, after hours, rave party, quelle stesse pastiglie 
                  che fino a pochi giorni i media "cagavano" quando proprio di 
                  morti per overdose da eroina era un po' che non se ne vedevano. 
                  Ci volevano i cadaveri di due ragazzini per fare alzare il culo 
                  ai giornalisti-tuttologi-medico-politologi ed ai chimici di 
                  chiara fama, che tra il contrito ed il compiaciuto (sì perché 
                  loro l'hanno studiato all'università il processo di sintesi 
                  che porta alla creazione delle droghe sintetiche) snocciolavano 
                  una bella serie di informazioni pronto uso (tipo il manuale 
                  dell'ecstasi come quello che si usava durante i compiti in classe 
                  di matematica) sulle pasticche. E a me questa fiera delle falsità 
                  fa proprio girare le palle: sì perché io nelle discoteche ci 
                  lavoro da una vita ed ho visto gente "fatta" di coca, "impasticcata" 
                  e "bevuta" parlare con le forze dell'ordine che non si accorgevano 
                  di niente (....).Ho visto gente tranquilla entrare in un cesso lurido, l'ho vista 
                  uscire dopo poco saltellante e spiritata, ho visto gente a cui 
                  i capillari del naso non tenevano più, ho visto gente fradicia 
                  di sudore ballare senza sosta per cinque ore a fila, ho visto 
                  gente bersi bottiglie di tequila senza storcere un capello (e 
                  immagino si sappia che la coca, così some le droghe oggi incriminate, 
                  alza molto il livello di tollerabilità all'alcol).
 Ho visto troppe porcate per non incazzarmi con chi adesso si 
                  stupisce e criminalizza quelle discoteche, quegli after, quei 
                  rave in cui ha mandato i figli fino a poco tempo fa; ho visto 
                  troppo qualunquismo sul famoso "divertimentificio" romagnolo, 
                  sul Paese dei Balocchi della nostra Riviera.
 Però poi un giorno ho incontrato quattro cristi di assistenti 
                  sociali che tentano di fare informazione e stampano dei mini 
                  opuscoli dove viene spiegato cos'è una pastiglia colorata, un 
                  francobollo con un disegnino simpatico, una polvere bianca, 
                  una polvere più scura. Sono anche carini questi opuscoletti 
                  mignon, ci sono i disegni (abbastanza infantili da sembrare 
                  amichevoli), le didascalie, i numeri utili.
 Peccato però che questi famosi opuscoli non si schiodino dai 
                  tavolini dei consultori, e che ovviamente sarà assai arduo che 
                  capitino nelle mani del frequentatore medio di una discoteca 
                  che non credo sia solito farsi un giro al consultorio più trendy 
                  della sua città. Magari sarà più probabile che prima di andare 
                  a ballare si vada a bere qualcosa nel pub più trendy della sua 
                  città.
 Ecco, la logica vorrebbe che il grazioso opuscolo informativo 
                  magari venisse lasciato lì, magari (apoteosi dell'utopico ottimismo) 
                  proprio nelle discoteche.
 Magari in questo modo la pianteremo di ostentare una falsa indignazione 
                  per i cadaveri di due ragazzini: loro forse non sapevano, quelli 
                  dopo sapranno ed a quel punto la scelta di drogarsi sarà affar 
                  loro.
 Il senso civico-morale del borghese benpensante sarà salvato 
                  ma, aggiungo io, forse anche qualche vita o neurone in più.
  Deborah Dirani (Forlì) babydeby@hotmail.com
 
  Lacio 
                  Drom ringrazia
  Caro Paolo Finzi,La ringrazio per la sua lettera e per il bell'articolo che ha 
                  dedicato a "Lacio Drom" "A"261. La speranza che rimane, è quella 
                  che qualcuno, forse domani, si muoverà e accoglierà la sfida 
                  di portare avanti una battaglia difficile, con serietà e senza 
                  de-magogia.
 Oggi per associazioni e gruppi gli Zingari sono diventati talvolta 
                  solo merce da sfruttare al fine di ottenere finanziamenti pubblici 
                  e di emergere personalisticamente con mire politiche, cosa che 
                  non posso accettare.
 Per quanto riguarda l'anarchia, lo ritengo un ideale splendido, 
                  ma non lo credo realizzabile data la naturale tendenza dell'uomo: 
                  non appena uno ha un minimo di potere, prende subito le misure 
                  per impedirlo agli altri. Così oggi siamo soffocati come non 
                  mai da limiti e vincoli che impediscono ogni minima iniziativa 
                  e imponendo, fra l'altro, mille carte bollate. Un Sinto francese 
                  mi diceva una volta: "voi gagé vi siete cercati una muraglia 
                  di paperasseries, di cartacce, e ve ne siete fatti prigionieri".
