rivista anarchica
anno 38 n. 333
marzo 2008


storia

Chi era Marinus van der Lubbe?
di Nico Jassies

 

Marinus Van der Lubbe. Muratore, disoccupato, rivoluzionario, la sua sfrenata attività d’agitazione entra presto in rotta di collisione con il Partito Comunista, ma egli continua nel supporto degli scioperanti, nella propaganda, nell’azione diretta. La lotta per l’emancipazione del proletariato lo porta dall’Olanda alla Berlino di Hitler. Qui compra della diavolina e dà fuoco al Reischstag per sollevare il proletariato tedesco alla ribellione. È la sua fine e l’inizio di costruzioni e ricostruzioni storiche che hanno fatto di Marinus prima una pedina del Comintern e poi una marionetta di Hitler, sempre un “soldato di partito”.
Van der Lubbe ha invece agito da solo e di propria spontanea volontà. Lo ha ripetuto più volte fino a che non gli hanno staccato la testa. Lo hanno ribadito i suoi compagni del Comitato Van der Lubbe che rivendicavano il “diritto alla verità”, lo conferma Nico Jassies in questo libro con passione e dovizia di fonti.

 

Negli anni Trenta il nome di Marinus van der Lubbe divenne famoso nel mondo intero, dopo che questi ebbe incendiato il Parlamento tedesco a Berlino, il Reichstag. Al termine di un processo che fece scalpore, fu condannato a morte e decapitato nel gennaio 1934, all’età di ventiquattro anni. Nella città olandese di Leiden erano molti a conoscerlo come agitatore, ben prima dell’incendio del Reichstag. Disoccupato e militante, attirava l’attenzione con il suo modo di agire, mettendosi in testa alle manifestazioni o rompendo le vetrine dell’Ufficio di Assistenza Sociale. Ricoprì anche un ruolo importante nel movimento della gioventù comunista di Leiden.
Marinus van der Lubbe è una leggenda. Inevitabilmente: è morto giovane, senza aver scritto molto, ma a lui è stata dedicata una gran quantità di libri spesso contraddittori tra loro. I suoi amici sono morti e le parole della sua epoca hanno cambiato senso: oggi i socialisti si esprimono come i capitalisti, i capitalisti come i socialisti; ed entrambi sostengono tutto e il contrario di tutto. Dire che Van der Lubbe era un “anarchico” e ricoprirlo di elogi è facile tanto quanto mandarlo al diavolo trattandolo da idiota o da confusionario. Alcuni lo descrivono come una sorta di trotzkista, fanatico e pronto a cadere nell’eccesso. Ma, come nota lo scrittore e giornalista olandese Igor Cornelissen nella sua introduzione al libro di Jef Last – Doodstraf voor een provo (Pena di morte per un provo): «Rinus (diminutivo di Marinus, NdT) era semplicemente un giovane operaio vigoroso che ha avuto la disgrazia di vivere in un’epoca fuori dalla norma, nella quale i disoccupati si contavano in centinaia di migliaia, poco dopo una guerra mondiale che era costata milioni di vite umane e poco prima di una nuova guerra. E cercava, con ogni mezzo, di impedire questa catastrofe imminente.»

Marinus van der Lubbe (1910-1934)

