|  dossier ex-Jugoslavia 
                   
                    | La normalità dell'orroredi Maria Matteo
   Dalla guerra fredda alla guerra giusta.   |  |   Pensavamo che la retorica della guerra 
                  "giusta" fosse definitivamente sepolta, che il secolo appena 
                  trascorso, un secolo che ha visto due tremende guerre mondiali 
                  e numerosissimi non meno cruenti conflitti "locali" avesse quantomeno 
                  chiarito che non ci sono guerre "giuste", che nulla può giustificare 
                  il massacro indiscriminato di chi ha la ventura di abitare nel 
                  posto "sbagliato". Persino la Costituzione dell'Italia repubblicana, 
                  sulla carta, annovera tra i propri principi forti il rifiuto 
                  della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Un'illusione. 
                  Un anno fa la guerra per il Kosovo materialmente, crudamente 
                  segnava la fine di quest'inganno. Tre mesi di bombardamenti 
                  feroci sono stati effettuati colpendo migliaia e migliaia di 
                  civili in nome dell'"umanità", per difendere i kosovari oggetto 
                  di pulizia etnica, per riportare "l'ordine", per ripristinare 
                  la convivenza. Oggi nel Kosovo prostrato dalla guerra, distrutto 
                  dalle armi dei soldati umanitari, nel Kosovo occupato dalle 
                  truppe NATO, continuano gli scontri etnici e la parola "convivenza" 
                  ha il sapore amaro della beffa e dell'insulto. Città spezzate 
                  in due, persecuzione contro i perdenti, kosovari serbi e rom, 
                  feroce militarizzazione del territorio disegnano un quadro efficace 
                  della bestialità della guerra, della vacuità assurda della retorica 
                  dell'intervento "umanitario". Eppure tutto tace, solo flebili 
                  voci si levano per denunciare la frode terribile cui siamo stati 
                  sottoposti.
    "La 
                  guerra è pace"
  La logica della guerra umanitaria è entrata nel sentire comune, 
                  prefigurando sinistramente scenari sempre più foschi per il 
                  futuro. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale il 
                  governo del nostro paese ha scatenato una guerra oltre i confini, 
                  ha portato morte e distruzione senza neppure prendersi il fastidio 
                  di fare una formale dichiarazione di belligeranza, senza neppure 
                  coprirsi sotto lo stretto e miserevole ombrello delle Nazioni 
                  Unite. _ stata sufficiente una piccola operazione linguistica, 
                  nello stile di quella neolingua tanto efficacemente descritta 
                  da George Orwell nel suo "1984": "la guerra è pace", la guerra 
                  non è sangue, distruzione, morte, la guerra è "missione umanitaria". 
                  I morti, le case e i villaggi bombardati e, soprattutto, i profughi, 
                  non sono più le conseguenze dolorose del conflitto, ma le pedine 
                  fondamentali di in gioco crudele che ha bisogno della loro presenza, 
                  del loro dolore ossessivamente esibito, degli stracci, delle 
                  famiglie divise, dei volti pallidi dei bambini per giustificare 
                  i bombardamenti, per dare volto alla propria retorica. Quindi, 
                  corollario immancabile dell'intervento armato è arrivata la 
                  Missione Arcobaleno, la mano caritatevole giunta ad aiutare 
                  gli stessi che, l'altra mano, quella armata, aveva trasformato 
                  in profughi. Salvo Vaccaro in un saggio scritto durante la guerra descrisse 
                  con grande efficacia l'ingerenza umanitaria come "prosecuzione 
                  della guerra con altri mezzi". Senza soluzione di continuità 
                  ma anzi nel segno di una contiguità del tutto sfacciata: non 
                  dimentichiamo che il governo italiano, per bocca del Ministro 
                  Scognamiglio, sin dal gennaio del 1999 (tre mesi prima di quel 
                  24 marzo in cui i bombardieri cominciarono i loro raid sulla 
                  Serbia, il Montenegro e il Kosovo) annunciava l'imminente apertura 
                  di un campo profughi in Albania, ai confini con il Kosovo che 
                  impedisse l'afflusso in Italia dei kosovari che vi si sarebbero 
                  riversati in caso di un peggioramento della situazione in quella 
                  regione. La Missione Arcobaleno era quindi nei progetti del 
                  governo italiano almeno dall'inizio del 1999: l'alibi umanitario 
                  era in fase di perfezionamento.
 Eppure era sotto gli occhi di tutti che con l'avvio del conflitto 
                  la pulizia etnica operata dal regime ultranazionalista di Milosevic 
                  non poteva che estendersi esponenzialmente, perché la strage 
                  non aveva più testimoni (gli osservatori ONU partono poco prima 
                  dei bombardamenti). _ comunque inaccettabile che le anime belle 
                  del nostro paese abbiano potuto credere che il bombardamento 
                  indiscriminato di case, ospedali, fabbriche, treni, autobus 
                  fosse la "cura" contro la pulizia etnica, contro il governo 
                  Milosevic. Come già accadde dieci anni fa con la guerra del 
                  Golfo, il regime che si pretendeva di combattere resta saldamente 
                  al potere. Milosevic, non meno del "feroce Saladino" Hussein 
                  è oggi più forte di prima: l'opposizione che pure si era espressa 
                  con vigore solo due anni fa, appare tacitata, repressa o dispersa 
                  dalla feroce polarizzazione che il dispiegarsi del conflitto 
                  bellico ha imposto. In Iraq si calcola che in questo decennio 
                  un milione di persone, in maggioranza bambini, siano morte per 
                  la carenza di medicinali e cibo causata dall'embargo perdurante 
                  contro quel paese, che poco meno di un anno e mezzo fa è stato 
                  ancora bombardato. Le Nazioni Unite e la NATO sono responsabili 
                  di genocidio.
 
