|  Si può ben dire che il ruolo più incisivo e rilevante della 
                  vicenda libertaria di Emma Goldman sia racchiuso tra due date 
                  cruente che precedono e seguono il suo ingresso e la sua espulsione 
                  dagli Stati Uniti: l'11 novembre I887 e il 23 agosto 1927. Nel 
                  1887, un anno dopo che la Goldmann si era rifugiata in America 
                  (1886) per sfuggire ai progroms del governo zarista, vengono 
                  condannati a morte, a Chicago, mediante impiccagione, gli anarchici 
                  Spies, Parsons, Lingg, Fischer ed Engel, accusati di aver ispirato 
                  e alimentato le violenze che si erano verificate per l'ottenimento 
                  delle otto ore lavorative. Li si ricorderà sempre come "i martiri 
                  di Chicago".Il 23 agosto 1927, nel carcere di Charleston (Massachusetts) 
                  vengono uccisi sulla sedia elettrica, dopo sette anni di reclusione 
                  e di processi, Sacco e Vanzetti, immigrati italiani, per un 
                  omicidio mai commesso. La Goldman era stata espulsa, insieme 
                  al suo compagno e a qualche centinaio di "sovversivi", nel 1919, 
                  un anno dopo l'arresto di Sacco e Vanzetti. Ma quali erano intanto 
                  la situazione e il peso delle forze politiche più aperte al 
                  rinnovamento sociale? Alla fine del XIX secolo diverse formazioni 
                  progressiste tentarono di aprire qualche varco nella roccaforte 
                  del capitalismo industriale americano. Si trattava di forze 
                  che potremmo definire moderate. Accanto ad esse operavano un 
                  movimento socialista e uno anarchico, il cui scopo era invece 
                  l'eliminazione del sistema capitalista in quanto tale. Oltre 
                  al partito socialista, l'I.W.W. Industriall Workers of the World, 
                  formata da socialisti, marxisti, anarchici ed esponenti del 
                  movimento operaio americano, cerca di organizzare i lavoratori 
                  al di fuori dei partiti e di portare su posizioni radicali i 
                  lavoratori qualificati che ne facevano parte. Con la sua avversione 
                  per l'ordine costituito, la tendenza a far uso del sabotaggio 
                  e i successi tra i lavoratori più emarginati ed umili l'I.W.W. 
                  contribuì largamente ad accendere le lotte operaie di questo 
                  periodo suscitando timori e collera tra le classi medie americane, 
                  tra i dirigenti sindacali conservatori e tra i managers delle 
                  industrie. Essa, pur comprendendo elementi troppo eterogenei 
                  per fondersi in un fronte unitario, non mancò ugualmente di 
                  preoccupare il padronato, cui il successo dei bolscevichi in 
                  Russia e lo spettro della rivoluzione socialista fornivano il 
                  pretesto a una politica di repressio ne continua. Da parte sua, 
                  anche se per ragioni di ordine dottrinario il movimento anarchico 
                  statunitense, di chiara ascendenza liberal radicale e individualistica, 
                  veniva a trovarsi in aperto contrasto con l'anarchismo europeo 
                  degli immigrati che perseguivano una concezione socialista e 
                  collettivista e la violenza come metodo di lotta contro lo sfruttamento, 
                  l'ingiustizia e il sopruso. L'Internazionale Nera aveva subìto 
                  gravi contraccolpi sia da tale situazione, interna all'area 
                  sovversiva, sia dall'atteggiamento sempre più diffidente e ostile 
                  dei lavoratori americani. Resistevano i gruppi anarchici italiano, 
                  russo ed ebraico, e la Union of Russian Workers con i suoi quindicimila 
                  iscritti. Difficile sarebbe stato per chiunque risalire la china 
                  dell'orizzonte cupo e desolato, come recitava una canzone anarchica 
                  dell'epoca, restituendolo alla primavera dei suoi momenti miglliori.
