| 
                  
                    |  |  |  Le due figure a fianco (sopra 
                  in questa versione online. N.d.W.)presentano 
                  la stessa cittadina tedesca. Immagini, come tante, di grandi 
                  trasformazioni urbane: una strada sostituisce un corso d'acqua, 
                  un sovrappasso sostituisce un ponte, nuove costruzioni sostituiscono 
                  il precedente tessuto edilizio.Nulla di particolare in questo. Vi sono però alcuni elementi 
                  riscontrabili nelle immagini che meritano una attenzione: il 
                  primo è la velocità con cui è stata attuata 
                  la trasformazione (tre anni), il secondo la prossimità 
                  nel tempo di tali trasformazioni (sono state completate nel 
                  1986), il terzo l'abitudine diffusa a registrare senza sgomento 
                  tali situazioni.
 La velocità è indice della mobilità della 
                  nostra società e della sua grande potenzialità 
                  strumentale; essa matura esigenze in tempi ridotti, non riesce 
                  a contenerle e le soddisfa attraverso una progettualità 
                  locale, specifica e settoriale avendo la possibilità 
                  di realizzare opere di notevoli dimensioni senza un particolare 
                  impegno da parte della collettività.
 La prossimità è indice di quanto, nonostante i 
                  propositi dichiarati dai governi ed espressi dai tecnici, la 
                  quotidianità non è permeata dalla considerazione 
                  dell'ambiente.
 L'abitudine, la mancanza di stupore, dinanzi a tali aberranti 
                  interventi è indice della grande capacità di assuefazione 
                  che caratterizza la specie umana: tali trasformazioni non sono 
                  osteggiate perché non suscitano nella collettività 
                  nessuna sensazione di sconvolgimento. Queste tre condizioni 
                  sono la dimostrazione e la ragione delle difficoltà a 
                  percorrere un cammino verso la sostenibilità.
    Le 
                  dimensioni del problema
  In un calcolo indicativo, dividendo il consumo totale per 
                  il numero degli abitanti del pianeta, ogni persona consuma ogni 
                  anno 9,5 t di materia di cui 2,6 t rimangono nella "tecno-sfera", 
                  1,2 t divengono rifiuti gassosi, 1,7 t divengono rifiuti liquidi. 
                  A tali quantità vanno aggiunte le quantità di 
                  acqua (solo quella potabile è pari a circa 18 t/a pro 
                  capite).È noto che i consumi non sono equamente distribuiti tra 
                  i paesi né, tantomeno, tra gli abitanti dei singoli paesi; 
                  al 20% della popolazione mondiale sono addebitabili l'86% del 
                  totale dei consumi, mentre l'80% della popolazione consuma il 
                  14%.
 Per 1.000.000 di abitanti, che si possono localizzare anche 
                  in 20 kmq, vi sono indicativamente ogni anno 9.500.000 t di 
                  materia in entrata e altrettante tonnellate in uscita a meno 
                  di quanto rimane trasformato nell'area: un bilancio sicuramente 
                  approssimativo ma che rende bene le dimensioni del problema 
                  e la grande intensità dei processi che si attuano all'interno 
                  degli insediamenti. Se nella società contemporanea l'azione 
                  più ripetuta dai cittadini è quella di acquisire 
                  merci e di acquisire merci e di consumarle, ovvero di renderle 
                  rifiuto, nel minor tempo possibile, le città si presentano 
                  come un'enorme opificio in cui la produttività si misura 
                  nella quantità di materia trasformata.
 Il mercato stimola la produzione e la vendita di merci; l'iniziativa 
                  individuale scarica i costi ambientali e sociali di tale produzione 
                  sulla collettività e la società condivide e partecipa 
                  tanto che la forma e l'organizzazione degli insediamenti diviene 
                  motore primario per l'aumento dei consumi confermando l'efficienza 
                  del modello a trarre ambiti di commercio proprio dalla conflittualità 
                  degli elementi.