 Malgrado il mio scetticismo, ritengo tuttavia che l'anarchia, 
                  come utopia a cui tendere, abbia una vitale funzione di stimolo 
                  verso la libertà individuale e sociale.
 Con tanti auguri per il vostro impegno.
 Mirella Karpati (Roma)
     Ma 
                  Lacio Drom non deve morire
  Carissimi,le recenti vicende di ignobili persecuzioni contro le nostre 
                  sorelle e i nostri fratelli sinti e rom, dimostrano ad abundantiam 
                  quanto sia necessario promuovere sia una miglior conoscenza 
                  della cultura e dei problemi delle comunità nomadi e viaggianti, 
                  sia un'attività di difesa e di affermazione dei diritti di queste 
                  popolazioni.
 Per lavorare con le nostre sorelle ed i nostri fratelli sinti 
                  e rom, per conoscerli, per condividerne riflessioni e problemi, 
                  per poterne rispettare e valorizzare identità e cultura, per 
                  aiutarci reciprocamente a difendere e promuovere insieme i loro 
                  ed i nostri diritti, la loro e la nostra dignità, e quindi i 
                  diritti e la dignità di tutti, occorre avere adeguati strumenti 
                  di informazione, collegamento, riflessione ed approfondimento.
 Strumenti come per trentacinque anni è stato "Lacio drom", la 
                  straordinaria rivista del Centro Studi Zingari diretta da Mirella 
                  Karpati, che alcuni mesi fa ha cessato le pubblicazioni per 
                  mancanza di risorse finanziarie ed umane che consentissero il 
                  proseguimento della più longeva e più prestigiosa esperienza 
                  editoriale in tale ambito di studi e di impegno.
 È necessario che "Lacio drom" riprenda le pubblicazioni, e se 
                  questo è necessario, se in molti lo riteniamo necessario, allora 
                  è anche possibile.
 Vorrei esortarvi quindi ad un rinnovato impegno, esplicabile 
                  in più forme:
 1. scrivere a Mirella Karpati, direttrice di "Lacio drom", presso 
                  il Centro Studi Zingari, via dei Barbieri 22, 00186 Roma, per 
                  esprimerle apprezzamento e sostegno;
 2. inviare un motivato contributo finanziario all'indirizzo 
                  qui sopra segnalato, e/o dare una minima ma concreta disponibilità 
                  a sostenere la rivista qualora esse riprendesse le pubblicazioni 
                  (ad esempio inviando notizie, o promuovendone la diffusione);
 3. scrivere a Università, enti culturali, editori, istituzioni 
                  ed associazioni culturali ed umanitarie, internazionali, nazionali 
                  e locali, affinché contribuiscano al finanziamento della ripresa 
                  delle pubblicazioni della prestigiosa rivista;
 4. scrivere ai mass-media affinché diano notizia di questa situazione 
                  e di questo impegno, ed a loro volta si adoperino, con l'informazione 
                  e la sensibilizzazione, affinché non si spenga definitivamente 
                  una voce indispensabile come quella di "Lacio drom", di enorme 
                  prestigio scientifico e culturale, e di straordinario valore 
                  morale e civile;
 5. parlarne con amici che possano a loro volta essere interessati, 
                  e chiedere loro di contribuire a questo tentativo di promuovere 
                  la ripresa delle pubblicazioni di "Lacio drom", attraverso le 
                  iniziative indicate ai punti precedenti o in altre forme efficaci 
                  che ognuno saprà ideare.
 Scusatemi se mi sono permesso questa nuova intrusione.
 Un cordiale saluto.