 Difficile per chiunque tentasse d'infondergli nuova linfa: non 
                  per "Emma la Rossa", estrosa ed indomabile: le cui gesta Paolo 
                  Salvatores ci fa rivedere con tanta perizia storica e umana 
                  partecipazione nel pregevole libro, Red Emma Un'anarchica 
                  in America, uscito recentemente per la Tip.Le.Co., via S. 
                  Salotti, 37, 29100 Piacenza (tel.0523 / 380102 fax 0523 / 380520).
 Salvatores coglie bene la specificità del contributo di Emma 
                  Goldman al movimento anarchico, che si dispiega in una militanza 
                  ininterrotta, segnata da consapevolezza e anticipazioni culturali, 
                  da iniziative editoriali e giornalistiche, (la pubblicazione 
                  per 12 anni consecutivi della sua rivista "Mother Earth", e 
                  di testi antologici teatrali con cui fece conoscere, tra gli 
                  altri, Ibsen al pubblico americano); contraddistinta da campagne 
                  condotte con audacia in molte città degli Stati Uniti contro 
                  lo stato e la chiesa, contro la proprietà ed il militarismo; 
                  dalla diffusione di temi, allora scottanti, sulla questione 
                  femminile, sulla libertà sessuale, sul controllo delle nascite, 
                  su un nuovo sistema educativo libero "da connotati religiosi 
                  e autoritari", ecc. Ma non si completerebbe il profilo della 
                  sua personalità se non si aggiungesse che la Goldman lottò strenuamente 
                  contro la legge che impediva agli anarchici l'ingresso negli 
                  Stati Uniti e contro l'intervento del governo americano nella 
                  prima guerra mondiale. Poche donne rivoluzionarie possono vantare, 
                  come la Goldman, un primato così ricco di presenze e di combattività 
                  anche se attraversato, talvolta, da ripensamenti che riguardavano 
                  più il suo carattere e la prassi da seguire che non l'ldea. 
                  Interessante è notare come Paolo Salvatores non si sia limitato 
                  a consultare l'ampia bibliografia della Goldma e le sue opere, 
                  ma abbia esteso il desiderio di conoscenza alle fonti, ai documenti 
                  di archivio che svelano aspetti non ancora noti della sfera 
                  pubblica e privata della compagna anarchica: alla corrispondenza, 
                  ai testi autografi di conferenze e discorsi, agli articoli; 
                  e che per soddisfarlo s'è recato negli Stati Uniti e in alcuni 
                  paesi d'Europa.
 Salvatores ha esaminato all'In-ternational Institute of Social 
                  History, di Amsterdam, il vasto catalogo comprendente, oltre 
                  agli articoli della rivista, anche numerosi manoscritti e discorsi 
                  inediti della Goldman, trascrizioni governative delle sue conferenze 
                  e la corrispondenza privata. Scrive ancora l'autore di lei, 
                  Red Emma: "Buona parte del materiale appartiene alla seconda 
                  metà degli anni Venti e degli anni Trenta, quando la Goldmann, 
                  fuggita dalla rivoluzione russa tradita dai bolscevichi, viveva 
                  in esilio in Europa, risiedendo alternativamente in Francia 
                  e in Gran Bretagna. Nel dicembre 1938 quando l'ingresso delle 
                  truppe di Franco in Barcellona sembrava ormai imminente, a rappresentare 
                  il definitivo crollo della rivoluzione anarchica spagnola, la 
                  Goldman si recò ad Amsterdam, dove si fermò per quattro settimane, 
                  per consegnare personalmente all'International Institute of 
                  Social History, il proprio archivio e quello del suo grande 
                  amico Alexander Berkman, suicidatosi in Francia nel 1936".