 Il mercato delle auto è uno dei maggiori; la produzione 
                  di auto ha un fatturato indicativamente vicino a 1.500.000.000.000.000 
                  di lire annue. Il mercato del petrolio è quasi sicuramente 
                  il più grande con un fatturato tra prelievo, raffinazione 
                  e vendita di prodotti petroliferi ipotizzabile di oltre 3.000.000.000.000.000 
                  di lire annue. Ambedue producono margini molto significativi 
                  e i produttori fanno di tutto per consolidare il mercato così 
                  come attualmente strutturato.
 Per questo il parco circolante di autoveicoli nel mondo è 
                  aumentato da 53.000.000 di automobili nel 1950 a 496.000.000 
                  nel 1996 (pari a una superficie coperta dalle sole auto di 45.000 
                  kmq), per questo ogni anno si producono 36.000.000 di autoveicoli, 
                  per questo la vendita dei prodotti petroliferi è in aumento, 
                  per questo le cilindrate delle auto sono sempre maggiori, per 
                  questo i consumi mai ridotti. E tutto ciò nonostante 
                  le emissioni di carbonio siano 6,25 milioni di tonnellate anno 
                  (200.000 t più del 1995 e 1.000.000 di t più del 
                  1985).
 Il grande mercato delle auto e del petrolio è gestito 
                  da un ristretto numero di operatori ma l'automobile è 
                  oggetto di desiderio, componente fondamentale della quotidianità 
                  e il modello di vita che l'accompagna è modello sociale 
                  e insediativo.
 La struttura insediativa si modifica abusando della mobilità 
                  e così le città assumono una forma atta a consumare 
                  le auto e le auto hanno performance tali da consumare petrolio. 
                  Ma un altro interesse più diffuso guida l'organizzazione 
                  degli insediamenti: il reddito sia fondiario che immobiliare. 
                  Un ettaro a vite rende intorno ai 20.000.000 di lire l'anno; 
                  un ettaro edificato a palazzine 65.000.000.000: un confronto 
                  insostenibile la cui differenza non rende plausibile l'ipotesi 
                  di un controllo delle trasformazioni. Per questa ragione si 
                  occupano ogni anno 180.000.000 di mc. di fabbricati; nonostante 
                  il 15% delle abitazioni non siano occupate, nonostante la popolazione 
                  sia stabile, nonostante vi sia un patrimonio di fabbricati non 
                  residenziali non utilizzati.
    L'urbanistica 
                  e la città
  Di fronte all'entità di questi problemi l'urbanistica 
                  si comporta in maniera a dir poco esilarante. Si è rinchiusa 
                  in un tecnicismo autistico definendo parametri e linguaggi, 
                  cercando uno spazio di scientificità per dimostrare la 
                  congruità delle scelte e la necessità del mestiere.Ha limitato il suo raggio di azione presupponendo che alcune 
                  variabili siano esterne alla competenza dell'urbanistica e dunque 
                  che costituiscano il dato di fatto immodificabile da cui partire 
                  per cercare le soluzioni.
 Se l'obiettivo è migliorare le condizioni della qualità 
                  della vita (e l'obiettivo è questo) non si può 
                  essere soddisfatti nell'aver mediato la domanda di costruzione, 
                  qualificato gli interventi o definito un sistema di utilizzo 
                  che garantisce qualità funzionale all'insediamento. E' 
                  necessario discernere quello che è possibile fare da 
                  quello che è giusto fare (non solo e non tutto quello 
                  che è possibile è giusto e, a parità di 
                  condizioni, non tutto quello che è giusto è possibile) 
                  rammentando che funzionalizzare un sistema spesso porta al consolidamento 
                  del sistema stesso anche quando esso si fondi su presupposti 
                  errati. Ciò non significa che i temi trattati dall'attuale 
                  urbanistica non siano importanti, ma la loro incisività 
                  aumenta proprio quando essi siano inseriti all'interno di un 
                  quadro in cui la produzione di un nuovo modello di automobile 
                  può comportare una modificazione della forma urbana molto 
                  più significativa di quanto non possa fare un piano.