  Peppe Sini responsabile del "Centro di ricerca per la pace" (Viterbo)
     Io 
                  la penso così
  Conosco da pochi mesi "A"(grazie a Marco Cagnotti, vostro 
                  collaboratore e mio recente collega di lavoro), e spulciandola 
                  qua e là mi è venuta una irresistibile voglia di scrivervi le 
                  classiche "due righe" - che, naturalmente, saranno un po' di 
                  più... Mi hanno incoraggiato a farlo alcune vostre affermazioni: 
                  "La rivista non ha e non vuole avere - né tantomeno vuole dare 
                  - 'la Linea'", "un elemento di vivacità di una pubblicazione 
                  [è] rappresentato dai dibattiti". Probabilmente le mie ovvie, 
                  addirittura banali obiezioni ciascuno di voi e dei vostri lettori 
                  le avrà già abbondantemente rimuginate dentro di sé e con amici 
                  e compagni; in tal caso consideratele come lo sfogo di un ormai 
                  stagionato "militante" (di che?) e cestinatele senza problemi.Tanto perché sappiate "da che pulpito viene la predica", ecco 
                  la mia biografia "politica": anni Settanta Manifesto-PdUP; anni 
                  Ottanta sindacalismo "di base", vari comitati per la pace ecc.; 
                  anni Novanta ambientalismo rosso-verde. Le mie osservazioni 
                  (superfluo precisare che si tratta di questioni sulle quali 
                  anch'io mi arrovello ogni giorno...) riguardano, più che questo 
                  o quel problema specifico, un certo modo di guardare alla realtà 
                  (e quindi di formulare giudizi e di appioppare etichette). Gli 
                  schematici appunti che seguono hanno quindi solo valore esemplificativo.
 1) Popolo Sarawi. Per decenni, quello dell'autodeterminazione 
                  dei popoli è stato considerato un principio inossidabile di 
                  libertà, progresso, democrazia ecc. E certo lo è, in teoria. 
                  Quando, cioè, ci sono tutti gli ingredienti giusti, quando "la 
                  larga maggioranza di un popolo - storicamente, culturalmente 
                  e territorialmente [o anche solo religiosamente?] omogeneo - 
                  si batte in modo consapevole e partecipato, senza determinanti 
                  interferenze esterne, per motivi non grettamente economici e 
                  senza ricorrere a metodi brutali o eticamente riprovevoli, contro 
                  una dominazione straniera, o anche contro un regime tirannico 
                  ed etnicamente [ahi!] alieno che lo opprime con la forza delle 
                  armi". Ma la realtà non è un laboratorio chimico. Se ne mancano 
                  un paio, della quindicina dei suddetti ingredienti, possiamo 
                  anche chiudere un occhio e schierarci senza riserve. Ma se, 
                  come quasi sempre succede, ne mancano 3, 4...? Tanto per fare 
                  qualche esempio stranoto, il caso dei kurdi, secondo me, è tutt'altro 
                  ovvio, e largamente "fuori regola" risultano oggi quelli dell'IRA 
                  e dell'ETA. E se questa impostazione può far storcere il naso 
                  e apparire troppo cinicamente ragionieristica, basterà ricordare 
                  che proprio in nome dell'autodeterminazione si sono perpetrate 
                  nell'ex-Iugoslavia le più orrende atrocità, e da noi Bossi continua 
                  a propinarci le sue grottesche pagliacciate.
 2) Rom e accettazione del diverso. Che ci piaccia o no, 
                  i rom (o nomadi, o zingari - termine già di per sé ridicolmente 
                  giudicato "razzista", proprio come è "politically uncorrect" 
                  chiamare netturbino, o addirittura spazzino, un "operatore ecologico") 
                  non sono affatto "artigiani che lavorano il rame ecc., portatori 
                  di valori di libertà alternativi al perbenismo ipocrita della 
                  società borghese". Chiunque li incontri, per la strada, in un 
                  parco, sui mezzi pubblici, non può non constatare che è tutto 
                  il contrario. La prevaricazione gerarchica del forte (il maschio 
                  adulto) sul debole (le donne e i bambini) all'interno della 
                  comunità e l'ostentato disprezzo per i "diversi", i gaji, (specialmente 
                  se inermi) sono i tratti salienti di una cultura che eleva a 
                  sistema di vita la furbizia, il parassitismo, l'opportunismo 
                  con i forti e la prepotenza con i deboli (gli studiosi ne colgono 
                  certo molti altri aspetti, ma è di questi comportamenti tutt'altro 
                  che "alternativi" che ha esperienza la gente comune). Riconoscere 
                  queste cose non significa essere intolleranti e auspicare sanguinosi 
                  pogrom: significa semplicemente prendere atto che la convivenza 
                  con loro è oggettivamente difficile (è come avere ospite in 
                  casa un tizio che sputa per terra, butta le cicche dove capita, 
                  rubacchia nei cassetti e, per di più, ti considera un povero 
                  pirla da spennare), e che quando una vecchietta strilla contro 
                  gli zingarelli che le hanno fregato il borsellino, forse non 
                  è il caso di darle anche della razzista, aggiungendo al danno 
                  la beffa. [E che l'"accettazione del diverso" sia una faccenda 
                  alquanto complicata lo confermano sempre più spesso nuovi problemi 
                  connessi all'immigrazione: peroriamo, per esempio, il rispetto 
                  delle culture altrui, però ci indigniamo contro la pratica dell'infibulazione.]