Vetrine in frantumi

Il rifiuto radicale del capitalismo, tratto dominante e costante del carattere di Marinus, si espresse anche con una lotta contro il rappresentante diretto di questo sistema nella sua vita: l’Ufficio di Assistenza Sociale, un istituto social-filantropico dell’alta borghesia, che distribuiva briciole dalla tavola dei ricchi ai poveri e ai senza-diritti. Quando si era “assistiti”, si era costretti a un controllo quotidiano, destinato a impedire il lavoro in nero, e l’assistenza sociale non garantiva neppure lo stretto necessario al sostentamento.
Come abbiamo già accennato, l’Ufficio di Assistenza Sociale di Leiden aveva eliminato il sussidio a Marinus nel gennaio 1931, con il pretesto che questi avrebbe tenuto nascosto la sua pensione d’invalidità. Nel dicembre 1931 Marinus chiede un aiuto economico per allestire una piccola biblioteca, dove gli operai e i disoccupati di Leiden possano prendere in prestito libri o consultarli sul posto in una sala di lettura. A quel tempo è anche lui senza fissa dimora e dunque in questo modo cerca anche un posto dove stare. I compagni che vengono da altri luoghi vi troverebbero a loro volta un tetto. Si stamperebbero, certamente, pamphlets e giornali. Così aveva già funzionato il piccolo magazzino del Bouwelouwesteeg, di cui Marinus pagava l’affitto da solo. Verso Natale il suo sogno si infrange di fronte al rifiuto dell’Ufficio di Assistenza Sociale. Allora ricomincia la trafila, riducendo di metà l’importo della domanda: nuovo rifiuto. Furioso, manda in frantumi le vetrine dell’Ufficio. Arrestato, è presto rimesso in libertà. Alcune settimane più tardi, mentre è già in strada per i Balcani, un tribunale lo condanna a tre mesi di prigione. Nel giugno 1932, di ritorno nei Paesi Bassi, è immediatamente arrestato e condotto in carcere a Den Haag per scontare la pena. Viene liberato all’inizio di ottobre.
Marinus affitta allora una camera da Simon Harteveld, un muratore che ha incontrato in cantiere. Poco tempo dopo, trova di nuovo un piccolo magazzino in affitto, al n. 19 di Lange Vrouwenkerksteeg, e comincia ad abitarci, aspettando di apprestare là un luogo di riunione. Van der Lubbe si è assunto il compito di contribuire “all’emancipazione spirituale del proletariato”, proposito al quale dedica tutto il suo tempo, con corsi, serate passate a discutere, ecc. È nel magazzino di Lange Vrouwenkerksteeg che pubblica con alcuni compagni lo “Werkloozenkrant”, nel quale esprime le sue idee sul comunismo dei consigli. Sotto l’influenza, tra gli altri, di Simon Harteveld, lascia il GIC (Gruppo dei Comunisti Internazionali), orientato verso la riflessione teorica, per il Linkse Arbeiders Oppositie (LAO, Opposizione Operaia di Sinistra), piccolo gruppo consiliarista i cui membri vengono per la maggior parte da Rotterdam, e che è ispirato da Eduard Sirach, ex marinaio ed editore del giornale “Spartacus”.
Sempre in ottobre Marinus ricomincia la trafila per ottenere una somma dall’Ufficio di Assistenza Sociale destinata al suo “progetto per i lavoratori e i disoccupati” che intende avviare nel piccolo magazzino che ha in affitto. Di fronte al terzo rifiuto, inizia uno sciopero della fame. Dopo undici giorni deve essere ricoverato in ospedale. Accetta di riprendere a nutrirsi quando gli garantiscono che il suo dossier è stato studiato con cura e che uscito dall’ospedale troverà “un minimo mobilio” a sua disposizione in un istituto di carità. Marinus si accontenta, sebbene ciò non risolva un granché.
Alla fine del dicembre 1932 Marinus è a Den Haag fra i tassisti in sciopero: i suoi discorsi vogliono evitare che questi si consegnino armi e bagagli a dei “rappresentanti dei lavoratori”, i quali – denuncia Marinus – li tradirebbero sul più bello. È chiaro, sostiene, che i lavoratori non hanno ancora compreso che devono agire autonomamente.
In questo periodo lo stato di salute dei suoi occhi peggiora al punto che, il 4 gennaio 1933, deve essere di nuovo ricoverato in ospedale. Ne esce il 28 gennaio, due giorni prima che la stampa del mondo intero riporti grandi titoli sulla vittoria del nazionalsocialismo in Germania. Hitler è cancelliere del Reich! Marinus torna dai suoi amici. Nessuno è disposto ad agire, sebbene tutti concordino nel riconoscere la Germania come la roccaforte più solida della classe operaia organizzata in Europa occidentale. Il 2 febbraio “De Tribune”, organo del Partito Comunista Olandese, titola: “scontri armati in tutta la Germania. La resistenza antifascista cresce!” Altri giornali citano “accanite sparatorie”. Sembra che la Germania sia entrata in una crisi rivoluzionaria che può terminare soltanto con la dittatura fascista o con la dittatura del proletariato. Marinus, che è già stato a Berlino, fa i suoi preparativi per tornarvi. È là che il proletariato si batte, il proletariato, la sua classe! È là che deve andare.