    Oltre la critica
 Nei Balcani, come nelle struggenti e melanconiche ballate che 
                  questi dieci anni di guerre ci hanno ormai reso familiari, assistiamo 
                  al periodico ritorno dell'uguale: guerre feroci, conflitti etnici 
                  attizzati da opposti stolidi nazionalismi, balletti macabri 
                  in cui le vittime di ieri divengono i carnefici di oggi. Sullo 
                  sfondo l'interesse delle maggiori potenze al controllo di un'area 
                  cruciale perché snodo di importanti vie di comunicazione per 
                  le merci e l'oro nero.Coloro che ancora dubitassero che la posta in gioco più grande, 
                  quella per la quale gli Stati Uniti hanno voluto una guerra 
                  che gli alleati europei hanno dovuto accettare, era la destabilizzazione 
                  dell'Unione Europea tramite un conflitto portato a pochi chilometri 
                  dai suoi confini, confrontino ad un anno di distanza le quotazioni 
                  dell'Euro rispetto al dollaro.
 Ad un anno da quella guerra ci è peraltro possibile andare oltre 
                  la critica di un meccanismo perverso che accentua i mali che 
                  pretende di curare, di un meccanismo che mette in scena un dramma 
                  reale, in cui il dolore, il sangue, la distruzione sono la scenografia 
                  oscena che nasconde agli occhi degli spettatori il retroscena, 
                  lo spazio scuro dietro le quinte dello spettacolo.
 La guerra per il Kosovo assume quindi un valore paradigmatico 
                  perché emblematica delle forme in cui oggi si dispiega una politica 
                  di potenza. La fine della guerra fredda ha rappresentato una 
                  cesura importante non solo perché da un mondo bipolare si è 
                  passati ad un mondo unipolare ma anche e soprattutto perché 
                  obbliga a ridisegnare l'immagine del nemico. Infatti lo sgretolarsi 
                  "dell'impero del male" rende impossibile pensare il nemico come 
                  colui che minaccia la tua esistenza, come chi può dispiegare 
                  una potenza bellica tale da provocare la distruzione del pianeta 
                  ed la fine della specie. Delle due caratteristiche peculiari 
                  dell'immagine del nemico, ossia l'essere cattivo e l'essere 
                  capace e voglioso di una minaccia diretta, la seconda viene 
                  meno, perché nessun pericolo forte incombe sull'unica super 
                  potenza. Non è quindi per gli Stati Uniti ed i paesi suoi alleati 
                  più possibile prefigurare la guerra come estrema ratio difensiva 
                  contro una minaccia mortale. In questa prospettiva viene progressivamente 
                  disegnato un nuovo paradigma bellico, una rinnovata concezione 
                  del ruolo e della funzione delle macchine da guerra, che altrimenti 
                  potevano rischiare di vedere, sia pur mai esautorata, certo 
                  assai ridimensionata la propria funzione. Si viene così delineando 
                  la logica dell'ingerenza umanitaria che, anziché entrare in 
                  rotta di collisione con il vecchio principio della non-ingerenza 
                  negli "affari interni" di un paese, curiosamente lo affianca. 
                  In tal modo quello dell'ingerenza umanitaria diviene un alibi 
                  duttile, sempre disponibile anche se mai delineato in modo preciso 
                  in termini di diritto internazionale. All'ingerenza umanitaria 
                  che un anno orsono venne invocata per giustificare la guerra 
                  in Kosovo fa da contrappunto l'applicazione del principio della 
                  non-ingerenza negli affari interni per quello che riguarda il 
                  massacro in atto in Cecenia. Poco importa che sia nel caso del 
                  Kosovo che in quello della Cecenia fosse possibile, volendolo, 
                  leggere la realtà da entrambe le prospettive. Quello che conta 
                  è che dalla melma riemerge, senza spaventare nessuno, la guerra 
                  "giusta", la guerra combattuta per imporre una verità, un ordine, 
                  una visione del mondo. Una guerra ancora più sporca perché suo 
                  alibi sono le vittime e i profughi tra la popolazione civile 
                  e perché un simile alibi regga occorre che vi siano sempre più 
                  persone uccise, torturate, stuprate, sempre più gente senza 
                  casa e senza speranza, attonite pedine di un gioco deciso altrove.
  Maria Matteo
 
                  
                     
                      | Una 
                          guerraancora più sporca
 perché suo alibi
 sono le vittime
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