 3) Immigrazione clandestina e diritto alla libera circolazione 
                  degli individui. Ovvio che il tentativo di arginare i flussi 
                  immigratori alimenta il traffico clandestino gestito dalla malavita 
                  (in qualsiasi campo, una politica "proibizionista", o anche 
                  soltanto "di regolamentazione", non può che provocare, accanto 
                  a eventuali effetti positivi, l'effetto certo di ingrassare 
                  chi specula sul suo aggiramento: il traffico internazionale 
                  delle armi, delle droghe, dei rifiuti tossici ecc. lo conferma 
                  ogni giorno). Preso atto di questo, che fare? Siccome ogni norma 
                  genera inevitabilmente lo sforzo più o meno coordinato di molti 
                  per eluderla o violarla impunemente, la soluzione è forse quella 
                  di abolire il concetto stesso di norma? Sarebbe come dire: accertato 
                  che la proibizione di rapinare le banche induce i malintenzionati 
                  a organizzarsi segretamente in bande armate per svolgere tale 
                  attività, mettendo a repentaglio la vita di cassieri e ignari 
                  clienti (nonché la loro e quella dei poliziotti eventualmente 
                  lanciati al loro inseguimento), meglio sarebbe abolire tale 
                  reato; se uno vuole un po' di soldi, entra in una banca e semplicemente 
                  li chiede, alla luce del sole: si renderebbero così superflue 
                  le armi e si eliminerebbe ogni rischio di spargimenti di sangue. 
                  Paradossi a parte, torniamo al concetto di diritto alla libera 
                  circolazione degli individui e immaginiamo di applicarlo integralmente. 
                  Ovvio che ai porti e alle frontiere della "Fortezza Europa" 
                  si affolleranno ben presto milioni (quanti? 10, 20, 50? L'Europa 
                  orientale, l'Africa e, più ancora, popolosissimi e poverissimi 
                  paesi asiatici come il Bangladesh potrebbero alimentare il flusso 
                  indefinitamente, almeno finché le condizioni di vita qui si 
                  fossero deteriorate a tal punto da azzerare l'incentivo a venirci 
                  per "cercare fortuna") di persone legittimamente desiderose 
                  di migliorare le proprie condizioni di vita, e non più frenate 
                  dai rischi e dal costo di un viaggio clandestino. (Forse i più 
                  ardenti sostenitori del principio, indignati per le disumane 
                  condizioni di tale biblico esodo, solleciteranno i loro governi 
                  a porre rimedio a una simile vergogna, inviando navi confortevoli 
                  a raccogliere gli immigrati e allestendo centri di accoglienza 
                  adeguati, e non i lager tanto cari a quei sanguinari assassini 
                  di D'Alema e Bianco; uno sforzo colossale che mobiliterebbe 
                  ingenti risorse e creerebbe centinaia di migliaia di posti di 
                  lavoro: il debito pubblico salirebbe di qualche centinaio di 
                  migliaia di miliardi? Pazienza, a queste bazzecole deve pensarci 
                  lo Stato, mica noi cittadini - chiedo scusa per l'ironia, forse 
                  fuori luogo, ma certe affermazioni perentorie e certi toni saccenti 
                  farebbero uscire dai gangheri anche il famoso Giobbe.)
 No, non sono uno che applaude quando i turchi bombardano un 
                  villaggio kurdo, che rimprovera a Hitler di non essere riuscito 
                  a sterminare davvero gli zingari, che quando nell'Adriatico 
                  va a fondo un gommone con 10 giovani albanesi si frega le mani 
                  pensando: "Dieci magnaccia in meno nelle nostre strade".
 Sono semplicemente uno un po' stanco degli slogan semplicistici 
                  (anch'io, però, lo ammetto, qualcuno l'ho gridato per le strade 
                  una trentina d'anni fa...), dei facili luoghi comuni, dei principi 
                  campati per aria. Uno assolutamente certo che l'utopia è indispensabile 
                  per dare un senso alto al nostro vivere e non scadere in un 
                  grigio pragmatismo senza ideali, ma altrettanto convinto che 
                  con la realtà bisogna farci i conti, e che anzi proprio questa 
                  è la sfida (tremenda, forse impossibile, ma anche appassionante) 
                  con la quale ogni momento dobbiamo misurarci: coniugare la bellezza 
                  astratta dell'utopia con l'asprezza "sporca" della realtà. Uno 
                  che non invidia i Prodi, i D'Alema, i Ronchi ecc. che giorno 
                  per giorno devono prendere decisioni concrete che tengano conto 
                  dei mille aspetti diversi e contraddittori di ogni problema; 
                  e trova sacrosanto criticarli per gli errori che commettono 
                  (e ne commettono tanti!), per l'arroganza che dimostrano ecc., 
                  ma sterile e puerile cavarsela definendoli sistematicamente 
                  "traditori", "assassini", "venduti" ecc., spesso senza avere 
                  uno straccio di soluzione alternativa praticabile da proporre, 
                  trincerandosi dietro una presunta (e molto presuntuosa) "purezza".