 Dalla ricostruzione fattane da Salvatores emerge un personaggio 
                  di grande fascino, nel cui processo formativo hanno notevole 
                  influenza le opere di Most, di Bakunin, di Kropotkin (soprattutto); 
                  e, successivamente quelle di Emerson, di Thoreau, di Witman, 
                  e di altri. Insieme col personaggio emerge anche un temperamento: 
                  una volontà che decide in piena autonomia, al di fuori di ogni 
                  schema; che, dopo l'attentato di Berkman, traccerà un solco 
                  tra sé e la prassi della violenza terroristica; che si avvicinerà 
                  alle posizioni dei radicali americani e riconoscerà nell'individualismo 
                  una forza propulsiva capace di accelerare la crescita interiore 
                  attraverso un gradualismo educativo e culturale. In questo senso 
                  anche il teatro, opportunamente selezionato e antologizzato, 
                  darà un valido contributo alla causa stimolando la sensibilità 
                  dei lettori e degli ascoltatori non con i problemi d'ordine 
                  estetico, ma con le istanze sociali.
 A tal fine organizza "letture sociali e tour teatrali a Boston 
                  e Chicago".
 Dopo l'uccisione di Francisco Ferrer "decise di dar vita, in 
                  suo onore, con un grupppo di compagni, alla Fondazione Francisco 
                  Ferrer, creata per diffondere lo stesso tipo di scuole, denominate 
                  "scuole Moderne". Questa incessante alternanza di presenza attiva 
                  e di rivolta comportava un prezzo carissimo in termini di restrizioni 
                  della libertà personale, di galera e di processi. Un prezzo 
                  che la Goldman pagò sino al giorno della sua espulsione dall'America. 
                  La sua vicenda politica fu sinonimo di battaglia: contro lo 
                  sfruttamento del lavoro, contro l'oscurantismo religioso, contro 
                  le dittature. Battaglia per il riscatto dalla schiavitù della 
                  miseria, della xenofobia, dell'antisemitismo, dei pregiudizi. 
                  Battaglia per la libertà di pensiero e di parola. E quando sarà 
                  costretta a rimpatriare in Russia fuggirà anche dalla sua terra, 
                  per la svolta autoritaria impressa alla rivoluzione socialista, 
                  che aveva acceso in lei e in tanti altri compagni anarchici 
                  sentimenti di solidarietà e di ammirazione. Lo scrittore Paolo 
                  Salvatores ha saputo restituire tutto questo alla nostra memoria, 
                  col suo ottimo libro così documentato e partecipe. In effetti, 
                  con Red Goldman egli evoca dal passato una donna eccezionale, 
                  esempio di fierezza anarchica, pronta a dar voce all'idea legando 
                  il mutamento storico alla necessità dell'azione umana e l'evolversi 
                  degli eventi quotidiani alla volontà soggettiva. Seguendo le 
                  vicende di "Emma la Rossa", ecco che l'anarchismo viene a configurarcisi 
                  come il seguito d'un percorso evolutivo che dalla cocienza individuale 
                  passa alla coscienza collettiva, plasmandola e guidandola verso 
                  una profonda trasformazione della società.
   Emanuele Gagliano 
    ApARTe 
                  Arte e anarchia, progetto... ApARTearte
 e
 anarchia
 progetto
 ricerca
 tracce
 emozioni
  Parte ApARTe e parte bene. Promuovere questa neonata del movimento anarchico è più facile 
                  del solito.
 La segnalazione serve a far conoscere, propagandare, propagare, 
                  vendere.
 ApARTe i giochi di parole, scriverò ciò che dico di solito spontaneamente 
                  a voce in questi giorni, a tutti coloro ai quali ne parlo.
 Al suo apparire il neonato si scruta frementi, per sapere se 
                  è sano, ben fatto, robusto ecc.
 Certo non si butta se così non è, ma se risponde alle aspettative: 
                  si è felici.
 Nonostante il prototipo che Fabio Santin e Rino de Michele avevano 
                  fatto girare, nonostante l'elaborazione dell'anteprima realizzata 
                  dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia, nonostante 
                  le descrizioni a voce di ciò che doveva essere, quando ho visto 
                  il primo numero sono rimasto stupito: era davvero il numero 
                  1.