 
    I 
                  segnali di cambiamento
  La constatazione del problema urbano nei termini complessivi 
                  e ambientali con cui oggi è trattato si può fare 
                  risalire agli anni ottanta; tra la fine degli anni Ottanta e 
                  l'inizio del Novanta molti paesi hanno recepito nei loro programmi 
                  l'obiettivo di migliorare le condizioni urbane. Visto come il 
                  problema è stato recepito a livello internazionale, e 
                  la gravità della situazione riscontrata, ci si sarebbe 
                  attesa una significativa inversione di tendenza e il raggiungimento 
                  di risultati tangibili. Ma non è così; i governi 
                  hanno delegato alle amministrazioni locali la risoluzione delle 
                  problematiche come se le scelte complessive riguardo mobilità, 
                  trasporti, reddito dei suoli, aumento dei consumi, necessità 
                  fittizie non incidessero sulla forma e sulla struttura urbana, 
                  come se non sussistessero interessi economici e politici nel 
                  mantenere i trend di sviluppo esistenti, come se la struttura 
                  economica, così connessa alla necessità di continua 
                  crescita, non incidesse nella organizzazione insediativa. I 
                  governi non hanno esercitato un'azione regolamentativa; si sono 
                  limitati a definire delle norme "leggere" e hanno 
                  demandato in sede locale. In questa maniera si è assistito 
                  ad una profonda separazione tra le argomentazioni tecnico-scientifiche 
                  e le azioni attuate: da un lato dichiarazioni e ricerche, dall'altra 
                  misure che, non volendo incidere sulla struttura, migliorano 
                  gli spazi marginali per i quali gli imprenditori e il mercato 
                  sono disponibili a compromessi. Il cuore del sistema, responsabile 
                  delle condizioni ambientali, rimane immutato: i consumi aumentano, 
                  la mobilità aumenta, gli insediamenti si espandono e 
                  occupano terreni.Ma non è solo quello che oggi, ora, sta avvenendo ma 
                  i desideri espressi che peggiorano lo scenario futuro. In una 
                  recente inchiesta sul "Sogno americano" (Shor 1998, 
                  in UNDP Rapporto 1998) finalizzata alla definizione delle esigenze 
                  di consumo, sono state ripetute ad un consistente numero di 
                  cittadini statunitensi le stesse domande fatte anni prima in 
                  una simile ricerca. Alla domanda "Cosa rende una vita felice?" 
                  le variazioni percentuali tra le risposte del 1975 e quelle 
                  del 1995 hanno mostrato un aumento dell'84% per "Casa di 
                  villeggiatura", del 36% per "Piscina" e una riduzione 
                  dell'8% per "Matrimonio felice", mentre nessuna variazione 
                  vi è stata per "Lavoro interessante".
 Sempre nella stessa inchiesta alla domanda "Cosa rappresenta 
                  una necessità" la differenza in percentuale delle 
                  risposte tra il 1973 e il 1996 è stata un aumento del 
                  233% per "Seconda televisione", del 96% per "Aria 
                  condizionata".
 Una società dove la richiesta di oggetti è aumentata 
                  dell'85% e quella di condizioni sociali diverse si è 
                  ridotta dell'8% è una società materiale che ha 
                  per il futuro consolidati desideri e aspettative di merci.
    Che 
                  cosa succede in Italia
 L'amministrazione nello svolgimento della sua funzione media, 
                  in una strategia, interessi diversi e spesso opposti. Nel momento 
                  in cui le organizzazioni che rappresentano l'una o l'altra delle 
                  posizioni, a seguito delle elezioni, confluiscono nelle amministrazioni 
                  queste non sono più in condizioni di mediare tra le parti, 
                  ma divengono propositrici esse stesse di un percorso indebolendo 
                  la pozione da mediare in quanto già mediata dall'amministrazione 
                  medesima nel suo procedere.Quando per anni la rappresentanza è stata più 
                  gradita della partecipazione diretta, quando vi è stata 
                  una delega integrale sui temi ambientali e della salute a tecnici 
                  ed eletti è difficile ipotizzare da parte della popolazione 
                  una coscienza dei processi e delle misure che ciascun cittadino 
                  deve accollarsi per migliorare le condizioni dell'ambiente urbano. 