 In altre parole, se davvero ci sentiamo portatori di valori 
                  alternativi al mercato totalizzante, al berlusconismo teleguidato, 
                  all'intolleranza, al consumismo miope ed egoista dell'usa-e-getta 
                  (non solo degli oggetti, ma anche delle esoerienze) ecc., sforziamoci 
                  di tradurli in pratica nella vita quotidiana, nei rapporti con 
                  gli altri e nelle mille battaglie di civiltà in cui possiamo 
                  dare il nostro piccolo contributo (con passione, ma anche con 
                  una robusta dose di autoironia alla "Brian di Nazareth"), anziché 
                  inveire inutilmente contro i politici che, volenti o nolenti, 
                  "fanno un altro mesteriere". Possono farlo più o meno bene, 
                  e per questo è giusto tampinarli: ma sarebbe sciocco pretendere 
                  che attuino le nostre utopie.
 Immagino il commento che questa specie di predicozzo può legittimamente 
                  suscitare: ecco il solito intellettuale di sinistra che spacca 
                  il capello in quattro, che, tormentato dai dubbi e dai distinguo, 
                  finisce per stare alla finestra mentre molto concretamente nel 
                  mondo si massacra ecc. Obiezione fondata, fondatissima (a volte 
                  me la muovono, spazientiti, anche nel piccolo gruppo ambientalista 
                  che bazzico da una quindicina d'anni). Eppure resto convinto 
                  che alla lunga sia più "antagonista al sistema" cercare di seminare 
                  dubbi che instillare illusorie certezze (non sono forse già 
                  troppi quelli convinti di "avere la verità in tasca"?). E che 
                  sia meglio non andare a una manifestazione antirazzista che 
                  andarci con un cartello con scritto "VIA I RAZZISTI DA MILANO" 
                  (visto con i miei occhi qualche anno fa), o magari "NON TOLLERIAMO 
                  GLI INTOLLERANTI".
 La chiudo qui per non farvi morire di noia.
 Vittorio Ghinelli (Milano) ghinel@iol.it
 
     
                  
                     
                      |  I 
                          nostri fondi neri 
                            |   
                      |  
                           Sottoscrizioni. Piero Milesi (Bonassola), 
                            30.000; Alfredo Gagliardi (Ferrara), 100.000; Fabrizio 
                            Serra (San Giovanni in Persiceto), 50.000; Aurora 
                            e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla, 1.000.000; 
                            a/m M. Pandin, ricavato da "Musica per A", 1.500.000; 
                            Saverio Nicassio (Bologna), 50.000; Tullio Procacciante 
                            (Milano), 100.000; Fabrizio Eva (Milano), 50.000; 
                            Pralina (Firenze) "un fiore per Ottavio Querci, partigiano 
                            anarchico e mio nonno adottivo", 10.000.Totale lire 2.890.000.
 
 Abbonamenti sostenitori. Matilde Bassani Finzi (Milano) ricordando Alfonso 
                            Failla, 150.000; Marco Galliari (Milano), 500.000; 
                            Zelinda Carloni (Roma), 200.000; Roberto Panzeri (Perledo), 
                            150.000; Filippo Trasatti (Cesate), 150.000; Battista 
                            Saiu (Biella), 150.000; Paolo Faziani (Bubano), 150.000; 
                            Gianni Pasqualotto (Crespano Del Grappa), 300.000; 
                            Piero Cagnotti (Dogliani), 150.000; Marco Valerani 
                            (Milano), 150.000.
 Totale lire 2.050.000.
 
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                      | Errata Corrige Sullo scorso numero, a pag. 17, nella descrizione 
                          delle persone fotografate mentre si affacciano al balcone 
                          della sede della Federazione Anarchica Italiana, a Messina, 
                          nel 1947, è saltata l'indicazione di Placido 
                          La Torre (l'ottava persona da sinistra, con le mani 
                          in tasca) che - tra l'altro - ci ha dato la foto.
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