 Bellissima, sana, forte; ricca oltre ogni mia immaginazione.
 Quest'opera che parla d'arte magari per destrutturarla, impossessarsene, 
                  farla propria, e farne di propria, narrarla: si autorappresenta.
 Non accenno, come di solito si fa, al contenuto elaborato da 
                  molte teste - lungo elenco che ometto perché i fortunati possessori 
                  potranno leggere, vedere, sentire, toccare, "annusare" direttamente.
 Dirò del non-contenitore, dell'oggetto. Creativa creatura, "quad-erno" 
                  solo perché quad-rato (30,8 x 30,8 cm.) reale composizione architettonica 
                  di materiali irregolari.
 Ogni parte (senza numerazione di pagine, sostituita da coppie 
                  di lettere - non sempre -, che identificano o rimandano al testo 
                  in un gioco di segna-file) è parte dell'insieme e contiene altro.
 Guardi la prima (copertina?) che è il logo della neonata, e 
                  sei spinto a superarla. La seconda contiene una rilettura di 
                  Max Ernst che raffigura l'ampio manipolo dei collavoratori, 
                  e siamo già attratti dall'acetato del quasi editoriale; bandella 
                  attaccata una per una a mano con biadesivo rosso.
 Il tatto è stuzzicato dalla diversità dei materali la vista 
                  dalla varietà delle forme e dei colori, l'orecchio da un budget-matrioska 
                  di assoluto valore: un compact prezioso nella sua busta, con 
                  dentro il testo, con dentro una riproduzione, con dentro... 
                  aggiunte di allegati.
 Vedere per credere.
 Anticipazioni su lavori in corso (porzioni di lavoro) sono stampati 
                  su porzione di pagina. Di contro uno splendido disegno inamputabile, 
                  che deve superare la mezzeria della neonata facendo debordare 
                  la 6(tm)(?) con partenza dalla 21(tm)(?).
 Emozione continua.
 Foto, immagini, carte, operazioni sulla pagina che producono 
                  arte.
 Altri diranno altro, quando la neonata parlerà, ora presento 
                  e descrivo ciò che vedo.
 Pagine tagliate, porzioni sottratte, inserti colorati, che connotano 
                  quella pagina rispetto all'altra.
 Il centro è in 1/8° ma... anziché produrre doppine (tagliandoli), 
                  resta attaccato per un lembo ad un margine con una giocosa operazione 
                  origamica che nasconde e rimanda, fa intravedere e si disvela.
 Poesia, teatro, arte postale, disegno, pittura, cinema, video...
 Una fortuna trovarla in edicola, un veloce esaurimento in abbonamento!
 È già cult.
 I biblionecrofori non dovranno attendere per apprezzarla, è 
                  oggetto d'arte da catturare subito, così fresco da indurre azioni 
                  bibliopedofile.
 Il costo sarà alto per tutto ciò? No, vale enormemente di più 
                  di quanto viene chiesto per averla.
 Prodotto artigiano, copia su copia, ciascuna è oggetto unico 
                  (solo cinquecento esemplari), comunica arte: è opera d'arte. 
                  Oggetto non-seriale, è questo un valore aggiunto rispetto al 
                  contenuto, da gustare, usare; se troverete una copia da qualche 
                  parte.
 Chi si abbona, la riceve in busta (bella anche quella), con 
                  indirizzo scritto a mano.
 ApARTe è già parte di noi, c'è sempre stata e deve durare per 
                  vantaggio reciproco.
 Ah! il cognome! rivista? quaderno? aperiodico?
 Molto di più: comprare per credere.
  Alberto Ciampi (pARTe di A)
 
 Per abbonamenti: Fabio Santin, c/o ApARTe - CP 85 Mestre succ. n°8 - 30171 Mestre. 
                  CCP 12347316: annuo (due opere) Lit. 50.000 Sostenitore il doppio. 