                  Le amministrazioni si trovano quindi nella condizione di proporre 
                  o azioni non condivise in quanto innovative o azioni condivise 
                  ma indifferenti in quanto prossime alle necessità minimali 
                  e quotidiane dei singoli cittadini. Il nodo dunque è 
                  culturale in quanto la popolazione non conosce gli argomenti, 
                  non li relaziona ai propri comportamenti, non individua propri 
                  percorsi.
 Inoltre le amministrazioni tentano di conservarsi supponendo 
                  che già la loro sussistenza sia garanzia di qualità 
                  e possa portare ad un miglioramento delle condizioni urbane; 
                  ma per conservarsi conserva i caratteri del sistema consolidato 
                  aumentandone l'efficienza e gestendo la città "correttamente" 
                  rispetto ai suoi criteri. Così, migliorando l'efficienza 
                  senza modificare il modello, continuano i finanziamenti per 
                  le strade (rilanciate da una campagna per la sicurezza), per 
                  le infrastrutture (rilanciate da una campagna per lo sviluppo 
                  del mezzogiorno), continua la promozione del consumo di energia 
                  (anche attraverso l'ipotesi di riduzione del prezzo), si stabilizza 
                  la spesa ambientale intorno al 3% (di cui il 74% sono infrastrutture) 
                  e così via senza alcuna inversione di tendenza.
 Contemporaneamente parte dei cittadini sperimenta modelli differenti: 
                  la popolazione è stabile nonostante le campagne di informazione 
                  allarmistiche sul decremento, sviluppa "consumi critici" 
                  e "scambi solidali" nonostante le pressioni della 
                  società dei consumi, cerca modalità di trasporto 
                  alternative nonostante le difficoltà connesse al loro 
                  uso, sperimenta abitazioni ecologiche nonostante i costi aggiuntivi 
                  che il mercato impone.
    Solo 
                  la partecipazione...
  Quindi per una città sostenibile non è sufficiente 
                  l'aumento di efficienza; non è possibile limitare l'urbanistica 
                  alla gestione della destinazione d'uso dei terreni; non è 
                  possibile delegare ai tecnici né agli eletti l'esclusivo 
                  compito di gestire. È necessario interessare e considerare 
                  il sistema sociale e ambientale; è necessario gestire 
                  una città per una società, una città politica; 
                  è necessario ipotizzare e perseguire una città 
                  rappresentativa di un modello sostenibile; è necessario 
                  attuare misure tangibili, chiare; è necessario dare segnali 
                  di un avvio di percorso. E in questo contesto gli indicatori 
                  debbono essere almeno parzialmente semplici, verificabili dal 
                  comune cittadino, evidenti: ridurre la quantità di costruito, 
                  organizzare una forma della città rispondente alla richiesta 
                  di qualità, recuperare spazi inutilizzati, conservare 
                  la morfologia, aumentare il livello di naturalità, ridurre 
                  la mobilità, sperimentare...Ogni azione che modifichi l'attuale modello è osteggiata 
                  da interessi consolidati. Se non vi sono difficoltà l'azione 
                  intrapresa non è significativa per la sostenibilità. 
                  Solo la partecipazione e la condivisione della proposta da parte 
                  della popolazione può sostenere scelte così difficili: 
                  ogni città sarà diversa in quanto prodotto della 
                  propria collettività e non del mercato.
 Il cammino della città verso la sostenibilità 
                  è un cammino politico contro i modelli imperanti, gli 
                  interessi consolidati, lo sviluppo iniquo.