Berlino, 28/2/1933 – il Reichstag dopo l’attentato

Berlino rossa, Berlino nera

La strada è il teatro delle provocazioni delle SA, le cui truppe attraversano i quartieri operai cantando a pieni polmoni, determinate a mostrare chi comanda. Già da molti mesi, in tutto il paese, vengono assassinati operai noti per la loro militanza. Il Partito Comunista nel frattempo continua nei suoi attacchi ai socialisti, considerati “social-fascisti”: politica, questa, conforme agli ordini dati da Mosca a tutti i partiti del Comintern, l’Inter?nazionale Comunista assoggettata alla Russia “sovietica”. Fondata per “esportare” la Rivoluzione d’Ottobre all’estero, questa organizzazione fu rapidamente utilizzata dal governo russo come forza diplomatica “per sabotare ogni movimento rivoluzionario e sostenere quei governi borghesi sul cui appoggio contava in politica internazionale”. È quindi dalle decisioni della diplomazia russa che dipendeva, ovunque, la politica del Comintern. Nella Germania del 1930 e 1931 il suo slogan era: “colpite i fascisti ovunque siano!”. Ma alla fine del 1932, con il Partito passato sotto la nuova direzione di Ernst Thälmann, l’ordine diventa improvvisamente: “non lasciatevi provocare!” Del resto nella maggior parte dei partiti e negli ambienti più diversi si credeva che il governo di Hitler sarebbe stata una breve parentesi. Una volta al potere, questo “pittore da quattro soldi” avrebbe dovuto dimostrare quel che valeva. Il Partito Comunista Tedesco (KPD) va ancora più lontano: volendo nascondere lo scandalo della sua capitolazione di fronte alla presa del potere da parte di Hitler, elabora la teoria del fascismo come “fase storicamente necessaria” prima dell’avvento dello Stato comunista ideale, teoria riassunta dallo slogan “Nach Hitler kommen wir!” (“Dopo Hitler, noi!”).
Nel frattempo il nuovo Ministro dell’Interno della Prussia, Göring, si dà da fare proibendo le manifestazioni dei comunisti e dei socialisti, censurando i giornali di sinistra e anche quelli semplicemente liberali. Il 24 febbraio un’operazione di polizia nella Karl-Liebknecht Haus, il quartiere generale dei comunisti a Berlino, fa sì che i nazisti possano affermare di avere le prove dell’imminenza di una “insurrezione bolscevica armata”. Si parla in particolare di armi nascoste nei sotterranei, ma mai, in nessun processo, saranno addotte prove a riguardo.

Nico Jassies

Berlino brucia
Marinus Van Der Lubbe e l’incendio del Reichstag

Edizioni Zero In Condotta

96 pagine
7,00 euro

Versamenti:
Conto corrente postale 14238208 intestato
AUTOGESTIONE
casella postale 17127
20170 Milano

www.zeroincondotta.org
email: zeroinc@tin.it

La confessione

I comizi che si tengono nella campagna elettorale sono dispersi appena viene espressa la più innocente critica al governo di Hitler. Sebbene sempre più arrabbiati, gli operai rientrano prudentemente a casa. Che senso avrebbe per loro, in questo momento, cantare l’Internazionale?
Ecco un estratto del verbale di interrogatorio della polizia: «Innanzitutto dichiaro che i miei atti si fondano su delle motivazioni politiche. Nei Paesi Bassi ho letto che i nazionalsocialisti sono ora al governo in Germania. Ho sempre seguito la politica tedesca con molto interesse e ho letto ciò che i giornali scrivevano su Brüning, Papen e Schleicher. Quando Hitler è arrivato al potere, ho pensato che avrebbe sollevato entusiasmo in Germania, ma anche che avrebbe provocato gravi tensioni. Ho comprato tutti i giornali che pubblicavano notizie sull’argomento (...) Io sono di sinistra e fino al 1929 sono stato membro del Partito Comunista Olandese. Ciò che non mi piace nel Partito è che vuole svolgere un ruolo dirigente rifiutando di lasciare la guida direttamente ai lavoratori. Sono solidale con il proletariato che porta avanti la lotta di classe. Le masse devono decidere autonomamente ciò che devono o non devono fare. In Germania oggi è al potere un governo di coalizione nazionale che secondo me può essere pericoloso in due sensi: prima perché i lavoratori subiranno la repressione, poi perché questa coalizione nazionale non accetterà mai di cedere alle pressioni degli altri paesi, così che la guerra presto o tardi scoppierà (...) Ho constatato che i nazionalisti in Germania fanno ciò che vogliono, ma non gli operai (...) Ho capito che gli operai non faranno nulla autonomamente e, in particolare adesso, con l’avvicinarsi delle elezioni, i lavoratori non sono determinati a lottare essi stessi contro un sistema che dà agli uni la libertà e agli altri l’oppressione. La mia opinione era che occorresse assolutamente fare qualcosa per protestare contro questo sistema. Poiché i lavoratori non volevano fare proprio nulla, ho voluto fare qualcosa da solo. Ho pensato che causare un incendio da qualche parte fosse un buon mezzo. Non ho voluto prendermela con gli individui, ma con qualcosa che appartiene al sistema. Mi sono diretto quindi verso degli edifici pubblici, come ad esempio l’Ufficio di Assistenza Sociale, in quanto luogo di ritrovo dei lavoratori. In seguito verso il Municipio, perché è un elemento del sistema e, infine, verso il Palazzo Imperiale, perché è situato in pieno centro e bruciando avrebbe provocato grandi fiamme visibili da lontano. Poiché questi tre incendi non erano riusciti e il mio gesto di contestazione non aveva dato nessun frutto, ho scelto il Reichstag, in quanto è un punto centrale del sistema. Alla domanda se io abbia agito da solo, dichiaro che è stato proprio così. Nessuno mi ha aiutato nella mia azione e non ho neppure incontrato nessuno nell’edificio del Reichstag.».

Nico Jassies