                  Una copia Lit. 30.000
 
  
     Dietro "Faber"  È stato presentato ufficialmente l' 11 gennaio scorso (primo 
                  anniversario della morte del cantautore) a Milano, nel salone 
                  della Provincia in via Corridoni, il filmato "Faber", dedicato 
                  a Fabrizio De André. Ai due registi abbiamo chiesto il senso 
                  del loro "prodotto". Questo loro scritto appare anche nella 
                  monografia "Signora Libertà, Signorina Anarchia".  Quali sono i percorsi lungo i quali si è sviluppata l'identità 
                  di Fabrizio De André? E questi percorsi, in quali scenari si 
                  sono dipanati? Quali le voci, le emozioni, i sentimenti che, 
                  nel tempo, là si sono sedimentati sino a diventare una cosa 
                  sola con l'essere e il sentire dell'individuo?Questi gli interrogativi che, per la realizzazione di Faber, 
                  hanno guidato il nostro viaggiare tra la Sardegna dell'Agnata, 
                  la Genova dei "caruggi" e la Milano, metropoli della transizione 
                  postfordista stretta tra le irriducibili contraddizioni delle 
                  vecchie e nuove povertà.
 Ciò che ci interessava era scoprire quali "fili" avessero tessuto 
                  l'arazzo della poetica di Fabrizio, quella poetica così forte, 
                  unica e nello stesso tempo eco di idee e di utopie antiche che 
                  nel corso di più di trent'anni avevano contribuito a formare 
                  anche il nostro "sentire" il mondo.
 La strada che scegliemmo fu quella di "non cercare" ma di lasciare 
                  che gli scenari, i luoghi, le voci, le emozioni, i sentimenti 
                  su cui ci eravamo interrogati, trovassero noi, in modo da far 
                  sì che fossero loro a guidarci lungo le "rotte" della poesia 
                  di Fabrizio De André.
 Volevamo, cioè, che la sua poesia si materializzasse davanti 
                  a noi nelle forme originarie che l'avevano generata, volevamo 
                  riconoscerla nei colori e nei rumori di un luogo, nelle parole 
                  dei suoi amici, nei visi della serenità e in quelli della disperazione 
                  che affollano l'eterna commedia umana.
 Sapevamo che quello era il solo modo per ritrovare le parole 
                  di Fabrizio in tutta la loro ricchezza semantica.
 E, infatti, così è stato.
 Dal fattore Filippo a don Vico agli altri amici di Tempio Pausania, 
                  di Genova e di Milano; dai luoghi del mirto e dei boschi impenetrabili; 
                  dai vicoli dell'amore mercenario come dalle strade "vestite 
                  a festa" dell'esibizionismo benpensante; dalle "terre di nessuno" 
                  extra-metropolitane abitate da rom e dai "nuovi miserabili" 
                  che la nostra civiltà del profitto produce, emergono, a volte 
                  direttamente, altre volte quasi in filigrana, i versi delle 
                  canzoni di Fabrizio.
 Inevitabilmente, da questo humus creativo, emerge anche la grande 
                  arte del poeta che di quegli scenari e di quella umanità ha 
                  cantato, muovendo ora le corde della pietas ora quelle dello 
                  sberleffo e dell'indignazione.
 Perché abbiamo "girato" Faber? Per un omaggio, per un atto di 
                  amore verso chi aveva con noi un inestinguibile credito di poesia 
                  ma anche di umanità, di affetto verso gli umili e i reietti, 
                  verso quelli cioè che avevano popolato gli orizzonti del nostro 
                  agire e che lui, Fabrizio, era riuscito a dargli dignità e storia.
 Realizzando Faber, abbiamo avuto la conferma - se mai ce ne 
                  fosse stato bisogno - che in Fabrizio non c'era manierismo, 
                  non c'era la "furbizia" di chi ha cantato l'utopia - pronto 
                  a rinnegarla il giorno dopo qualora i venti cambiassero - solo 
                  per guadagnarsi un "posto" nelle hit-parade del consumismo usa 
                  e getta.