  Adriano Paolella
  
                  Inizia da questo numero a collaborare 
                    con la nostra rivista Adriano Paolella. Nato a Napoli nel 
                    1955, architetto, anarchico, si interessa di pianificazione 
                    e progettazione ambientale. Autore di numerosi saggi e libri, 
                    è docente presso la facoltà di Architettura 
                    di Reggio Calabria, responsabile Piano e Programma del WWF 
                    Italia e segretario generale dello IAED (International Association 
                    for Environmental Design), associazione di progettazione ambientale.Il testo pubblicato in queste pagine è la relazione 
                    presentata da Paolella al 2° congresso dello IAED (Isernia, 
                    3-5 dicembre '98), i cui atti ("Città sostenibile. 
                    Obiettivi, progetti, indicatori") sono stati pubblicati 
                    dalle Edizioni Papageno (Palermo, 1999).
 
   
                     
                      | Le 
                          condizioni mondiali:5.000.000 
                          di ettari consumati per urbanizzazione
  
                          La popolazione mondiale residente in ambiti urbani è 
                          il 45% del totale, con un incremento tra il 1950 e il 
                          1995 del 250%, a fronte di un aumento nelle zone rurali 
                          del 76% e si prevede che superi il 55% del totale entro 
                          il 2005, con punte di crescita, attualmente già 
                          riscontrate in alcune aree urbane africane e asiatiche, 
                          fino al 4% annuo. Negli Stati Uniti fra il 1982 e il 1992 sono stati edificati 
                          5.000.000 di ettari, di cui 2.085.945 ettari su aree 
                          che erano state di foreste, 1.525.314 ettari di coltivi, 
                          943.598 ettari di pascoli. In Cina, nel corso degli 
                          ultimi sei anni, 2,6 milioni di ettari sono stati ceduti 
                          all'urbanizzazione, con la perdita annua di 433.000 
                          ettari di terreno agricolo; lo spazio destinato agli 
                          uffici a Giakarta è aumentato di 19 volte tra 
                          il 1978 e il 1992, passando da una superficie di suoli 
                          urbanizzati di 21 milioni di ettari del 1982 a 26 milioni 
                          di ettari nel 1992, con un incremento, nel decennio, 
                          pari ad un'area superiore alla superficie della Liguria; 
                          San Paolo del Brasile aveva una superficie urbanizzata 
                          di 180 kmq nel 1930 e una superficie di 900 kmq nel 
                          1988.
 In Asia e in Africa ci sono regioni in cui la popolazione 
                          urbana aumenta del 4% annuo e si stima che entro il 
                          prossimo decennio quasi la metà della popolazione 
                          mondiale, pari a circa 3,3 miliardi di persone, vivrà 
                          all'interno di aree urbane. In una stima effettuata 
                          recentemente, circa 220 milioni di individui non hanno 
                          accesso ad acqua realmente potabile e circa 420 milioni 
                          di individui non dispongono di impianti igienici, nemmeno 
                          pubblici. Lo stato di sofferenza evidenziato è 
                          dovuto in buona parte alla rapidità dei fenomeni 
                          di inurbamento e alle deprecabili condizioni economiche 
                          in cui vive gran parte della popolazione mondiale.
 Considerando il continuo incremento delle superfici 
                          pro-capite abitative, infrastrutturali e di servizio 
                          dei paesi ricchi, e che al miglioramento delle condizioni 
                          di vita, anche nei paesi "in via di sviluppo", 
                          corrisponde un incremento degli standard insediativi, 
                          si può ragionevolmente ipotizzare un aumento 
                          delle superfici insediate di poco meno di 10 mq procapite 
                          all'anno. Alla luce di questa riduttiva ipotesi il consumo 
                          di suoli annuo mondiale per gli insediamenti si aggirerebbe 
                          intorno ai 5.000.000 di ettari.
