rivista anarchica
anno 38 n. 337
estate 2008


(in)giustizia/1

Le libertà sospese
di alcune compagne e compagni del Circolo culturale“Franco Serantini” (Pisa)

 

Diritti civili e leggi speciali nella società attuale.

 

Le leggi riguardanti i reati di “natura politica e sociale” introdotte negli ultimi anni in Italia si iscrivono in una lunga tradizione che risale fino ai tempi del Regno dei Savoia e del regime fascista. In particolare, la continuità tra lo Stato fascista e quello repubblicano si è maggiormente evidenziata nel mantenimento, seppur in alcune parti modificato, del noto codice penale Rocco, tuttora vigente, approvato nell’ottobre 1930 ed entrato in vigore il 1° luglio 1931.
Il codice Rocco si affiancava e assorbiva tutti i precedenti provvedimenti adottati dal regime mussoliniano, comunemente denominati “Leggi speciali” emanati nel novembre 1926, per colpire l’opposizione politica.
Infatti, subito dopo l’attentato Zamboni a Mussolini il regime fascista promulgò il Testo unico di Pubblica Sicurezza il quale insieme ad altre leggi, come quella del 25 novembre 1926 (n. 2008) che istituì il Tribunale Speciale, contribuì a disegnare dal punto di vista legislativo l’architettura dello Stato totalitario fascista.
Uno degli articoli più noti del codice Rocco e che a più riprese è stato utilizzato per colpire l’opposizione politica anche nell’età repubblicana è il 270 che recitava:

Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da 5 a 12 anni. Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da 1 a 3 anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Dopo il decennio 1968-1978 con il suo strascico di stragi di Stato, di violenze arbitrarie della polizia e la nascita del terrorismo organizzato sia di destra, che di sinistra, si attua un inasprimento delle pene per i “reati associativi e d’opinione”, fino ad arrivare alla stagione della legislazione “emergenziale” e nel 1979-80 al Decreto Cossiga che è costituito di due elementi: l’introduzione del dolo specifico d’eversione in base al quale, si esige, oltre alla realizzazione degli elementi obiettivi, la presenza di uno scopo ulteriore, verso cui deve tendere la volontà del soggetto, ma che non occorre sia effettivamente conseguito. In base all’art 1 del suddetto decreto si stabiliva infatti, che di fronte ad un reato non commesso ma, che secondo la legge si era intenzionati a commetere, la pena fosse dimezzata rispetto a quella per il reato perpetrato. A questo si aggiungeva un ampliamento dell’articolo 270 (270 bis), da cui risulta un inasprimento della politica repressiva con un’ulteriore genericità della definizione di “associazione sovversiva”:
Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da 4 a 8 anni.

Autotutela di stato

Il criterio per giudicare pericoloso un individuo che non ha mai commesso atti di violenza si basa sulla analisi del suo “comportamento” della sua “ideologia politica”: se il cittadino professa una ideologia che si orienta verso un progetto di cambiamento sociale e si oppone al sistema politico in vigore, è fortemente sospettato di essere in procinto di “commette un reato”. La sicurezza che la legge tutela allora non è quella dei cittadini, privati di uno dei diritti fondamentali, limitati nella loro libertà di espressione e di associazione, ma è quella dello Stato che si autotutela da una possibile ipotesi di “alternativa politica rivoluzionaria”.
La forza “politica-giuridica” dell’articolo risiede proprio nell’altissima discrezionalità di giudizio consentita alle autorità di polizia e della magistratura.
A tutto ciò si aggiungono in tempi a noi recenti i provvedimenti presi dal secondo governo Berlusconi il 18 ottobre 2001, in seguito ai fatti dell’11 settembre, seguiti dall’emanazione del decreto legge n. 374 poi convertito nella legge del 15 dicembre 2001 n. 438 che inasprisce ulteriormente le pene: l’articolo 270 bis viene riformulato sulla base della nuova e ampliata accezione che si dà al termine “terrorismo”:

chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni.
In questo modo diventa facile in tempi di crisi politica e sociale, applicare a ogni forma di protesta l’etichetta di “terrorismo”. Novità della legge è l’introduzione dell’articolo 270 ter che punisce, con pena fino a 4 anni, chi
fuori dei casi di concorso nel reato e favoreggiamento dà rifugio e fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a chi partecipa alle associazioni punite dalla 270 bis.

In questo caso si arriva a punire chiunque è contiguo a movimenti politici che nei loro programmi ipotizzano una società alternativa e rivoluzionaria, anche non avendo l’interesse specifico di farne parte. Quest’ultima evoluzione giuridica della legge, con il decreto Pisanu (decreto legge 27 luglio 2005 n. 155), procede nella stessa direzione di controllo sociale e politico, fino al punto che le intercettazioni investigative a carattere preventivo non si limitano a quanti sono sottoposti ad indagini, ma a chiunque frequenti determinati ambienti. Inoltre, con il decreto è concesso alle autorità di polizia di svolgere i cosiddetti “colloqui investigativi” per acquisire dai soggetti sottoposti ad accertamenti informazioni utili senza la presenza né di avvocati difensori né di magistrati. Il quadro complessivo del provvedimento penale sposta il baricentro dell’attività giudiziaria sulla prevenzione, che fa abbondante uso di schedature di massa di cittadini sospettati di frequentare ambienti politici “pericolosi”.

Duri provvedimenti repressivi

Le autorità inoltre, servendosi dei media, hanno potuto giustificare agli occhi dell’opinione pubblica una “persecuzione penale” nei confronti di tutti i cittadini considerati sospetti di “attività sovversiva”. Quante volte di fronte a movimenti politici, sindacali e sociali, come le proteste contro il G8 a Genova, o quelle della popolazione a Vicenza contro la costruzione della nuova base americana o in Val di Susa contro la TAV, le autorità ad ogni livello hanno paventato il rischio di infiltrazioni nei movimenti di protesta di terroristi, per spaventare i cittadini, criminalizzare i movimenti e preparare l’opinione pubblica ad interventi repressivi preventivi nei confronti di cittadini il cui unico “reato” è quello di appartenere ad aree politiche extraparlamentari?
Dal 2001 ad oggi non si contano i casi sia di cittadini italiani che stranieri sottoposti a duri provvedimenti repressivi ed ad inchieste su determinate aree politiche che hanno portato in carcere decine di persone, con grande clamore mediatico, inchieste che poi alla luce dei fatti hanno dimostrato la loro inconsistenza e debolezza.
La sola prova certa è la volontà politica dello Stato di distruggere ogni forma di “resistenza civile” e di autorganizzazione politica che sia fuori dalle regole del gioco stabilito dai detentori del potere e questo in barba ad ogni principio di inviolabilità delle libertà civili e politiche del cittadino garantite dalla stessa carta costituzionale.

alcune compagne e compagni del circolo culturale “Franco Serantini” (Pisa)

ripreso dal n. 58 (maggio 2008) de “La Biblioteca”, mensile di informazione dell’Associazione Amici della Biblioteca Franco Serantini.