 Per Fabrizio la parola "impegnava", si faceva "gesto" e lo coinvolgeva, 
                  coinvolgendo, nel contempo, coloro che lo ascoltavano.
 Ecco perché più sopra abbiamo scritto "inevitabilmente emerge": 
                  la "varia" umanità cantata da De André è così vera, così reale, 
                  perché Fabrizio è stato lì, con quell'umanità, con la quale 
                  si è confrontato, scontrato, ha riso e sofferto, in ogni caso 
                  si è sempre "messo in gioco" in prima persona non demandando 
                  a pindariche quanto fantasiose elucubrazioni (così comuni nella 
                  spesso miserina quanto pedante prosopopea del ceto intellettuale), 
                  il senso ultimo del proprio impegno.
 Missione compiuta, dunque: il nostro viaggiare ci ha confermato 
                  le certezze che in fondo già avevamo; ma non solo: il nostro 
                  viaggiare "attorno" a Fabrizio, ci ha insegnato alcune "regole", 
                  alcuni modi di essere che hanno nel rigore, nella onestà, nella 
                  responsabilità il loro cardine.
 Ma questa è una storia nostra, personale, intima che poco può 
                  interessare a chi ci legge. D'altra parte, a chi le vuole imparare, 
                  queste stesse cose le insegna tutta l'opera di Fabrizio De André.
  Bruno Bigoni e Romano Giuffrida
      Non stare al 
                  gioco Ho letto questo racconto Il cristallo di quarzo di Marco 
                  Sommariva (Sicilia Punto L edizioni, 63 pagine, 6000 lire) in 
                  una serata, tutto d'un fiato. È una di quelle storie dove non 
                  si sa perché, quale meccanismo interviene, gli eventi si susseguono 
                  senza lasciare possibilità di scelta se non viverli lasciandosi 
                  trasportare con stupore. Ciò accade al protagonista, voce di 
                  sé narrante, mai nominato per nome, quindi io, tu o chiunque 
                  altro, che si trova suo malgrado coinvolto in vicende ben più 
                  grosse di lui; ha la possibilità addirittura di chiarire il 
                  mistero dell'aereo di Ustica. Lui però essendo uomo normale, 
                  nel senso onirico del termine, non ha nessuna intenzione di 
                  fare il supereroe. Vuole prima possibile uscire da un incubo 
                  in cui si è venuto a trovare senza perdere l'umiltà e la coerenza 
                  di uomo cosciente. E' un susseguirsi di personaggi, compagni 
                  di viaggio più o meno importanti, che lo imputtanano sempre 
                  di più. E un susseguirsi di città, di paesi piemontesi e paesi 
                  siriani, di ogni tipo di lomocozione: treni, aerei, autobus. 
                  Conosciamo Olmo, l'amico più caro, Oku, il pakistano trafficante, 
                  Ciro, pilota temerario, cinesi, colonnelli, sacerdoti e sicari. 
                  Personaggi più o meno pennellati che rispecchiano il cosmopolitismo 
                  di cui si colorano le nostre città. A volte c'è però il tempo 
                  di fermarsi e dare un'occhiata a come si viveva ai tempi di 
                  guerra e come era difficile trasportare la mobilia o le provviste 
                  tra il Basso Piemonte e Genova. Pur essendo romanzo breve riesce 
                  comunque, mi ripeto, a parlare di uomini, di città e di come 
                  ci si vive (particolarmente curiosa la descrizione di Roma, 
                  il miglior esempio di genovesità di fronte alla capitale); di 
                  cosa ci propina questo mondo che si confronta solo sui soldi 
                  e sui segreti di stato. Il problema sta nell'essere non omologato, 
                  di non stare al gioco solo perché non ci sono chiare le sue 
                  regole. Diciamo che è un racconto che dà forza, un poco di fiducia 
                  a chi prova a non dire sempre sì. Un "Cacucci" genovese al quale 
                  sono particolarmente grato per il capitolo del sogno impastato 
                  con De André.  Marco Casamonti
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