Il tizio e la plastica 
                Ho visto un tipo sotto la neve, un tipo che un tempo era il 
                  nostro vicepremier e che si è licenziato da solo. Sotto 
                  fiocchi leggeri, il tipo – faccia tonda e busto come sempre 
                  proteso in avanti a sussurrare al pubblico – diceva, lasciando 
                  che fiocchetti di neve si posassero garbatamente sul suo giubbino, 
                  che il governo perde tempo a imporre tasse sulla plastica e 
                  sulle merendine.  
                    
                  La cosa pareva toccare la sua persona, a giudicare dal disgusto 
                  che gli si leggeva sul volto mentre pronunciava la parola “plastica”. 
                  Però chi lo conosce sa che quell'espressione disgustata 
                  non si riferiva a un materiale che ormai sappiamo praticamente 
                  eterno (e che dovrebbe forse davvero, se non disgustare, almeno 
                  preoccupare), ma al governo che perde tempo in sciocchezze tipo 
                  l'inquinamento ambientale irreversibile che questi materiali 
                  producono. 
                  Ho visto poi, camminando per le strade di un posto bellissimo, 
                  lungo una costa che ha pochi pari in Europa, lo spettacolo imbarazzante 
                  del merletto di bottiglie vuote, pacchetti di sigarette e involucri 
                  di merendine, cannucce, accendini esausti, involucri di cibi, 
                  buste e sacchetti, tutti usati come incongrui addobbi dell'erba 
                  che fiancheggiava la strada, e che, sotto questo gustoso emblema 
                  di sciatteria e irresponsabilità, stava morendo. Aprendo 
                  il giornale, dopo, ho visto i mucchi di spazzatura, quasi tutti 
                  di plastica, abbandonati dopo l'occupazione di un ateneo la 
                  notte di Halloween, circa un mese fa, una occupazione che si 
                  è lasciata alle spalle macerie, e questo, qualunque ne 
                  sia la ragione (festa di Halloween o altro), è un atto 
                  poco perdonabile. 
                  Lo spazio comune è comune. Fatico a credere che questa 
                  sia una dimostrazione di libertà, ma me lo chiedo. 
                  Perciò, dopo aver visto tutto, torno al tipo sotto la 
                  neve e al suo disgusto per il provvedimento relativo alla plastica. 
                  Non ho alcuna passione per le imposizioni legislative, però 
                  magari a volte è utile ragionare sulle cose e capire 
                  che cosa vogliono dire le parole e se chi le sta usando stia 
                  concretamente manipolando chi ascolta. Il tizio di cui sopra, 
                  con l'abilità comunicativa che ormai dobbiamo riconoscergli 
                  e che sarebbe un errore derubricare a cialtroneria, cerca di 
                  dimostrare che il potere è iniquo perché per una 
                  volta tenta di occuparsi dell'ambiente. 
                  Trascurando il fatto che l'iniquità vera è che 
                  il potere poi non se ne occuperà davvero, è curioso 
                  come anche persone moderatamente alfabetizzate considerino la 
                  plastica e la sua connessione col disastro ambientale che ci 
                  circonda come un problema esiziale e risibile, sufficiente a 
                  sostenere una campagna elettorale infinita. Si sono viste reazioni 
                  simili a Greta Thunberg: attenzione, non tanto a quello che 
                  sostiene, ma a quello che è. Assurdo, vero? 
                Ma salvaguardare la terra è un dovere 
                A ogni buon conto, a me che Greta abbia un problema non importa affatto. Mi preme invece, e molto, il modo in cui le sue parole e le sue azioni hanno toccato alcune questioni importanti e stuzzicato un nervo – quello della rivoluzione pacifica – che nessuno più sapeva che esistesse. Perché mai questa cosa è così difficile da capire per certi uomini? Cacciari ha chiesto ai ragazzini seguaci di Greta di tornare a scuola a studiare. Quale scuola, con quali soldi, con quali discipline e quali maestri, bisognerebbe forse anche precisarlo, in un momento in cui le scuole che vincono premi europei per la sperimentazione, che so, nel campo della robotica, sono anche quelle che poi non ottengono finanziamenti per sopravvivere. 
Dunque la battuta di Cacciari è strumentale e infondata, non considera il contesto, e ignora una domanda centrale: possiamo aspettare che la scienza scopra come salvare questo pianeta, rischiando nel frattempo di distruggerlo? La risposta è: certo, noi sì. Cacciari sì. Ha vissuto la sua vita. Fa il filosofo. Non dovrà cavarsela lui in quel che resterà di questa terra. 
Io, che sono nessuno, credo invece che si debba pensare al futuro, e nel futuro tutto è collegato: le merendine e la nostra libertà appartengono al cuore di questa terra. Salvaguardare la terra è un dovere e un atto d'amore. E i proclami non servono. 
Nicoletta Vallorani 
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