 Questa quantità, sommata ai circa 6.000.000 di 
                          ettari l'anno che si sono desertificati in relazione 
                          al cambiamento climatico e agli errori nell'uso agricolo, 
                          indicherebbe la verosimile misura di 11.000.000 di ettari 
                          l'anno effettivamente "desertificati".
 |    
                     
                      | La 
                          situazione italiana:meno 
                          popolazione, maggior consumo di aree costruite
  
                          La situazione italiana, più o meno omogenea a 
                          quella europea, evidenzia maggior lentezza nei fenomeni 
                          di inurbamento, unita ad una crescita molto contenuta 
                          della popolazione: nel nostro paese il tasso di crescita 
                          della popolazione è pari a +1,1%; le previsioni 
                          indicano che la popolazione dovrebbe avere un leggero 
                          incremento fino al 2005 (57,7 milioni di abitanti contro 
                          i 56,7 del 1990) per poi ridursi progressivamente (lentamente 
                          fino al 2020, quando raggiungerà i 56,1 milioni, 
                          e più consistentemente nei trenta anni successivi, 
                          fino a raggiungere i 46,3 milioni nel 2050).Nei 12 comuni più popolati, tra il 1981 e il 
                          1991, c'è stato un incremento del costruito che 
                          va dal minimo di Torino (+1,5%) al massimo di Bari (+9,9%). 
                          E' interessante notare che nei comuni dove si è 
                          maggiormente costruito si riscontra la maggiore percentuale 
                          di abitazioni non occupate: Roma 13% di abitazioni non 
                          occupate e 7,5% nuove costruzioni; Palermo 16% e 9,5%; 
                          Bari 13,8 e 9,9%.
 Sui 30.133.079 ettari di superficie totale del paese, 
                          1.321.798 ettari sono coperti di fabbricati; 632.319 
                          ettari sono costruiti in pianura e occupano complessivamente 
                          l'11% della superficie pianeggiante del paese, 503.488 
                          sono costruiti in collina e occupano il 6% della superficie 
                          collinare del paese e solo 186.030 sono costruiti in 
                          montagna. Il sistema insediativo italiano è caratterizzato 
                          da un consistente fenomeno di accrescimento che interessa 
                          praticamente tutti i comuni costieri e da un'aggregazione 
                          unica pedemontana che attraversa l'intera pianura padana 
                          dalla Lombardia al Veneto.
 Un recente studio sulle aree industriali periurbane 
                          ha evidenziato che, su 1500 ettari presi in esame, lo 
                          sviluppo dell'edificato ha ridotto la superficie di 
                          suolo libero dal 73% del 1969 al 56% nel 1980 fino al 
                          44% del 1994, con un incremento di 22 ettari l'anno 
                          tra il 1969 e il 1980 e di tredici ettari l'anno tra 
                          il 1981 e il 1994. L'occupazione di terreni non è 
                          direttamente connessa allo sviluppo di iniziative produttive, 
                          tantoché su cinque milioni di metri cubi di costruito 
                          quasi un milione risulta inutilizzato. E' evidente che 
                          gli aspetti speculativi hanno avuto un ruolo prevalente 
                          nello sviluppo di queste aree. Nel corso del 1996 sono 
                          stati dati in concessione 67 milioni di mc di fabbricati 
                          residenziali e 83,2 milioni di mc di fabbricati non 
                          residenziali, ovvero sono state rilasciate in un anno 
                          concessioni pari alla cubatura edificata del comune 
                          di Torino, la quarta città italiana.
 L'andamento delle concessioni di fabbricati residenziali 
                          dal '90 al '96 si rivela praticamente costante in tutte 
                          le regioni, e mostra un leggero decremento complessivo 
                          (da 84,4 ml di mc nel 1990 a 67 ml di mc nel 1996), 
                          un totale pari a 554,3 ml di mc in sette anni; mentre 
                          l'andamento delle concessioni per fabbricati non residenziali, 
                          per un totale leggermente superiore (586 ml di mc in 
                          sette anni) ha un calo da '92 al '94.
 Il totale della popolazione in Italia negli ultimi sette 
                          anni è diminuito dello 0,4%, mentre le concessioni 
                          per fabbricati sono aumentate di 1140,3 ml di mc, cioè 
                          circa 20 mc ad abitante, il che equivale a dire che 
                          ogni famiglia italiana, di media composta di tre individui, 
                          ha ottenuto in sette anni una stanza in più, 
                          e che la quantità di metri cubi di abitazione 
                          pro-capite è in continuo aumento: nei dodici 
                          maggiori comuni fino al 1945 c'erano 44 mc di costruito, 
                          e nel '91 erano diventati 127 mc. Mentre i metri quadrati 
                          di superficie abitativa occupata pro-capite ha dato 
                          il minimo a Napoli con 24 mq/ab e il massimo a Milano 
                          con 34 mq/ab.
 50.000 
                          ettari urbanizzatie 15.000 occupati da edifici  
                          In Italia, al 1990, vi erano 1.321.199 ettari occupati 
                          da fabbricati, pari a circa il 4,5% della superficie 
                          totale del paese. A questo va aggiunto che la cartografia 
                          non rileva le case sparse, i piccoli nuclei e le infrastrutture 
                          extraurbane, che, se considerate insieme all'incremento 
                          di edificato nel periodo '90-'97 danno complessivamente 
                          un ammontare di 2.114.150 ettari, e regionalmente variano 
                          da un minimo di 4.749 ettari della Val d'Aosta ai 356.726 
                          ettari della Lombardia e, in percentuale sul totale 
                          della superficie regionale, dal 1,2% del Molise al 14,9% 
                          della Lombardia. Se agli ettari di urbanizzazione si 
                          aggiungono i terreni inclusi dalle infrastrutture, i 
                          "terreni in attesa", gli "sfridi", le aree inglobate 
                          nei perimetri urbani, l'urbanizzazione può arrivare 
                          a 50.000 ettari all'anno.  il 
                          turismo è ancora sinonimo di costruzione Nel 
                          1991 il 29% della popolazione che risiedeva lungo le 
                          zone costiere abitava nel 14% della superficie complessiva 
                          del paese, con una densità di popolazione pari a 4 ab/ha, 
                          rispetto a 1,9 ab/ha di quella nazionale.Il numero complessivo delle abitazioni presenti nei 
                          comuni costieri è pari a 7.765.172, che corrisponde 
                          al 32% del totale nazionale, ovvero circa 3.150.000.000 
                          mc. Volendo ipotizzare lo sviluppo di questo costruito 
                          distribuito omogeneamente lungo tutte le coste si otterrebbe 
                          un edificio continuo lungo 8.000 km, largo 10 metri 
                          e alto 15 piani.
 350.000ettari 
                          consumati da strade Tra 
                          le voci che hanno una significativa incidenza nella 
                          occupazione di suolo vi sono sicuramente le superfici 
                          occupate da infrastrutture stradali ed extraurbane. 
                          Partendo dallo sviluppo della rete stradale nazionale 
                          e provinciale, senza quindi considerare il reticolo 
                          altrettanto sviluppato della piccola viabilità, 
                          e dando una dimensione media alla sezione stradale a 
                          seconda della loro tipologia, 359.000 ettari sono occupati 
                          dalla viabilità, con una forte incidenza sulla 
                          superficie territoriale delle regioni. Questo valore 
                          è di poco superiore alla superficie territoriale 
                          della intera regione Valle d'Aosta. La superficie totale 
                          di strade è dell'1,2% sul totale della superficie 
                          nazionale.Nel nostro paese ci sono 52.160 km di autostrade e strade 
                          statali extraurbane, e 253.870 km di strade comunali 
                          e provinciali sempre extraurbane. A livello regionale, 
                          sommando i dati relativi alla superficie occupata da 
                          aree urbane alla superficie occupata da infrastrutture 
                          extraurbane, la regione che raggiunge il valore più 
                          elevato è la Lombardia, con il 16,3% della superficie 
                          territoriale occupata, seguita dalla Campania con il 
                          12,6% e dal Veneto con l''1,4% di superficie totale 
                          occupata, il Lazio 10,5% e l'Emilia Romagna 10,3%.
 In uno studio fatto per l'area romana è stato 
                          evidenziato come in quarantasette anni la superficie 
                          occupata da edificato è aumentata complessivamente 
                          di 18 volte, occupando così 19.270 ettari dei 
                          territori comunali a popolazione stabile.
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